Il comune può impedire l’affissione di manifesti contrari alla pillola abortiva. Questo, in sintesi, quanto emerge dalla sentenza numero 362/2025 del Consiglio di Stato, chiamato a decidere una vertenza di un’associazione contro l’amministrazione comunale di Rimini.
La vicenda La vicenda portata all'attenzione di palazzo Spada origina dalla sentenza del TAR per l'Emilia-Romagna che aveva respinto il ricorso proposto da una ONLUS contro il comune di Rimini per l'annullamento della delibera della giunta che aveva negato l'affissione dei manifesti anti-aborto commissionati dall'associazione ricorrente, nell'ambito della campagna promossa sull'intero territorio nazionale, per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della pillola abortiva. I manifesti, in particolare, rievocando la nota favola di Biancaneve, ritraevano l'immagine di una donna stesa per terra, apparentemente addormentata con accanto una mela rossa. Il tutto corredato dalle scritte contro la suddetta pillola abortiva RU486. La ONLUS proponeva appello sulla base di tre motivi di gravame, dolendosi essenzialmente, dell' incompetenza assoluta o relativa della giunta comunale , violazione della Cedu e del principio di legalità. Incompetenza della Giunta Quanto all'incompetenza assoluta della giunta e alla carenza di potere rispetto al diniego di autorizzazione , l'associazione appellante deduce che in nessuna parte delle norme di legge e regolamentari che disciplinano il servizio delle pubbliche affissioni sarebbe prevista una «sorta di autorizzazione all'affissione». Quanto all' incompetenza relativa , invece, l'associazione sostiene che, se anche si potesse configurare un autonomo potere autorizzativo in capo all'amministrazione comunale, rispetto all'affissione di manifesti, questo non risiederebbe assolutamente in capo alla giunta, come invece ritenuto dal TAR, la quale avrebbe dunque adottato un « atto gestionale, al di fuori delle ipotesi tassative previste dalla legge, perciò viziato di incompetenza ». Nemmeno si potrebbe ipotizzare, a dire dell'appellante, un potere “autonomo” della giunta, circa il preteso intervento autorizzativo, in “sostituzione” di quello dirigenziale fissato dalla legge e dallo stesso Regolamento comunale e che non si verterebbe neppure in fattispecie di provvedimenti contingibili e urgenti, che comunque spetterebbero al sindaco. Per palazzo Spada, tuttavia, il motivo è infondato. «Premesso che la legge riconosce all'amministrazione comunale, sulla scorta di esigenze di pubblico interesse, il potere di stabilire limitazioni e divieti a particolari forme pubblicitarie articolo 3 d.lgs. numero 507/1993 richiamato da ultimo da Cons. Stato, VII, 4 luglio 2024 numero 5930 – scrivono i giudici - non è rilevante che il Regolamento comunale per l'imposta sulla pubblicità e sul diritto sulle pubbliche affissioni non contenga norme specifiche, perché queste sono presenti in altri testi di legislativi e regolamentari applicabili, puntualmente richiamati nella delibera di giunta impugnata». Nel caso di specie, inoltre, il regolamento del comune di Rimini prevede il divieto di installare in tutto il territorio mezzi pubblicitari che non rispettano il Codice di autodisciplina delle comunicazioni commerciali , in quanto contenenti messaggi di violenza, volgarità, o comunque volti a sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale, ricorrendo «a richiami scioccanti» tali da ingenerare ingiustificati allarmismi, paura o turbamento, o anche di presentare in modo esagerato il grado o la natura del problema. L'articolo 1 del regolamento comunale impone, altresì, il rispetto delle disposizioni dell' articolo 23, comma 4, del d.lgs. 30 aprile 1992, numero 285 Codice della strada «che attribuisce la competenza per l'autorizzazione all'ente proprietario della strada e per l'interno dei centri abitati ai comuni». Sebbene il comma 4 bis del richiamato articolo 23, che prevede il divieto di pubblicità contenenti messaggi sessisti, violenti, offensivi, o comunque discriminatori, sia stato inserito dopo i fatti di causa, osserva il Cds, «esso va ritenuto espressione di un indirizzo dell'ordinamento nel suo complesso volto a consentire siffatta tipologia di controllo all' autorità preposta al rilascio della relativa autorizzazione ». Per cui, dopo aver delineato il quadro normativo di riferimento, i giudici ritengono “privo di pregio” l'assunto dell'appellante sull'autorizzazione o controllo preventivo circa la diffusione al pubblico con le forme e/o i mezzi della pubblicità commerciale di messaggi a carattere sociale. «Questo è esercitabile, nei limiti segnati dalle richiamate disposizioni, onde impedire che il messaggio del quale è chiesta la diffusione pubblicitaria incorra in uno o più dei divieti» enunciati. Escluso quindi il vizio di incompetenza assoluta, non sussiste nemmeno quello dell' incompetenza relativa . In merito, infatti, con specifico riguardo alla competenza “residuale” di cui all' articolo 48 del d.lgs. 18 agosto 2000, numero 267 , richiamato nella deliberazione impugnata, il Consiglio di Stato ha di recente affermato che «la circostanza che il Comune possa approvare o abbia invero emanato un regolamento in materia non esclude l'adozione di atti d'indirizzo, con il solo limite che questi siano rispettosi del primo e, ovviamente, delle altre fonti sovraordinate da una lettura congiunta dell' articolo 107 e dell'articolo 48 del TUEL emerge infatti una generale competenza della Giunta all'adozione di atti d'indirizzo rispetto alla concreta gestione amministrativa , finanziaria e tecnica demandata ai dirigenti così Cons. Stato, II, 19 settembre 2024, numero 7687 ». Il principio è perfettamente applicabile al caso in esame. