Il detenuto ha diritto alla NASpI in caso di cessazione del contratto a termine e mancata assegnazione a nuova occupazione

L’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha di fatto eliminato nel tempo la differenza tra lavoro carcerario e lavoro “libero”, attraverso il riconoscimento ai detenuti dei diritti spettanti a tutti i lavoratori, ivi inclusa la tutela previdenziale ed assistenziale. Spetta, quindi, al lavoratore detenuto la NASpI in caso di cessazione del contratto a termine, dipendendo la perdita dell’occupazione dalla prerogativa datoriale che, nel caso di specie, non risulta rinnovata con nuova assegnazione.

Il fatto Nell'ordinanza in commento la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell'INPS, confermando il diritto del ricorrente, lavoratore detenuto , al percepimento della NASpi per perdita involontaria dell'occupazione alla cessazione del rapporto di lavoro . Il ricorrente aveva adito il Tribunale in seguito al diniego in sede amministrativa del pagamento della NASpI per la cessazione dell'attività lavorativa svolta con contratto a tempo determinato presso la Casa Circondariale di Ivrea. Il Tribunale aveva accolto il ricorso, condannando l'INPS al pagamento della prestazione NASpI, escludendo che il rapporto fosse “sospeso” e non già “cessato” alla scadenza del termine. La cessazione del rapporto di lavoro, a detta del Tribunale, sarebbe desumibile tanto dalla cessazione del versamento contributivo, quanto dalla conclusione del progetto dedotto in contratto. La decisione della Corte d'Appello Con il ricorso in appello l'ente previdenziale sosteneva che non vi fosse cessazione del rapporto di lavoro ma semplice sospensione dell'attività alla scadenza del termine, in quanto l'attività lavorativa inframuraria è prestata secondo criteri predeterminati di rotazione ed avvicendamento ex articolo 20 co 5 L. 354/1975 in ragione di ciò la scadenza del termine non comporta la perdita involontaria del lavoro, che è il requisito fondamentale per l'accesso alla NASpI. La Corte d'Appello di Torino, respingendo le tesi dell'INPS, ha precisato che il requisito dell'involontarietà sussiste quando lo stato di disoccupazione è riconducibile alla sfera del datore di lavoro, alla sua influenza e prerogative. Inoltre, la Corte torinese ha precisato che lo stato di disoccupazione da lavoro carcerario è equiparabile alla perdita di lavoro “libero” e ciò lo si desume dalle disposizioni normative, che, insieme ad alcune pronunce della Corte Costituzionale hanno equiparato il lavoro carcerario a quello libero e ciò anche per eliminare il carattere afflittivo dello stesso. Il ricorso per Cassazione La sentenza della Corte d'Appello di Torino veniva impugnata, con l'unico motivo di ricorso, dall'ente previdenziale, il quale eccepiva la violazione/falsa applicazione delle norme sull' ordinamento penitenziario , sostenendo che, le pronunce della Corte Costituzionale richiamate in sentenza non avrebbero determinato la completa equiparazione del rapporto di lavoro carcerario al lavoro “libero”, avendo il primo caratteristiche particolari, tra cui la mancata sottoscrizione di un contratto sostituita dall'assegnazione al lavoro ed il fine rieducativo . Inoltre, nel caso di specie, secondo l'INPS, non vi sarebbe stata perdita involontaria dell'occupazione essendo la cessazione non dovuta ad un provvedimento del datore di lavoro, ma alla cessazione del progetto, non assimilabile al licenziamento. Infine  sosteneva l'INPS, che lo stato di disoccupazione, richiede anche la condizione di disponibilità al lavoro presso i centri per l'impiego, condizione incompatibile con lo stato di detenzione. L'ordinanza della cassazione Nell'Ordinanza in commento la Suprema Corte, rigettando il ricorso dell'INPS, ha, innanzitutto osservato che il lavoro carcerario ha subito modifiche che hanno comportato il riconoscimento di numerosi diritti ai lavoratori/carcerati e ciò in attuazione del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena . Afferma la Suprema Corte che nonostante tale tipologia di rapporto di lavoro conosca varianti e deroghe, né la specificità del rapporto né il fatto che il datore di lavoro coincida con il soggetto tenuto a sovraintendere all'esecuzione della