Le contraddizioni sul suicidio medicalmente assistito

L’11 febbraio scorso il Consiglio regionale della Toscana ha approvato una proposta di legge di iniziativa popolare sul suicidio medicalmente assistito che ha immediatamente suscitato un’ondata di polemiche mediatiche e politiche.

La legge Toscana è stata criticata per aver regolamentato a livello regionale una materia che secondo alcuni spetterebbe unicamente allo Stato . La presunta invasione da parte delle competenze statali da parte di una Regione avrebbe come conseguenza potenziale quella di creare disuguaglianze tra i cittadini italiani, istituendo una disparità tra regioni che regolamentano in maniera differente il suicidio medicalmente assistito. Alcuni – è il caso di Alberto Gambino su Avvenire del 14 Febbraio 2025 – lamentano che la legge toscana non abbia solo esautorato il parlamento delle proprie prerogative, ma abbia anche forzato il dettato della sentenza 242/19 della Corte costituzionale , al punto da configurare un nuovo modello di Servizio Sanitario che funzionerebbe attraverso «una sorta di secondo binario parallelo, rispetto a quello terapeutico e palliativo, verso gli stati di malattia grave o, comunque, alla fase della vita che si avvicina al momento della morte». Nei giorni seguenti all'approvazione della legge, i consiglieri del centro-destra hanno presentato un ricorso al Collegio di Garanzia per una verifica di conformità rispetto allo statuto regionale e temporaneamente bloccato l'entrata in vigore della norma. La Toscana non è del resto un caso isolato anche in Emilia-Romagna, dove si è deciso di procedere attraverso una via di carattere amministrativo, tramite l'istituzione di un Comitato regionale per l'Etica nella clinica COREC e la definizione di una serie di linee guida operative, il Governo centrale ha impugnato le delibere davanti al TAR mettendo in dubbio la legittimità del COREC. Non entro nel merito delle questioni costituzionali relative alle reciproche competenze di Stato e Regioni su cui non ho titolo per esprimermi. Vorrei piuttosto sviluppare una serie di riflessioni di carattere bioetico sull'attuale situazione del fine vita in Italia. A differenza di quanto riportato da molti organi di stampa, va premesso che la legge regionale toscana non introduce il suicidio medicalmente assistito nell'ordinamento giuridico italiano , dal momento che in Italia tale procedura è stata legalizzata con la sentenza 242/19 della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' articolo 580 del Codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di colui che agevola l'esecuzione del proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi in una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale TSV , affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, e pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. La legge regionale toscana dà semplicemente certezza applicativa a una normativa già esistente , definendo la procedura tramite cui i pazienti che vogliono accedere al suicidio medicalmente assistito possono fare domanda all'Asl di competenza, i tempi e le modalità di risposta della commissione medica preposta a verificare la sussistenza dei requisiti stabiliti dalla Consulta e i rapporti di quest'ultima con il Comitato etico territorialmente competente. A prescindere dunque da ogni questione di carattere costituzionale, a me pare che l'approvazione di una legge a livello regionale non introduca affatto una disparità di trattamento, ma semmai contribuisca ad attenuarla, dal momento che tale disparità di trattamento attualmente esiste non solo tra le regioni, ma addirittura tra aziende sanitarie locali all'interno di ciascuna regione. Essa riguarda sia i tempi di verifica delle condizioni da parte del Servizio sanitario nazionale , sia i rapporti tra la Commissione medica e il Comitato etico, sia la reperibilità del farmaco e della strumentazione necessari a realizzare la procedura sono note le difficoltà ad ottenere il farmaco a cui possono andare incontro anche pazienti che sono stati riconosciuti in possesso dei requisiti stabiliti dalla 242/19 . Da questo punto di vista, in assenza di una legge statale che regolamenti la procedura, ritengo che una norma differenziata a livello regionale sia preferibile a nessuna norma. E trovo singolare che a lamentare la disparità di trattamento a livello regionale siano proprio coloro che potrebbero approvare una normativa nazionale e non lo fanno. La Corte costituzionale ha ricordato a