Lockdown in piena pandemia: risarcimento per ventuno cittadini

Clamorosa decisione del Giudice di Pace di Alessandria accolta l’istanza avanzata nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Evidenti, per il giudice, le ripercussioni negative subite dai cittadini a causa di provvedimenti statali illegittimi.

Chiarissima la posizione assunta dai cittadini. A loro avviso, i provvedimenti adottati dallo Stato italiano in piena pandemia sono da ritenere illegittimi in quanto «hanno introdotto limitazioni alle libertà fondamentali dei cittadini, costituzionalmente tutelate libertà personale e di circolazione, auto-determinazione sanitaria, diritto al lavoro e allo studio, diritto alla vita sociale, al culto, ecc.». E, ragionando sempre in questa ottica, «la normativa emergenziale con cui il Governo ha affrontato l’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del contagio da Covid-19, ha comportato l’esercizio di violenza privata nei confronti dei cittadini , costretti a comportamenti non desiderati, in modo ricattatorio, a fronte di inesistenti benefici per quanto concerne il contenimento dell’emergenza epidemica». Per le ventuno persone che hanno agito per via legale contro la Presidenza del Consiglio dei Ministeri, quindi, «la compressione» conseguente ai provvedimenti del Governo, «avendo come premessa una dichiarazione di stato di emergenza per l’intero territorio nazionale , non prevista dalla Carta costituzionale, costituisce un fatto illecito che legittima il cittadino italiano, sottoposto in quanto tale alla compressione dei propri diritti per un lungo periodo, ad essere risarcito» e «soggetto legittimato al risarcimento va individuato nella Presidenza del Consiglio dei Ministri, promotrice delle norme di vario rango che hanno comportato quelle limitazioni». Simbolica, comunque, la richiesta risarcitoria , ossia «dieci euro a testa per il solo danno non patrimoniale consistente nelle voci di danno denominate danno dinamico-relazionale e danno morale», ma, viene aggiunto, «con espressa riserva di separata azione per ogni altra voce di danno individuale patito e patiendo patrimoniale, biologico, ecc. ». Secca la replica dello Stato, che ha contestato totalmente l’iniziativa giudiziaria dei ventuno cittadini e, nello specifico, ha sostenuto «l’insussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità l’attività del Governo, quale espressione di discrezionalità politica , non può configurarsi come un illecito civile», evidenziando, poi, la mancanza di prove provate alla base della domanda risarcitoria, ossia alla base del pregiudizio ipotizzato. Prima di esaminare da vicino la questione, il Giudice di Pace ritiene «ammissibili le domande tese a far accertare il diritto al risarcimento del danno per illegittimo o discriminatorio esercizio della potestà legislativa » e chiarisce che «la causa appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario i beni della vita dedotti in giudizio attengono al danno derivato dalla predisposizione e dalla presentazione dei provvedimenti legislativi ed amministrativi, poi approvati, il cui contenuto viene prospettato come illegittimo , e dal mancato adoperarsi dell’autorità per la successiva rimozione o modifica di quei provvedimenti. Quindi, l’oggetto del processo non è incentrato sulle singole specifiche norme emergenziali, ma sulla pretesa risarcitoria, che costituisce il vero e unico oggetto del giudizio instaurato dai ventuno cittadini». Detto ciò, il Giudice di Pace prende in esame la questione, definita «nuova e particolarmente complessa», partendo dal danno lamentato dai cittadini e derivante, a loro parere, da una serie di misure poste in essere con il dichiarato intento di porre un argine alla diffusione dei contagi determinati dal virus Covid-19». Ebbene, «la premessa della violazione, da parte delle norme emergenziali, dei diritti costituzionalmente tutelati appare pacifica certamente le norme emanate» in piena pandemia « hanno violato la libertà personale, di movimento, di associazione, al lavoro certamente le norme emergenziali hanno colpito in modo discriminatorio alcune categorie di cittadini rispetto ad altre». Difatti, «sono circostanze notorie che, durante la vigenza di norme che imponevano l’obbligo di permanenza domiciliare il cosiddetto lockdown , alcune categorie non subivano alcun pregiudizio economico a titolo d’esempio, imprenditori che operavano nel commercio e trasporto di alimentari, i loro dipendenti, alcuni dipendenti pubblici, tabaccai e tutti quelli che per garantire i servizi essenziali non sono mai stati costretti alla chiusura mentre altre categorie imprenditori dei settori del trasporto