pena valgono ad affievolire il contenuto minimo di tutela che assiste qualsiasi rapporto di lavoro subordinato, sicché al lavoratore carcerato devono essere riconosciuti i medesimi diritti del lavoratore libero. Il lavoro intramurario, quindi, deve essere equiparato al lavoro ordinario anche per quanto concerne gli aspetti previdenziali, stante la previsione dell ' articolo 38 della Costituzione . In ragione di ciò, come peraltro già affermato dalla stessa Corte di Cassazione in precedenti pronunce sentenza numero 396/2024 la NASpI è compatibile con lo stato di disoccupazione involontaria del detenuto, essendo la funzione di tale trattamento quello di sostegno al reddito di coloro che perdono involontariamente l'occupazione . Nel caso di specie si ravvisa la perdita involontaria dell'occupazione poiché questa è dipesa dalla prerogativa datoriale, che ha deciso di non rinnovare il rapporto di lavoro con una nuova assegnazione in rotazione. Infine, la Suprema Corte osserva come, l'ulteriore eccezione dell'INPS, inerente all'incompatibilità dello status di detenuto con la necessaria messa a disposizione al collocamento presso i centri per l'impiego sia infondata dal momento che è previsto dall'ordinamento sia l'inserimento del detenuto disponibile al lavoro in graduatorie interne sia la facoltà del detenuto di iscriversi alle liste di collocamento, venendo esonerato dalla conferma dello stato di disoccupazione finché permane lo stato di detenzione o internamento .

Presidente Esposito Relatore Orio Rilevato che 1. La Corte d'Appello di Torino ha respinto l'appello di INPS confermando la pronuncia di primo grado di condanna in favore di Ba.Ad. al pagamento della prestazione NASpI denegata in sede amministrativa, per la cessazione dell'attività lavorativa svolta durante lo stato di detenzione presso la Casa Circondariale di Ivrea, con contratto a termine dall'1/3/2016 al 31/10/2016. In primo grado il Tribunale, disattendendo la tesi dell'istituto previdenziale, aveva escluso che il rapporto fosse sospeso e non già cessato alla scadenza del termine, come dimostrerebbero la cessazione del versamento contributivo ed il contenuto di un documento prodotto dall'originario ricorrente dal quale risultava che con la cessazione del progetto di assegnazione il contratto sarebbe scaduto con rimessione alla Direzione penitenziaria della facoltà di valutare la sussistenza di nuove opportunità di inserimenti lavorativi in appello l'INPS aveva ribadito che l'attività lavorativa inframuraria era prestata secondo criteri predeterminati di rotazione ed avvicendamento   ex articolo 20 co.5 L. 354/75 , al fine di consentire, nel rispetto della funzione riabilitativa, l'accesso al lavoro di un maggior numero di detenuti, sicché alla scadenza del termine, non ravvisandosi la volontà dell'amministrazione di privarsi definitivamente delle prestazioni del soggetto, verrebbe meno il requisito della involontarietà dello stato di disoccupazione. La Corte torinese, premesso il quadro normativo ed in particolare gli   articolo 2   e   3 del D.Lgs. 22/2015 , ha precisato che il requisito della involontarietà dello stato di disoccupazione sia riconducibile all'iniziativa del datore, alla sua sfera di influenza ed alle sue prerogative imprenditoriali, dovendosi ad esse ricollegare la cessazione del rapporto anche nel caso di dimissioni per giusta causa o di risoluzione consensuale, e che non v'era prova che alla scadenza contrattuale l'attività sia stata affidata ad altro detenuto in ragione dei criteri di rotazione ha anche ritenuto che lo stato di disoccupazione da lavoro penitenziario sia equiparabile a quanto consegue alla perdita del lavoro libero , e che l' articolo 19 L.56/87   -secondo il quale lo stato di detenzione non costituisce decadenza dal diritto all'indennità di disoccupazione si riferisca al trattamento fruito dal lavoratore che abbia perso il posto di lavoro per aver iniziato un periodo di detenzione. L'equiparazione si desume anche dalle disposizioni di cui all' articolo 20 L.354/75   sul carattere non afflittivo del lavoro penitenziario e sua remunerazione, sull'organizzazione e metodi di lavoro idonei a far acquisire un'adeguata preparazione professionale, sulla durata delle prestazioni e le garanzie e tutele assistenziali e previdenziali, per consentire un trattamento quanto più prossimo al lavoro libero, riconosciute anche in alcune pronunce della Corte Costituzionale con applicazione delle leggi vigenti, compresa la disciplina del trattamento di disoccupazione NASPI nella misura e decorrenza di legge. 