L’autocertificazione e lo stato di famiglia si rivelano, in astratto, elementi di prova pienamente idonei a dimostrare la condizione di convivenza ai fini dell’ammissione alla fruizione dei colloqui, salva la possibilità dell’autorità giudiziaria e dell’Amministrazione penitenziaria di svolgere i necessari controlli, onde accertare la veridicità di quanto attestato.
Il caso in esame trae origine dal rigetto del GIP così motivato «non essendo comprovata la sussistenza di un rapporto more uxorio in relazione al quale il ritrovamento dell'imputato in compagnia della compagna non è indice univoco potendo essere sintomo di un rapporto occasionale» a seguito dell'istanza con cui questi, sottoposto alla misura della custodia cautelare, chiedeva di essere autorizzato a svolgere colloqui in carcere con la sua compagna, allegando l'autocertificazione da cui risultava lo stesso nucleo familiare e la stessa abitazione. Il difensore proponeva dunque, ricorso per cassazione sottolineando come il decreto richiedeva una prova ulteriore rispetto a quella prevista dalla normativa penitenziaria, discriminando la relazione di convivenza rispetto a quella fondata sul matrimonio . Per la Suprema Corte il ricorso è fondato. Preliminarmente, il Collegio rileva come le modalità di svolgimento del colloquio siano disciplinate dall'articolo 37, d.P.R. 30 giugno 2000, numero 230 , il quale, letto congiuntamente all' articolo 18 ord. penumero , prevede, al comma 1, che così come i congiunti, anche i conviventi siano ammessi in via ordinaria alla fruizione dei colloqui , escludendoli chiaramente dal novero di «persone diverse», autorizzate solo in presenza di ragionevoli motivi. Con circolare numero 3478 del 1998, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria ha accolto un' interpretazione ampia di convivente , ricomprendendovi «tutti coloro che coabitavano col detenuto prima della carcerazione, senza attribuire alcuna rilevanza all'identità del sesso o alla tipologia dei rapporti concretamente intrattenuti con il detenuto medesimo more uxorio, di amicizia, di collaborazione domestica, di lavoro alla pari, ecc. ». Inoltre, con successiva circolare, la numero 544994 del 1998, viene chiarito che, al fine di dimostrare la condizione richiesta dalle norme indicate è consentito l'utilizzo dell'autocertificazione ai sensi dell' articolo 2, l. numero 15 del 1968 demandando alle direzioni degli istituti e\o all'autorità giudiziaria il controllo a campione sull'effettiva esistenza del vincolo di parentela o del rapporto di convivenza. Nel caso di specie, alla luce del quadro normativo esposto, la Suprema Corte ritiene, in astratto, la documentazione prodotta elemento di prova idoneo a dimostrare la condizione soggettiva del richiedente, a differenza di quanto stabilito dal GIP, il quale non ha in alcun modo specificato sulla base di quali concreti elementi abbia ritenuto di superare quanto attestato in sede di autocertificazione e di certificato di residenza.
Presidente Pezzullo - Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. A seguito dell'istanza formulata dall'avv. Francesco Matrone, con la quale era stato chiesto che il suo assistito, A.C., sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere presso la Casa circondariale di Castrovillari, fosse permanentemente autorizzato a svolgere i colloqui in carcere con la sua compagna M.R. all'uopo allegando l'autocertificazione sottoscritta in data 6 maggio 2024 presso l'ufficio anagrafe di OMISSIS , un certificato anagrafico da cui risultava che ella viveva nello stesso nucleo familiare di A.C. e che, all'atto dell'arresto in OMISSIS , A.C. e la M.R. occupavano la stessa abitazione , con decreto in data 6 settembre 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari ha rigettato la richiesta con la seguente motivazione «visto si rigetta non essendo comprovata la sussistenza di un rapporto more uxorio in relazione al quale il ritrovamento dell'A.C. in compagnia della M.R. non è indice univoco potendo essere sintomo di rapporto occasionale». 2. A.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per il tramite dei difensori di fiducia, avv.ti Giuseppe Della Monica e Francesco Matrone, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero , la inosservanza o erronea applicazione dell' articolo 18 Ord. penumero e dell'articolo 111, settimo comma, Cost. In particolare, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , che il provvedimento impugnato abbia negato l'autorizzazione ai colloqui tra A.C. e la compagna, M.R., avendo ritenuto non provata la sua qualifica di convivente, nonostante che ella avesse prodotto, al fine di dimostrare la convivenza, una autocertificazione in data 28 agosto 2024 e, dunque, antecedente l'arresto, un certificato di residenza dimostrativo della condivisione da parte della M.R. dell'abitazione di OMISSIS con il detenuto, la madre e i figli dello stesso e nonostante che, al momento dell'arresto in una casa vacanze, A.C., all'epoca latitante, fosse stato rinvenuto in compagnia della M.R Dunque, il decreto avrebbe richiesto erroneamente una prova ulteriore rispetto a quella prevista dalla normativa penitenziaria, discriminando la relazione di convivenza rispetto a quella fondata sul matrimonio. 3. In data 4 dicembre 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati. 2. L' articolo 18, legge 26 luglio 1975, numero 354 , prevede che «fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, i permessi di colloquio, le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica e agli altri tipi di comunicazione sono di competenza dell'autorità giudiziaria che procede, individuata ai sensi dell'articolo 11, comma 4». Dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. 