privato, della ristorazione, del turismo, dello spettacolo e i loro dipendenti subivano rilevanti pregiudizi altre categorie venivano addirittura avvantaggiate servizi informatici, telematici e simili ». Certo, «le norme che hanno così profondamente inciso sulle libertà e sui diritti fondamentali dei cittadini sono state adottate in quanto asseritamente ritenute indispensabili per la tutela dei diritti alla vita e alla salute , considerarsi prevalenti», ma, in definitiva, «fermo restando che il diritto alla salute non gode di una superiorità agli altri diritti fondamentali per la quale essi debbano essergli sacrificati, è logico chiedersi se non appaia illegittimo, ma anzi rispondente ad esigenze sociali e di tutela individuale e collettiva, rinunciare temporaneamente ad uscire di casa, a procurarsi il reddito con il proprio lavoro, ad incontrare familiari ed affetti, ad inocularsi farmaci sperimentali o non ancora approvati in via definitiva, senza voler entrare specificamente nell’esatta definizione dei trattamenti sanitari definiti come vaccinazioni anti Covid-19 , e se tali sacrifici fossero indispensabili per la tutela della salute individuale e collettiva e comunque ad evitare contagi e decessi». Per il Giudice di Pace, però, « appare doveroso disapplicare disposizioni di legge lesive dell’inviolabilità della dignità umana , intesa come diritto all’integrità fisica e psichica di ogni persona umana», anche tenendo presenti alcuni dati scientifici e «aspetti inquietanti relativi agli effetti della legislazione emergenziale, quali reazioni avverse da parte di un certo numero di soggetti sotto posti al trattamento sanitario, con esiti anche gravi e letali», e ricordando che «nessuna norma sarebbe legittima se imponesse il sacrificio di una vita umana, anche a fronte della tutela della salute di altre persone». Paiono quindi « condivisibili », secondo il Giudice di Pace, « le contestazioni mosse dai cittadini » ai provvedimenti emergenziali adottati in piena pandemia dallo Stato italiano. Comunque, ragionando in maniera più ampia, è necessario, secondo il Giudice di Pace, «interrogarsi se sia pertinente invocare la tutela della salute, quando una persona viene privata del lavoro perché segregata, perché è stata disposta la chiusura dell’attività o perché non ha accettato, per timori di eventi avversi, un trattamento sanitario e, dunque, di una retribuzione? Se il soggetto viene privato del reddito necessario al sostentamento proprio e di chi, da esso, ne dipende, conserva ancora il diritto alla salute oppure questo viene corroso?». Ebbene, «le soluzioni normative oggetto del presente giudizio fanno sorgere dubbi in quanto all’infezione da Covid-19 è stato riservato un trattamento speciale , senza precedenti. E comunque la finalità della tutela della salute pubblica sarebbe credibile se si fossero diffuse le cure, notoriamente esistenti fin da subito, cosa che non fu fatta». E in questa ottica «molti dati scientifici consegnano un quadro preoccupante, portando alla luce realtà diverse dagli obbiettivi che le norme avrebbero dovuto conseguire in Stati dove le norme di confinamento domiciliare non sono state adottate, la diffusione dei contagi è stata inferiore ed inferiore è stata la mortalità. Si deduce dai dati pubblicati sul sito internet del Ministero della Salute fonte Organizzazione mondiale della sanità che l’Italia, con un popolazione di circa 59milioni di abitanti ha avuto circa 25milioni di positivi 43 per cento al virus Covid-19 con 184mila deceduti il Giappone, che non ha invece adottato politiche limitative dei diritti nei confronti dei propri cittadini, ma solo un controllo rigido degli ingressi alle frontiere, su una popolazione di 125milioni di abitanti ha registrato 28milioni di positivi il 23 per cento con 56mila decessi la Svezia, 10milioni e 500mila abitanti, 2milioni e 700mila casi il 26 per cento con 21mila decessi». Peraltro, «sia i vaccinati che i non vaccinati hanno contratto la malattia e sono risultati in grado di contagiare altri. E anche dopo che oltre il 90 per cento della popolazione ha concluso il ciclo vaccinale dati diffusi dal Ministero della Salute e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministeri , il virus ha continuato a diffondersi e a contagiare». Per il Giudice di Pace bisogna fissare un principio fondamentale « nessuna norma, neppure quelle a tutela della salute pubblica, possono comprimere il diritto alla vita e alla dignità del singolo cittadino ». Quindi, «ogni compromesso che faccia affievolire tale principio andrebbe a ledere le basi dello Stato di diritto su cui si basa la civiltà europea e che la rendono diversa da ordinamenti dirigisti