2. Avverso la sentenza l'INPS propone ricorso affidandosi ad un unico motivo, a cui il Ba.Ad. interpone controricorso. Considerato che 1. Con l'unico motivo, spiegato ai sensi dell' articolo 360 co.1 numero 3 c.p.c. , il ricorrente istituto censura la violazione degli   articolo 1,3   co.1, e   7 del D.Lgs. numero 22/2015   in relazione all'articolo 20 della L. 354/75 recante norme sull' ordinamento penitenziario sostiene che le pronunce della Corte Costituzionale non hanno determinato una totale e completa equiparazione del lavoro in carcere al lavoro del libero mercato, stanti le peculiarità derivanti dalla connessione tra profili del rapporto di lavoro e profili organizzativi disciplinari e di sicurezza propri dell'ambiente carcerario, e considerate anche alcune differenze strutturali, quali la circostanza che i detenuti non sottoscrivono un contratto ma vengono assegnati al lavoro, non ricevono una retribuzione ma una mercede inferiore ai limiti della contrattazione collettiva, e soprattutto la caratteristica che il lavoro penitenziario assume un'importante ed essenziale funzione rieducativa e riabilitativa del condannato. Quanto al requisito di involontarietà di perdita dell'occupazione, evidenzia il ricorrente che deve trattarsi di eventi riconducibili all'iniziativa del datore e alle sue prerogative imprenditoriali, ma nel caso in esame la cessazione non era dovuta ad un provvedimento datoriale bensì alla scadenza del contratto per cessazione del progetto per il quale si era proceduti alla assegnazione al lavoro progetto Cassa Ammende che finanzia i progetti lavorativi dei detenuti di tutta Italia , non assimilabile al licenziamento inoltre il lavoro carcerario esula dalle logiche imprenditoriali e di crisi di mercato in quanto avendo natura obbligatoria ed essendo finalizzato alla rieducazione del detenuto, soggiace al rispetto dei criteri oggettivi di assegnazione con imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa ed infine, lo stato di disoccupazione involontaria richiede non solo la condizione di disoccupazione ma anche la condizione della disponibilità al collocamento secondo eventuali proposte dei Centri per l'Impiego, quest'ultima incompatibile con lo stato di detenzione, che non consente al detenuto di rendersi disponibile allo svolgimento di un'attività lavorativa e di porsi alla ricerca di una nuova occupazione. In assenza di una totale equiparazione del lavoro carcerario al lavoro nel libero mercato, conclude per la cassazione della sentenza impugnata. 2. Nel controricorso l'interessato eccepisce l'inammissibilità del ricorso per contraddittorietà e difetto di tassatività, specificità e precisione nei motivi della censura, e ne deduce l'infondatezza non essendo riconducibile la cessazione del rapporto ad una manifestazione di volontà del lavoratore né risulta che l'attività prestata dall'appellato sia stata affidata ad altro detenuto, per rotazione quindi ricorre la condizione di involontarietà del proprio stato e l'affermazione di un trattamento quanto più prossimo a quello del lavoro libero. In ottica costituzionale, poi, va ribadita la protezione del lavoro carcerario affinché lo stato di detenzione non pregiudichi le libertà personali nè disconosca le posizioni soggettive e l'affermazione dei diritti della persona. Nel caso specifico, allo scadere del contratto di lavoro a termine l'appellato si era venuto a trovare involontariamente in uno stato di disoccupazione ed andava garantita la sua tutela assicurativa e previdenziale. Insomma nessun elemento ostativo al diritto alla prestazione può ravvisarsi nel disposto dell' articolo 7 D.Lgs. 22/2015 . Nelle memorie di udienza ribadisce le difese ed evidenzia la novità del motivo sull'articolo 20 L. 353/75 e l'irrilevanza della rotazione. 3. Il motivo di ricorso va respinto per le ragioni che seguono. 