Legittimo nell’ottica educativa che il genitore faccia ricorso alla forza, seppur in maniera minima, per tenere a freno il figlio preadolescente. Applicando questo principio, la Cassazione ha fatto cadere le accuse nei confronti di un padre sotto processo per violenza privata a seguito dell’azione, consistita nel battere più volte con forza sulla porta, compiuta per costringere la figlia dodicenne ad uscire dalla cameretta.
Scenario dell'episodio è una casa nella provincia lombarda, in cui si verifica l'ennesimo scontro tra una figlia preadolescente – 12 anni, all'epoca – e un padre severo . Quest'ultimo proibisce alla ragazzina di utilizzare Instagram. Quasi scontata la reazione della ragazzina, la quale, arrabbiata col padre, si rinchiude nella propria camera. Meno scontato, invece, ciò che succede pochi attimi dopo il genitore ordina alla figlia di uscire dalla cameretta e, in seguito alla risposta irrispettosa della ragazzina, comincia a battere forte sulla porta della camera della figlia per farla uscire e, si presume, per avere un confronto diretto. Come batte quei colpi, l'uomo? Secondo l'accusa, fa ricorso ad un bastone o, forse, ad un mestolo. A fronte di tutti questi dettagli, l'uomo viene assolto in Tribunale dall'accusa di maltrattamenti in famiglia mentre in Appello viene ritenuto colpevole di violenza privata , con annesso obbligo risarcitorio in favore della moglie, costituitasi parte civile in rappresentanza della figlia. Col ricorso in Cassazione, però, si sostiene siano stati completamente travisati i fatti «alle espressioni minacciose rivolte dall'uomo alla figlia – la quale rispose al padre con un “vaffanculo” – per convincerla a uscire dalla stanza, in cui si era rinchiusa, non fece poi seguito alcuna violenza». Impossibile, poi, secondo il legale del padre, «trascurare il fine educativo che mosse l'uomo e il contesto di rapporti conflittuali in cui la figlia tenne un atteggiamento oppositivo, favorito da sua madre, la quale era in contrasto con l'altro genitore». Per i Giudici tali obiezioni sono fondate. Ricostruito nei dettagli l'episodio, bisogna tenere presenti, secondo la Suprema Corte, alcuni punti fermi in primo luogo, «la fonoregistrazione dell'episodio, effettuata dalla ragazzina» in secondo luogo, «la minorenne ha affermato di non essere stata colpita dal padre» in terzo luogo, non è stato chiarito se l'uomo avesse davvero brandito un bastone, che, in realtà, la ragazzina ha dichiarato essere un mestolo in quarto luogo, «quando la ragazzina si decise ad uscire dalla propria camera, nulla accadde, né è possibile affermare che ella vide il padre con un bastone od un mestolo in mano». Nonostante ciò, però, i giudici secondo grado hanno ritenuto penalmente rilevante il comportamento tenuto dall'uomo e lo hanno classificato come una minaccia, «desunta dai forti colpi – con un bastone, qualificato come arma – alla porta della stanza dove era rinchiusa la ragazzina.» Ma questa valutazione è erronea, secondo la Cassazione, la quale ribadisce che «per il delitto di violenza privata è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo », mentre, invece, «sono penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o, comunque, a influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà». Applicando questa prospettiva alla vicenda in esame, bisogna tener presente che si è del tutto escluso che l'uomo abbia rivolto una violenza fisica contro la figlia o anche soltanto verso la porta – non risultata né rotta né soltanto deteriorata – mentre «la ragazzina perseverò nella volontà di non aprire la porta e si risolse a uscire dalla stanza non per un timore per la propria persona ma per placare il genitore». Inoltre, non è emersa, in realtà, neanche la formulazione di una compiuta minaccia del genitore ai danni della figlia, sicché «alla condotta dell'uomo deve attribuirsi», spiegano i magistrati di Cassazione, «il significato di una intimazione, frutto della esasperazione, e n on di una intimidazione funzionale alla minaccia , sicché non può ravvisarsi una significativa compressione della libertà della ragazzina». Ampliando l'orizzonte e ragionando anche sull'attualità, poi, per i Giudici «la precoce emancipazione del minorenne, frutto del costume sociale, non elide, anzi rende più complesso, l'obbligo dei genitori di impartire ai figli una educazione adeguata al loro carattere e alle loro attitudini, con una costante opera educativa , finalizzata a correggere comportamenti non corretti, non soltanto in relazione a eventuali responsabilità verso terzi, ma per realizzare comunque una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza». E «l'opera educativa richiede, per sua natura, quando necessario, il ricorso – riconosciuto come lecito – a mezzi di correzione e di disciplina », precisano i magistrati. In questa ottica, quindi, «la semplice percossa, nei termini di una vis modica, è un mezzo lecito di esercizio dello jus corrigendi ». Tuttavia, «la misura di questa vis , comunque modica, va rapportata al primato che l'ordinamento oggi attribuisce alla dignità della persona , anche della persona minorenne che, anzi, anche in base alla “Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza” approvata dall'‘ONU, è soggetto titolare di diritti di protezione da parte degli adulti». Tirando le somme, «è tollerabile l'uso – episodico e non sistematico – di una vis modicissima nei confronti dei figli minorenni, purché sia funzionale alla loro corretta educazione e non si traduca in comportamenti lesivi della integrità fisica della dignità della persona del minorenne». E, tornando all'episodio oggetto del processo, l'uomo, si è appurato, «non esercitò violenza fisica sulla figlia», sicché «può concludersi che il caso si colloca nel contesto di una non patologica condizione di tensione, nei rapporti fra un padre e una figlia preadolescente, che non attinge i livelli di offensività necessari affinché la vicenda acquisti rilevanza penalistica ».