e dittatoriali», e « nessuna emergenza può spingere a norme incompatibili con la tutela della persona umana ». Tirando le somme, per il Giudice di Pace è legittima la richiesta risarcitoria avanzata dai ventuno cittadini nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri , anche tenendo presente il punto fermo rappresentato dalla «responsabilità civile dello Stato-legislatore per la promulgazione, o non tempestiva abrogazione, di norme illegittime». In sostanza, è palese, secondo il Giudice di Pace, «l’ illegittimità dell’intera normativa emergenziale », illegittimità che «non può trovare giustificazione nell’asserito perseguimento della salute pubblica, posto che anche a prescindere dall’idoneità in astratto di una simile causa di giustificazione, comunque in concreto tale perseguimento non ci fu, e da questa circostanza emerge un chiaro profilo di grave colpa o dolo in capo a chi promosse la normativa». Infine, «appurato che tale normativa illecita ha violato diritti fondamentali dei cittadini, ne consegue l’accoglimento della domanda risarcitoria rivolta» dai cittadini «alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha promosso la normativa emergenziale» in piena pandemia.

Giudice Olezza Ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, gli attori convenivano in giudizio L'Ente convenuto, per sentirlo condannare, come da conclusioni sopra riportate. La Presidenza del C.d.M. convenuta si costituiva ritualmente in giudizio, formulando eccezioni preliminari di giurisdizione, di competenza e di nullità dell'atto di citazione e contestando nel merito la domanda. In data 15.6.2023 i soli attori non anche l'Ente convenuto , previa autorizzazione del Giudice, depositavano memoria conclusiva. All'udienza del 28.9.2023 il Giudice autorizzava il deposito di ulteriori note integrative, che gli attori depositavano per l'udienza del 18.4.2024. All'udienza del 28.11.2024 la difesa degli attori discuteva la causa ed il Giudice la tratteneva per la decisione. Occorre preliminarmente premettere che gli attori, hanno esaminato la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale deliberato dal C.d.M. il 31/01/2020 dal 31/01/2020 al 31/07/2020 e poi prorogato con atti successivi fino al 15/10/2020, 31/01/2021, 30/04/2021, 31/07/2021, 31/12/2021 e infine al 31/03/2022 ed i provvedimenti straordinari emessi sia di natura amministrativa, sia legislativa in forza del dichiarato stato di emergenza contestando che i provvedimenti elencati in citazione avevano introdotto limitazioni alle libertà fondamentali dei cittadini, costituzionalmente tutelate libertà personale e di circolazione, auto-determinazione sanitaria, diritto al lavoro e allo studio, diritto alla vita sociale, al culto, ecc. Secondo la narrativa degli attori la normativa emergenziale con cui il Governo ha affrontato l'emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del contagio Covid, ha comportato l'esercizio di violenza privata nei confronti dei cittadini, costretti a comportamenti non desiderati, in modo ricattatorio a fronte di inesistenti benefici per quanto concerne il contenimento dell'emergenza epidemica. Tale compressione, avendo come premessa una dichiarazione di stato di emergenza per l'intero territorio nazionale, non prevista dalla Carta costituzionale, costituirebbe un fatto illecito che legittima il cittadino italiano, sottoposto in quanto tale alla compressione dei propri diritti per un lungo periodo, ad essere risarcito ai sensi dell' articolo 2043 c.c. soggetto legittimato al risarcimento è stato individuato dagli attori nella Presidenza del C.d.M. promotore delle norme di vario rango che hanno comportato le limitazioni oggetto dell'azione intrapresa. L'Ente convenuto ha contestato totalmente l'iniziativa giudiziaria di cui sopra, eccependo preliminarmente - il difetto assoluto di giurisdizione, in quanto l'attività legislativa è espressione del potere politico, incoercibile e sottratto al sindacato giurisdizionale - il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario essendo al più competente la Giustizia Amministrativa l'esercizio di un potere dell'Amministrazione potrebbe violare un interesse legittimo e non un diritto soggettivo - l'incompetenza territoriale del Giudice di Pace adito in favore del Giudice di pace di Roma, non essendo stati forniti gli elementi idonei a derogare al Foro generale del convenuto ex articolo 18 e 19 c.p.c. - la nullità dell'atto di citazione ai sensi dell' articolo 163 c.p.c. risultando del tutto incerto e indeterminato il requisito della causa petendi. L'Ente convenuto ha, inoltre, contestato la fondatezza dell'attorea domanda nel merito per i seguenti