Vivendi vs Telecom: alla ricerca dell’interesse ad impugnare la delibera consiliare

Difetta di legittimazione e di interesse ad agire ai sensi dell’articolo 100 c.p.c. il socio che impugna la delibera consiliare lamentando un pregiudizio riflesso della lesione dell’interesse sociale, nonché il socio che impugna la delibera consiliare lamentando la violazione della disciplina in materia di operazioni con parte correlate dovendosi mutuare il regime dell’impugnazione dall’articolo 2391 c.c.

La complessa vicenda dibattuta può sintetizzarsi nei seguenti termini. Vivendi S.E. nella sua qualità di titolare di azioni corrispondenti al 23,75% del capitale sociale di Telecom Italia S.p.A., impugnava ai sensi dell'articolo 2388, comma 4 c.c. la deliberazione del consiglio di amministrazione con cui era stata approvata l'offerta per l'acquisto della rete fissa presentata da un operatore internazionale di private equity. Questa operazione sarebbe stata programmata in contrasto con l'oggetto sociale delineato dallo statuto e comunque in violazione dei limiti legali alla competenza degli amministratori, nonché in spregio alla disciplina delle operazioni con parti correlate e in violazione dell'articolo 2391 c.c. Secondo il socio, senza la rete fissa la società avrebbe perduto la sua connotazione unica e grande parte della redditività. Inoltre agli amministratori non sarebbe consentito alterare irreversibilmente le caratteristiche essenziali dell'impresa e del rischio assunto dai soci, ledendo il loro diritto a che non siano stravolte, senza il loro consenso, le caratteristiche essenziali del loro investimento. In questa prospettiva, gli atti gestori si risolverebbero nella modificazione di fatto dell'oggetto sociale mutando strutturalmente e definitivamente l'attività dell'impresa ed il rischio dell'investimento. Pertanto, gli amministratori sarebbero, in relazione ad essi, privi del potere di rappresentare la società così che la loro manifestazione di volontà non varrebbe a vincolarla. Inoltre, la delibera consiliare sarebbe viziata sotto il profilo procedurale derivante dalla sua adozione in mancanza del parere del Comitato Operazioni con Parti Correlate necessario e vincolante, in violazione della disciplina delle operazioni con parti correlate prevista dall'articolo 2391 bis c.c. e dal relativo Regolamento della Consob. Resisteva la società ritenendo l'iniziativa del socio una azione di disturbo incentrata sulla tesi delle competenze assembleari implicite, priva di supporto normativo. Eccepiva il difetto di legittimazione e di interesse ad impugnare del socio il quale mai aveva dichiarato la volontà di recedere dalla società. La delibera consiliare era stata integralmente eseguita non potendo essere ripristinata la situazione preesistente. L'operazione contestata veniva compiuta, ad avviso della società, nell'interesse di tutti gli azionisti vista la necessità di ridurre l'indebitamento a livelli di sostenibilità, senza alcuna alterazione dell'oggetto sociale. La legittimazione “rafforzata” del socio che impugna la deliberazione consiliare Ricorda il Tribunale di Milano, in apertura dell'articolata sentenza in esame, che il principio dell'incorporazione dell'interesse ad agire nella legittimazione non vale nell'ambito dell'impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione, regolata dall'articolo 2388 comma 4, c.c. in modo tale da attribuire la legittimazione generale a proporre la domanda di annullamento della delibera non conforme alla legge e allo statuto solo al collegio sindacale e agli amministratori assenti o dissenzienti e da riconoscerla ai soci limitatamente alle delibere lesive dei loro diritti. Questa norma, puntualizza il Tribunale, attribuisce anche al socio il potere di impugnazione della delibera consiliare ma prescrive una legittimazione “rafforzata” a tutela dell'efficienza e della certezza nei confronti dei terzi dell'attività dell'organo amministrativo che, in particolare, con riguardo alla gestione dell'impresa comune difficilmente potrebbe tollerare ostacoli o intralci per effetto di iniziative di disturbo del socio di minoranza, lasciando il presidio dell'impugnazione c.d. di “conformità” in mano agli amministratori assenti o dissenzienti e al collegio sindacale che, come soggetti personalmente responsabili della legittimità della gestione e del suo controllo, sono tenuti ad insorgere avverso le delibere consiliari illegittime. La legittimazione ad impugnare del socio è, dunque, espressamente limitata alla delibera consiliare non conforme a legge o statuto che arrechi pregiudizio alla sua sfera giuridica personale, andando ad incidere direttamente su un suo diritto individuale, amministrativo o patrimoniale, derivante dal contratto sociale e dalla sua posizione all'interno dell'organizzazione sociale che lo contrapponga alla società. Viene richiamata, al riguardo, la giurisprudenza di merito e di legittimità (cfr. Trib. Milano 29 marzo 2014; Cass. numero 28359/2020; Cass. numero 2850/1996; Cass. numero 420/1990; Cass. numero 3544/1988). In questa prospettiva, non è, quindi, riconosciuta al socio la legittimazione ad impugnare una delibera del Consiglio di amministrazione sul presupposto di un pregiudizio riflesso della lesione dell'interesse sociale connesso al mero status di socio. Con la precisazione che l'interesse del socio ad impugnare la delibera consiliare non può essere ritenuto in re ipsa e coincidente semplicemente con l'interesse alla legittimità dell'attività gestoria e all'eliminazione della delibera non conforme alla legge o allo statuto: l'interesse ad agire si appunta, sul diritto individuale del socio leso dalla delibera consiliare non conforme, nel senso che deve risultare evidente il nesso funzionale tra la pronuncia di annullamento richiesta dal socio e la realizzazione dell'interesse sotteso al diritto leso attraverso la rimozione delle ragioni che lo comprimono. Non sussiste un vuoto di tutela, a detta del Tribunale, potendo il socio, nel caso la delibera consiliare sia funzionale ad una decisione assembleare, impugnare quest'ultima e, nel caso dell'omessa convocazione di un'assemblea, chiederla ai sensi degli articolo 2367 c.c. e 125 ter TUF. La lesione del diritto di voto in assemblea straordinaria e del diritto di recesso Osserva il Tribunale di Milano che, nella prospettiva del socio, l'interesse agli accertamenti di “conformità” del comportamento del consiglio di amministrazione alle previsioni di legge e di statuto si incentrerebbe sulla prospettata lesione del diritto di voto nell'assemblea straordinaria che avrebbe dovuto essere indetta per la modificazione dell'oggetto sociale statutario e dell'eventuale diritto di recesso che avrebbe potuto essere esercitato dai soci dissenzienti a seconda del suo esito. Viene al riguardo puntualizzato che, mentre non vi sono dubbi nel ravvisare la legittimazione del socio all'impugnazione della delibera consiliare lesiva del diritto di recesso e del conseguente diritto alla liquidazione da parte della società del valore della partecipazione sociale, la riconducibilità del diritto di voto in assemblea alla categoria dei diritti soggettivi individuali che ove lesi legittimano il socio all'impugnazione ai sensi dell'articolo 2388 comma 4 c.c. è esclusa dalla giurisprudenza di legittimità, che lo annovera fra le posizioni che accomunano tutti i componenti della compagine sociale e che contrappongono le competenze dei due organi sociali e non la posizione individuale di un singolo socio alla società (v. Cass. numero 28359/2020). D'altronde, viene precisato dal Tribunale, il diritto di voto è un potere strumentale alla formazione della deliberazione destinato ad esaurire la propria funzione all'interno del procedimento assembleare ed il suo esercizio da parte del socio concorre alla formazione in assemblea della volontà dell'ente e, di per sé, a meno che non ricorrano ipotesi di una sua peculiare connotazione, non gli assicura la realizzazione dell'interesse individuale perseguito. In