Presidente Di Stefano - Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Brescia, decidendo sull'appello della parte civile C.I.C., costituitasi in proprio e quale rappresentante della minorenne M.Z. - parzialmente riformando la sentenza con cui il Tribunale di Bergamo ha assolto M.Z. dal reato ex articolo 572 cod. penumero descritto nella imputazione - ha condannato l'imputato, ritenendone la responsabilità ai soli effetti civili relativamente all'episodio del 27/01/2029, qualificato ex articolo 610 cod. penumero , al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile. 2. Nel ricorso presentato dal difensore di Z.M. e nelle successive conclusioni si chiede l'annullamento della sentenza. 2.1. Con il primo motivo si adduce violazione della legge nel riformare, agli effetti civili, la sentenza di primo grado senza rinnovare l'esame della C., unica prova dichiarativa raccolta in primo grado, essendo stata la teste giudicata inattendibile dal Tribunale, e senza escutere la minorenne M.Z. le sommarie informazioni testimoniali della quale ha più volte richiamato ma dandone una interpretazione difforme da quella del Tribunale. 2.2. Con il secondo motivo, si adduce violazione della legge processuale nell'acquisire al fascicolo del dibattimento relazioni dei servizi sociali successive ai fatti per i quali si procede e, come già osservato dal Tribunale, non afferenti al capo d'imputazione, mentre, con attività più conducente, avrebbe potuto sentire la testimone H. B., presente ai fatti del 27/01/2019. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso, si adduce violazione della legge nel ravvisare un fatto qualificabile ex articolo 610 cod. penumero , trascurando che alle espressioni minacciose rivolte dall'imputato alla figlia M. - che rispose al padre con un « OMISSIS » - per convincerla a uscire dalla stanza in cui si era rinchiusa non fece poi seguito alcuna violenza. 2.4. Con il quarto motivo di ricorso si adducono violazione della legge e vizio della motivazione nel riformare in peius la sentenza di primo grado senza la necessaria motivazione rafforzata, trascurando il fine educativo che mosse l'imputato e il contesto di rapporti conflittuali in cui la figlia dodicenne tenne un atteggiamento oppositivo favorito da sua madre, che era in contrasto con l'altro genitore. Considerato in diritto 1. L'episodio del 27/01/2019 per il quale la Corte di appello - qualificando la condotta ex articolo 610 cod. penumero - ha condannato Z.M. è specificamente trattato nella sentenza di primo grado p. 7 . Risulta dalle sentenze di merito che la dodicenne figlia dell'imputato si era rinchiusa in camera perché il padre le vietava di utilizzare instagram il genitore le intimò di uscire, al che la figlia rispose « OMISSIS ». Il Tribunale - che ha ascoltato la fonoregistrazione dell'episodio effettuata dalla stessa ragazzina - ha escluso la rilevanza penale della condotta, osservando che la minorenne ha affermato di non essere stata colpita dal padre «non è stato chiarito se l'uomo avesse davvero brandito il bastone, che, in realtà, la ragazzina ha dichiarato essere «mestolo» p. 12 della sentenza di primo grado quando la ragazzina si decise a uscire dalla stanza nulla accadde né è possibile affermare che ella vide il padre con un bastone o mestolo in mano. 2. Invece, la Corte di appello - che ha motivato l'acquisizione delle relazioni menzionate nel ricorso, osservando che, sebbene formate dopo i fatti, possono «fornire elementi certamente utili a ricostruire il tema di prova e i rapporti tra genitore e figlia» p. 11-12 , ma, comunque, non utilizzandole per la motivazione della condanna - ha ritenuto penalmente rilevante il comportamento dell'imputato, ritenendo sussistente una minaccia che ha desunto dai forti colpi alla porta della stanza dove era rinchiusa la ragazzina con un bastone, che ha qualificato come «arma». Ha escluso la necessità di una rinnovazione dell'istruttoria, valutando che la materialità del fatto non è controversa, ma ha modificato solo la qualificazione giuridica della condotta. Ha così deciso nella linea del principio di diritto per il quale il giudice d'appello che riforma in peius la sentenza assolutoria di primo grado, ex articolo 603, comma 3-bis, cod. proc. penumero , non è tenuto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata Sez. 2, numero 3129 del 30/11/2023, dep. 2024, Casoppero, Rv. 285826 Sez. 4, numero 31541 del 22/06/2023, Lazzari, Rv. 284860 . 