motivi - insussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità l'attività del Governo, quale espressione di discrezionalità politica, non potrebbe configurarsi come un illecito civile - mancanza assoluta di allegazione e prova degli elementi costitutivi della domanda, non essendo state individuate le situazioni soggettive dei singoli attori, per i quali non viene determinato, né allegato lo specifico diritto fatto valere, né il pregiudizio in concreto lamentato. Riassunte così in sintesi le posizioni delle parti, appare necessario il loro specifico esame, a partire dalle eccezioni preliminari dell'Ente convenuto. A questo proposito, va osservato che – sia pure a fronte della complessità e novità del caso – risulta comunque essersi già formata una prima Giurisprudenza in merito ad azioni giudiziali di identico contenuto, nelle quali i cittadini attori e la Presidenza del C.d.M. convenuta hanno già sviluppato argomentazioni identiche a quelle della presente causa. Ci si riferisce in particolare alle pronunce definitive Giudice di Pace di Casale Monferrato, sent. numero 1/23 del 6.12.2022/10.1.2023 resa nel giudizio RG 246/22 Giudice di Pace di Vercelli, sent. numero 58/23 del 30.1/3.3.2023 resa nel giudizio RG 431/2022 entrambe depositate dagli attori . Queste sentenze respingono tutte le eccezioni preliminari dell'Ente convenuto, con motivazioni che questo Giudice condivide e dalle quali non vi è motivo di discostarsi. Ed infatti 1 In punto difetto assoluto di giurisdizione e difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario, la recente giurisprudenza di legittimità v. segnatamente Cass. S.U., ord. numero 36373 del 24.11.2021 considera ammissibili le domande tese a far accertare il diritto al risarcimento del danno per illegittimo e/o discriminatorio esercizio della potestà legislativa o comunque per l'omessa modifica di tale trattamento. Così inteso l'oggetto della domanda, afferma il Supremo Collegio, la causa appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario i beni della vita dedotti in giudizio atterrebbero al danno derivato dalla predisposizione e presentazione dei provvedimenti legislativi ed amministrativi, poi approvati, il cui contenuto viene prospettato come illegittimo, e dal mancato adoperarsi dell'autorità convenute per la successiva rimozione o modifica. L'oggetto del processo, quindi, non è incentrato sulle singole specifiche norme emergenziali, ma sulla pretesa risarcitoria, che costituisce il vero e unico oggetto del giudizio instaurato dagli attori. Il difetto assoluto di giurisdizione propriamente attiene all'impossibilità di esercitare la potestà giurisdizionale con invasione della sfera attributiva di altri poteri dello Stato o di altri ordinamenti dotati di autonomia, in controversie direttamente involgenti attribuzioni pubbliche, come tali neppure astrattamente suscettibili di dar luogo a un intervento del giudice. Laddove la postulazione riguardi invece i fondamenti di una pretesa risarcitoria, la lite è attinente alla materia dei diritti soggettivi a fronte di affermati diritti fondamentali, costituzionalmente protetti, non può escludersi il diritto di azione, anche se la lesione sia paventata come dipendente dall'esercizio asseritamente illegittimo di una potestà pubblica o dalla predisposizione, presentazione, o mancata modifica di un atto legislativo. L'azione non potrebbe dirsi esclusa neppure evocando la natura politica dell'atto legislativo, essendo nella specie rivolta agli asseriti promotori dell'atto la Presidenza del Consiglio dei Ministri . Gli attori hanno assunto che il complesso delle norme sopra citate sia difatti lesivo per la disciplina e la situazione che ne è derivata. Gli attori non hanno inteso affermare che il giudice, con invasione dei meccanismi di responsabilità politica, abbia direttamente a sindacare la maniera con cui la potestà è stata svolta. Hanno invece postulato che le citate norme, ove non disapplicate, debbano essere ritenute illegittime perché inutilmente discriminatorie e quindi in contrasto con il complesso dei diritti costituzionalmente garantiti. E in questa prospettiva hanno assunto di aver diritto al risarcimento del danno da illecito civile nei confronti dell'autorità che di quel complesso dì norme hanno curato la presentazione e concorso all'approvazione e a reiterate proroghe. A fronte di una domanda del genere il giudice non è chiamato a invadere la funzione sovrana tipico caso di difetto assoluto di giurisdizione ma a stabilire se la evocata fattispecie integri o meno l'illecito civile denunziato. Le eccezioni di difetto di giurisdizione devono, pertanto, essere respinte perché infondate.  