ogni caso, avverte il Tribunale, la semplice prospettazione ipotetica ed eventuale delle posizioni soggettive lese dalla deliberazione consiliare impugnata evidenzia l'assenza di un concreto ed attuale interesse alla pronuncia di annullamento. Venendo al caso di specie, a detta del Tribunale, il socio ben si è guardato dal prospettare l'intento di esprimere un voto dissenziente alla modifica dell'oggetto sociale preferendo lamentarsi della mancata celebrazione dell'assemblea straordinaria che, peraltro, ben avrebbe potuto richiedere. Lungo tale direttrice, in mancanza della prospettazione dell'intento di esprimere un voto dissenziente alla formale modificazione dell'oggetto sociale che sarebbe stato frustrato dalla delibera consiliare elusiva del dovere di sottoporre la questione all'assemblea, deve escludersi la configurabilità anche solo potenziale della prospettata lesione del diritto di recesso di cui all'articolo 2437 comma 1 lett. a) c.c. e l'esistenza di un interesse giuridico del socio, concreto e attuale, all'impugnazione e all'annullamento della deliberazione consiliare. Operazioni con parte correlate e impugnativa della delibera consiliare da parte del socio Il Tribunale di Milano ritiene privo di legittimazione ad agire il socio che impugna la delibera consiliare sul presupposto di una presunta violazione della disciplina delle operazioni con parti correlate. Ferma l'esposizione dell'organo amministrativo alle azioni di responsabilità della società o dei soci ove l'operazione con parte correlata dovesse rivelarsi non conveniente e dannosa per la società e per le posizioni individuali degli investitori, reputa il Tribunale che il regime dell'impugnazione della decisione assunta in mancanza o in difformità dal parere espresso dall'apposito comitato di esperti indipendenti deve essere mutuato dalla previsione generale dell'articolo 2391 c.c. relativa alle decisioni assunte dall'organo amministrativo in conflitto di interesse. Questa norma, a sua volta, sottopone ad un regime speciale rispetto a quello generale previsto dall'articolo 2388, comma 4 c.c. l'impugnazione della delibera consiliare dannosa per la società adottata in violazione della disciplina del conflitto di interesse, riservando solo agli amministratori ed al collegio sindacale la legittimazione ad agire per l'accertamento della sua invalidità. La limitazione della platea dei soggetti legittimati all'impugnazione ha carattere tassativo e, se in linea generale è portato della natura della delibera consiliare adottata in conflitto di interesse potenzialmente lesiva dell'interesse sociale e solo di riflesso dell'interesse dei soci, riferita alla norma speciale sulle operazioni con parti correlate nelle società quotate è funzionale anche alla necessità di prevenire il pericolo della paralisi dell'attività dell'organo gestorio insito nell'esposizione dell'emittente, caratterizzata da una maggioranza poco reattiva di azionariato polverizzato, ad impugnazioni strumentali non solo del socio di minoranza titolare di una porzione esigua del capitale sociale ma anche del socio detentore del pacchetto di controllo che sia in conflitto con il consiglio di amministrazione. Neppure il sistema normativo vigente che ha colmato le lacune della disciplina antecedente alla riforma del 2003 dettando un regime compiuto dell'impugnazione delle delibere consiliari attraverso le previsioni dell'articolo 2388 comma 4 c.c. e dell'articolo 2391 c.c., consente l'applicazione analogica delle previsioni tassative sulla legittimazione. L'osservanza della disciplina delle operazioni con parti correlate sotto il profilo della loro potenziale dannosità per gli investitori che subiscono di riflesso il pregiudizio al patrimonio sociale che dovesse derivarne ed eventualmente il pregiudizio incidente sulle scelte di disinvestimento dovuto all'asimmetria informativa è adeguatamente presidiata dalle norme sulla responsabilità dell'organo amministrativo e dalle norme che irrogano le sanzioni pubblicistiche connesse alla violazione degli obblighi informativi a tutela degli investitori così che, conclude il Tribunale, nella restrizione agli amministratori ed al collegio sindacale del novero dei soggetti legittimati all'impugnazione della delibera consiliare non si ravvisano ragioni evidenti di contrasto con le previsioni della normativa europea sottesa all'introduzione nell'ordinamento della previsione dell'articolo 2391 bis c.c. Da qui l'inammissibilità dell'impugnativa per difetto di legittimazione del socio a proporla.

Presidente Mambriani Relatore Marconi Motivazione Con atto di citazione ritualmente notificato il 15.12.2023, V. S.E. nella sua qualità di socia titolare di azioni corrispondenti al 23,75% del capitale sociale della TI. S.p.A., principale operatore di telecomunicazioni presente sul mercato italiano, ha impugnato, ai sensi dell'articolo 2388 comma 4 c.c., la deliberazione del consiglio di amministrazione della TI. del 5 novembre 2023 con cui era stata illegittimamente approvata l'offerta per l'acquisto della rete fissa, presentata da K.K.R. & Co. L.P. (K.K.R.) nel contesto di un'operazione complessa, programmata in contrasto con l'oggetto sociale delineato dall'articolo 3.1 dello Statuto o, comunque, in violazione dei limiti legali alla competenza degli amministratori e in spregio alla disciplina delle operazioni con parti correlate prevista dall'articolo 2391 bis c.c., chiedendone l'annullamento con conseguente declaratoria di inopponibilità e inefficacia nei confronti della TI. del Transaction agreement sottoscritto il 6 novembre 2023 con K.K.R. e di tutti gli atti negoziali ancora da concludere previsti in esecuzione dell'accordo. Riferiva, in particolare, la società attrice che, pur essendo il principale azionista della TI. non deteneva il controllo della società in quanto priva di rappresentanti nel consiglio di amministrazione dal 16 gennaio 2023, mentre un'influenza notevole era esercitata dal secondo azionista titolare del 9,81% del capitale sociale, Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., società pubblica partecipata all'82% dal Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF). L'organo amministrativo di TI. aveva in programma sin dall'inizio del 2022 la sostanziale dismissione dell'intera infrastruttura di rete primaria e secondaria, unica sul territorio nazionale e non replicabile, realizzata per il trasporto capillare del segnale con investimenti pluriennali quando era monopolista pubblico e sino ad ora sfruttata anche attraverso la concessione dell'accesso all'ingrosso agli altri operatori concorrenti (c.d. wholesale) da cui ricavava il 43% della redditività complessiva della divisione comprendente le attività svolte come operatore di rete. In particolare l'operazione programmata consisteva, in linea generale, nella dismissione del ramo d'azienda denominato N., costituito: (i) dall'infrastruttura delle rete primaria dorsale cioè del complesso degli impianti che trasportano il segnale sulla dorsale da cui si diramano poi i cavi della rete secondaria di distribuzione locale, (ii) dall' attività di vendita all'ingrosso della capacità di accesso alla rete primaria c.d. wholesale, (iii) dalla partecipazione sociale del 58% detenuta in FiberCop S.p.A. società proprietaria e gestore della rete secondaria cioè dei cavi che distribuiscono il segnale dalla rete dorsale agli armadi stradali, (iv) dalla partecipazione del 100% del capitale di Sparkle S.p.A. che possiede e gestisce le infrastrutture di rete internazionale. E comportava oltre all'uscita di TI. dallo specifico mercato delle infrastrutture di rete, la perdita dei ricavi e margini in crescita derivanti dall'attività wholesale e la limitazione del perimetro delle sue attività alla sola prestazione del servizio alla clientela retail con necessità per assicurarlo del pagamento dell'accesso alla rete. Nonostante V. avesse sin dal 20 luglio 2022 comunicato al consiglio di amministrazione che riteneva l'operazione modificativa dell'oggetto