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, non si è trattato, da parte della Giunta del Comune di Rimini, né dell'esercizio di poteri di indirizzo esclusivamente politico, né dell'esercizio di un'attività riservata ai dirigenti. «Non è in violazione di legge l'applicazione, da parte dell'amministrazione, degli articolo 48 del d.lgs. numero 267 del 2000 e 17 dello Statuto del Comune di Rimini, trattandosi di interpretare a fini applicativi, anche futuri, la normativa regolamentare comunale in un caso inedito e peculiare, per il quale si giustificava una presa di posizione che indicasse i principi e le norme ulteriori di riferimento per il servizio affissioni, perciò non rientrante nella corrente attività di ordinaria gestione amministrativa» aggiungono dal Cds, ritenendo perfettamente rientrante, come già affermato dal TAR, l'atto de quo nella competenza residuale della giunta comunale. Violazione CEDU Nulla di fatto neanche sul fronte dell'asserita violazione dell'articolo 10 della Cedu e dell'articolo 21 della Costituzione. Non vi è, per i giudici amministrativi, l'asserita “ forma di censura preventiva ” nella deliberazione impugnata, in violazione delle norme suddette. Il Cds, richiamando una recente pronuncia in una controversia analoga, per la conduzione della medesima campagna dell'associazione nel comune di Roma Capita, afferma che «la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo al pari della Corte costituzionale italiana ha costantemente sottolineato che la libertà di espressione non sia illimitata e assolutamente non controllata , ma, comportando doveri e responsabilità , può essere sottoposta dall'autorità pubblica anche a formalità , condizioni ovvero restrizioni, le quali, proprio in una società democratica, appaiono misure necessarie a proteggere l'interesse pubblico superiore e la reputazione ovvero i diritti altrui» cfr. Cds numero 5930/2024 . Alla stregua della richiamata posizione della Corte Europea dei diritti dell'Uomo, ma anche della copiosa giurisprudenza della Corte Costituzionale, espressa pure nei precedenti richiamati in ricorso, l'esplicazione della libertà di manifestazione del pensiero non incontra solo i limiti della violenza e dell'aggressività verbale ma va attribuita pari rilevanza anche alla “continenza espressiva” dei contenuti , nonché dei principi di prudenza e precauzione volti ad evitare impatti sulla sensibilità dei fruitori del messaggio e a garantirne la chiara corrispondenza al vero. In tale duplice prospettiva «di legalità e di rispetto della continenza espressiva, si esplica il potere dell'amministrazione di sindacare il contenuto e le modalità del messaggio». Per cui, la valutazione del TAR che ha ritenuto i manifesti idonei a ingenerare in maniera ingiustificata allarme per la salute e la vita delle donne, veicolando un messaggio fuorviante su un farmaco peraltro approvato dal ministero della Salute, per il Cds, è conforme anche in questo caso. Violazione del principio di legalità Infondato anche l'ultimo motivo di censura su una presunta violazione della riserva di legge, in quanto sarebbero inapplicabili, secondo l'appellante, i d.lgs. numero 145 e 146 del 2 agosto 2007 , in materia di pubblicità ingannevole , riferiti alla pubblicità commerciale in senso stretto e non alla comunicazione sociale. Inoltre, sostiene l'associazione che il regolamento comunale non prevede che il comune possa negare l'autorizzazione all'affissione, in virtù di una valutazione sul merito del contenuto del messaggio sociale, né tanto meno il Codice di autodisciplina possa essere applicato al messaggio sociale stesso ma soltanto ad alcuni tipi di pubblicità commerciale. Il Cds dissente anche in tal caso, dichiarando innanzitutto che l' articolo 3 del d.lgs. 15 novembre 1993, numero 507 vigente ratione temporis «consente all'amministrazione di disciplinare con regolamento le modalità di effettuazione della pubblicità e di stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse». Quanto al regolamento adottato dal comune di Rimini, lo stesso, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, serve a disciplinare ogni tipo di comunicazione pubblicitaria , quindi anche quella a contenuto sociale, destinata a veicolare messaggi per il tramite degli impianti pubblicitari comunali. Pertanto, conclude il Consiglio di Stato, è pertinente il richiamo, contenuto nella delibera impugnata, «dei decreti legislativi numero 145 e numero 146 del 2 agosto 2007, in quanto, pur riferiti ad attività commerciali, dettano principi generali applicabili alla pubblicità, stabilendo che debba rispondere a canoni di trasparenza, verità e correttezza , e vietano qualsiasi forma di pubblicità ingannevole, intesa come quella idonea ad indurre in errore le persone cui è rivolta o che raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, ne possa pregiudicare il comportamento». La decisione L'appello, quindi, è integralmente respinto e le spese processuali compensate, per la novità delle questioni trattate.
Presidente Caringella - Relatore Barreca Fatto e diritto 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna ha respinto il ricorso proposto dall'Associazione Pro Vita & Famiglia onlus contro il Comune di Rimini per l'annullamento della deliberazione della Giunta comunale numero 376 del 15 dicembre 2020 avente ad oggetto “Domanda di affissione manifesti anti-aborto presentata dalla associazione Pro Vita & Famiglia. Adozione provvedimenti conseguenti”, che aveva negato l'affissione di manifesti commissionati dall'Associazione ricorrente. Le spese processuali sono state compensate. 2. L'Associazione Pro Vita e Famiglia Onlus ha proposto appello con tre motivi, riproduttivi delle censure del ricorso di primo grado, in chiave critica rispetto alla motivazione di rigetto della sentenza gravata. Il Comune di Rimini si è costituito per resistere all'appello. 2.1. All'udienza del 17 ottobre 2024 la causa è stata assegnata a sentenza, previo deposito di memorie e repliche delle parti. 