«Nel computo del limite massimo di durata di 36 mesi per i contratti a termine consecutivi, ai fini della verifica dell’eventuale conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato, vanno inclusi anche i contratti già conclusi prima dell’introduzione del comma 4-bis dell’articolo 5 del d.lgs. numero 368/2001, se rientrano nella stessa successione di contratti tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore».
Oggetto della controversia La ricorrente, orchestrale del Teatro di Messina, ha avviato una causa contro l'Ente Autonomo Regionale Teatro di Messina EAR , chiedendo l'accertamento dell' illegi t timità dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dal 1997, per il superamento dei limiti di durata , la conversione in un contratto a tempo indeterminato, la stabilizzazione e il risarcimento del danno derivante dalla violazione di norme riguardanti il contratto a tempo determinato. Il Tribunale di Messina ha parzialmente accolto la richiesta, accertando la violazione del limite di durata di 36 mesi per i contratti a termine con violazione dell'articolo 5, comma 4- bis , d.lgs. numero 368/2001. Ha escluso la stabilizzazione, ma ha condannato l'Ente al risarcimento del danno , commisurato a una somma pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, ai sensi dell' articolo 8 Legge numero 604/1966 , quale parametro conforme alla disciplina europea. La Corte d'Appello ha riformato la sentenza, respingendo le domande della ricorrente, rilevando che la natura dell'Ente come pubblico e le specifiche normative legate a tale categoria impedivano la conversione del rapporto di lavoro. Inoltre, ha escluso il superamento del limite di 36 mesi , considerando non validi alcuni periodi lavorativi precedenti al 2001 e tra il 2008 e il 2009. Ricorso in Cassazione La ricorrente ha presentato ricorso per la cassazione della sentenza d'appello, affidato a due motivi, concludendo in via principale per la decisione della causa nel merito con conferma di quanto deciso dal giudice di prime cure, sostenendo la violazione delle norme sul calcolo del periodo massimo di 36 mesi di contratti a termine e l'erronea applicazione del regime transitorio previsto dalla Legge numero 247/2007 . Nello specifico, con il primo motivo di ricorso , la ricorrente ha sostenuto che la Corte d'Appello non avesse correttamente considerato i contratti tra il 1997 e il 2001 per il calcolo del limite di 36 mesi, come previsto dalla legge. Secondo la ricorrente, la Corte avrebbe dovuto considerare tali periodi al fine di calcolare la durata complessiva dei contratti, ai sensi dell'articolo 5, comma 4- bis , d.lgs. numero 368/2001. Tale motivo è fondato . La Corte di Cassazione, infatti, osserva che la Corte d'Appello ha errato nell'escludere i contratti stipulati tra il 1997 e il 2001, in quanto non è questione di legittimità dei contratti al momento della loro stipula, ma della legittimità della successione di contratti a tempo determinato e del superamento del termine massimo di 36 mesi . Secondo la Corte, per prevenire l'abuso del ricorso ai contratti a termine, è necessario calcolare tutti i periodi di lavoro ai fini del superamento del limite stabilito dalla legge , anche quelli pregressi rispetto all'introduzione del comma 4- bis , dell' articolo 5, d.lgs. numero 368/2001 . Pertanto, la Corte afferma che vanno computati tutti i periodi di contratti a termine successivi tra lo stesso lavoratore e datore di lavoro , indipendentemente dal regime applicabile ai contratti sottoscritti prima del 2001 . La Cassazione ha, quindi, accolto il primo motivo di ricorso, sottolineando che la legge numero 247/2007 imponeva di computare tutti i contratti a tempo determinato, inclusi quelli stipulati prima della sua entrata in vigore, al fine di verificare il superamento del limite. La ricorrente, inoltre, con il secondo motivo di ricorso , ha contestato la non valutazione dei periodi di lavoro tra il 2008 e il 2009 ai fini del computo dei 36 mesi. Sostiene la ricorrente che la Corte d'Appello abbia applicato erroneamente il regime transitorio previsto dalla legge numero 247/2007. In particolare, contesta la decisione della Corte di Appello di non considerare i contratti a termine stipulati nel periodo tra il 1° gennaio 2008 e il 31 marzo 2009 ai fini del computo del limite di 36 mesi, poiché tale periodo doveva essere computato nel calcolo complessivo. Tale motivo è inammissibile. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile tale motivo di ricorso, laddove la motivazione della Corte di Appello era corretta in relazione al periodo di applicazione del regime transitorio, che era valido solo per la prima applicazione della legge numero 247/2007. La Corte ritiene che la questione del computo dei periodi durante il regime transitorio non sia stata oggetto di appello incidentale e pertanto non vi è motivo per rivalutare la decisione sul punto. L'impossibilità di considerare tale periodo come parte integrante del calcolo complessivo dei 36 mesi è quindi in linea con la normativa vigente. Le motivazioni della pronuncia Principio della protezione contro l'abuso dei contratti a termine La Corte di Cassazione, nell'affrontare il primo motivo di ricorso, ribadisce il principio fondamentale stabilito dalla Direttiva Europea 1999/70/CE, del Consiglio del 28 giugno 1999, di attuazione dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, volto a prevenire l' abuso derivante dall'utilizzo continuativo dei contratti a termine . L'uso reiterato dei contratti a termine senza una giustificazione oggettiva e specifica è considerato un abuso, che deve essere impedito. In particolare, la Corte osserva che la durata complessiva dei contratti , comprendente rinnovi e proroghe, deve essere monitorata attentamente , per evitare il rischio che il datore di lavoro non rispetti i limiti temporali previsti per l'uso di contratti a termine Considerazione dei contratti pre-2001 La Corte di Cassazione analizza il punto relativo ai contratti pre-2001 , stabilendo che questi devono essere conteggiati ai fini del superamento del limite di durata di 36 mesi. La Corte si allinea con la giurisprudenza consolidata, secondo cui l'intento della normativa è quello di impedire che i contratti a termine vengano rinnovati in modo continuo per eludere la trasformazione del contratto in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato . I Giudici sottolineano come la protezione contro l'abuso sia universale e debba essere applicata indipendentemente dal periodo storico in cui i contratti sono stati stipulati. Errore nell'applicazione del regime transitorio La Corte ha ritenuto che la Corte d'Appello abbia correttamente escluso il periodo di lavoro tra il 2008 e il 2009 dal computo complessivo , in quanto soggetto al regime transitorio introdotto dalla legge numero 247/2007. In questo periodo transitorio, i contratti in essere continuavano a essere validi fino al termine stabilito dal contratto stesso , senza che venisse calcolato nel limite dei 36 mesi. L'argomentazione della ricorrente non è stata ritenuta fondata, in quanto la norma transitoria non può essere applicata in modo retroattivo per computare i periodi successivi. Il principio giuridico affermato dalla Corte Il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza riguarda il computo dei contratti a termine ai fini della verifica del rispetto del limite massimo di durata di trentasei mesi . La Corte ha affermato che, nel caso di una successione di contratti a tempo determinato per lo svolgimento di mansioni equivalenti tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, vanno inclusi nel termine massimo di durata anche i contratti già conclusi prima dell'introduzione del comma 4- bis dell' articolo 5 del d.lgs. numero 368/2001 , effettuata dalla legge numero 247/2007, in quanto la legge stessa articolo 1, comma 43, legge numero 247/2007 li include nel computo della durata complessiva del contratto. In altre parole, tutti i contratti a termine precedenti , anche quelli conclusi prima dell'introduzione della norma, devono essere considerati nel calcolo del limite dei 36 mesi se rientrano nella stessa successione di contratti per lo stesso lavoratore e per lo stesso datore di lavoro. Questo è un aspetto fondamentale per evitare l'abuso dell'uso dei contratti a termine e garantire la tutela dei lavoratori. Pertanto, «nel computo del limite massimo di durata di 36 mesi per i contratti a termine consecutivi, ai fini della verifica dell'eventuale conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato, vanno inclusi anche i contratti già conclusi prima dell'introduzione del comma 4-bis dell' articolo 5 del d.lgs. numero 368/2001 , se rientrano nella stessa successione di contratti tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore». Con questo principio la Corte Suprema stabilisce che non è sufficiente considerare solo i contratti stipulati dopo l'introduzione del comma 4- bis , ma è necessario anche includere quelli conclusi prima, se fanno parte di un'adeguata successione di contratti . Conclusione sul merito Decidendo nel merito, la Corte di Cassazione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, cassa la sentenza della Corte d'Appello e conferma la decisione di primo grado del Tribunale di Messina, che aveva riconosciuto la violazione dell'articolo 5, comma 4- bis , d.lgs. numero 368/2001 da parte dell'Ente. Condanna l'Ente al risarcimento del danno in favore della ricorrente, pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Presidente Doronzo – Relatore Marotta Rilevato che 1. Z.S., orchestrale primo fagotto o secondo fagotto del OMISSIS , assunta con plurimi contratti di lavoro a tempo determinato a partire dal 1997, avendo superato l'audizione pubblica per la selezione degli orchestrali, conveniva in giudizio con ricorso depositato il 27/7/2012 detto OMISSIS al fine di accertare l'illegittimità delle clausole appositive del termine ai contratti di lavoro stipulati dal 1997 e per quindici anni per essere stati i contratti privi di causale giustificativa, per il superamento del limite assunzionale, per il superamento del termine di 36 mesi , il diritto alla conversione del rapporto a far tempo dal 2003 ovvero dalla data di deposito del ricorso, il diritto alla stabilizzazione, la condanna dell'ente al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento del danno. 