4. La disciplina del lavoro intramurario ha subìto modifiche con l'evoluzione dei diritti del lavoratore e l'attuazione del principio costituzionale della finalità rieducativa delle pene detentive. Il lavoro svolto all'interno degli istituti carcerari ed alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria era inizialmente configurato come parte integrante della pena all'articolo 1 del R.D. 787/1931 si affermava che in ogni stabilimento carcerario le pene si scontano con l'obbligo del lavoro, ed agli articolo 114 e ss. ne veniva disciplinata l'organizzazione e come strumento di ordine e disciplina del detenuto la   Legge numero 354 del 1975   di riforma dell' ordinamento penitenziario   in particolare l'articolo 20 ha superato tale impostazione e, nell'ottica della finalità rieducativa della pena   ex articolo 27 III co. Cost. , il lavoro ha perso il carattere di afflittività per divenire uno strumento centrale del trattamento del detenuto, nella globale finalità rieducativa e di reinserimento nella collettività, per la sua non desocializzazione in conseguenza dello stato di reclusione. Sono stati riconosciuti al lavoratore detenuto vari diritti soggettivi, intimamente connessi alla posizione del lavoratore nel testo originario dell'articolo 20 O.P., affidato agli istituti penitenziari il compito di favorire in ogni modo la destinazione al lavoro dei detenuti e degli internati ed esplicitamente affermato che il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato , si prescriveva, al terzo comma, l'obbligatorietà del lavoro per i condannati, dicitura non più riprodotta nel testo del novellato articolo 20 riforma dettata dal   D.Lgs. 124/2018 , al cui terzo comma è invece affermato che l'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera, al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale. All'obbligo del lavoro, su cui si modulava l'oggettiva determinazione di criteri di assegnazione come introdotti dalla   L. numero 296/1993   di modifica del sesto comma dell'articolo 20 fra i quali compare l'anzianità di disoccupazione durante lo stato di detenzione, oltre ai carichi familiari, la professionalità, e le precedenti e future attività con formazione di graduatorie si è affiancato il riconoscimento di vari diritti soggettivi, primo fra tutti lo riportava anche il previgente testo dell'articolo 20 ult. co. , la durata delle prestazioni lavorative non superiore ai limiti stabiliti dalle leggi vigenti, il riposo festivo cui è stato aggiunto anche il diritto al riposo annuale retribuito e la tutela assicurativa e previdenziale , a cui si aggiunge la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali, garantita dall'articolo 4 numero 9 L. numero 1124/65. Gli interventi della Corte Costituzionale sent. numero 1087/1988 e numero 158/2001 hanno inoltre confermato il diritto alle ferie e la compatibilità della entità ridotta della mercede rispetto al trattamento economico previsto nei contratti collettivi nel rispetto dei criteri di sufficienza ed adeguatezza della retribuzione   ex articolo 36 Cost. , per cui, stante la peculiarità del rapporto di lavoro intramurario, è ben possibile che la regolamentazione di tale rapporto conosca delle varianti o delle deroghe rispetto a quella del rapporto di lavoro in generale. Tuttavia, né tale specificità, né la circostanza che il datore di lavoro possa coincidere con il soggetto che sovrintende alla esecuzione della pena, valgono ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato e d'altronde è stato anche rammentato che la Costituzione sancisce chiaramente articolo 35 che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni . 5. Quanto precede consente di superare agevolmente la prima questione sollevata dall'INPS circa la discussa equiparazione del lavoro in carcere con il lavoro del libero mercato le peculiarità derivanti dalla connessione tra profili del rapporto di lavoro ed organizzativi, disciplinari e di sicurezza, propri dell'ambiente carcerario non elidono la configurazione tipologica e strutturale del rapporto subordinato intramurario né scalfiscono il nucleo essenziale dei diritti del lavoratore nell'ambito delle tutele costituzionalmente garantite e disciplinate dall'ordinamento. 