È legittimo il licenziamento disciplinare del dipendente che accede per motivi extra-lavorativi ai dati di decine di clienti della banca. Lo ha stabilito la Cassazione, pronunciandosi in materia di licenziamento per giusta causa in caso di grave violazione della privacy.
Un dipendente di banca era stato licenziato per giusta causa sulla base della contestazione disciplinare con cui gli era stato addebitato l'accesso abusivo alle schede clienti per motivi extralavorativi, con grave violazione della privacy . A seguito di opposizione al licenziamento del lavoratore dinanzi ai giudici di merito, si ordinava la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e si condannava al pagamento dell'indennità risarcitoria l'istituto di credito. Quest'ultimo presentava, allora, ricorso per cassazione affidato a sei motivi. La banca contestava la decisione per avere la Corte territoriale ritenuto che la mancata deduzione di danni conseguenziali all'illecita consultazione dei rapporti bancari di decine di clienti avrebbe escluso la giusta causa di licenziamento . Sul punto, la Cassazione ha affermato che «l'assenza di effettive conseguenze pregiudizievoli per il datore di lavoro o per terzi, ovvero di concreti vantaggi a favore proprio del lavoratore o di terzi, così come l'eventuale comportamento successivo volto ad eliderne gli effetti dannosi, non valgono di per sé ad escludere la rilevanza disciplinare del fatto , potendo piuttosto concorrere, unitamente ad ogni altro fattore oggettivo e soggettivo palesato dal caso concreto, nella complessa valutazione giudiziale circa l'idoneità della condotta a giustificare la sanzione espulsiva.» In quest'ottica è stato, inoltre, precisato che in tema di licenziamento per giusta causa, la modesta entità del fatto addebitato non si riferisce alla tenuità del danno patrimoniale per il datore di lavoro, «dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all'idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e ad incidere sull'elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro» Cass. numero 23318/2024 Cass. numero 8816/2017 Cass. numero 19674/2014 . Per la Corte, dunque, la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei consolidati principi di legittimità. Gli stessi giudici di secondo grado – ha continuato la Cassazione – avevano, peraltro, evidenziato la rilevanza e gravità di quelle condotte , laddove avevano richiamato la severità ed il rigore con cui il Garante della privacy ha trattato la materia. Alla luce di tali precisazioni, la Suprema Corte, ha accolto il ricorso cassando la pronuncia con rinvio per la rivalutazione di quelle condotte secondo il parametro di gravità desumibile dall' articolo 2119 c.c.
Presidente Pagetta - Relatore Panariello Rilevato che 1.- Ti.Vi. era stato dipendente di Unicredit Spa fino al 05/11/2020, quando era stato licenziato per giusta causa sulla base della contestazione disciplinare del 21/07/2020, con cui gli erano stati addebitati illegittimi comportamenti nei confronti dei colleghi nonché l'indebito accesso a numerose schede clienti in numero di 70 . Deduceva la tardività e la genericità della contestazione disciplinare e comunque l'insussistenza dei fatti addebitati, in quanto aveva incrementato notevolmente la vendita di prodotti bancari ed aveva allargato la clientela. Quindi impugnava il licenziamento dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendo la tutela c.d. reale. 2.- Costituitosi il contraddittorio, all'esito della fase c.d. sommaria introdotta dalla legge numero 92/2012 il Tribunale rigettava l'impugnazione, ritenendo documentalmente dimostrato l'accesso alle schede clienti per motivi extralavorativi, con grave violazione della privacy. A seguito di opposizione del lavoratore, veniva istruita la causa con l'assunzione delle prove testimoniali. Indi il Tribunale accoglieva l'impugnazione, ordinava la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e condannava l'istituto di credito al pagamento dell'indennità risarcitoria. 3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'Appello rigettava il gravame interposto da Unicredit Spa. Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava a con il motivo di reclamo la banca lamenta l'erronea valutazione di tardività della contestazione disciplinare relativa all'abusivo accesso alle schede clienti b il Tribunale ha accertato che già a febbraio 2020 la banca aveva avuto piena cognizione dai tecnici informatici degli abusivi accessi a quelle schede clienti, risalenti al periodo tra febbraio 2018 e febbraio 2020 c avendo ritenuto di non dover compiere ulteriori accertamenti istruttori in relazione a tale condotta ad esempio contattare i clienti ai quali si riferivano le schede , il Tribunale ha ritenuto che non vi fosse alcun motivo di attendere gli ulteriori e complessi accertamenti relativi agli altri fatti poi contestati, inerenti ai comportamenti tenuti dal Ti.Vi. rispetto ai suoi colleghi d per tale ragione il Tribunale ha ritenuto tardiva quella contestazione, anche perché ha ritenuto violato il diritto di difesa del dipendente, che poteva non ricordare le ragioni per le quali aveva compiuto quegli accessi risalenti ad oltre 24 mesi prima e il motivo di reclamo al riguardo è fondato, sia perché non si ravvisa alcuna violazione del diritto di difesa, non dedotto in sede di opposizione in ogni caso la necessità di accertamento dei fatti, la loro peculiarità, il quadro di insieme dei fatti riconducibili ai singoli accessi non giustificati neppure ex post rendono congruo il tempo trascorso per la verifica per poi procedere alla contestazione disciplinare f peraltro proprio la posizione del Ti.Vi., nella sua qualità di area manager che aveva conseguito ottimi risultati, richiedeva un'accortezza e una ponderazione maggiore da parte del datore di lavoro g il Tribunale dunque ha fatto malgoverno dei principi giurisprudenziali, che pure ha esattamente richiamato h occorre allora procedere all'accertamento di tale addebito i nelle sue giustificazioni il Ti.Vi. ha offerto una spiegazione per ciascuno dei 70 accessi reputati illegittimi, e per ogni singolo episodio ha richiamato motivazioni non aziendali j dunque è stata violata la normativa della privacy, senza possibilità di individuare esimenti k tuttavia la banca non ha dedotto la sussistenza di danni consequenziali all'illecita condotta tenuta dal Ti.Vi., sicché all'esito di