Indiscutibile la responsabilità penale dell’uomo sotto processo, ritenuto colpevole di oltraggio a pubblico ufficiale, minacce e percosse. Impossibile, secondo i Giudici, sostenere che l’uomo abbia agito a causa, con riferimento alla frase pronunciata dal medico, di una provocazione ed in preda ad uno stato di ira.
Scenario del drammatico episodio è lo studio di un medico di base, il quale pronuncia una frase per nulla elegante nei confronti di un'anziana signora lì accompagnata dal figlio. Le parole del dottore scatenano la reazione dell'accompagnatore della signora, che lo offende, minaccia e aggredisce fisicamente. Inevitabile lo strascico giudiziario, col figlio dell'anziana paziente che si ritrova condannato, sia in primo che in secondo grado, per oltraggio a pubblico ufficiale , minacce e percosse, con pena fissata in Appello in sei mesi di reclusione. Col ricorso in Cassazione l'avvocato che difende l'uomo sotto processo prova a ridimensionare l'episodio, ritenendolo imputabile all'atto arbitrario compiuto dal medico e sostenendo, quindi, la non punibilità del proprio cliente. Illogico, secondo il legale, ritenere l'espressione del medico non professionale ma non tale da non costituire atto arbitrario idoneo a scriminare la condotta tenuta dal figlio dell'anziana paziente. Al contrario, «a fronte del dovere del medico di prendersi cura dei pazienti e di indirizzarli verso visite specialistiche opportune, prescrivendo terapie di supporto», non si può ignorare «l' oggettiva sconvenienza e l' illegittimità della condotta della persona offesa, cioè il medico, rispetto al fine cui le funzioni avrebbero dovuto indirizzarsi». Allo stesso tempo, la difesa sostiene che il suo cliente abbia agito in stato di ira , a fronte del maltrattamento ricevuto dalla madre. Nello specifico, la frase pronunciata dal medico è catalogabile come una palese «violazione dei» suoi «doveri deontologici» , e «tale da produrre lo stato d'ira del figlio della signora, stato che è alla base della sua reazione» aggressiva nei confronti del medico. Per la Suprema Corte, però, checché ne dica la difesa, è impossibile ridimensionare l'azione compiuta dall'uomo nei confronti del medico. Innanzitutto, «deve escludersi che la condotta tenuta dalla persona offesa possa essere inquadrata nell'ambito degli atti arbitrari », precisano i Giudici. Ciò anche perché, in questa prospettiva, «deve aversi riguardo a condotte immediatamente motivanti e non possono dunque prendersi in considerazione profili inerenti ad una solo assertivamente dedotta colpa del medico nell'approccio diagnostico , pur a fronte del dato di fatto del decesso, qualche mese dopo i fatti, della madre dell'uomo sotto processo». Poi, va pesata la frase pronunciata dal medico al cospetto dell'uomo. Ebbene, « pur dovendosi valutare l'eccesso e l'arbitrarietà , Codice Penale alla mano, in modo da ricomprendere non solo atti illegittimi e pervicacemente provocatori, ma anche atti eccedenti dalle attribuzioni perché connotati da difetto di congruenza tra modalità e finalità per le quali è attribuita la funzione, in ragione della violazione di elementari doveri di correttezza e civiltà », nella specifica vicenda oggetto del processo «la pur non professionale espressione utilizzata dal medico non era comunque connotata da profili di così marcata inurbanità e sconvenienza da poter essere qualificata come illegittima e comunque arbitraria e da poter dare causa alla reazione del figlio dell'anziana, in quanto tale da risolversi in realtà in una cruda presa d'atto, non implicante, tuttavia, alcunché di diverso da una constatazione» pura e semplice. Impossibile , secondo la Cassazione, ipotizzare l' attenuante della provocazione , a fronte delle parole pronunciate dal medico. Ciò perché «da un lato, l'espressione usata dal medico non può qualificarsi come del tutto sconveniente e, dall'altro, la condotta dell'uomo è trasmodata in una reazione manifestamente sproporzionata , tale da esondare dai limiti di un collegamento eziologico e psicologico con il fatto altrui, a tal fine non potendosi aver riguardo alle sole espressioni oltraggiose, ma dovendosi considerare l'intera condotta, connotata da minacce e percosse» ai danni del medico, «in un crescendo di intensità e pericolosità» . Il contesto non può, dunque, giustificare o rendere meno grave l'azione compiuta dall'uomo, ma può consentire, chiosano i Giudici, di determinare una pena non severa.