3. Va premesso che - la controversia ha ad oggetto il diniego di affissione di manifesti nel Comune di Rimini, nell'ambito della campagna promossa dall'Associazione Pro Vita & Famiglia Onlus sull'intero territorio nazionale, per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della pillola abortiva RU486 - in particolare, in data 2 dicembre 2020, l'Associazione Pro Vita & Famiglia ha inoltrato, tramite e-mail all'Ufficio affissioni del Comune di Rimini, una richiesta di affissioni per numero 100 manifesti del formato 70x100, provvedendo al pagamento dei relativi diritti di affissione per la somma di euro 67.00 - i manifesti in oggetto ritraevano l'immagine di una donna stesa per terra, apparentemente priva di coscienza o addormentata con una mela rossa accanto rievocando la nota favola di Biancaneve , accompagnata dalle scritte “Prenderesti mai del veleno? Stop alla pillola abortiva RU486. Mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio nel grembo” in caratteri più piccoli, nell'angolo inferiore destro, i manifesti recavano inoltre il testo “Campagna di sensibilizzazione promossa da Pro Vita & Famiglia Onlus per la tutela del diritto fondamentale alla vita articolo 2 Cost. e del diritto alla salute articolo 32 Cost. sui rischi della somministrazione della pillola RU486. Questa affissione costituisce espressione del diritto alla manifestazione del pensiero articolo 21 Cost. finalizzata a suscitare un dibattito plurale e la riflessione critica. Non è idonea a ledere diritti e libertà positivamente previsti dalla legge” -in data 15 dicembre 2020 è intervenuta la deliberazione de qua della Giunta comunale, negando “l'affissione dei manifesti commissionati dall'associazione Pro Vita & Famiglia, riconoscendo alla stessa il rimborso del diritto versato […]”. 3.1. Col primo motivo rubricato “Violazione di legge per violazione e comunque erronea applicazione dell' articolo 2, Cost. degli articolo 48 e 107 del D. Lgs. 18 agosto 2000, numero 267 . Violazione di legge per violazione e comunque erronea applicazione del D. Lgs. 15 novembre 1993, numero 507 articolo 18 e ss. e successiva L. 27 dicembre 2019 numero 160 . Incompetenza assoluta e relativa.” si eccepisce, anche in appello, l'incompetenza assoluta o relativa della Giunta Comunale. 3.1.1. Quanto all'incompetenza assoluta della Giunta e la carenza di potere rispetto al diniego di autorizzazione, l'associazione appellante deduce che in nessuna parte delle norme di legge e regolamentari che disciplinano il servizio delle pubbliche affissioni sarebbe prevista una “sorta di autorizzazione all'affissione”. Si richiamano il d.lgs. 15 novembre 1993, numero 507 sulle pubbliche affissioni in particolare gli articolo 18 e ss. , il Regolamento comunale per l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni in particolare il capo IV, articolo 23 e ss. e la legislazione successiva di cui alla legge 27 dicembre 2019, numero 160 , onde escludere che vi sia la previsione di un'autorizzazione all'affissione. 3.1.2. Quanto all'incompetenza relativa, l'associazione appellante sostiene che, se anche si potesse configurare un autonomo potere autorizzativo in capo all'amministrazione comunale, rispetto all'affissione di manifesti, questo non risiederebbe assolutamente in capo alla Giunta, come invece ritenuto dal T.a.r. Ad avviso dell'appellante, lo stesso dato normativo richiamato nella deliberazione di Giunta impugnata, ossia l' articolo 48 del d.lgs. numero 267/2000 , in connessione con il richiamo in esso operato all' articolo 107 del medesimo d.lgs. numero 267/2000 , permetterebbe di rilevare e far valere l'eccezione di incompetenza della Giunta, in quanto gli organi politici consiglio comunale, giunta e sindaco hanno funzione di programmazione, indirizzo e controllo e non esercitano direttamente competenze gestionali che sono svolte invece dai dirigenti o, nei comuni sprovvisti di dirigenti, dai dipendenti a cui il sindaco abbia conferito incarichi di responsabilità di uffici o servizi, incarichi equiparati, ai soli fini della capacità di legittimazione e di rappresentanza dell'ente, a quelli dirigenziali articolo 109, comma 2, Tuel Cons. Stato, numero 4192/2013 . Nel caso di specie, si sarebbe trattato dell'adozione, da parte della Giunta comunale, di un atto gestionale, al di fuori delle ipotesi tassative previste dalla legge, perciò viziato di incompetenza. L'appellante aggiunge che non si potrebbe ipotizzare nemmeno un potere “autonomo” della Giunta, circa il preteso intervento autorizzativo, in “sostituzione” di quello dirigenziale fissato dalla legge e dallo stesso Regolamento comunale e che non si verterebbe nemmeno in fattispecie di provvedimenti contingibili e urgenti, che comunque spetterebbero al Sindaco. 3.1.3. In merito alla posizione difensiva del Comune di Rimini, condivisa dal T.a.r., secondo cui alla Giunta “spetta una competenza generale e residuale”, l'appellante deduce che - in primo luogo, non esisterebbe alcun potere di autorizzazione dei messaggi sociali in capo alla p.a., né sono previsti la rimozione o l'oscuramento dei manifesti in ragione del loro contenuto un'eventuale decisione in tali sensi della Giunta comunale, anche nella sua competenza “politico-amministrativa” residuale, comporterebbe una censura non ammessa, poiché in violazione, non solo dell' articolo 21, comma 1, della Costituzione , ma anche del comma 2, in quanto i manifesti di comunicazione sociale godono della tutela prevista per la libertà di stampa come da giurisprudenza costituzionale richiamata nell'atto di appello - in secondo luogo, anche la competenza “residuale” della Giunta si riferirebbe alle “funzioni degli organi di governo” ben distinte dalle “funzioni e responsabilità della dirigenza”, così come precisate dall'articolo 107 del d.lgs. numero 167/2000, e, come ribadito, l'attività in oggetto autorizzazione all'affissione sarebbe attività “tipica” di ordinaria gestione amministrativa che spetta ai dirigenti arg. ex articolo 107, comma 3, cit. ed ex articolo 28, comma 3, del Regolamento del Comune di Rimini . 