sociale e, quindi, condizionata all'adozione da parte dell'assemblea straordinaria dei soci di una delibera di modificazione dello statuto, con la delibera impugnata il consiglio di amministrazione, senza in alcun modo investire l'assemblea dei soci, aveva approvato l'offerta di K.K.R. che, in estrema sintesi, prevedeva l'acquisto diretto da parte del suo veicolo O.B. dell'intera partecipazione di TI. in F.B. previo conferimento in essa della rete fissa, dell'attività wholesale e della partecipazione in TE. Con l'offerta di K.K.R. era stata anche pubblicizzata la previsione del futuro ingresso nella N. del MEF mediante l'acquisto di una partecipazione sino al 20% del capitale sociale del veicolo, preannunciato al mercato attraverso la divulgazione della notizia dell'avvenuta sottoscrizione tra il Ministero e K.K.R. di un Memorandum of Understanding così che l'approvazione dell'operazione avrebbe richiesto anche l'acquisizione del parere necessario e vincolante del Comitato Parti Correlate, ai sensi dell'articolo 2391 bis c.c. e del Regolamento Consob del 12.3.2010 numero 17221, essendo indubbia la qualifica del MEF come parte correlata di TI. in quanto ente controllante la socia Cassa Depositi e Prestiti. Sosteneva, quindi, l'illegittimità della deliberazione di approvazione dell'offerta da parte del consiglio di amministrazione, annullabile ai sensi dell'articolo 2388 comma 4 c.c. anche su sua domanda perché lesiva del suo diritto ad esprimere il voto in assemblea straordinaria sulla modificazione dell'oggetto sociale e, nell'eventualità del dissenso dal voto espresso dalla maggioranza, del suo diritto di recesso, ai sensi dell'articolo 2437 comma 1 lett. a). La modificazione dell'oggetto sociale in modo tale da farvi rientrare l'operazione di dismissione stravolgendo la struttura dell'impresa e alterando radicalmente il profilo del rischio assunto dagli azionisti al momento dell'investimento, comporterebbe, infatti, senza dubbio un cambiamento significativo dell'attività sociale. In particolare, la deliberazione consiliare impugnata sarebbe, sotto il profilo sostanziale, illegittima: a) per contrarietà all'oggetto sociale come definito dall'articolo 3.1. dello Statuto secondo cui TI. ha per oggetto “l'installazione e l'esercizio […] con qualsiasi tecnica, mezzo e sistema, di impianti ed attrezzature fissi e mobili […], per l'espletamento, la gestione e la commercializzazione, senza limiti territoriali, dei servizi di comunicazioni, quali anche risultanti dall'evoluzione delle tecnologie”. L'interpretazione letterale della clausola statutaria richiamata, secondo l'attrice, delinea il programma dell'attività della società indicato dai soci come necessariamente comprendente l'attività di gestione della rete fissa per l'espletamento del servizio alla clientela e disegna i contorni di un operatore c.d. infrastrutturato verticalmente integrato che necessariamente deve operare come proprietario e gestore degli impianti fissi e mobili di rete al fine di fornire i propri servizi di telecomunicazione alla clientela c.d. wholesale o alla clientela retail. L'oggetto sociale della TI. sarebbe, dunque, quello di un'impresa infrastrutturata che senza rete fissa perderebbe la sua connotazione unica e irripetibile e che senza l'attività di vendita all'ingrosso dell'accesso alla rete perderebbe gran parte della sua redditività. Dal momento che l'oggetto sociale costituisce il perimetro invalicabile dell'attività gestoria riservata in via esclusiva agli amministratori e delimita anche i confini del rischio assunto dai soci con riferimento all'attività comune di impresa, la delibera con cui l'organo amministrativo ha approvato l'operazione di dismissione della rete fissa si connota come illegittima in quanto renderebbe definitivamente impossibile l'attuazione dell'oggetto sociale attraverso la trasformazione irreversibile dell'impresa da operatore infrastrutturato verticalmente integrato in semplice operatore retail che, come tutti gli altri concorrenti sul mercato, sarebbe, poi, costretto ad acquistare dalla N. l'accesso alla rete primaria che sino ad ora ha venduto a terzi sostanzialmente in condizioni di monopolio; b) per la sua adozione in violazione dei limiti legali alla competenza degli amministratori desumibili dall'interpretazione sistematica dell'articolo 2380 bis c.c. e dell'articolo 2361 comma 2 c.c. secondo cui non sarebbe consentito all'organo amministrativo nell'esercizio dell'attività gestoria di alterare irreversibilmente le caratteristiche essenziali dell'impresa e del rischio assunto dai soci, ledendo il loro diritto a che non siano stravolte, senza il loro consenso, le caratteristiche essenziali del loro investimento. Non si dubita, al riguardo, che rientri fra le attività di alterazione strutturale dell'impresa e del rischio assunto dai soci anche la dismissione di un ramo d'azienda particolarmente significativo qual è sicuramente l'infrastruttura primaria e secondaria di rete oggetto dell'operazione approvata dal consiglio di amministrazione con la deliberazione impugnata. Tanto più che non sarebbe possibile prevedere se l'attività residua costituita dai servizi alla clientela finale fornisca sufficienti prospettive di redditività e di sostenibilità dell'enorme indebitamento della TI., restando comunque ancora elevatissima la leva finanziaria nonostante la riduzione del debito di 14,2 miliardi di euro prevista all'esito dell'operazione. L'illegittimità sotto il profilo dei vizi descritti sub a) e b) imporrebbe l'annullamento della delibera impugnata da cui deriverebbe anche l'inopponibilità alla convenuta TI. del Transaction agreement, sottoscritto il 6 novembre 2023 con la società veicolo di K.K.R., e dei successivi negozi attuativi ivi compreso il closing programmato per l'estate 2024, trattandosi di negozi inefficaci nei confronti della società perché compiuti da amministratori privi del potere rappresentativo. Gli atti gestori che si risolvono nella modificazione di fatto dell'oggetto sociale perché vanno a mutare strutturalmente e definitivamente l'attività dell'impresa ed il rischio dell'investimento sono estranei alla competenza dell'organo amministrativo, ai sensi dell'articolo 2380 bis c.c., e gli amministratori sarebbero, in relazione ad essi, privi del potere di rappresentare la società così che la loro manifestazione di volontà non varrebbe a vincolarla. L'atto di gestione contrario all'oggetto sociale sarebbe, quindi, inopponibile alla società per difetto legale di rappresentanza a prescindere dalla buona o malafede del terzo contraente, che, comunque, nel caso di specie in considerazione del clamore mediatico della vicenda e della pubblicità della posizione assunta dalla società attrice non potrebbe di certo essere annoverato tra i terzi in buona fede. La deliberazione consiliare impugnata presenterebbe, poi, un ulteriore motivo di illegittimità sotto il profilo procedurale derivante dalla sua adozione in mancanza del parere del Comitato Operazioni con Parti Correlate (OPC) necessario e vincolante, in violazione della disciplina delle operazioni con parti correlate prevista dall'articolo 2391 bis c.c. e dal relativo Regolamento della Consob. L'operazione di dismissione della rete approvata con la deliberazione del cda impugnata si connoterebbe, infatti, anche come operazione con parte correlata, seppure scandita con atti cronologicamente separati, dal momento che il 10 agosto 2023 il MEF, ente controllante della socia Cassa Depositi e Prestiti che esercita un notevole influenza su TI., ha stipulato con K.K.R. un accordo per subentrare successivamente con l'acquisto di una partecipazione del 20% nel capitale sociale del veicolo societario destinato a divenire titolare del ramo d'azienda N. con un investimento di oltre due miliardi di euro. Sussisterebbe, quindi, il rischio concreto che l'operazione sia deliberata con l'apporto della socia che esercita notevole influenza prevedendo uno “sconto” sul prezzo per favorire la società veicolo destinata ad essere