2 Sull'eccezione di incompetenza territoriale del Giudice di Pace adito, come insegna la costante giurisprudenza in tema di risarcimento del danno extracontrattuale, l'individuazione del giudice territorialmente competente a decidere ex articolo 20 c.p.c. , avviene mediante l'individuazione del forum “commissi delicti”, ovvero il luogo in cui si sono verificati i danni derivati dalla normativa indicata in citazione, ovvero il luogo in cui i soggetti che si dicono offesi avevano il loro domicilio al momento in cui si sono verificati i fatti Cass. numero 18665/2005 . Nel nostro caso gli attori si sono dichiarati residenti nei Comuni in cui questo Giudice di Pace è territorialmente competente, né la parte convenuta ha fornito prove di residenze e domicili differenti, pertanto l'eccezione d'incompetenza deve essere respinta, poiché infondata. 3 Sulla nullità dell'atto di citazione ex articolo 163 c.p.c. , per aversi nullità dell'atto di citazione è necessario che sia impossibile l'individuazione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda nel caso di specie l'esposizione degli elementi predetti, contenuta nella citazione, non evidenzia lacune di siffatta gravità. Gli attori individuano una serie di provvedimenti restrittivi dei diritti dei cittadini, tutelati dalla Parte prima della Costituzione della Repubblica Italiana e chiedono il risarcimento del danno immateriale conseguente al mancato godimento di tali diritti fondamentali. La “causa petendi” appare quindi sufficientemente individuata. La questione di merito posta dagli attori appare nuova e particolarmente complessa. Non si tratta di esaminare la rilevanza o meno di una questione di illegittimità costituzionale di una specifica norma e, una volta rimessa la decisione alla Corte costituzionale, attenersi alla decisione assunta dal Giudice delle Leggi, stabilendo eventuali danni verificatisi nella vigenza della norma illegittima. Il danno lamentato dagli attori deriva da una serie di misure poste in essere con il dichiarato intento di porre un argine alla diffusione dei contagi determinati dal nuovo virus denominato SARS — COV 2 o Covid 19 e più comunemente Covid. La premessa della violazione dei diritti costituzionalmente tutelati da parte delle norme emergenziali appare peraltro pacifica certamente le norme emanate hanno violato la libertà personale, di movimento, di associazione, al lavoro articolo 13,16,18,4 e 35 Cost. certamente le norme emergenziali hanno colpito in modo discriminatorio alcune categorie di cittadini rispetto ad altre, in violazione dell' articolo 3 Cost. sono circostanze notorie che, durante la vigenza di norme che imponevano l'obbligo di permanenza domiciliare il c.d. lock down alcune categorie non subivano alcun pregiudizio economico a titolo d'esempio, imprenditori che operavano nel commercio e trasporto di alimentari, i loro dipendenti, alcuni dipendenti pubblici, tabaccai e tutti quelli che per garantire i servizi essenziali non sono mai stati costretti alla chiusura mentre altre imprenditori dei settori del trasporto privato, della ristorazione, del turismo, dello spettacolo e i loro dipendenti subivano rilevanti pregiudizi altre venivano addirittura avvantaggiate servizi informatici, telematici e simili . Le norme che hanno così profondamente inciso sulle libertà e sui diritti fondamentali dei cittadini sono state adottate in quanto asseritamente ritenute indispensabili per la tutela dei diritti alla vita e alla salute articolo 32 Cost. da considerarsi prevalenti, per i motivi esposti nella comparsa di costituzione dell'Ente convenuto. In definitiva fermo restando che il diritto alla salute non gode di una superiorità agli altri diritti fondamentali per la quale essi debbano essergli sacrificati, v. Corte Cost. numero 85/2013 è logico chiedersi se non appaia illegittimo ma anzi rispondente ad esigenze sociali e di tutela individuale e collettiva, rinunciare temporaneamente ad uscire di casa, a procurarsi il reddito con il proprio lavoro, ad incontrare familiari ed affetti, ad inocularsi farmaci sperimentali o non ancora approvati in via definitiva, senza voler entrare specificamente nell'esatta definizione dei trattamenti sanitari definiti come vaccinazioni anti Covid-19 se tali sacrifici fossero indispensabili per la tutela della salute individuale e collettiva e comunque ad evitare contagi e decessi. Sono peraltro approfonditamente motivate le decisioni giurisprudenziali invocate e prodotte dagli attori, in particolare l'Ordinanza del Tribunale di Firenze in data 31/10/2022, con cui si afferma, con ampi riferimenti ai trattati internazionali Carta di Nizza , C.E.D.U. e alle norme di rango