3.2. Il motivo è infondato. Le argomentazioni dell'appellante si basano per lo più sull'asserita mancanza di disposizioni pertinenti nel decreto legislativo 15 novembre 1993, numero 507 sulle pubbliche affissioni, nonché nella legge 27 dicembre 2019, numero 160 e nel Regolamento del Comune di Rimini per l'imposta sulla pubblicità e sul diritto sulle pubbliche affissioni, approvato con deliberazione di C.comma numero 126 del 30.06.1994 e s.m.i Premesso che la legge riconosce all'amministrazione comunale, sulla scorta di esigenze di pubblico interesse, il potere di stabilire limitazioni e divieti a particolari forme pubblicitarie articolo 3, d.lgs. numero 507/1993 richiamato da ultimo da Cons. Stato, VII, 4 luglio 2024 numero 5930 , su cui infra , non è rilevante che il Regolamento comunale per l'imposta sulla pubblicità e sul diritto sulle pubbliche affissioni non contenga norme specifiche, perché queste sono presenti in altri testi di legislativi e regolamentari applicabili, puntualmente richiamati nella delibera di Giunta impugnata. In particolare rileva che, come sottolineato dalla difesa civica, sia stata richiesta l'affissione di messaggi pubblicitari su impianti di proprietà comunale. Al riguardo il Regolamento del Comune di Rimini per la disciplina degli impianti di pubblicità e propaganda e degli altri mezzi pubblicitari sulle strade e sulle aree pubbliche e di uso pubblico, così come modificato da ultimo con deliberazione del C.comma numero 17 del 27.04.2017, prevede all'articolo 1 bis il divieto di installare in tutto il territorio comunale, tra gli altri, < < mezzi pubblicitari di ogni tipo il cui messaggio pubblicitario non rispetti i principi espressi dal codice di autodisciplina delle comunicazioni commerciali relativi a ‘violenza, volgarità, indecenza', ‘convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona', ‘giochi con vincita in denaro'> > primo comma , nonché il divieto di effettuare in tutto il territorio comunale < < qualsiasi forma di pubblicità anche fonica contrastante con i principi del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale richiamati dal comma 1> > comma 2 , con la precisazione che “analogo divieto sussiste qualora di tali comunicazioni venga richiesta l'affissione sugli impianti comunali” comma 4 . Il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, a sua volta, oltre ai principi richiamati dal Regolamento comunale riminese, contiene un titolo VI intitolato alla “Comunicazione sociale”, nel quale si colloca l'articolo 46 Appelli al pubblico , che è espressamente citato – unitamente agli articolo 1 e 2 dello stesso Codice – nella delibera di Giunta impugnata ed anzi in questa riportato pressoché per intero. L'articolo 46 estende l'applicazione delle norme del Codice di autodisciplina a “qualunque messaggio volto a sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale” primo comma , disponendo al terzo comma che i messaggi, non devono, tra l'altro “a […] ricorrere a richiami scioccanti tali da ingenerare ingiustificatamente allarmismi, sentimenti di paura o di grave turbamento b colpevolizzare o addossare responsabilità a coloro che non intendono aderire all'appello c presentare in modo esagerato il grado o la natura del problema sociale per il quale l'appello viene rivolto […]”. Inoltre, l'articolo 1 del detto Regolamento comunale impone espressamente il rispetto delle disposizioni dell' articolo 23, comma 4, del d.lgs. 30 aprile 1992, numero 285 Codice della strada “che attribuisce la competenza per l'autorizzazione all'ente proprietario della strada e per l'interno dei centri abitati ai comuni”. Sebbene il comma 4 bis del richiamato articolo 23 che prevede che “È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell'appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all'orientamento sessuale, all'identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche.” sia stato inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera a-quater, numero 1, del d.l. 10 settembre 2021, numero 121 , convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2021 numero 156 , quindi dopo i fatti di causa, esso va ritenuto espressione di un indirizzo dell'ordinamento nel suo complesso volto a consentire siffatta tipologia di controllo all'autorità preposta al rilascio della relativa autorizzazione. 3.2.1. Essendo quello delineato il quadro normativo di riferimento – ferma l'applicazione delle menzionate disposizioni al caso di specie, di cui si dirà approfonditamente trattando del terzo motivo di appello – appare privo di pregio l'assunto dell'Associazione appellante che la diffusione al pubblico con le forme e/o i mezzi della pubblicità commerciale di messaggi a carattere sociale non sia soggetta ad alcun tipo di autorizzazione o controllo preventivo. Questo è esercitabile, nei limiti segnati dalle richiamate disposizioni, onde impedire che il messaggio del quale è chiesta la diffusione pubblicitaria incorra in uno o più dei divieti di cui sopra. 3.2.2. Escluso quindi il vizio di incompetenza assoluta, non sussiste nemmeno l'incompetenza relativa della Giunta. In proposito, e con specifico riguardo alla competenza “residuale” di cui all' articolo 48 del d.lgs. 18 agosto 2000 numero 267 , richiamato nella deliberazione impugnata a supporto della ritenuta propria competenza da parte della Giunta comunale di Rimini, questo Consiglio di Stato ha di recente affermato che “la circostanza che il Comune possa approvare o abbia invero emanato un regolamento in materia non esclude l'adozione di atti d'indirizzo, con il solo limite che questi siano rispettosi del primo e, ovviamente, delle altre fonti sovraordinate da una lettura congiunta dell'articolo 107 secondo cui ai dirigenti spettano i compiti di gestione e agli organi di governo dell'Ente le funzioni d'indirizzo e controllo e dell' articolo 48 del TUEL secondo cui la Giunta compie tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati al Consiglio comunale o al Sindaco emerge infatti una generale competenza della Giunta all'adozione di atti d'indirizzo rispetto alla concreta gestione amministrativa, finanziaria e tecnica demandata ai dirigenti.” così Cons. Stato, II, 19 settembre 2024, numero 7687 . Il principio è perfettamente applicabile al caso in esame. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, non si è trattato, da parte della Giunta del Comune di Rimini, né dell'esercizio di poteri di indirizzo esclusivamente politico che spetterebbero tutt'al più al Consiglio comunale, né dell'esercizio di un'attività riservata ai dirigenti, nemmeno in “sostituzione” di questi ultimi. La deliberazione numero 376 del 15 dicembre 2020, pur occasionata dal caso specifico, ben può essere interpretata come atto di indirizzo politico-amministrativo che la Giunta comunale ha inteso fornire alla dirigenza amministrativa al fine della corretta applicazione delle norme regolamentari predette e quindi del corretto esercizio dei compiti di cui all'articolo 107, lett. f , TUEL , riguardante “i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo”. Non è in violazione di legge l'applicazione, da parte dell'amministrazione, degli articolo 48 del d.lgs. numero 267 del 2000 e 17 dello Statuto del Comune di Rimini, trattandosi di interpretare a fini applicativi, anche futuri, la normativa regolamentare comunale in un caso inedito e peculiare, per il quale si giustificava – in mancanza di un'interpretazione o una prassi applicativa consolidate presso la dirigenza – una presa di posizione che indicasse i principi e le norme ulteriori di riferimento per il servizio affissioni, perciò non rientrante nella corrente attività di ordinaria gestione amministrativa. In tale prospettiva - non certo in quella sostenuta dall'appellante di un intervento politico censorio - si comprende che il T.a.r. abbia ritenuto che, “considerata la peculiarità della fattispecie in esame e le ragioni del diniego di affissione dei manifesti commissionati dalla Associazione pro vita – l'atto in questione rientri nella competenza residuale della Giunta comunale”, trattandosi “di questione peculiare e di ben più ampia portata”. Merita tuttavia precisare, a parziale correzione della motivazione, che non si tratta di un intervento di “carattere straordinario” perché espressione della “presa di posizione” dell'amministrazione “su tale peculiare profilo concernente la rilevantissima e divisiva questione sociale e sanitaria dell'aborto”, quanto piuttosto perché l'ordinaria competenza dirigenziale è stata ritenuta insufficiente a governare le modalità di esercizio del controllo in situazioni peculiari, per la peculiarità del messaggio pubblicitario da veicolare, delle quali il caso specifico costituiva espressione emblematica. L'intervento della Giunta - evidentemente collegato al “generale potere autorizzatorio che consente … [all'ente pubblico] … di controllare l'oggetto di ogni servizio pubblico che gestisce, al fine sia della corretta fruizione del servizio da parte del privato che lo richiede sia degli effetti che il concreto esercizio del servizio pubblico hanno sulla restante cittadinanza” come si legge in sentenza - è legittimamente collocabile nella competenza residuale dell'organo, rivolta ad indirizzare il diretto esercizio del pubblico servizio di affissioni gestito dal Comune arg. ex articolo 4 del Regolamento affissioni, su cui si tornerà . 3.3. Il primo motivo di appello va quindi complessivamente respinto. 4. Col secondo motivo rubricato “Violazione dell' articolo 21 Cost. , violazione articolo 2, 3, 19 Cost. , violazione articolo 9, 10 e 18 CEDU ” si richiamano l' articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e la decisione della Corte EDU, sez. IV, 30 gennaio 2018, numero 69317/14, sulla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e sui limiti di ammissibilità delle azioni di rimozione o di censura della pubblicità da parte dell'amministrazione pubblica. Quanto all'ambito interno, si richiamano l' articolo 21 della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale e penale sulla libertà di manifestazione del pensiero, nonché sulle relative limitazioni, da applicarsi “in modo attentissimo e secondo un criterio di interpretazione restrittiva”. 4.1. Da quanto sopra, l'appellante desume che la deliberazione impugnata realizzerebbe una forma di censura preventiva priva di una norma primaria legittimante e fondata sull'improprio richiamo di una norma secondaria, quale quella del Regolamento, così come modificato con deliberazione del C.comma numero 17 del 27 aprile 2017. Le motivazioni addotte dal Comune confermerebbero la censura di tipo contenutistico, in quanto riferite, appunto, al contenuto del messaggio oggetto della campagna pubblicitaria ed alla finalità di quest'ultima. Viene quindi censurata l'affermazione del T.a.r. secondo cui il contenuto dei manifesti risulta oggettivamente non veritiero e suscettibile di condizionare in modo fuorviante e ingannevole equiparandolo a un veleno l'utilizzo di un farmaco regolarmente approvato. Secondo l'appellante, le “dichiarazioni più evidenti sui manifesti corrispondevano in parte ad affermazioni fattuali, in parte a giudizi di valore”. 4.1.1. Sarebbe “oggettivamente vera” la frase “mette a rischio la salute e la vita della donna” per le considerazioni e i riscontri di cui alle pagine 20-21-22 del ricorso in appello, al quale è sufficiente fare rinvio . L'affissione si sarebbe riferita ai rischi per la salute e la vita della madre, senza esplicitarne l'entità, “non solo sulla base della libertà d'opinione e dell'abbondante letteratura scientifica ma anche in virtù del pluralismo che esiste in materia nello stesso mondo scientifico” quindi, non sarebbe dis-informativa dal punto di vista medico-scientifico, ma risponderebbe non solo ad un diritto ma anche ad un dovere di informazione nei confronti delle donne sulle potenziali conseguenze dei metodi abortivi. Sarebbe inoltre “incontestabilmente vera” l'affermazione “uccide il figlio nel grembo”, in quanto corrispondente allo scopo e alla funzione della pillola abortiva ed in quanto la qualificazione di “figlio” rientrerebbe nell'ambito delle posizioni legittimamente sostenibili. 