acquisita da una parte correlata, con sostanziale distrazione di ricchezza dalla società quotata alla socia correlata a danno dei soci non correlati. L'operazione avrebbe, quindi, dovuto essere sottoposta a parere di congruità del prezzo del Comitato Operazioni Parti Correlate che probabilmente sarebbe stato negativo ed avrebbe comportato il necessario coinvolgimento dell'assemblea per l'approvazione. La delibera del consiglio di amministrazione illegittima perché adottata in violazione della disciplina sulle operazione con parti correlate sarebbe annullabile anche su impugnazione del socio dal momento che l'inosservanza incide sul diritto dell'azionista investitore all'informazione necessaria a compiere le sue valutazioni in ordine alla gestione del proprio investimento e sul diritto dei soci non correlati all'integrità del valore della loro partecipazione sociale minacciata dalla possibilità che si estragga ricchezza dalla società a favore di una parte correlata. Chiedeva, pertanto, l'annullamento della deliberazione del consiglio di amministrazione del 5 novembre 2023 che ha approvato l'offerta per la cessione della rete fissa presentata da K.K.R. per i motivi sub a) e b) con conseguente declaratoria di inopponibilità o inefficacia nei confronti di TI. del Transaction agreement sottoscritto il 6 novembre 2023 e di tutti gli atti negoziali che saranno conclusi in esecuzione della delibera impugnata e, in ogni, caso l'annullamento della delibera impugnata adottata in violazione della disciplina sulle operazioni con parti correlate. Si è costituita in giudizio la convenuta TI. S.p.A. sottolineando che l'iniziativa giudiziaria di V. sarebbe semplicemente un'azione di disturbo concepita in fatto su un'operazione immaginaria e incentrata in diritto sulla dottrina minoritaria delle c.d. competenze assembleari implicite, priva di ogni supporto normativo, oltre che sulla manipolazione “ortopedica” della clausola statutaria relativa all'oggetto sociale, mai riportata nel suo testo integrale. La tesi sostenuta dalla società attrice muove, infatti, dal presupposto fattuale che la c.d. rete fissa sia un'unica infrastruttura tutta di proprietà della TI. dismessa in blocco mentre è solo un complesso di impianti, cavi e componenti hardware e software già in parte detenuti da TI. solo in gestione, come le strutture di fibra ottica, destinato alla dismissione solo limitatamente alle c.d. infrastrutture passive, di cui la società avrebbe in parte dovuto, comunque, disfarsi per effetto delle decisioni dell'Agcom in materia oltre che per colmare lo svantaggio nella competizione con gli altri operatori derivatole dal sistema regolatorio della concorrenza che, come unica proprietaria dell'infrastruttura, la sottoponeva ad una serie di controlli, limitazioni e sanzioni incidenti sulla sua operatività con il cliente finale. Nel descrivere l'operazione di dismissione la società attrice avrebbe, poi, trascurato completamente di riferire che si trattava di una misura strutturale pressoché imposta, nell'interesse di tutti gli azionisti della società, dalla necessità di ovviare alla forte contrazione dei ricavi a seguito della pressione concorrenziale dei nuovi operatori sul mercato delle telecomunicazioni e dalla necessità di ridurre l'indebitamento di oltre 20 miliardi di euro a livelli di sostenibilità. Eccepiva, in via pregiudiziale, il difetto di legittimazione della socia attrice a proporre sia l'impugnazione per l'annullamento della delibera consiliare, ai sensi dell'articolo 2388 comma 4 c.c., sia l'azione di accertamento dell'inopponibilità e inefficacia nei confronti della società degli atti negoziali compiuti in esecuzione. Sotto il primo profilo la società convenuta sottolineava, in relazione all'impugnazione per l'annullamento della delibera consiliare fondata sulla violazione dei limiti statutari e legali della competenza degli amministratori, che l'articolo 2388 comma 4 c.c., riconoscendo al socio la legittimazione ad impugnare la delibera illegittima in relazione alla violazione di un suo diritto soggettivo individuale, non potrebbe riferirsi alla privazione del diritto di voto in assemblea che all'interno dell'organizzazione dell'ente spetta a tutti i soci ed attiene alla violazione delle regole sul riparto di competenze fra gli organi sociali. Quanto, poi, alla prospettata lesione del diritto individuale di recesso che nelle S.p.A. sorge solo nelle ipotesi di modifica formale della clausola statutaria relativa all'oggetto sociale, sottolineava che la società attrice nell'atto di citazione non aveva neanche mai dichiarato di volerlo esercitare così evidenziando sotto questo profilo un difetto assoluto di interesse attuale e concreto alla tutela giurisdizionale invocata. La società attrice sarebbe priva della legittimazione attiva, ai sensi dell'articolo 2388 comma 4 c.c., anche con riferimento alla domanda di annullamento fondata sulla violazione della disciplina delle operazioni con parti correlate prevista dall'articolo 2391 bis e dal Regolamento Consob, avendo anche in tal caso lamentato la compressione del diritto di voto in una ipotetica assemblea conseguente ad un eventuale ed improbabile parere negativo del Comitato Parti Correlate, i cui componenti avevano in maggioranza votato a favore dell'approvazione dell'operazione decisa dal consiglio di amministrazione con la delibera impugnata. Sotto il profilo del difetto di legittimazione della socia attrice a proporre le domande di accertamento dell'inopponibilità o inefficacia alla società del Transaction Agreement perché atto compiuto dagli amministratori incompatibile con l'oggetto sociale o, comunque, in violazione dei limiti legali della loro competenza richiamava la giurisprudenza consolidata in materia che attribuisce la legittimazione all'impugnativa negoziale dell'atto compiuto dall'amministratore in difetto di rappresentanza o eccedendo i limiti dell'oggetto sociale solo alla società rappresentata. Eccepiva, poi, sempre in via pregiudiziale, il difetto di interesse della società attrice a proporre l'azione di annullamento della delibera consiliare già integralmente eseguita perché non potendo più essere ripristinata la situazione preesistente, non potrebbe trarre alcun effetto utile dalla pronuncia giurisdizionale tanto più che l'accertamento dell'inefficacia verso la società degli atti negoziali stipulati in esecuzione non sarebbe opponibile al terzo acquirente e non avrebbe alcun effetto caducativo dei negozi. Nel merito contestava la fondatezza delle tesi sostenute dalla società attrice per connotare l'operazione di dismissione come incompatibile con l'oggetto sociale in quanto fondate su un'interpretazione manipolatoria della relativa clausola statutaria che, alla lettura completa del testo, si limita a prevedere l'attività di installazione e gestione della rete come strumentale rispetto all'attività di commercializzazione dei servizi di telecomunicazione agli utenti finali che è l'unica veramente irrinunciabile e caratterizzante il core business della società. La clausola, comunque, non contiene alcun riferimento alla necessità che le infrastrutture di rete siano di proprietà della società mentre le attività di installazione ed esercizio degli impianti possono essere compiute anche in regime di mero godimento o di titolarità del diritto di uso e la scelta sulle modalità di utilizzazione sarebbe rimessa agli amministratori. In ogni caso con l'operazione di dismissione programmata la società convenuta non rinuncerebbe né all'utilizzazione e gestione della infrastruttura di rete con modalità diverse da quelle attuali né alla prestazione dei servizi all'utente finale ma solo alla vendita all'ingrosso agli altri operatori dell'accesso alla rete fissa c.d. wholesale che non è neanche contemplata nell'oggetto sociale. Criticava, poi, fermamente la pretesa di ricondurre l'operazione alle c.d. competenze implicite dell'assemblea in quanto destinata ad incidere sulla struttura dell'impresa e sul rischio dell'investimento