costituzionale, che appare doveroso disapplicare disposizioni di Legge lesive dell'inviolabilità della dignità umana, intesa come diritto all'integrità fisica e psichica di ogni persona umana. Tale decisione ha evidenziato, con ampio riferimento a dati scientifici ed esami da parte di Enti Competenti, aspetti inquietanti relativi agli effetti della legislazione emergenziale, quali reazioni avverse da parte di un certo numero di soggetti sottoposti al trattamento sanitario, con esiti anche gravi e letali, sancendo che nessuna norma sarebbe legittima se imponesse il sacrificio di una vita umana, anche a fronte della tutela della salute di altre persone. Sono, sotto questo punto di vista, pienamente condivisibili le contestazioni degli attori, anche a seguito dell'elevato e inconsueto numero di provvedimenti della Giurisprudenza di merito che ravvisavano la violazione di norme costituzionali, oltre alle decisioni cautelari e di merito di reintegra dei lavoratori. Appare giusto interrogarsi se sia pertinente invocare la tutela della salute, quando una persona viene privata del lavoro perché segregata, perché è stata disposta la chiusura dell'attività o perché non ha accettato per timori di eventi avversi un trattamento sanitario e, dunque, di una retribuzione? Se il soggetto viene privato del reddito necessario al sostentamento proprio e di chi, da esso, ne dipende, conserva ancora il diritto alla salute oppure questo viene corroso? Le soluzioni normative oggetto del presente giudizio fanno sorgere dubbi in quanto all'infezione da COVID-19 è stato riservato un trattamento speciale, senza precedenti e comunque la finalità della tutela della salute pubblica sarebbe credibile se si fossero diffuse le cure, notoriamente esistenti fin da subito, cosa che non fu fatta . Certamente occorre tener conto anche delle pronunce giurisprudenziali che hanno riconosciuto la legittimità dei provvedimenti de quo, che individuano gli argomenti a sostegno, fra i quali la tutela della salute pubblica ai fini della prevenzione del contagio e riduzione della diffusione della malattia quindi in un'ottica solidaristica e non egoistica e i dati scientifici a supporto della dedotta sicurezza del c.d. “vaccino”, che rende tollerabile nei limiti della normalità l'accettazione dei rischi e degli eventi avversi che generalmente conseguono alla somministrazione di tutti i trattamenti sanitari cfr. Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, numero 5 14 dicembre 2017, numero 268 , superando lo scoglio dell'autorizzazione in via d'urgenza dei vaccini in esame e dell'immissione in commercio cd. condizionata, facendo leva sulle certificazioni eseguite da un Organo tecnico e indipendente — quale l'AIFA— preposto all'attività di controllo e farmacovigilanza. È tuttavia innegabile che altrettanti dati scientifici consegnano un quadro preoccupante, portando alla luce realtà diverse dagli obbiettivi che le norme avrebbero dovuto secondo le enunciazioni conseguire in Stati dove le norme di confinamento domiciliare non sono state adottate, la diffusione dei contagi è stata inferiore ed inferiore è stata la mortalità si deduce dai dati pubblicati sul sito internet del Ministero della Salute fonte WHO e pertanto da ritenersi fatti notori, che l'Italia con un popolazione di circa 59.000.000 di abitanti ha avuto circa 25.000.000 di positivi al virus Covid 19 43% con 184.000 deceduti il Giappone che non ha invece adottato politiche limitative dei diritti nei confronti dei propri cittadini, ma solo un controllo rigido degli ingressi alle frontiere, su una popolazione di 125.000.000 di abitanti ha registrato 28,000.000 di positivi 23% con 56.000 decessi la Svezia 10.500.000 abitanti, 2.700.000 casi 26% con 21.000 decessi sia i vaccinati che i non vaccinati hanno contratto la malattia e sono risultati in grado di contagiare altri, come si desume dai dati citati nelle decisioni giurisprudenziali prodotte dagli attori anche dopo che oltre il 90% della popolazione ha concluso il ciclo vaccinale dati diffusi dal Ministero della Salute e Presidenza del Consiglio , il virus ha continuato a diffondersi e a contagiare. Tale situazione di incertezza può comportare il dovere - e in punto l'odierno giudicate condivide le considerazioni svolte dal Tribunale di Firenze con la già citata ordinanza 31/10/2022, in atti - da parte dei Giudici ordinari chiamati a decidere le controversie derivanti dall'applicazione delle norme emergenziali, valutate le peculiarità dei singoli casi, di disapplicare le norme quando queste appaiano in contrasto con diritti inalienabili tutelati e garantiti dai Trattati Internazionali, dalle norme europee e dalla Costituzione della