più riprese che la disciplina del suicidio medicalmente assistito richiede un' integrazione legislativa per risolvere una serie di problemi che non riguardano solo la definizione delle modalità pratiche di attuazione delle procedure, ma anche, per esempio, una definizione più precisa dei criteri di accesso al suicidio medicalmente assistito. Mi riferisco in particolare al requisito più controverso tra quelli stabiliti dalla Consulta, vale a dire la dipendenza da un trattamento di sostegno vitale . La stessa Corte costituzionale, del resto, ha riconosciuto di recente come il riferimento al sostegno vitale rappresenti un unicum nell'orizzonte comparato della disciplina del suicidio medicalmente assistito. Questo perché da un punto di vista medico-scientifico non esiste una definizione univoca di TSV ed è dunque impossibile cercare di stabilire oggettivamente che cosa sia un TSV per poi applicare questa definizione al problema bioetico del suicidio medicalmente assistito. Non è un caso che su questo punto si sia sviluppato un acceso confronto di carattere etico e giuridico che ha fatto registrare un nuovo intervento della Consulta che, con la sentenza numero 135/24, ha cercato nuovamente di precisare che cosa si debba intendere con l'espressione “trattamento di sostegno vitale”.  La pronuncia del 2024 era stata a sua volta preceduta da due sentenze – della Corte d'assise di Massa 27.07.2020 e della Corte d'assise d'appello di Genova 28.04.2021 – che avevano interpretato il trattamento di sostegno vitale come qualsiasi trattamento di carattere anche farmacologico o assistenziale dalla cui sospensione discenda, anche in tempi non rapidi , la morte del paziente. Nella sentenza 135 la Corte Costituzionale ha delimitato il perimetro dell'applicabilità della nozione di TSV, riconoscendo che, dal momento che ai sensi della 219/17 il paziente ha il diritto di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario praticato sul proprio corpo , a prescindere dal suo grado di invasività e di complessità tecnica, anche “quelle procedure che sono normalmente compiute da personale sanitario, e la cui esecuzione richiede certo particolari competenze oggetto di specifica formazione professionale, ma che potrebbero apprese da familiari o “ caregivers ” che si facciano carico dell'assistenza del paziente” nella misura in cui sono necessarie ad assicurare la sopravvivenza del paziente “al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo” vanno considerate trattamenti di sostegno vitale. Nella misura in cui la 135/24 si riferisce a una morte che sopraggiunge in un breve lasso di tempo , ma non specifica esattamente il senso di questa espressione non è difficile prevedere che siano destinate a sorgere nuove controversie che solo l'approvazione di una legge potrebbe forse evitare. Altri problemi che una legge sul suicidio medicalmente assistito potrebbe contribuire a risolvere riguardano il ruolo e la composizione dei Comitati etici preposti a occuparsi del tema . Personalmente resto convinto – come si legge nella relazione di minoranza alla risposta che il Comitato Nazionale per la Bioetica ha dato su questo tema al Ministro della Sanità nel gennaio 2023 – che la scelta di attribuire questo compito ai CET Comitati etici territoriali per la sperimentazione clinica non possa che essere transitoria e che sia necessario istituire una rete uniforme su tutto il territorio nazionale di Comitati per l' etica clinica i cui membri abbiano la specifica sensibilità e le competenze adatte per affrontare nel migliore dei modi le situazioni in esame. Ci si potrebbe dunque chiedere per quale motivo il Parlamento tardi a pronunciarsi su una materia così delicata su cui è evidente l'urgenza di un intervento legislativo. Nella sentenza numero 135, la Corte costituzionale ha ribadito di non volersi sostituire al legislatore nell'individuazione del « punto di equilibrio in astratto più appropriato tra il diritto all'autodeterminazione di ciascun individuo sulla propria esistenza e le contrapposte istanze di tutela della vita umana, sua e dei terzi », lasciando al legislatore stesso la facoltà di dettare una diversa disciplina che, pur nel rispetto dei principi summenzionati, assicuri all'uno o all'altro una tutela più intensa. A voler pensar male viene il sospetto che all'interno della maggioranza di governo si preferisca una disciplina più permissiva ma di difficile applicazione nel senso che ho ricordato all'inizio a una disciplina magari più restrittiva ma certa.