2. Il Tribunale di Messina, in parziale accoglimento del ricorso, ritenuta la natura di ente pubblico non economico del OMISSIS , dichiarava, quanto al termine apposto ai contratti di lavoro stipulati tra le parti, la violazione dell' articolo 5, comma 4-bis, d.lgs. numero 368/2001 , per superamento del limite massimo complessivo di 36 mesi, e esclusa la stabilizzazione condannava l'Ente al risarcimento del danno commisurato a una somma pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, ai sensi dell' articolo 8 legge numero 604/1966 , quale parametro conforme alla disciplina europea. 3. La Corte d'appello di Messina, decidendo sull'appello proposto dal OMISSIS , in riforma della sentenza impugnata, rigettava le domande proposte dalla Z.S 4. Per quanto ancora qui rileva, la Corte distrettuale osservava che - la natura di ente pubblico regionale di diritto pubblico del OMISSIS precludeva la possibilità di conversione del rapporto ai sensi dell' articolo 36, comma 5, del d.lgs. numero 165/2001 , essendo solo possibile, in presenza di un contratto ‘nullo' solo il risarcimento del danno con valenza fondamentalmente sanzionatoria e di deterrenza danno comunitario, non necessitante di prova - il primo giudice, pur escludendo che i contratti a termine fossero privi di causale, ne aveva ritenuto l'illegittimità per effetto del superamento dei 36 mesi avendo fatto applicazione dell' articolo 1, comma 43, legge numero 247/2007 che, nel regolamentare il regime transitorio in fase di prima applicazione, aveva previsto che i contratti a termine in corso alla data del gennaio 2008, continuassero fino al termine previsto dal contratto anche in deroga alle disposizioni di cui al comma 4-bis dell' articolo 5 d.lgs. numero 368/2001 , lett. a - per il primo giudice, il periodo di lavoro già effettuato alla data dell'1/1/2008 doveva essere computato assieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis, decorsi 15 mesi dalla medesima data ai sensi della lett. b in conseguenza restavano non computabili nel periodo complessivo di 36 mesi i periodi di attività compresi tra l'1/1/2008 e il 31/3/2009, mentre andavano cumulati i contratti a termine stipulati fino al 31/12/2007 con quelli tra le parti dall'1/4/2009 - pertanto, ad avviso del Tribunale, doveva ritenersi superato il periodo massimo di durata di 36 mesi di cui al citato articolo 5, comma 4-bis, non essendo applicabili i casi di esclusione previsti dall' articolo 10, comma 7, d.lgs. numero 368/2001 circa l'esenzione da limitazioni quantitative dei contratti a tempo determinato conclusi per specifici spettacoli, perché riguardanti la sola esenzione dal cd. contingentamento - invece, per il giudice di secondo grado, doveva essere escluso il superamento del termine massimo di 36 mesi, perché non erano valutabili i periodi di lavoro tra l'1/1/1997 e il 15/9/2001, in quanto sottoposti al regime della legge numero 230/1962 , né erano valutabili a tale fine quelli tra l'1/1/2008 e il 31/3/2009 per espressa previsione del regime transitorio di cui alla legge numero 247/2007 già sottratti dal giudice di primo grado - pertanto, valutando esclusivamente i periodi iniziati in data successiva al 21/9/2001 dopo l'entrata in vigore del d.lgs. numero 368/2001 , al netto di quelli ricompresi nel periodo tra l'1/1/2008 e il 31/3/2009, la somma dei periodi lavorati risultava inferiore a 36 mesi 618 giorni e non almeno 1095 . 5. Z.S. propone ricorso per la cassazione della sentenza d'appello, affidato a due motivi, concludendo in via principale per la decisione della causa nel merito con conferma di quanto deciso dal giudice di prime cure. 6. Resiste il OMISSIS con controricorso. 7. La ricorrente ha depositato memoria. Considerato che 1. Con il primo motivo articolo 360, numero 3, cod. proc. civ. , la ricorrente deduce la violazione dell' articolo 5, comma 4-bis, d.lgs. numero 368/2001 , in relazione alla disciplina del limite massimo di 36 mesi, sostenendo l'erronea mancata applicazione, nella sentenza gravata, ai fini del computo del limite suddetto, dei contratti di lavoro intercorsi nel periodo tra il 1997 e il 2001. 