Repubblica Italiana nessuna norma, neppure quelle a tutela della salute pubblica, possono comprimere il diritto alla vita e alla dignità del singolo cittadino. Ogni compromesso che faccia affievolire tale principio andrebbe a ledere le basi dello stato di diritto su cui si basa la civiltà europea e che la rendono diversa da ordinamenti dirigisti e dittatoriali nessuna emergenza può spingere a norme incompatibili con la tutela della persona umana. Benché gli atti illeciti lamentati dagli attori vadano ben al di là della sola imposizione dell'obbligo vaccinale, vale la pena ricordare, a proposito di questo obbligo, la recente sentenza Trib. Velletri, sez. Lavoro, numero 1493/2024 del 24.10.2024, che ha disapplicato l'obbligo vaccinale a seguito di definitivo accertamento peritale dell'inidoneità dei vaccini ad evitare il contagio. Fatte queste doverose premesse, la richiesta risarcitoria formulata dagli attori appare fondata e deve trovare accoglimento. Ed infatti appurato che è ormai acquisita la responsabilità civile dello Stato-legislatore per la promulgazione, o non tempestiva abrogazione, di norme illegittime Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2014, numero 8878 Cass. S.U., ord. numero 36373 del 24.11.2021 appurato che nulla rileva, ai fini del giudizio di illegittimità, se la norma sia stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale né, in caso positivo, quale sia l'esito di tale vaglio posto che, se ponessimo la declaratoria di incostituzionalità quale condizione dell'illiceità, cadremmo nella figura del c.d. “illecito costituzionale” – figura di illecito peraltro sconosciuta al nostro diritto positivo – che è tutt'altra cosa rispetto all'ordinario illecito ex articolo 2043 C.C. invocato dagli attori, come da questi doviziosamente spiegato in causa appurato che, anche a prescindere dalla legittimità o illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza e delle sue proroghe illegittimità peraltro ampiamente illustrata dagli attori e già riconosciuta in numerose pronunce giurisprudenziali , comunque la normativa emergenziale viola una serie di norme sovraordinate alle quali il legislatore italiano è vincolato articolo 1,3,15,16,20 e 21 della Carta di Nizza articolo 2 e 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell'ONU del 1948 articolo 14 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo – CEDU articolo 2 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e articolo 7 e 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottati il 16 e il 19 dicembre 1966 Codice di Norimberga articolo 1, 2 e 5 della Convenzione di Oviedo Regolamento UE 2021/953 ecc. appurato che la violazione di tali norme determina l'illiceità dell'intera normativa emergenziale, non soltanto per quanto riguarda gli atti amministrativi ma anche per quanto riguarda gli atti di natura legislativa, posto che anche un atto politico non è totalmente libero nei fini ma è tenuto a perseguire gli obiettivi posti dalle norme sovraordinate a cui lo Stato si è vincolato principio ricavabile addirittura dalla Giurisprudenza citata dall'Ente convenuto v. Cass. S.U. 10319/2016 appurato che tale illiceità non può trovare giustificazione nell'asserito perseguimento della salute pubblica posto che anche a prescindere dall'idoneità in astratto di una simile causa di giustificazione, comunque in concreto tale perseguimento non ci fu, e da questa circostanza emerge un chiaro profilo di grave colpa o dolo in capo a chi promosse la normativa appurato che tale normativa illecita ha violato diritti fondamentali degli attori ne consegue l'accoglimento della domanda risarcitoria rivolta all'Ente Presidenza del C.d.M. che tale normativa ha promosso. Tanto esposto, questo giudicante ritiene doveroso esaminare la motivazione in base alla quale le sentenze già rese in materia si ricorda Giudice di Pace di Casale Monferrato, sent. numero 1/23 del 6.12.2022/10.1.2023 resa nel giudizio RG 246/22 Giudice di Pace di Vercelli, sent. numero 58/23 del 30.1/3.3.2023 resa nel giudizio RG 431/2022 , pur rigettando tutte le eccezioni della difesa dell'Ente convenuto, non abbiano poi accolto la domanda risarcitoria degli attori. Questa motivazione muove dalla premessa che Corte Cost. 198/2021 ha dichiarato che il d.l. numero 19 del 2020 non ha dato luogo a un conferimento di potestà legislativa “discrezionale” al Presidente del Consiglio dei Ministri, limitandosi ad autorizzarlo a dare esecuzione a misure tipizzate previste fatta questa premessa, ritengono le sentenze citate che, per questo motivo, gli atti normativi legislativi ed amministrativi , la cui liceità è nella presente causa contestata dagli attori, non sarebbero da considerare atti di competenza e responsabilità del Presidente del Consiglio dei Ministri., il quale quindi non potrebbe essere identificato “quale civilmente responsabile per i danni immateriali certamente patiti dagli attori in conseguenza della sospensione dei loro diritti costituzionalmente garantiti ex articolo 2043 c.c.”