2 ottobre 2018, numero 123 , quest'ultima disposizione stabilisce che «se il giudice è in composizione collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari». Le concrete modalità di svolgimento del colloquio sono previste dall'articolo 37, d.P.R. 30 giugno 2000, numero 230. Mentre l' articolo 18 Ord. penumero utilizza il termine «congiunti» e si esprime con particolare favore per la realizzazione dei colloqui con i «familiari», l'articolo 37 prevede, al comma 1, che, insieme ai congiunti, anche i «conviventi» siano ammessi in via ordinaria alla fruizione dei colloqui, laddove le «persone diverse» da essi sono, invece, autorizzate solo in presenza di «ragionevoli motivi» v. Sez. 1, numero 1255 del 20/12/2018, dep. 2019, Vitale, Rv. 276159 - 01 Sez. 1, numero 41705 del 16/09/2015, Schiavone, Rv. 264956 - 01 . Tali disposizioni intendono dare pratica attuazione del diritto della persona detenuta al mantenimento di relazioni familiari e sociali diritto che può essere compresso «solo ove ricorrano specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o intramuraria o, per i detenuti in attesa di giudizio, d'ordine processuale» Sez. 5, numero 8798 del 04/07/2013, dep. 2014, Stefani, Rv. 258823 - 01 . 2.1. La legge 20 maggio 2016, numero 76 , intitolata «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», stabilisce, all'articolo 1, comma 38, che «i conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall' ordinamento penitenziario ». Nel delineare la nozione di «convivente», la circolare del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria 8 luglio 1998, numero 3478, relativa al «riordino e chiarimento del regime dei colloqui e corrispondenza telefonica», ha accolto una interpretazione ampia, ricomprendendovi «tutti coloro che coabitavano col detenuto prima della carcerazione, senza attribuire alcuna rilevanza all'identità del sesso o alla tipologia dei rapporti concretamente intrattenuti con il detenuto medesimo more uxorio, di amicizia, di collaborazione domestica, di lavoro alla pari, ecc. ». Da essa sono stati, dunque, esclusi le persone conviventi con il familiare e quelle non conviventi con il detenuto. Al fine di dimostrare la condizione richiesta dalle norme indicate, sin dalla circolare numero 544994 del 23 febbraio 1998, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria ha chiarito che, in assenza di documentazione utile, è consentito il ricorso all'autocertificazione ai sensi dell' articolo 2, legge numero 15 del 1968 e ha invitato le direzioni degli istituti a eseguire controlli a campione sull'effettiva esistenza del vincolo di parentela o del rapporto di convivenza, essendo il dichiarante tenuto ad attestare la verità in ordine all'esistenza della indicata relazione. Tanto è vero che la eventuale falsa dichiarazione della qualità personale in parola integra la fattispecie prevista dall' articolo 495 cod. penumero , rubricato «falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sull'identità o su qualità personali proprie o di altri» Sez. 5, numero 44111 del 26/09/2019, Farsetta, Rv. 277846 - 01 Sez. 5, numero 10123 del 08/02/2002, Rv. 221492 - 01 . 2.2. Sempre in premessa va ricordato che i provvedimenti che riguardano l'accesso ai colloqui vanno ricompresi nella categoria di quelli sulla libertà personale, avverso cui è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, donde l'ammissibilità della presente impugnazione Sez. 6, numero 3729 del 24/11/2015, dep. 2016, Rv. 265927 - 01 Sez. 2, numero 23760 del 06/05/2015, Rv. 264388 - 01 Sez. 5, numero 8798 del 04/07/2013, dep. 2014, Rv. 258823 - 01 . 3. Tanto osservato, va rilevato che il provvedimento impugnato ha ritenuto che non sia stata, nella specie, dimostrata la qualità soggettiva di M.R Sul punto, deve rilevarsi che, come anticipato, l'autocertificazione e lo stato di famiglia si rivelano, in astratto, elementi di prova pienamente idonei a dimostrare la condizione soggettiva del richiedente. E, tuttavia, ciò ovviamente non impedisce all'autorità giudiziaria competente e all'Amministrazione penitenziaria per i provvedimenti autorizzatori di competenza del direttore dell'istituto di svolgere i necessari controlli, onde accertare la veridicità di quanto attestato. Nel caso in esame, il Giudice per le indagini preliminari procedente parrebbe avere ritenuto l'autocertificazione prodotta non idonea a provare la condizione abilitante e, tuttavia, il decreto non ha in alcun modo specificato sulla base di quali concreti elementi abbia ritenuto di superare quanto attestato in sede di autocertificazione e di certificato di residenza. La motivazione, infatti, ha compiuto un generico riferimento a non meglio specificati accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, senza che sia stato dato atto dei relativi riferimenti spazio-temporali e, soprattutto, delle concrete modalità esecutive con cui essi sarebbero stati effettuati, né, nel dettaglio, cosa sia stato riscontrato in occasione delle verifiche. In breve, la motivazione si rivela del tutto carente e, pertanto, le censure difensive devono ritenersi fondate. 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché il provvedimento impugnato deve essere annullato, con rinvio, per nuovo giudizio, al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari in diversa persona fisica. PER QUESTI MOTIVI Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Castrovillari in diversa persona fisica.