4.1.2. I giudizi di valore sui manifesti corrispondono alle affermazioni “Prenderesti mai del veleno? Stop alla pillola abortiva RU486”, nonché al messaggio veicolato dall'immagine. Si tratterebbe di giudizio critico, come tale opinabile, ma libero. Ad avviso dell'appellante, il raggio del diritto di critica in relazione ad un mezzo abortivo sarebbe più ampio rispetto ad altre “normali procedure mediche o farmacologiche”, attesa la finalità di interrompere la gravidanza, che può essere liberamente valutata come “intrinsecamente immorale e cattiva” a prescindere da “eventuali approvazioni di organismi ufficiali”. In definitiva, si tratta di un tema su cui vi è ampio dibattito, nel quale la libertà di espressione è però tutelata, non solo dall' articolo 21 della Costituzione , ma anche dall' articolo 19 della Costituzione , corrispondendo ad una questione morale centrale per molte confessioni religiose il messaggio del manifesto, nella sua totalità, si limiterebbe ad esternare una posizione su un tema controverso, in parte sugli effetti collaterali della pillola e in parte e soprattutto sulla negatività della stessa finalità della RU486. 4.2. Il motivo non merita favorevole apprezzamento. Come di recente ribadito nella sentenza numero 5930 del 4 luglio 2024, pronunciata dalla VII Sezione di questo Consiglio in una controversia analoga alla presente, introdotta dall'Associazione Pro Vita & Famiglia Onlus per la conduzione della stessa campagna d'opinione nel Comune di Roma Capitale, “la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo al pari della Corte costituzionale italiana ha costantemente sottolineato che la libertà di espressione non sia illimitata e assolutamente non controllata, ma, comportando doveri e responsabilità, può essere sottoposta dall'autorità pubblica anche a formalità, condizioni ovvero restrizioni, le quali, proprio in una società democratica, appaiono misure necessarie a proteggere l'interesse pubblico superiore e la reputazione ovvero i diritti altrui.”. Il fulcro della questione – come dedotto dall'appellante – riguarda effettivamente la libertà di manifestazione del pensiero, cioè di un diritto fondamentale dell'individuo, ma anche caposaldo dei sistemi democratici. Proprio alla stregua della richiamata posizione della Corte Europea dei diritti dell'Uomo, ma anche della copiosa giurisprudenza della Corte Costituzionale, espressa pure nei precedenti richiamati in ricorso, l'esplicazione di detta libertà – in specie quella che si avvale del mezzo pubblicitario, idoneo a raggiungere numerosi ed indifferenziati destinatari di una determinata comunità territoriale – non incontra solo i limiti della violenza e dell'aggressività verbale, come sostenuto dalla ricorrente. Va invero attribuita pari rilevanza alla “continenza espressiva” dei contenuti, nel rispetto della normativa primaria e secondaria sopra menzionata, nonché dei principi di prudenza e precauzione volti ad evitare impatti sulla sensibilità dei fruitori del messaggio e a garantirne la chiara corrispondenza al vero. In tale duplice prospettiva – di legalità e di rispetto della continenza espressiva – si esplica il potere dell'amministrazione di sindacare il contenuto e le modalità del messaggio, già ritenuto legittimo dal su richiamato precedente nella cui motivazione è sottolineato come “il potere di verifica e controllo della PA si deve connettere alla verifica dei contenuti comunque suscettibili di arrecare pregiudizio ad altri soggetti, secondo un criterio di prudenza e precauzione” . I limiti di esercizio del potere dell'amministrazione sono sindacabili per il tramite della motivazione dei relativi provvedimenti, che deve essere tale da evidenziare, con argomentazioni complete e ragionevoli, i motivi per i quali determinati contenuti o le loro modalità espressive risultano potenzialmente pregiudizievoli anche solo per una parte dei possibili fruitori del messaggio pubblicitario, e per i relativi diritti di pari rango costituzionale, quali nel caso di specie la salute e l'autodeterminazione. 4.2.1. In proposito è conforme alle risultanze processuali l'affermazione del T.a.r. secondo cui < < La Giunta comunale ha … adeguatamente spiegato le concrete ragioni del diniego, consistenti nel rilievo secondo il quale “…il farmaco oggetto della campagna di informazione in parola risulta essere sicuro e approvato dall'AIFA Agenzia Italiana del Farmaco. I manifesti appaiono senz'altro idonei a ingenerare in maniera ingiustificata allarme per la salute e la vita delle donne che ne fanno uso…”.> > . Corrisponde al contenuto del messaggio, invero, che lo stesso equipari ad un veleno “un farmaco legalmente approvato da AIFA, che da tempo è stato testato ed utilizzato per una pratica prevista dalla legge. Tale lecito utilizzo del farmaco in questione risulta essere stato di recente confermato dal Ministero della Salute con la circolare in data 12/8/2020”, come si legge in sentenza. L'assunto - sostenuto anche nel ricorso in appello - che sarebbe “oggettivamente vera” l'affermazione che la RU486 “mette a rischio la salute e la vita della donna” contrasta decisamente con la sua approvazione da parte delle autorità competenti per la quale cfr. Cons. Stato, III, 19 aprile 2022, numero 2928 , mentre i rilievi di ordine scientifico su cui si sofferma l'atto di appello non possono certo essere compendiati nella detta affermazione esposta in un manifesto pubblicitario, dal tenore perentorio e oggettivamente fuorviante, così come la frase che la segue secondo cui “uccide il figlio nel grembo”. L'accostamento di entrambe tali affermazioni all'analogia creata tra