6. È evidente che l'evoluzione normativa e giurisprudenziale abbia eroso nel tempo il carattere di specialità del lavoro intramurario riconoscendo in favore del lavoratore detenuto i diritti spettanti a tutti i lavoratori in genere e le azioni esperibili innanzi al giudice del lavoro, conservando il rapporto la sua causa tipica, la sua funzione economico sociale, inerente allo scambio sinallagmatico tra prestazione lavorativa e compenso remunerativo. Il fine di rieducazione e reinserimento sociale non influisce, dunque, sui contenuti della prestazione e sulla modalità di svolgimento del rapporto, ed anzi, può ben affermarsi che il lavoro carcerario è tanto più rieducativo quanto più è uguale a quello dei liberi . Il rapporto di lavoro del detenuto alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria va considerato come un ordinario rapporto di lavoro, nonostante la sua particolare regolamentazione normativa, assimilazione già affermata in altre pronunce di legittimità cfr.   Cass. sent. numero 5605/1999   in tema di giurisdizione sulle controversie per differenze retributive, sent. numero 9969/2007 in tema di decorrenza del termine prescrizionale dei diritti del lavoratore, ed anche ord. numero 21573/07 e numero 3062/15 su voci retributive e trattenute datoriali, ord. 27340/19 e 8055/1991 in tema di responsabilità datoriale ed obblighi di sicurezza   articolo 2087 c.c. , ord. numero 12205/19 e 20055/09 in tema di competenza territoriale . 7. Non si sottrae all'evidenziata equiparazione la tutela previdenziale spettante ai lavoratori detenuti, esplicitamente affermata dall'articolo 20 comma 13 già ultimo comma del testo originario della   L. numero 354 del 1975 . Si noti che alcune specifiche prestazioni sono riconosciute espressamente dalle disposizioni normative articolo 23 Ord. Penumero   in tema di assegni familiari,   articolo 19 L.56/87   su indennità di disoccupazione,   articolo 17 D.P.R. 230/2000   in tema di assistenza sanitaria può quindi rilevarsi che il lavoro intramurario sia del tutto equiparabile al lavoro ordinario anche per quanto concerne gli aspetti applicativi del regime previdenziale stante la finalità ineludibile dell' articolo 38 comma 2 Cost.   Le peculiarità del rapporto di lavoro, dunque, non rilevano ai fini della questione sulla spettanza o meno della tutela previdenziale, per la quale occorre guardare alla natura e funzione della tutela medesima. 8. Recentemente questa   Corte sent. numero 396/2024 ha già avuto modo di affrontare tutte le medesime questioni sollevate dall'INPS, sostenendo la compatibilità della prestazione NASpI al detenuto che versi in stato di disoccupazione involontaria. La funzione del trattamento è quella di fornire una tutela di sostegno al reddito di lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione, tale intendendosi la condizione in cui la perdita del lavoro si colleghi alla sfera di iniziativa o influenza del datore o alle sue prerogative imprenditoriali tanto si ravvisa anche nel caso in cui il lavoratore si sia dimesso per giusta causa insita in un difetto del rapporto di lavoro subordinato così grave da impedirne perfino la provvisoria prosecuzione o abbia risolto consensualmente il proprio rapporto di lavoro laddove, pur in presenza di una manifestazione di volontà del lavoratore, la risoluzione sia in concreto ascrivibile ad un comportamento del datore e non vada ricondotta ad una libera scelta del lavoratore . L'involontarietà ricorre anche nel caso di scadenza della pena e conseguente liberazione del condannato con estinzione del rapporto intramurario, trattandosi di evento non determinato dalla volontà del lavoratore né da questi prevedibile in virtù ed a seguito di provvedimenti di modifica/revoca cautelare o di espiazione anticipata in sede esecutiva. 