3. Posto quanto precede, il ricorso risulta fondato. 3.1. Per integrarsi il delitto di violenza privata articolo 610 cod. penumero è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo. Invece, sono penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o, comunque, a influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà Sez. 5, numero 40485 del 01/07/2019, Mignolo, Rv. 277748 Sez. 5, numero 1786 del 20/09/2016, dep. 2017, Panico, Rv. 268751 . Nella fattispecie è del tutto escluso che l'imputato abbia rivolto una violenza fisica contro la figlia o anche soltanto verso la porta - poiché non emerge che questa sia stata rotta o anche soltanto deteriorata - mentre la ragazzina perseverò nella volontà di non aprire la porta e si risolse a uscire dalla stanza non per un timore per la sua persona ma per placare il genitore. In realtà, non emerge neanche la formulazione di una compiuta minaccia, sicché alla condotta dell'imputato deve attribuirsi il significato di una intimazione, frutto della esasperazione, e non di una intimidazione funzionale alla minaccia, sicché, nella fattispecie, non può ravvisarsi una significativa compressione della libertà della ragazzina. 3.2. La precoce emancipazione del minorenne frutto del costume sociale non elide, anzi rende più complesso, l'obbligo dei genitori di impartire ai figli una educazione adeguata al carattere e alle attitudini dei figli Cass. civ. Sez. 3, numero 22541 del 10/09/2019 , Rv. 655364 Sez. 3, numero 3964 del 19/02/2014, Rv. 630413 con una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti, non soltanto in relazione a eventuali responsabilità verso terzi, ma per realizzare comunque una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza Cass. civ. Sez. 3, numero 9556 del 22/04/2009 , Rv. 608336 . L'opera educativa richiede, per sua natura, quando necessario, il ricorso a mezzi di correzione e di disciplina, e la incriminazione, ex articolo 571 cod. penumero , dell'abuso di tali mezzi, presuppone che l'ordinamento ne riconosce un uso lecito. La Relazione ministeriale al progetto del codice penale affermava, al riguardo, che la semplice percossa, nei termini di una vis modica, è un mezzo lecito di esercizio dello jus corrigendi. Tuttavia, la misura di questa vis, comunque modica, va rapportata al primato che l'ordinamento oggi attribuisce alla dignità della persona, anche della persona minorenne che, anzi anche in base alla Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, numero 176 , è soggetto titolare di diritti di protezione da parte degli adulti Sez. 6, numero 13145 del 03/03/2022, Rv. 283110 Sez. 6, numero 4904 del 18/03/1996, Rv. 205034 . Allora, è tollerabile l'uso - episodico non sistematico argomentabile a contrario ex Sez. 3, numero 17810 del 06/11/2018, dep. 2019, Rv. 275701 - di una vis modicissima nei confronti dei figli minorenni, purché sia funzionale alla loro corretta educazione e non si traduca in comportamenti lesivi della integrità fisica della dignità della persona Sez. 6, 16 gennaio 1996, Carbone, in Foro it., II, 1996, pp. 408 ss . 3.3. Nel caso in esame, oltretutto, l'imputato non esercitò violenza fisica sulla figlia sicché a fortiori a maiore ad minus può concludersi che il caso si colloca nel contesto di una non patologica condizione di tensione, nei rapporti fra un padre e una figlia preadolescente, che non attinge i livelli di offensività necessari affinché una vicenda acquisti rilevanza penalistica. Pertanto, correttamente la sentenza di primo grado ha assolto l'imputato perché il fatto non sussiste e, conseguentemente, va annullata la sentenza di secondo grado oggetto del ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.