e quindi sui c.d. diritti primordiali degli azionisti, in quanto ispirata ad una dottrina priva di qualsiasi fondamento normativo e disancorata dalla conformazione attuale della S.p.A. ove la funzione gestoria è affidata esclusivamente al consiglio di amministrazione, responsabile delle sue scelte verso la società ed i terzi, senza alcuna possibilità che ne venga investita l'assemblea dei soci, per sua natura irresponsabile delle sue decisioni, salvo che per le materie in cui lo statuto espressamente preveda l'assoggettamento dell'atto alla sua autorizzazione. In ogni caso, la teoria delle competenze implicite dell'assemblea sarebbe applicabile solo al caso limite, facilmente accertabile, della cessione dell'intera azienda o dell'intero attivo del patrimonio sociale e implicherebbe l'assegnazione all'assemblea di una funzione solo consultiva non vincolante per l'organo amministrativo, fattispecie che non ricorrerebbe, nel caso in esame, anche ove si volesse dar credito alle valutazioni inattendibili della società attrice, secondo cui l'operazione avrebbe privato la società del 60% del suo valore aziendale. Quanto, poi, alla pretesa inefficacia dei negozi compiuti in esecuzione della delibera derivante dal fatto che si tratterebbe di atti estranei all'oggetto sociale o, comunque, eccedenti i limiti della competenza dell'organo amministrativo, sottolineava l'intervenuta abrogazione dell'articolo 2384 bis c.c. e richiamava la previsione dell'articolo 2384 comma 2 c.c. che, dopo la riforma del 2003, avevano reso inopponibile ai terzi di buona fede qualsiasi forma di limitazione dei poteri rappresentativi o gestori, salva l'exceptio doli: di regola gli atti negoziali compiuti dagli amministratori sono sempre validi ed efficaci nel rapporto tra la società e i terzi così che gli effetti del “ vizio” sono circoscritti ai soli rapporti interni alla società. Né la semplice consapevolezza da parte dei terzi acquirenti delle limitazioni dei poteri dell'organo amministrativo invocate dalla socia attrice per ostacolare l'operazione rileverebbe ai fini della configurabilità dell'accordo fraudolento intenzionalmente diretto a danno della società. Nel merito anche il motivo di impugnazione della delibera consiliare relativo alla violazione della disciplina delle operazioni con parti correlate sarebbe infondato: l'operazione non rientrerebbe nel perimetro delle operazioni con parti correlate perché l'ente controllante dell'entità collegata non è compreso nelle categorie di parti correlate previste dallo IAS 24 richiamato dal Regolamento né il MEF come controllante della socia Cassa Depositi e Prestiti, titolare di una quota di molto inferiore al 20%, sarebbe in grado di esercitare influenza notevole sulla società, secondo le previsioni dello IAS 28. In ogni caso gli amministratori indipendenti componenti del Comitato Parti Correlate si erano espressi positivamente a verbale dell'adunanza su tutti i profili rilevanti ai fini dell'articolo 8 del Regolamento parti correlate, giudicando l'operazione “ congrua dal punto di vista economicofinanziario e nel migliore interesse della società” e non corrisponde, quindi, alla realtà la prospettata probabilità dell'espressione di un parere negativo da parte dell'organo ove fosse stato preventivamente consultato. Chiedeva, pertanto, la declaratoria di inammissibilità delle domande proposte dalla società attrice per difetto di legittimazione o di interesse ad agire ovvero il loro rigetto nel merito. Nella prima memoria di trattazione depositata ai sensi dell'articolo 171 ter numero 3 c.p.c. la società attrice, contestate le difese della convenuta in relazione all'interpretazione del contenuto della clausola statutaria relativa all'oggetto sociale, riferiva che la TI. stava subendo un enorme danno economico non solo per la natura controversa dell'operazione in sé ma anche per la comunicazione fuorviante fornita al mercato in ordine all'entità dell'indebitamento effettivo post-operazione che sarebbe pari, non a 6,4 miliardi come annunciato nel comunicato del 6 novembre 2023, ma ad euro 7,5 miliardi come risultante dal piano industriale 2024-2026 che non appena comunicato al mercato aveva provocato, il 7 marzo 2024, un crollo del valore di borsa del titolo del 23,79%. Nella stessa memoria estendeva la domanda di annullamento della delibera consiliare anche alla fattispecie del conflitto di interessi disciplinata dall'articolo 2391 c.c. sostenendo di aver appreso solo con il deposito del verbale della seduta del consiglio di amministrazione allegato alla comparsa di costituzione a cui le era stato negato prima l'accesso, che il consigliere G.T., Presidente anche del consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., si era astenuto in quanto portatore di un interesse in conflitto con la società. Affermava di aver appreso la circostanza solo con la lettura del verbale da cui emergerebbe, però, anche l'inosservanza delle prescrizioni dell'articolo 2391 c.c. che impone, ai fini della validità della deliberazione, non solo l'astensione del consigliere in conflitto di interessi ma anche l'assolvimento da parte sua di stringenti obblighi informativi per consentire al consiglio di ponderare l'interesse in conflitto e motivare “ adeguatamente le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione”. Riteneva, pertanto, di essere legittimata a precisare la domanda chiedendo l'annullamento della deliberazione consiliare impugnata anche ai sensi dell'articolo 2391 c.c. che, peraltro, sarebbe norma generale rispetto alla previsione tempestivamente invocata dell'articolo 2391 bis c.c. relativa ad una fattispecie specifica di conflitto di interessi. Nella memoria istruttoria depositata ai sensi dell'articolo 171 ter numero 2 c.p.c. la società convenuta chiariva, innanzitutto, che la differenza fra l'entità dell'indebitamento post-operazione comunicata al mercato al momento della conclusione dell'accordo e quella resa nota alla data di pubblicazione del piano industriale era dovuta semplicemente al fatto che riflettevano proiezioni di stime riferite a date diverse, la prima, al 31 dicembre 2023 e la seconda alla fine del 2024, mentre il ribasso del titolo era dovuto ad un'ondata speculativa promossa da una serie di hedge fund attraverso una operatività anomala in vendite allo scoperto, del tutto scollegata dall'operazione e dalla comunicazione dei dati sulla riduzione dell'indebitamento. Eccepiva l'inammissibilità della domanda nuova di annullamento della delibera consiliare formulata dalla società attrice, ai sensi dell'articolo 2391 c.c., nella prima memoria di trattazione deducendo per la prima volta fatti costitutivi nuovi e diversi da quelli censurati nell'atto di citazione comportanti un vero e proprio mutamento della causa petendi. Sosteneva, comunque, il difetto di legittimazione della socia attrice ad impugnare la deliberazione sotto il profilo in questione dal momento che la norma, a tutela dell'interesse sociale ad evitare che l'amministratore portatore di un interesse contrastante possa agire in danno del patrimonio sociale, la attribuisce in via esclusiva agli amministratori e al Collegio sindacale. Nel merito contestava la ricorrenza della fattispecie del conflitto di interessi posto che il consigliere G.T. si era astenuto in quanto Presidente del consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti Equity S.p.A. che aveva formulato un'offerta concorrente con quella di K.K.R. e, dunque, per una ragione che non interferiva in alcun modo con l'oggetto della delibera. All'esito dell'udienza di trattazione il giudice, tentata con esito negativo la conciliazione della lite, respingeva le istanze istruttorie delle parti e rimetteva la causa al Collegio per la decisione. Nelle memorie conclusive la società convenuta riferiva che, acquisita il 30 maggio 2024 l'autorizzazione della Commissione Europea, aveva concluso l'operazione oggetto della delibera, il 1 luglio 2024, con la stipulazione dell'atto definitivo di cessione di N. a K.K.R.. Nel