. Quindi la domanda viene rigettata per un ritenuto difetto di legittimazione passiva dell'Ente convenuto, peraltro non eccepito dalla difesa di questo. A questo proposito, appare corretta e convincente la replica degli attori, laddove, nella Memoria conclusiva depositata, essi scrivono “quest'affermazione è frutto di una svista, se solo consideriamo - che tutti gli atti elencati in citazione anche i D.L. che “tipizzano” l'attività amministrativa successiva, non soltanto i DPCM a contenuto “tipizzato” sono stati promossi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per cui questo è necessariamente il soggetto promotore - che, quand'anche la conversione in legge dei D.L. e/o il carattere tipizzato dei DPCM spostassero la relativa responsabilità dal soggetto promotore allo Stato […], comunque nel nostro diritto processuale interno non esiste il soggetto giuridico “Stato” ed è principio costante, pacifico ed incontestato che le azioni giudiziali si rivolgono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.” Questo giudicante ritiene di fare propria l'osservazione, e quindi non si ravvisa il difetto di legittimazione passiva per il quale le precedenti sentenze si sono concluse con il rigetto della domanda attorea. Infine, da ultimo, appare pertinente un'osservazione relativa al recente DL 202/2024 che, all'art 21, ha abrogato l'articolo 4-sexies del DL44/2021, cioè la norma che applicava una sanzione amministrativa pecuniaria ai soggetti inottemperanti all'obbligo vaccinale. Al fine di comprendere la ratio legis di questa abrogazione giornalisticamente definita “annullamento delle multe per gli over 50” , osserviamo che numerosi e concordanti organi di informazione, non smentiti, hanno riferito le ampie spiegazioni provenienti direttamente e ufficialmente da autorevoli rappresentati del Consiglio dei Ministri e della maggioranza parlamentare che lo sostiene tra cui il senumero M.S., vice Presidente del CdM l'onumero M.G., Sottosegretario di Stato al Ministero della salute il senumero MA.L., Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'emergenza sanitaria epidemiologica da SARS-CoV-2 ecc. . Le suddette spiegazioni della ratio legis – che possono quindi considerarsi di pubblico dominio – fanno espresso riferimento alle multe come una “forzatura” al fatto che nella normativa emergenziale ci sono stati “errori” in buona fede ma forse anche in mala fede al fatto che veniva impedito di “andare a lavorare a persone che stavano rispettando la legge” al fatto che la gestione di quel periodo è stata “obiettivamente sbagliata” al fatto che la normativa non aveva valenza scientifica bensì era una “scelta politica” al fatto che è stata creata una “discriminazione” tra i cittadini al fatto che era legittimo il timore del vaccino posto che “alcuni vaccini hanno causato dei morti”, alcuni vaccini hanno causato degli effetti avversi è una verità accertata. Ora, se queste sono – come sono – le posizioni espresse dall'attuale credibile Consiglio dei Ministri, questo giudicante osserva trattarsi quasi di una sorta di confessione stragiudiziale del carattere illecito della normativa oggetto di causa. Non può passare inosservato che, nel presente giudizio, l'Ente convenuto Presidenza del CdM sta sostenendo tesi opposte rispetto a queste dichiarazioni pubbliche, e questa circostanza vanifica non poco la credibilità delle sue difese. Per tutte le ragioni di cui sopra, la domanda è accolta. Tenuto conto del complesso quadro legislativo e giurisprudenziale venutosi a creare a seguito delle norme oggetto della domanda, della complessità e novità del caso, sussistono giusti motivi per procedere alla totale compensazione delle spese del presente giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Giudice di Pace, definitivamente pronunciando, così provvede - dichiara tenuta e quindi condanna la convenuta Presidenza del C.d.M. in persona del Presidente del Consiglio in carica, a risarcire ciascun attore nella misura di euro 10,00 cadauno per il solo danno non patrimoniale consistente nelle voci di danno denominate danno dinamico-relazionale e danno morale, con espressa riserva da parte di ciascun attore di separata azione per ogni altra voce di danno individuale “patito e patiendo”, oltre rivalutazione ed interessi dal dovuto al saldo. Spese di lite compensate.