2. Con il secondo motivo articolo 360, numero 3, cod. proc. civ. la ricorrente deduce l'erronea applicazione alla fattispecie del regime transitorio di cui alla legge numero 247/2007 ed erronea non valutazione dei periodi di lavoro compresi tra l'1/1/2008 e il 31/3/2009 ai fini del computo dei 36 mesi di cui all' articolo 5, comma 4-bis, d.lgs. numero 368/2001 , regime transitorio che varrebbe solo in fase di prima applicazione, ma non sarebbe interpretabile come “una sorta di periodo franco” non conteggiabile nel caso in cui l'abuso sia continuato dopo la scadenza del periodo previsto dalla legge. 3. Il primo motivo di ricorso è fondato si veda in termini Cass. 28 dicembre 2023, numero 36120 . 4. L'articolo 1, comma 43, legge numero 247/2007 “Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale” , stabilisce che «In fase di prima applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 40 a 42 a i contratti a termine in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano fino al termine previsto dal contratto, anche in deroga alle disposizioni di cui al comma 4-bis dell' articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, numero 368 , introdotto dal presente articolo b il periodo di lavoro già effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis, decorsi quindici mesi dalla medesima data». 5. L'articolo 5, comma 4-bis, d.lgs. numero 368/2001 “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES” , introdotto dalla legge numero 247/2007 di cui sopra, poi abrogato dal d.lgs. numero 81/2015 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell' articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, numero 183 ” , a sua volta, stabiliva che «Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato». 6. Il successivo comma 4-ter della medesima disposizione precisava che «Le disposizioni di cui al comma 4-bis non trovano applicazione nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, numero 1525 , e successive modifiche e integrazioni, nonché di quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative». 7. L'argomento del OMISSIS , fatto proprio dalla Corte d'Appello nella sentenza impugnata, secondo cui non erano valutabili, al fine del computo del termine massimo di 36 mesi per la legittimità della reiterazione di contratti a tempo determinato nel settore in esame, i periodi di lavoro tra l'1/1/1997 e il 15/9/2001, in quanto sottoposti al regime della legge numero 230/1962 , non resiste alle critiche sollevate nel primo motivo del ricorso della lavoratrice. Tale esclusione non trova fondamento in ragioni di ordine sistematico, perché non si tratta di valutare la legittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro al tempo della loro stipulazione ai sensi della legge numero 230/1962 , ma la legittimità o meno del superamento del termine massimo di durata fissato dalla legge in caso di successione di plurimi contratti a tempo determinato, con finalità di prevenzione della loro abusiva reiterazione. 9. È infatti l'abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato, ossia l'uso improprio del susseguirsi dei contratti a tempo determinato, che i paesi dell'UE, in base alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, di attuazione dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, devono prevenire non è, quindi, in discussione la legittimità delle condizioni legittimanti il ricorso alla clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro, ma la successione di contratti di tale natura tra le stesse parti. 10. Al fine di prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, sono tenuti ad inserire nella legislazione nazionale almeno una delle seguenti misure ragioni oggettive per il rinnovo dei contratti a tempo determinato durata complessiva massima del susseguirsi dei contratti a tempo determinato numero di rinnovi massimo dei contratti a tempo determinato. 11. Come chiarito da questa Corte in numerosi arresti tra i quali Cass. 10480/2019 , numero 11121/2019 , numero 11122/2019 , l'interpretazione conforme della normativa considerata, in base alle sentenze della Corte di giustizia UE 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, Sciotto e 9 marzo 2017, in causa C-406/15, Milkova, impone di evitare il rischio che la distinzione, operata da una normativa nazionale tra i lavoratori subordinati a tempo determinato alle dipendenze di un qualsiasi datore di lavoro privato e quelli che svolgano le medesime mansioni nel settore artistico e dello spettacolo alle dipendenze di una Fondazione lirica o di enti similari come l'attuale controricorrente , non risulti adeguata al fine perseguito da tale normativa pertanto, se è vero che la programmazione annuale di spettacoli artistici comporta necessariamente, per il datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione, e quindi può costituire una “ragione obiettiva” ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a , del suddetto accordo quadro, tuttavia la nozione di ragioni obiettive dev'essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l'utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato dette circostanze possono risultare dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro. 12. Nondimeno, non è sufficiente la sola natura artistica dell'attività gestita dal datore di lavoro per quanto concerne le “ragioni obiettive”, strumento fondamentale di argine all'abusivo ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore, in cui indubbiamente è prevista e ammessa la possibilità di ricorrere a rinnovi, va sottolineata l'assoluta necessità di interpretare in termini rigorosi e restrittivi la sussistenza di tale requisito. 13. Nel caso di specie, la sentenza gravata non si è attenuta a tali principi, essendosi soffermata soltanto sulla natura temporanea degli spettacoli in programmazione presso il OMISSIS , anziché sulla questione dirimente della continuativa reiterazione di contratti a tempo determinato nel quadro di una programmazione artistica stabile e che costituisce la ragione costitutiva e organizzativa dell'ente odierno controricorrente. 14. Si presenta, altresì, non corretto il riferimento operato nella decisone impugnata alla legge numero 230/1962 nella sua integralità. 15. Il disposto del comma 4-ter dell' articolo 5, d.lgs. numero 368/2001 escludeva l'applicazione del termine massimo di durata alla successione di contratti «nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, numero 1525 » tale d.P.R. elenca le attività per le quali, ai sensi dell'articolo 1, secondo comma, lettera a , della legge 18 aprile 1962, numero 230 , era consentita per il personale assunto temporaneamente l'apposizione di un termine nei contratti di lavoro ma si tratta del personale di cui alla lett. a della legge numero 230/1962 «speciale natura dell'attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima» , non dalla successiva lett. e «scritture del personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli» . 16. Deve perciò affermarsi, in diritto, il principio per cui vanno computati nel termine massimo di durata stabilito nell'ambito della disciplina della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, i contratti già rientranti nel campo di applicazione dell'articolo 1, lett. e , della legge numero 230/1962. 17. Tale conclusione è, altresì, in linea con il principio generale secondo il quale, in tema di contratti a tempo determinato, ai fini della verifica del rispetto del limite massimo di durata di trentasei mesi, vanno inclusi anche i contratti già conclusi, stipulati prima dell'aggiunta del comma 4-bis al testo dell' articolo 5 del d.lgs. numero 368 del 2001 , effettuata dall' articolo 1, comma 40, della l. numero 247 del 2007 , in quanto il comma 43 del medesimo articolo 1 li attrae nel conteggio della durata complessiva, al fine della suddetta verifica Cass. 17 agosto 2022, numero 24847 . 18. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, in via assorbente, dalla lettura della sentenza gravata non risulta appello incidentale sull'esclusione operata in primo grado del computo dei contratti stipulati nel periodo transitorio di cui all'articolo 1, comma 43, lett. b , legge numero 247/2007. 19. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto. 20. Poiché, alla luce delle conclusioni del ricorso per cassazione e dello stesso contenuto della memoria depositata dalla ricorrente nella quale quest'ultima richiama in toto l'ordinanza di questa Corte numero 36120/2023, già sopra citata, tenuto conto del superamento per mancanza di specifiche censure anche dei criteri di parametrazione del danno, non risultano necessari ulteriori accertamenti di fatto, a norma dell' articolo 384, comma 2, cod. proc. civ. , la causa può essere decisa nel merito, confermando le statuizioni della sentenza di primo grado. 21. Ferma la regolazione delle spese operata in tale sede, l'ente odierno controricorrente deve essere condannato alla rifusione per intero delle spese del secondo grado di giudizio e di quelle del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. 22. Non sussistono le condizioni di cui all'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara la violazione da parte di OMISSIS dell 'articolo 5, comma 4-bis, d.lgs. numero 368/200 1 e, per l'effetto, condanna OMISSIS al pagamento in favore della ricorrente della somma pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno. Condanna OMISSIS alla rifusione in favore della ricorrente di metà delle spese di lite di primo grado, che liquida per l'intero in euro 2.400,00 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge, compensando il residuo alla rifusione delle spese di lite del giudizio di appello, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.