la pillola abortiva RU486 ed un “veleno” ed il loro suggestivo abbinamento all'immagine sopra descritta della donna stesa per terra in stato di incoscienza, a sua volta, espressiva di conseguenze gravemente lesive per la salute della donna, rende coerente e non censurabile la motivazione della deliberazione comunale secondo cui, tra l'altro - il manifesto “associando un medicinale regolarmente in commercio e approvato dal Ministero della Sanità pillola abortiva RU 486 ad un veleno appare idoneo a veicolare un messaggio fuorviante in quanto contenente informazioni sbagliate” - “a legittimare l'utilizzo della pillola RU486, è di recente intervenuto il Ministero della Salute emanando, in data 12 agosto 2020, una circolare di aggiornamento delle linee guida volte a garantirne un uso corretto e sicuro” - il messaggio ha contenuti “privi di supporto scientifico e lesivi della dignità delle donne che vivono in una società moderna”, così come affermato, non direttamente dal Comune deliberante, ma a proposito della stessa campagna pubblicitaria “in numerose città italiane quali Roma, Milano, Genova, Bergamo, Verona, Vicenza”, nelle quali si era posta la stessa questione. 4.2.2. La delibera impugnata non contiene, poi, argomentazioni che esprimano giudizi di valore in merito alla questione centrale del diritto all'aborto contrariamente a quanto assume parte appellante, evidenziare che il detto farmaco non sia equiparabile ad un veleno, non significa censurare il giudizio valutativo negativo sull'aborto. Non vi dubbio che questo, inerendo appunto alla libertà di opinione e di libera manifestazione del pensiero, possa essere legittimamente espresso dall'Associazione, ma non fino al punto di sovrapporre ingannevolmente la contestata finalità del farmaco alla sua distribuzione e utilizzazione debitamente autorizzate. L'Associazione appellante realizzando tale sovrapposizione argomentativa attua proprio quella forzatura che imputa all'amministrazione, trasformando in politico-ideologica una deliberazione interpretativo-applicativa delle norme ivi richiamate. 4.3. Condivisibile è perciò la conclusione raggiunta dal T.a.r. secondo cui “La delibera giuntale risulta pertanto dotata di chiara e congrua motivazione che in alcun modo risulta violare la libertà di manifestazione del pensiero tutelata dalla Carta Costituzionale e dalla giurisprudenza CEDU , limitandosi essa a non consentire l'affissione di manifesti il cui contenuto risultava oggettivamente non veritiero e suscettibile di condizionare in modo fuorviante e ingannevole equiparandolo ad un veleno l'utilizzo di un farmaco regolarmente approvato dalle competenti Autorità sanitarie. Tale considerazione risulta specificamente confermata dalla circostanza che il Comune di Rimini ha regolarmente consentito l'affissione dei manifesti che l'Associazione Pro vita ha successivamente commissionato, previa eliminazione del messaggio che equiparava il farmaco RU 486 ad un veleno v. doc. numero 7 del Comune .”. 4.3.1. Il giudizio espresso dall'amministrazione, ad essa riservato, è da reputare perciò conforme alla normativa applicabile richiamata ed in parte anche riportata nel provvedimento impugnato , ed immune da illogicità, difetto di istruttoria o sviamento di potere, non solo per la puntuale motivazione della delibera di Giunta, ma anche per il comportamento complessivo successivamente tenuto dalla stessa amministrazione riguardo al medesimo tema posto dall'Associazione ricorrente. 4.4. Il secondo motivo di appello va respinto. 5. In via subordinata è sollevato un ultimo motivo di censura rubricato “Violazione del principio di legalità di cui all' articolo 97 Cost. Violazione e falsa applicazione del Regolamento comunale per l'applicazione dell'Imposta Comunale sulla Pubblicità e del Diritto sulle Pubbliche Affissioni nonché dell'articolo 1-bis del Regolamento per la disciplina degli impianti di pubblicità e propaganda e degli altri mezzi pubblicitari sulle strade e sulle aree pubbliche e di uso pubblico. Falsa applicazione dei D. Lgs. nnumero 145 e 146 del 2 agosto 2007 . Difetto e genericità della motivazione. Violazione dell' articolo 3, l. numero 241/90 ” , al fine di sostenere che il regolamento, quale fonte secondaria, non potrebbe attribuire poteri pubblici in violazione della riserva di legge di cui all' articolo 21 della Costituzione . 5.1. In particolare, sarebbero inapplicabili al caso di specie, i d.lgs. nnumero 145 e 146 del 2 agosto 2007 , in materia di pubblicità ingannevole, in quanto il primo non si riferirebbe alla comunicazione sociale ma alla pubblicità commerciale in senso stretto e il secondo soltanto alle “pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa a un prodotto”. Quindi non sarebbe corretto il riferimento fatto ai detti testi di legge da parte dell'amministrazione riminese nella deliberazione impugnata. 5.1.1. Quest'ultima richiama inoltre la normativa in materia di comunicazioni pubblicitarie di cui al Codice di autodisciplina, in particolare gli articolo 1, 2 e 46 il Regolamento comunale per l'applicazione dell'Imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, approvato con deliberazione di C.comma numero 126 del 30.06.1994 e s.m.i., nonché il Regolamento per la disciplina degli impianti di pubblicità e propaganda e degli altri mezzi pubblicitari sulle strade e sulle aree pubbliche e di uso pubblico, così come modificato con deliberazione del C.comma numero 17 del 27.04.2017. L'appellante sostiene che – mentre il primo Regolamento comunale contiene alcune disposizioni che condizionano l'autorizzazione della pubblicità “comunque richiedente l'installazione o collocazione di appositi mezzi” articolo 11 , e relativamente alle caratteristiche e tipologie degli impianti, al loro posizionamento e ripartizione - nessuna disposizione di esso prevede che il Comune possa negare l'autorizzazione all'affissione, peraltro in virtù di una valutazione sul merito del contenuto del messaggio sociale. Quanto al Regolamento per la disciplina degli impianti di pubblicità e propaganda e degli altri mezzi pubblicitari sulle strade e sulle aree pubbliche e di uso pubblico, l'appellante sostiene che lo stesso, all'articolo 1 bis Comunicazioni commerciali vietate rinvierebbe al “Codice di autodisciplina” in particolare gli articolo 1, 2 e 46 soltanto per vietare alcuni tipi di pubblicità commerciale, mentre non si applicherebbe al messaggio di comunicazione sociale. 