una valutazione di proporzionalità, questa Corte ritiene che non sia giustificata la più grave delle sanzioni l è dunque procedere alla valutazione anche delle altre condotte contestate, inerenti a fatti comportamentali , rappresentati da una gestione dispotica e clientelare dell'area da parte del Ti.Vi., come denunciato da molteplici dipendenti della banca, che avrebbero fatto riferimento anche ad un sistema di intimidazioni, ricatti e ritorsioni nei confronti dei dipendenti non compiacenti, ad un controllo ossessivo sull'operato dei colleghi, all'intromissione nella loro vita privata, alle relazioni personali intrattenute a vantaggio di colleghe privilegiate nella carriera m ma la banca non ha prodotto in giudizio i verbali di audizione dei colleghi denuncianti, né le loro spontanee relazioni scritte n le testimonianze raccolte non sono univoche e quindi l'onere probatorio gravante sul datore di lavoro non risulta assolto, come condivisibilmente ritenuto dal Tribunale o in assenza di deduzioni alternative in ordine alla possibilità di comminatoria di una sanzione conservativa relativamente all'accesso abusivo alle schede clienti, ne consegue la conferma del reclamo , con le conseguenze di cui all' articolo 18, co. 4, L. numero 300/1970 . 4.- Avverso tale sentenza Unicredit Spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. 5.- Ti.Vi. ha resistito con controricorso. 6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria. Nella sua memoria Unicredit Spa ha invocato Cass. 16/11/2021, numero 34717 , contraddittoriamente citata dalla stessa Corte territoriale nella sentenza impugnata a pag. 5 , relativa a caso identico accesso abusivo a schede clienti . 7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge. Considerato che 1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell' articolo 360, co. 1, numero 3 , c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli articolo 2106,2119 e 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che la mancata deduzione di danni conseguenziali all'illecita consultazione dei rapporti bancari di decine di clienti avrebbe escluso la giusta causa di licenziamento. Il motivo è fondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato che affermato che in tema di licenziamento disciplinare, l'assenza di effettive conseguenze pregiudizievoli per il datore di lavoro o per terzi, ovvero di concreti vantaggi a favore proprio del lavoratore o di terzi, così come l'eventuale comportamento successivo volto ad eliderne gli effetti dannosi, non valgono di per sé ad escludere la rilevanza disciplinare del fatto, potendo piuttosto concorrere, unitamente ad ogni altro fattore oggettivo e soggettivo palesato dal caso concreto, nella complessa valutazione giudiziale circa l'idoneità della condotta a giustificare la sanzione espulsiva In questa prospettiva è stato altresì precisato che in tema di licenziamento per giusta causa, la modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all'idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e ad incidere sull'elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro Cass. ord. numero 23318/2024 Cass. 8816/2017 Cass. 19674/2014 . La sentenza impugnata non ha fatto quindi corretta applicazione dei consolidati principi di questa Corte. Peraltro, la stessa Corte territoriale, dopo aver disatteso la valutazione del Tribunale in termini di tardività di quella contestazione disciplinare - profilo sul quale, in mancanza di ricorso incidentale del Ti.Vi., si è formato il giudicato interno - ha evidenziato la gravità di quelle condotte, laddove ha ricordato la severità ed il rigore con cui il Garante della privacy ha trattato la materia v. sentenza impugnata, p. 5 . La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio per la rivalutazione di quelle condotte secondo il parametro di gravità desumibile dall' articolo 2119 c.c. 2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell' articolo 360, co. 1, numero 3 , c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli articolo 2119 c.c. , 7 L. numero 300/1970, 2697 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto insufficienti gli indebiti accessi alle schede clienti a legittimare il recesso datoriale e quindi per aver ritenuto necessario procedere anche alla disamina degli addebiti comportamentali ai fini di una valutazione complessiva. Il motivo è assorbito dall'accoglimento del primo motivo. 3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell' articolo 360, co. 1, numero 3 , c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli articolo 2697 e 2119 c.c. , 18, co. 4, L. numero 300/1970, per avere la Corte territoriale ritenuto che essa banca non avesse assolto l'onere probatorio relativo agli addebiti comportamentali. Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell' articolo 360, co. 1, numero 3 , c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli articolo 2697 c.c. , 420, 112, 115, 116 c.p.c., 24, co. 2, e 111 Cost. per non avere la Corte territoriale dato corso alla prosecuzione della prova orali richiesta da essa banca. Entrambi i motivi sono assorbiti dall'accoglimento del primo motivo. 4.- Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell' articolo 360, co. 1, numero 3 , c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell' articolo 18, co. 4, L. numero 300/1970 per avere la Corte ritenuto applicabile la tutela reale depotenziata pur in presenza della prova del fatto contestato, sulla base soltanto della ritenuta sproporzione del licenziamento rispetto a quel fatto. Il motivo è assorbito dall'accoglimento del primo motivo. 5.- Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell' articolo 360, co. 1, nnumero 3 e 4 , c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli articolo 18, co. 4, L. numero 300/1970 , 1227 e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. per non avere la Corte territoriale considerato e deciso le eccezioni di aliunde perceptum e di aliunde percipiendum pur da essa sollevate sin dalla fase sommaria del primo grado di giudizio e poi riproposte in grado di reclamo Il motivo è assorbito dall'accoglimento del primo motivo. Al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese di lite del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, in relazione al motivo accolto, nonché per la regolazione delle spese processuali anche del presente giudizio di legittimità.