Nei procedimenti familiari che coinvolgono minori, l'avvocato che rappresenta uno dei genitori ha anche il compito di difendere la prole, indipendentemente dalla posizione che ricopre nel processo.
Lo ha stabilito il CNF, con sentenza numero 291/2024. La vicenda in esame riguarda un'avvocata che si era trovata coinvolta in un procedimento disciplinare per violazione dell'articolo 46, comma 7, del Codice Deontologico Forense. Questo per non avere comunicato all'avvocato della controparte l' interruzione delle trattative e il contestuale deposito del ricorso giudiziale in materia di regolamentazione del diritto di visita e di determinazione dell'assegno di mantenimento del figlio minore. Tale deposito, secondo il legale di controparte, era stato taciuto durante l'incontro finalizzato a raggiungere un accordo extragiudiziale tra le parti. Al termine del procedimento, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trento, pur ritenendo la donna responsabile della condotta contestata, irrogava la sanzione dell'avvertimento , considerando la violazione di ridotta gravità. Il legale adiva quindi il CNF, chiedendo che venisse accertata l' insussistenza della violazione e deliberarne il proscioglimento, «non essendovi i presupposti per l'irrogazione di qualsivoglia provvedimento disciplinare, ovvero, in via subordinata, ritenuta l'infrazione contestata lieve e scusabile, disporre il richiamo verbale». Il Consiglio Nazionale Forense ha respinto le obiezioni della professionista dalla documentazione, infatti, emerge chiaramente che la comunicazione richiesta dalla norma violata non è stata effettuata , confermando la responsabilità della donna come stabilito dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trento. Il comma 7 dell'articolo 46 del Codice Deontologico Forense, infatti, prevede che l'avvocato debba comunicare al collega avversario l'interruzione delle trattative stragiudiziali , «nella prospettiva di dare inizio ad azioni giudiziarie» ciò significa che, anche laddove si volesse aderire alla tesi difensiva secondo cui non esistessero trattative stragiudiziali prima dell'incontro, «la circostanza di avere positivamente aderito alla richiesta di cercare in tale data una definizione alla presenza delle parti, dà contezza del fatto che comunque le stesse vi siano state con conseguente obbligo di comunicazione». La professionista avrebbe dovuto comunicare il suo disinteresse e il termine dei negoziati invece, essendosi offerta di trovare una soluzione stragiudiziale mentre depositava il ricorso, la sua condotta non è stata in linea «con il bene oggetto della tutela deontologica che è, di contro, la colleganza e la chiarezza dei rapporti tra colleghi». Tale chiarezza, per il CNF, «è particolarmente pregnante nella materia afferente al diritto di famiglia e dei minori , posto che è noto che l'avvocato in tale veste ha non solo funzione di difensore delle parti, ma anche dei minori coinvolti nelle vicende che li attingono, loro malgrado, e dunque tale funzione deve essere svolta con particolare attenzione tesa a contenere in modo più efficace possibile il contenzioso tra le parti. Con ciò non si sostiene che venga meno il primario diritto di difesa a cui l'avvocato è tenuto, ma si ribadisce che il legale incaricato da uno dei genitori ha non solo il dovere ma invero l'obbligo di svolgere un ruolo protettivo del minore , arginando il conflitto invece che alimentarlo». «Nei procedimenti di famiglia, dunque, l'avvocato è difensore del padre o della madre, ma certamente è anche difensore del minore. Qualunque sia la sua posizione processuale» aggiunge il Collegio. Pertanto, la condotta della ricorrente viola il disposto di cui all'articolo 46, comma 7, del Codice Deontologico, e la decisione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati è immune da censura . Quanto alla sanzione, a parere della ricorrente troppo severa, il CNF non ritiene di convenire, in quanto «per la violazione dell'articolo 46, comma 7, del vigente CDF è prevista la sanzione edittale della censura, la sanzione attenuata dell'avvertimento e la sanzione aggravata fino alla sospensione non superiore ad 1 anno, non ricorrendo in alcun modo la possibilità di degradare la sanzione, ulteriormente, al richiamo verbale». Posto che nel caso di specie il CDD di Trento ha già applicato la sanzione attenuata dell'avvertimento, non è possibile accogliere la richiesta di riduzione della sanzione . Il CNF, pertanto, rigetta il ricorso.
CNF, sentenza del 26 dicembre 2024, numero 291