Presidente De Amicis - Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30/11/2023 la Corte di appello di Ancona ha, in parziale riforma di quella del Tribunale di Macerata in data 13/01/2022, ridotto a mesi sei di reclusione la pena irrogata a C.P. in relazione ai reati di cui agli articolo 341-bis , 581, 612 cod. penumero , commessi in danno del medico dott. A.P., che stava visitando la madre di C.P In particolare, la Corte ha escluso che nella condotta della persona offesa potessero ravvisarsi gli estremi di atti arbitrari o di una provocazione, giuridicamente rilevante. 2. Ha proposto ricorso C.P. tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione al diniego della causa di non punibilità di cui all' articolo 393-bis cod. penumero La Corte aveva erroneamente ritenuto che l'espressione del medico « OMISSIS », pur reputata non professionale, non costituisse atto arbitrario tale da scriminare la condotta. A fronte del dovere del medico di prendersi cura dei pazienti e di indirizzarli verso visite specialistiche opportune, prescrivendo terapie di supporto, la Corte non aveva valutato l'oggettiva sconvenienza e illegittimità della condotta della persona offesa rispetto al fine cui le funzioni avrebbero dovuto indirizzarsi. 2.2. Con il secondo motivo denuncia in subordine violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all' articolo 62, comma primo, numero 2, cod. penumero La condotta avrebbe dovuto ritenersi tenuta in violazione di doveri deontologici, tale da produrre lo stato d'ira del ricorrente, alla base della sua reazione. La deduzione è riferita alle condotte verbali sia del medico che del ricorrente, rispetto alle quali avrebbe dovuto ritenersi inconferente che non fosse provata la negligenza del sanitario e che vi fosse stata anche un'aggressione fisica tale da integrare il delitto di percosse, profilo non assorbito dalle ragioni poste alla base del riconoscimento delle attenuanti generiche. 2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione alla mancata applicazione delle pene sostitutive di cui agli articolo 53 segg. legge 689 del 1981 . La Corte aveva dato rilievo ai precedenti del ricorrente, ma non aveva considerato la consistenza degli stessi, relativi a condanne a pena pecuniaria conseguenti a decreti penali, e neppure le finalità alla base delle modifiche della materia introdotte dal d.lgs. 150 del 2022 , gravando sul giudice l'obbligo di spiegare le ragioni dell'inadeguatezza della pena sostitutiva in relazione alle peculiarità del caso. 3. Il Procuratore generale ha inviato la requisitoria concludendo per l'inammissibilità del ricorso. 4. Il difensore del ricorrente ha inviato una memoria di conclusioni, in cui ribadisce gli argomenti a sostegno del secondo e del terzo motivo. 5. Il procedimento si è svolto con trattazione scritta. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso sono di per sé infondati. 2. In primo luogo, deve escludersi che la condotta tenuta dalla persona offesa possa essere inquadrata nell'ambito degli atti arbitrari, ai fini dell'applicazione dell'esimente di cui all' articolo 393-bis cod. penumero In particolare, deve aversi riguardo a condotte immediatamente motivanti e non possono dunque prendersi in considerazione profili inerenti ad una solo assertivamente dedotta colpa del medico nell'approccio diagnostico, pur a fronte del dato di fatto del decesso della madre del ricorrente, intervenuto qualche mese dopo i fatti. In tale prospettiva va considerata la frase pronunciata dal medico al cospetto del ricorrente « OMISSIS », cui è seguita la reazione del predetto. Orbene, pur dovendosi valutare l'eccesso e l'arbitrarietà, presi in considerazione dall' articolo 393-bis cod. penumero , in modo da ricomprendere non solo atti illegittimi e