5.2. Il motivo è infondato. L' articolo 3 del d.lgs. 15 novembre 1993 numero 507 – abrogato dall' articolo 1, comma 847, della legge 29 dicembre 2019 numero 160 , ma non fino a tutto l'anno 2020, secondo quanto disposto dal d.l. 30 dicembre 2019 numero 162 , convertito dalla legge 28 febbraio 2020, numero 8 – consente all'amministrazione di disciplinare con regolamento le modalità di effettuazione della pubblicità e di stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse. Il Regolamento per l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni è stato approvato dal Comune di Rimini, in attuazione di detta legge, con la delibera del C.comma 30 giugno 1994, numero 126 e succ. mod. e, per quanto qui rileva, dopo avere previsto la gestione diretta del servizio delle pubbliche affissioni “inteso a garantire l'affissione di manifesti a cura del Comune, in appositi impianti a ciò destinati, sia contenenti comunicazioni aventi finalità istituzionali, sociali o comunque privi di rilevanza economica, sia diffusi nell'esercizio di attività economiche, con le caratteristiche della pubblicità commerciale propriamente detta” articolo 4 , al capo IV disciplina il “diritto sulle pubbliche affissioni”, in relazione alla materiale esecuzione del servizio. Esso tuttavia non esaurisce la disciplina delle pubbliche affissioni, per la quale, tra l'altro, espressamente rinvia ad altri regolamenti comunali, sia per “modalità di effettuazione della pubblicità” sia per “quant'altro richiesto dall'articolo 3, comma 3, del Decreto legislativo precitato” [numero d.r. il d.lgs. numero 507/1993] articolo 1 . Quindi, il Comune di Rimini ha adottato il Regolamento per la disciplina degli impianti di pubblicità e propaganda e degli altri mezzi pubblicitari sulle strade e sulle aree pubbliche e di uso pubblico da ultimo modificato con delibera C.comma numero 17 del 27 aprile 2017 , del quale si è ampiamente detto trattando del primo motivo di appello, non solo per regolare l'accesso al pubblico servizio comunale di affissioni pubblicitarie, ma anche per “disciplinare la comunicazione pubblicitaria” articolo 1, comma 2 , compresi i contenuti di quest'ultima. Contrariamente a quanto assume parte appellante, la relativa disciplina non è da intendersi limitata alla comunicazione solo commerciale, bensì - come fatto palese sia dal richiamo del Codice di autodisciplina sia dalla definizione dell'oggetto del servizio delle pubbliche affissioni di cui al Regolamento collegato approvato nel 1994 - essa è riferibile ad ogni tipo di comunicazione pubblicitaria, cioè destinata a veicolare messaggi, di contenuto vario, compresi quelli volti a “sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale, anche specifici …” arg. ex articolo 46 del Codice di autodisciplina per il tramite degli impianti pubblicitari comunali. A maggior ragione per queste ultime comunicazioni con finalità sociali, nel momento in cui vengono fatte oggetto di una vera e propria campagna pubblicitaria, si giustificano le limitazioni regolamentari esaminate sopra. Queste sono forgiate proprio al fine di adattarsi all'uso del mezzo diffusivo “indiretto” dell'affissione pubblicitaria che – come sottolinea la condivisibile difesa dell'amministrazione comunale – richiede una continenza espressiva immune da violenza semantica e da smodato impatto emotivo, compatibile comunque con la finalità informativa per un pubblico vasto ed indifferenziato. 5.2.1. In tale ultima prospettiva appare pertinente il richiamo, contenuto nella delibera della Giunta comunale, dei decreti legislativi numero 145 e numero 146 del 2 agosto 2007, in quanto, pur riferiti ad attività commerciali, dettano principi generali applicabili alla pubblicità, stabilendo che debba rispondere a canoni di trasparenza, verità e correttezza, e vietano qualsiasi forma di pubblicità ingannevole, intesa come quella idonea ad indurre in errore le persone cui è rivolta o che raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, ne possa pregiudicare il comportamento. 5.2.2. Delle altre disposizioni, della normativa primaria e secondaria, richiamate nella deliberazione impugnata si è già detto trattando dei primi due mezzi. Giova precisare che, contrariamente a quanto assume la difesa dell'Associazione appellante, in specie nella memoria di replica da ultimo depositata, esse non sono espressione di un impianto normativo tale da differenziare la presente fattispecie da quella oggetto della ridetta sentenza numero 5930/2024. All'opposto, la norma regolamentare del Comune di Roma, alla quale quest'ultima decisione è riferita articolo 12 bis del Regolamento capitolino sulle affissioni, in particolare il comma 2, secondo cui “È altresì vietata l'esposizione pubblicitaria il cui contenuto sia lesivo del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso, dell'appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere, delle abilità fisiche e psichiche” ha un contenuto sostanzialmente coincidente con i divieti desumibili - anche per il tramite del rinvio al Codice di Autodisciplina - dall'articolo 1 bis del Regolamento del Comune di Rimini, più volte citato. 6. L'appello va quindi respinto. 6.1. Sussistono tuttavia giusti motivi di compensazione delle spese processuali, per la novità delle questioni trattate, solo di recente affrontate ex professo nella ridetta decisione numero 5930 del 4 luglio 2024. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.