L’assicuratore non è tenuto al pagamento dell’indennizzo quando il sinistro non si sia verificato, oppure, se anche si sia verificato, non abbia prodotto alcun danno. Infatti, se l’esistenza della polizza è la condicio iuris dell’obbligazione dell’assicuratore, l’esistenza del danno ne è la condicio facti ciò implica che se il danno viene meno, perché risarcito da terzi, viene meno anche l’obbligazione indennitaria dell’assicuratore.
Con l'ordinanza in commento, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sul divieto di cumulabilità dell'indennizzo contrattuale e del risarcimento del danno , al fine di evitare l'indebito arricchimento del danneggiato. L'evento, da cui trae origine l'intera vicenda processuale e la conseguente pronuncia della Suprema Corte, scaturisce dal verificarsi di un sinistro stradale, nel quale rimaneva coinvolta una donna, titolare di polizza contro gli infortuni . La vittima del sinistro, dopo esser stata risarcita dalla compagnia assicurativa del responsabile civile, avanzava richiesta di corresponsione di indennizzo al proprio assicuratore, chiedendo l'adempimento degli obblighi nascenti dalla polizza contro gli infortuni. Quest'ultimo, tuttavia, già nella fase stragiudiziale, condizionava l'eventuale indennizzo alla dimostrazione, da parte dell'assicurata, di non essere già stata risarcita anche dalla compagnia del responsabile civile. In primo grado, una volta instaurato il procedimento, volto ad ottenere la condanna dell'assicuratore alla corresponsione dell'indennizzo, i giudici, ex articolo 210 c.p.c ., ordinavano all'attrice di depositare la documentazione riguardante la richiesta di risarcimento e la conseguente gestione del sinistro ed in particolare di produrre la comunicazione di chiusura, con specifica dell'importo percepito. L'attrice, però, non ritenne di eseguire tale ordine e la domanda fu rigettata. La sentenza fu impugnata dalla danneggiata, ma anche il giudizio di secondo grado si concluse con il rigetto della domanda della danneggiata , in quanto la Corte territoriale ritenne che l'indennizzo dovuto dall'assicuratore, contro gli infortuni non mortali e il risarcimento del danno alla persona assolvono un'identica funzione risarcitoria e non possono cumularsi . Avverso tale pronuncia, l'assicurata ha proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione. Il contratto aleatorio e il rischio avverato Nel ritornare a pronunciarsi sulla questione della cumulabilità fra risarcimento del danno e indennizzo assicurativo, i Giudici hanno innanzitutto voluto definire l'onere probatorio gravante sull'assicurato e sull'assicuratore. Il primo ha l'onere di provare il verificarsi dell'evento descritto nella polizza, da cui scaturisce il danno, che rappresenta il cosiddetto «rischio avverato», ovvero la realizzazione del rischio astrattamente previsto dal contratto di assicurazione. Il secondo, invece, ha l'onere di provare il fatto impeditivo della pretesa attorea, ovvero la circostanza che il danno oggetto di copertura assicurativa sia già stato indennizzato o risarcito da altri. Una volta definito questo punto, i giudici di legittimità hanno anche voluto chiarire che il contratto di assicurazione è un contratto aleatorio e non commutativo e che l'alea di tale contratto consiste nell'avverarsi del rischio. L'assicuratore, pertanto, non è tenuto al pagamento dell'indennizzo, quando il sinistro non si sia verificato oppure se anche si sia verificato, non abbia prodotto alcun danno. Infatti, se l'esistenza della polizza è la condicio iuris dell'obbligazione dell'assicuratore, l'esistenza del danno ne è la condicio facti ciò implica che, se il danno viene meno, perché risarcito da terzi, viene meno anche l'obbligazione indennitaria dell'assicuratore. Viceversa, ammettere che l'obbligo indennitario dell'assicuratore possa esistere, anche senza che esista un danno, causato dall'avverarsi del rischio, finirebbe per modificare la causa del contratto di assicurazione, trasformandolo da contratto di indennità in scommessa. Il principio indennitario e l'indifferenza del risarcimento Secondo la Suprema Corte, né il risarcimento del danno, né la stipula d'un contratto d'assicurazione possono mai essere fonte di arricchimento per il danneggiato o per l'assicurato nel primo caso lo vieta l' articolo 1223 c.c. , che enuncia il principio di indifferenza del risarcimento, nel secondo caso, invece, il divieto scaturisce dal principio indennitario , che si rinviene nel combinato disposto degli artt.1904, 1909 e 1910 c.c. Se, quindi, la vittima d'un fatto illecito, che sia già stata indennizzata dal suo assicuratore, venisse anche risarcita dal responsabile del danno, si verificherebbe una violazione del principio di indifferenza del risarcimento allo stesso modo, se l'assicurato fosse indennizzato d'un danno, per il quale è già stato risarcito dal responsabile, sarebbe violato il principio indennitario. La differenza fra polizza sulla vita e contro gli infortuni L'ultimo punto, sul quale si esprime la Corte, infine, riguarda la differenza fra il contratto di assicurazione sulla vita e quello contro gli infortuni non mortali. Il primo, infatti, è un contratto nel quale il pagamento dell'indennizzo è condizionato al verificarsi dell'evento della morte dell'assicurato e in quanto tale, non è assoggettato al principio indennitario, consentendo il cumulo fra l'indennizzo dell'assicuratore e il risarcimento del responsabile o del suo garante. Al contrario, l'assicurazione contro gli infortuni non mortali è un'assicurazione di persone, soggetta alle medesime regole dell'assicurazione danni e pertanto anche al principio indennitario Cass. n.5119/2002 .
Presidente De Stefano – Relatore Rossetti Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.