pervicacemente provocatori, ma anche atti eccedenti dalle attribuzioni perché connotati da difetto di congruenza tra modalità e finalità per le quali è attribuita la funzione, in ragione della violazione di elementari doveri di correttezza e civiltà così Corte cost. sent. numero 140 del 1998 Sez. 6, numero 7255 del 26/11/2021, dep. 2022, Guarnieri, Rv. 282906 , nel caso di specie correttamente la Corte ha rilevato che la pur non professionale espressione utilizzata dal medico non fosse comunque connotata da profili di così marcata inurbanità e sconvenienza da poter essere qualificata come illegittima e comunque arbitraria nel senso indicato e da poter dare causa alla reazione del ricorrente, in quanto tale da risolversi in realtà in una cruda presa d'atto, non implicante, tuttavia, alcunché di diverso da una constatazione. 3. In secondo luogo, deve escludersi la configurabilità dell'attenuante della provocazione ai sensi dell' articolo 62, comma secondo, numero 6 cod. penumero In questo caso, anche volendo ravvisare una differenza tra gli elementi che integrano l'esimente e quelli che connotano l'attenuante sul punto Sez. 6, numero 34089 del 07/07/2003, Bombino, Rv. 226329, che peraltro muove da un inquadramento dell'esimente non in linea con quello prospettato dalla Corte costituzionale nella sentenza sopra richiamata , assumono comunque significato dirimente, da un lato, la circostanza che l'espressione usata dal medico non potesse qualificarsi come del tutto sconveniente e, dall'altro, il fatto che la condotta del ricorrente fosse trasmodata in una reazione manifestamente sproporzionata, tale da esondare dai limiti di un collegamento eziologico e psicologico con il fatto altrui, a tal fine non potendosi aver riguardo alle sole espressioni oltraggiose, ma dovendosi considerare l'intera condotta, connotata da minacce e percosse in un crescendo di intensità e pericolosità. Deve comunque rimarcarsi come i giudici di merito abbiano tenuto conto del contesto in cui si è sviluppata la condotta, in sede di determinazione della pena e di riconoscimento delle attenuanti generiche. 4. Il terzo motivo è del pari infondato, in quanto, contrariamente a quanto difensivamente dedotto, la Corte territoriale ha valutato i presupposti per l'applicazione o meno di una pena sostitutiva, giungendo ad escludere tale possibilità sulla base di una non irragionevole valutazione del quadro personologico, connotato da plurimi precedenti, anche della stessa indole, reputati tali da non consentire di formulare un giudizio in termini di affidabilità circa il rispetto delle prescrizioni connesse all'esecuzione della pena sostitutiva. 5. A fronte di ciò, deve, tuttavia, rilevarsi d'ufficio un profilo di illegalità della pena. Va, infatti, rilevato che è stato fra l'altro ravvisato il delitto di percosse di cui all' articolo 581 cod. penumero e che in relazione allo stesso è stato computato agli effetti dell' articolo 81 cod. penumero un aumento della pena detentiva pari a giorni sedici. Tuttavia, il reato di percosse appartiene alla competenza del giudice di pace e per esso è prevista la sola pena pecuniaria, secondo il criterio di ragguaglio di cui all' articolo 52 d.lgs. numero 274 del 2000 . Ciò significa che l'aumento è stato applicato senza tener conto dei limiti massimi della pena prevista e senza alcun ragguaglio tra tale pena e quella in concreto irrogata a titolo di aumento ai sensi dell' articolo 81 cod. penumero , valutando a tal fine anche i criteri indicati dalle Sezioni Unite Sez. U, numero 40983 del 21/06/2018, Giglia, 2 273750-51 . Di qui la rilevata illegalità della pena, che comporta l'annullamento della sentenza impugnata in parte qua, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia. Rigetta nel resto il ricorso.