9. Nel caso in esame il detenuto è stato assegnato in base ad uno specifico progetto di assunzione a tempo determinato per il quale, al di là della condizione di obbligatorietà del rapporto antevigente alla modifica normativa del 2018, non assume rilievo la scelta deterministica del detenuto né in fase genetica del rapporto su tipologia e condizioni contrattuali, su modalità e durata delle prestazioni né in fase conclusiva si tratta di una scadenza già prevista in contratto l'involontarietà della perdita di occupazione è dipesa dalla prerogativa datoriale che non risulta rinnovata con nuova assegnazione in rotazione. Sul punto, l'INPS ha precisato che non si era trattato di cessazione del rapporto ma di sospensione, mentre non risulta in sentenza l'avvenuta attuazione dei criteri di avvicendamento nei posti di lavoro come prevede l'articolo 20 co.5, lett.c , laddove è invece richiamato il contenuto di un documento afferente la rimessione alla Direzione, alla cessazione del progetto, della facoltà di valutare la sussistenza di nuove opportunità di inserimenti lavorativi , condizione ostativa ad una programmabile rotazione della stessa prestazione fra detenuti. Trattasi, pertanto, di una causa di cessazione del rapporto di lavoro intramurario estranea alla sfera di disponibilità del lavoratore. La consapevolezza della scadenza contrattuale non impedisce né di escludere che solo su iniziativa datoriale sia stata resa prevedibile la perdita dell'occupazione né di attivare la tutela per lo stato di disoccupazione che compete anche, per espressa previsione di legge, in relazione ad eventi obiettivi, quale la scadenza del termine apposto al rapporto temporaneo, a prescindere dalla volontà delle parti così la sent. numero 396/2024 che prosegue Ricondotto, in generale, il lavoro del detenuto alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria nel novero dei comuni rapporti di lavoro, ricordato che il richiamato articolo 20 dell'O.P. garantisce ai detenuti la tutela assicurativa e previdenziale , ed escluso che la cessazione del rapporto lavorativo possa considerarsi volontaria, non consta alcuna ragione che renda il lavoro carcerario incompatibile con il riconoscimento della NASPI in caso di perdita del primo. 40. Da un lato, anzi, va sottolineato che è fatto del tutto pacifico che l'Amministrazione penitenziaria versa all'INPS i contributi per la disoccupazione anche per i detenuti lavoratori, elemento questo utile a corroborare la soluzione che riconosce all'ex-detenuto la tutela previdenziale richiesta. 41. Dall'altro lato, non è rilevante che l'Amministrazione penitenziaria non persegua scopi di lucro, essendo pacifico che la NASPI spetta a tutti i lavoratori di cui all'articolo 1 del D.Lgs. numero 22, anche se dipendenti da enti che non perseguono scopi di lucro, quali, ad esempio, gli Enti del terzo settore cfr.   articolo 4,   comma 1, e   8 D.Lgs. numero 117 del 2017 . 42. Non può rilevare nemmeno che i posti di lavoro vengano assegnati ai detenuti a rotazione , atteso che si tratta di modalità necessaria a conciliare l'impegno sancito a carico dell'Amministrazione di assicurare ai detenuti il lavoro articolo 15, co. 2, O.P. con la notoria scarsità quantitativa dell'offerta di lavoro in carcere, da cui non può dipendere alcuna conseguenza in termini di trattamento previdenziale . 10. Infondata è l'ulteriore osservazione svolta da INPS sulla incompatibilità della condizione di disoccupazione involontaria del detenuto in ragione dell'indisponibile dichiarazione di incollocabilità al lavoro poiché è previsto sia l'inserimento del detenuto disponibile al lavoro nelle graduatorie interne formate a cura della Commissione di cui all' articolo 20 commi 4 e 5 L.354/75   trattasi di elenchi per l'assegnazione al lavoro dei detenuti e degli internati, tenendo conto esclusivamente dell'anzianità di disoccupazione maturata durante lo stato di detenzione e di internamento, dei carichi familiari e delle abilità lavorative possedute , sia la facoltà dei detenuti, a mente dell' articolo 19 co.2 L.56/87 , di iscriversi nelle liste di collocamento e, finché permane lo stato di detenzione o di internamento, sono esonerati dalla conferma dello stato di disoccupazione. Su richiesta del detenuto o dell'internato, la direzione dell'istituto penitenziario provvede a segnalare periodicamente lo stato di detenzione o di internamento . 11. All'esito della compiuta disamina, il ricorso va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza, non ravvisandosi la denunciata violazione normativa. 12. Le spese vanno compensate, stante la sopravvenuta pronuncia di questa Corte alla quale si intende dare continuità. Seguono le disposizioni di rito sul contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese fra le parti.