corso dell'udienza di discussione, fissata su richiesta della parte attrice ai sensi dell'articolo 275 comma 2 c.p.c., le parti illustravano ciascuna le proprie difese, in particolare sulla persistenza dell'interesse dell'attrice all'impugnazione. *** Le domande proposte da V. nei confronti della società convenuta sono inammissibili per difetto di interesse o di legittimazione all'impugnazione della delibera consiliare. L'impugnazione della delibera consiliare che ha approvato l'offerta di acquisto della c.d N. formulata da K.K.R. proposta dalla socia attrice ai sensi dell'articolo 2388 comma 4 c.c. in relazione ai profili di illegittimità illustrati ai punti a) e b) della motivazione è inammissibile per difetto di interesse giuridico concreto ed attuale alla pronuncia del provvedimento giurisdizionale richiesto, costituente condizione dell'azione, ai sensi dell'articolo 100 c.p.c. La norma richiamata, con funzione di “filtro” delle azioni oggettivamente dirette al conseguimento di un bene della vita rispetto alle azioni a carattere meramente strumentale, impone al giudice di verificare che la domanda giudiziale sia sorretta da un interesse attuale e concreto della parte al provvedimento giurisdizionale richiesto e cioè che sia proposta in funzione del conseguimento di un risultato utile giuridicamente apprezzabile di tutela, non conseguibile senza l'intervento del giudice, essendo esclusa l'ammissibilità del ricorso alla tutela giurisdizionale fondato sulla prospettazione di un diritto meramente eventuale o sulla sollecitazione di una soluzione generale e accademica ad una questione di diritto volta all'elaborazione di regole di comportamento destinate a disciplinare situazioni future meramente ipotetiche ovvero per conseguire un risultato che la parte potrebbe ottenere attivando poteri e facoltà già riconosciutele dall'ordinamento (v. fra le molte Cass. 8.5.2024 numero 12532; Cass. 23.12.2009 numero 27151; Cass. 27.11.1992 numero 12653). Nell'ambito delle azioni costitutive c.d. tipiche e, in particolare, nell'ambito delle azioni volte all'annullamento delle delibere societarie è vero che, di regola, l'interesse ad agire si stempera nella situazione e nelle condizioni prefissate in cui l'ordinamento accorda la tutela giurisdizionale e si suole, quindi, affermare che è “in re ipsa” nella legittimazione a proporre la domanda. Ciò perché la legittimazione ad impugnare la delibera è, in generale, riconosciuta ai soggetti interessati alla conformità alla legge e allo statuto delle decisioni che regolano la vita sociale, in modo tale che la categoria dei soggetti legittimati ad agire coincide con il perimetro dei soggetti interessati alla legittimità delle delibere sociali e, in particolare, l'interesse del socio alla legittimità della delibera è sufficiente all'esercizio concreto dell'impugnativa (v. Cass. 4.12.1996 numero 10814; Cass. 15 marzo 1995 numero 2968; Cass. 13.4.1988 numero 1788). Tuttavia il principio dell'incorporazione dell'interesse ad agire nella legittimazione non vale nell'ambito dell'impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione, regolata dall'articolo 2388 comma 4 c.c. in modo tale da attribuire la legittimazione generale a proporre la domanda di annullamento della delibera non conforme alla legge e allo statuto solo al collegio sindacale e agli amministratori assenti o dissenzienti e da riconoscerla ai soci limitatamente alle delibere lesive dei loro diritti. La norma attribuisce anche al socio il potere di impugnazione della delibera consiliare ma prescrive una legittimazione “rafforzata” a tutela dell'efficienza e della certezza nei confronti dei terzi dell'attività dell'organo amministrativo che, in particolare, con riguardo alla gestione dell'impresa comune difficilmente potrebbe tollerare ostacoli o intralci per effetto di iniziative di disturbo del socio di minoranza, lasciando il presidio dell'impugnazione c.d. di “conformità” in mano agli amministratori assenti o dissenzienti e al collegio sindacale che, come soggetti personalmente responsabili della legittimità della gestione e del suo controllo, sono tenuti ad insorgere avverso le delibere consiliari illegittime. La legittimazione ad impugnare del socio è, dunque, espressamente limitata alla delibera consiliare non conforme a legge o statuto che arrechi pregiudizio alla sua sfera giuridica personale, andando ad incidere direttamente su un suo diritto individuale, amministrativo o patrimoniale, derivante dal contratto sociale e dalla sua posizione all'interno dell'organizzazione sociale che lo contrapponga alla società (v. Tribunale Milano 29.3.2014; Cass. 11.12.2020 numero 28359; Cass. 28.3.1996 numero 2850; Cass. 24.1.1990 numero 420; Cass. 21.5.1988 numero 3544). Non è, quindi, riconosciuta al socio la legittimazione ad impugnare una delibera illegittima del consiglio di amministrazione semplicemente lamentando un pregiudizio riflesso della lesione dell'interesse sociale connesso al mero status di socio. Nel contesto normativo descritto l'interesse del socio ad impugnare la delibera consiliare non può essere ritenuto in re ipsa e coincidente semplicemente con l'interesse alla legittimità dell'attività gestoria e all'eliminazione della delibera non conforme alla legge o allo statuto: l'interesse ad agire si appunta, infatti, sul diritto individuale del socio leso dalla delibera consiliare non conforme nel senso che deve risultare evidente il nesso funzionale tra la pronuncia di annullamento richiesta dal socio e la realizzazione dell'interesse sotteso al diritto leso attraverso la rimozione delle ragioni che lo comprimono. Né si riscontra, perciò, un vuoto di tutela, potendo il socio, nel caso la delibera consiliare sia funzionale ad una decisione assembleare, impugnare quest'ultima e, nel caso dell'omessa convocazione di un'assemblea, chiederla ex articolo 2367 e 125 ter Tuf. Nel caso in esame la socia attrice ha sostenuto la sua legittimazione all'impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione che ha approvato l'offerta di acquisto del ramo d'azienda comprensivo della infrastruttura di rete fissa, lamentando essenzialmente che la decisione dell'organo amministrativo, attraverso una modificazione di “fatto” dell'oggetto sociale statutario vietata dalla disciplina della S.p.A. l'avrebbe “espropriata” del suo diritto di voto nell'assemblea straordinaria che avrebbe dovuto essere convocata per la prodromica modifica formale dello statuto e della possibilità di eventualmente esercitare il diritto di recesso. La deliberazione consiliare impugnata sarebbe, in particolare “ lesiva tanto del diritto di voto, quanto di quello di recesso” in quanto il cda, adottando la decisione “ senza convocare l'assemblea straordinaria al fine di modificare preventivamente l'oggetto sociale ha impedito: non soltanto (i) a tutti i soci di esercitare in questa sede, attraverso il diritto di voto la possibilità di esprimersi sul punto, mantenendo o eliminando il vincolo all'agire degli amministratori rappresentato dall'attuale tenore dell'oggetto sociale; ma anche (ii) a quelli che avessero votato in senso difforme dalla maggioranza, di esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2437 comma 1 lett. a) c.c.” ( v. pag. 38 dell'atto di citazione). E la socia attrice ha, quindi, chiesto che “ il giudice verifichi se gli amministratori si siano mossi nel rispetto dei limiti legali e statutari assegnati ai loro poteri o non abbiano invece violato le regole, legali e statutarie, che sono imperativamente da osservare nei casi in cui l'operazione comporta una radicale alterazione del profilo di rischio prospettato agli azionisti in sede di investimento in conseguenza della cessione di un comparto così significativo, con tutte le connesse competenze e il relativo avviamento, peraltro a favore di una società in cui una partecipazione altrettanto qualificata sarà detenuta dal MEF, che ad oggi è come si dimostrerà, parte correlata di TI.. ” (v. pag. 16 dell'atto di citazione). L'interesse della socia attrice agli accertamenti di “conformità” del comportamento del consiglio di amministrazione alle previsioni di legge e di statuto richiesti si appunta, quindi, sulla prospettata lesione del diritto di voto nell' assemblea straordinaria che avrebbe dovuto essere indetta per la modificazione dell'oggetto sociale statutario e dell'eventuale diritto di recesso che avrebbe potuto essere esercitato dai soci dissenzienti a seconda del suo esito. Tuttavia, mentre non vi sono dubbi sulla ravvisabilità della situazione che legittima il socio all'impugnazione della delibera consiliare illegittima nella lesione del diritto di recesso e del conseguente diritto alla liquidazione da parte della società del valore della partecipazione sociale, la riconducibilità del diritto di voto in assemblea alla categoria dei diritti soggettivi individuali che ove lesi legittimano il socio all'impugnazione ai sensi dell'articolo 2388 comma 4 c.c. è esclusa dalla giurisprudenza di legittimità, che lo annovera fra le posizioni che accomunano tutti i componenti della compagine sociale e che contrappongono le competenze dei due organi sociali e non la posizione individuale di un singolo socio alla società ( Cass. 11.12.2020 numero 28359). Del resto, il diritto di voto è un potere strumentale alla formazione della deliberazione destinato ad esaurire la propria funzione all'interno del procedimento assembleare ed il suo esercizio da parte del socio concorre alla formazione in assemblea della volontà dell'ente e, di per sé, a meno che non ricorrano ipotesi di una sua peculiare connotazione, non gli assicura la realizzazione dell'interesse individuale perseguito. Anche a voler sorvolare sulla questione della riconducibilità del diritto di voto in assemblea alla categoria dei diritti soggettivi individuali la cui lesione legittima il socio all'impugnazione ai sensi dell'articolo 2388 comma 4 c.c. la semplice prospettazione ipotetica ed eventuale delle posizioni soggettive lese dalla deliberazione consiliare impugnata evidenzia l'assenza di un concreto ed attuale interesse alla pronuncia di annullamento richiesta e la mera rilevanza accademica dei “quesiti” posti al giudice sull'accertamento della legittimità dell'operato del consiglio di amministrazione sotto il profilo dell'osservanza del perimetro dei poteri gestori nella situazione descritta. Infatti, tanto in relazione alla lamentata lesione del diritto di voto tanto in relazione alla lesione dell'eventuale diritto di recesso a fronte della modificazione non condivisa dell'oggetto sociale, indispensabile ai fini dell'esistenza dell'interesse ad impugnare la deliberazione consiliare è che il socio prospetti come certa almeno l'espressione del suo voto in dissenso che, a voler seguire l'impostazione della socia attrice, è l'unica facoltà effettivamente compromessa dalla deliberazione del consiglio di amministrazione elusiva della competenza assembleare. Solo l'espressione del diritto di voto in dissenso viene, infatti, preclusa dalla delibera consiliare elusiva del diritto del socio di esprimersi in assemblea sulla modificazione dell'oggetto sociale in modo tale da maturare il diritto di recesso che è, altrimenti, solo una prerogativa astratta riconosciuta dall'ordinamento ai soci al verificarsi delle condizioni previste dall'articolo 2437 comma 1 lett. a). Al riguardo, mai nel corso del giudizio V. ha prospettato la volontà di esprimere nell'eventuale assemblea indetta per la modificazione dell'oggetto sociale prodromica all'operazione di dismissione dell'infrastruttura di rete fissa un voto dissenziente e, anche nel corso dell'interrogatorio libero, il suo legale rappresentante si è limitato a ribadire che V., con l'introduzione del presente giudizio, mirava semplicemente ad ottenere la convocazione dell'assemblea per acquisire in quella sede maggiori informazioni sull'operazione (v. verbale dell'udienza del 21 maggio 2024). La socia attrice si è ben guardata dal prospettare l'intento di esprimere un voto dissenziente alla modifica dell'oggetto sociale, preferendo lamentarsi della mancata celebrazione dell'assemblea straordinaria che, peraltro, ben avrebbe potuto richiedere ai sensi dell'articolo 2367 c.c. e dell'articolo 125 ter comma 3 del Tuf. Le norme richiamate consentono, infatti, al socio che rappresenti almeno un ventesimo del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio di richiedere la convocazione dell'assemblea, con la previsione dell'onere di svolgere in luogo degli amministratori la relazione sulle materie all'ordine del giorno da trattare che la socia attrice ben avrebbe potuto assolvere attraverso l'illustrazione, sulla base degli elementi all'epoca noti, delle ragioni di incompatibilità dell'operazione di dismissione con l'oggetto sociale così come diffusamente esposte nel corso del presente giudizio. In mancanza della prospettazione dell'intento di esprimere un voto dissenziente alla formale modificazione dell'oggetto sociale che sarebbe stato frustrato dalla delibera consiliare elusiva del dovere di sottoporre la questione all'assemblea, deve escludersi la configurabilità anche solo potenziale della prospettata lesione del diritto di recesso di cui all'articolo 2437 comma 1 lett. a) c.c. e l'esistenza di un interesse giuridico della socia attrice, concreto e attuale, all'impugnazione e all'annullamento della deliberazione consiliare. Nell'impossibilità di configurare in conseguenza della deliberazione consiliare impugnata la lesione anche solo potenziale di un diritto individuale attuale e concreto della socia attrice, l'interesse a che con il suo annullamento si “ fissi anche la regola di condotta degli amministratori per il futuro” in relazione al dovere di non dare corso agli impegni assunti dalla società con atti negoziali inefficaci ( v. memoria ex articolo 171 ter numero 1 c.p.c. di parte attrice a pag. 30) sostanzialmente coincide con l'interesse sociale alla legittimità della gestione di cui, in questo contesto, sono depositari solo gli amministratori dissenzienti e il collegio sindacale e non vale, quindi, a sorreggere l'impugnazione proposta dall'attrice nella sua qualità di socia. In sintesi la socia V. è priva di interesse giuridico attuale e concreto all'impugnazione della deliberazione del consiglio di amministrazione di TI. sotto i profili descritti ai punti a) e b) non avendo neanche osato preannunciare la volontà di opporsi, nell'eventualità della convocazione dell'assemblea, all'adozione delle decisioni sull'oggetto sociale che ritiene prodromiche all'attuazione di un'operazione di dismissione dettata dalla incontestata necessità di ridurre drasticamente, riportandola entro limiti di sostenibilità, l'imponente esposizione debitoria gravante sul futuro dell'ex monopolista delle telecomunicazioni. In conclusione, l'impugnazione della delibera consiliare in relazione ai motivi di illegittimità dedotti ai punti a) e b) proposta dalla socia attrice deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse giuridico attuale e concreto alla pronuncia di annullamento. Nella declaratoria di inammissibilità della domanda di annullamento della deliberazione consiliare sotto i profili evidenziati resta assorbita ogni questione dibattuta dalle parti sull'azione di accertamento dell'inopponibilità ed inefficacia nei confronti di TI. per difetto di rappresentanza degli atti negoziali compiuti dagli amministratori in esecuzione della delibera impugnata, a cui è, con ogni evidenza, legittimata solo la TI. sul fronte esterno dei suoi rapporti contrattuali con i terzi, unico ambito in cui si possono giuridicamente declinare le categorie dell'inefficacia e dell'inopponibilità del negozio. La domanda di annullamento della delibera consiliare per l'illegittimità derivante sotto il profilo procedimentale dalla mancata acquisizione del parere del Comitato Operazioni Parti Correlate in violazione della disciplina prevista dall'articolo 2391 bis c.c. e dal regolamento interno della TI. adottato in conformità ai principi generali indicati dalla Consob nel Regolamento del 12.3.2010 numero 17221 per assicurare la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate è inammissibile per difetto della condizione dell'azione costituita dalla legittimazione all'impugnazione. La disposizione si pone come norma di chiusura del sistema di protezione della società da comportamenti degli amministratori contrari all'interesse sociale dettati dalla necessità di favorire un interesse proprio o altrui confliggente delineato in generale dall'articolo 2391 c.c. e prevede una disciplina speciale a tutela delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e dei loro investitori in relazione ad una particolare tipologia di operazioni “interessate” costituita dalle operazioni compiute dalla società emittente con parti correlate, cioè ad essa legate da rapporti societari o contrattuali di controllo o collegamento, ove possono trovarsi in conflitto l'interesse sociale alla creazione di profitto per tutti gli azionisti e l'interesse della parte correlata alla massimizzazione del proprio utile personale e ove il rapporto di correlazione potrebbe consentire alla parte correlata di condizionare il processo decisionale dell'organo amministrativo piegandolo a proprio vantaggio. Attraverso il rinvio alla disciplina regolamentare della Consob la norma in esame detta una disciplina oltremodo complessa ed analitica volta ad assicurare la correttezza procedurale e sostanziale delle operazioni con parti correlate attraverso prescrizioni diverse secondo il loro grado di rilevanza economica a cui si accompagnano penetranti obblighi informativi nei confronti del pubblico prescritti dal regolamento della Consob ai sensi dell'articolo 114 comma 5 del Tuf, ma non prevede alcunché di specifico in relazione ai rimedi esperibili a fronte dell'inosservanza delle regole in questione da parte del consiglio amministrazione nell'attuazione di un'operazione con parte correlata. Ferma restando l'ovvia esposizione dell'organo amministrativo alle azioni di responsabilità della società o dei soci ove l'operazione con parte correlata dovesse rivelarsi non conveniente e dannosa per la società e per le posizioni individuali degli investitori, il regime dell'impugnazione della decisione assunta in mancanza o in difformità dal parere espresso dall'apposito comitato di esperti indipendenti deve essere mutuato dalla previsione generale dell'articolo 2391 c.c. relativa alle decisioni assunte dall'organo amministrativo in conflitto di interesse di cui, come ricordato anche dalla società attrice nella memoria di trattazione (v. memoria depositata ai sensi dell'articolo 171 ter numero 1 c.p.c. a pag. 24), la fattispecie delle operazioni con parti correlate costituisce una specificazione. L'articolo 2391 c.c., a sua volta, sottopone ad un regime speciale rispetto a quello generale previsto dall'articolo 2388 comma 4 c.c. l'impugnazione della delibera consiliare dannosa per la società adottata in violazione della disciplina del conflitto di interesse, riservando solo agli amministratori ed al Collegio sindacale la legittimazione ad agire per l'accertamento della sua invalidità. La limitazione della platea dei soggetti legittimati all'impugnazione ha carattere tassativo e, se in linea generale è portato della natura della delibera consiliare adottata in conflitto di interesse potenzialmente lesiva dell'interesse sociale e solo di riflesso dell'interesse dei soci, riferita alla norma speciale sulle operazioni con parti correlate nelle società quotate è funzionale anche alla necessità di prevenire il pericolo della paralisi dell'attività dell'organo gestorio insito nell'esposizione dell'emittente, caratterizzata da una maggioranza poco reattiva di azionariato polverizzato, ad impugnazioni strumentali non solo del socio di minoranza titolare di una porzione esigua del capitale sociale ma anche del socio detentore del pacchetto di controllo che, come nel caso in esame, sia in conflitto con il consiglio di amministrazione. Né il sistema normativo vigente che ha colmato le lacune della disciplina antecedente alla riforma del 2003 dettando un regime compiuto dell'impugnazione delle delibere consiliari attraverso le previsioni dell'articolo 2388 comma 4 c.c. e dell'articolo 2391 c.c., consente l'applicazione analogica delle previsioni tassative sulla legittimazione. L'osservanza della disciplina delle operazioni con parti correlate sotto il profilo della loro potenziale dannosità per gli investitori che subiscono di riflesso il pregiudizio al patrimonio sociale che dovesse derivarne ed eventualmente il pregiudizio incidente sulle scelte di disinvestimento dovuto all'asimmetria informativa è, comunque, adeguatamente presidiata dalle norme sulla responsabilità dell'organo amministrativo e dalle norme che irrogano le sanzioni pubblicistiche connesse alla violazione degli obblighi informativi a tutela degli investitori così che nella restrizione agli amministratori ed al collegio sindacale del novero dei soggetti legittimati all'impugnazione della delibera consiliare non si ravvisano ragioni evidenti di contrasto con le previsioni della normativa europea sottesa all'introduzione nell'ordinamento della previsione dell'articolo 2391 bis c.c. L'impugnazione della delibera consiliare sotto il profilo in questione deve essere, pertanto, dichiarata inammissibile per difetto di legittimazione della socia attrice a proporla. Deve, infine, essere dichiarata inammissibile l'impugnazione tardivamente proposta solo con la prima memoria di trattazione dalla socia attrice ai sensi dell'articolo 2391 c.c. per la violazione della disciplina del conflitto di interesse in relazione alla posizione del consigliere G.T., non potendo ritenersi la domanda scaturita dalle eccezioni svolte dalla società convenuta. La società attrice, a prescindere dalla disponibilità o meno del verbale della seduta conclusasi con la deliberazione impugnata, non poteva ignorare la presenza nel consiglio di amministrazione della TI. del consigliere G.T. né il fatto che fosse al contempo Presidente del consiglio di amministrazione della socia Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. coinvolta nell'operazione tramite l'ente controllante ed aveva, quindi, tutti gli elementi necessari per introdurre tempestivamente l'azione di annullamento lamentando, proprio in mancanza del verbale, il difetto di adeguata motivazione delle ragioni e della convenienza per la società dell'operazione in violazione della previsione dell'articolo 2391 c.c. L'introduzione tardiva di una nuova azione di annullamento della delibera consiliare fondata su fatti costitutivi completamente diversi da quelli dedotti nell'atto di citazione si risolve in una evidente violazione del contraddittorio posto che la società convenuta, in una causa complessa dai risvolti di particolare rilevanza economica, si è vista maturare le preclusioni istruttorie prima ancora della completa definizione dell'oggetto del processo. Tutte le domande proposte dalla società attrice devono essere dichiarate inammissibili. La soccombenza implica la condanna della società attrice V. SE al pagamento a favore della società convenuta TI. S.p.A. delle spese processuali che si liquidano, avuto riguardo ai valori massimi dei parametri previsti in relazione al valore indeterminato di particolare importanza della causa, in € 33.686 per compenso oltre al 15% per spese generali ed oneri di legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, nella causa numero 44320/2023 promossa da V. S.E. contro T. S.p.A., con atto di citazione notificato il 15.12.2023 disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: 1) dichiara inammissibili le domande proposte da V. s.e. nei confronti della T. S.p.A. per difetto delle condizioni dell'azione dell'interesse o della legittimazione ad agire; 2) condanna V. s.e. al pagamento a favore di T. S.p.A. delle spese processuali che liquida in € 33.686 per compenso oltre al 15% per spese generali ed oneri di legge.