Referendum: cinque sì e un no dalla Corte Costituzionale

La Consulta ha depositato le sentenze sull’ammissibilità dei referendum in materia di cittadinanza, Jobs Act, indennità di licenziamento, infortuni sul lavoro e contratti a termine mentre boccia quello sull’autonomia differenziata.

Referendum in materia di cittadinanza Con la sentenza numero 11/2025, la Consulta ha dichiarato l' ammissibilità del referendum in materia di cittadinanza . La richiesta referendaria, in particolare, è diretta ad abrogare, congiuntamente, l'intero articolo 9, comma 1, lettera f , della legge numero 91 del 1992 e, limitatamente ad alcune parole, l'articolo 9, comma 1, lettera b . Le due diverse abrogazioni, combinate, comporterebbero che tutti gli stranieri maggiorenni con cittadinanza di uno Stato non appartenente all'Unione europea potrebbero presentare richiesta di concessione della cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza legale in Italia . Per il giudice delle leggi il quesito «è omogeneo, chiaro e univoco», ha una «matrice razionalmente unitaria», in quanto le due abrogazioni, l'una inscindibilmente connessa all'altra, «sono funzionali a determinare un'unitaria normativa di risulta , così da sottoporre all'elettore una scelta – chiara, univoca e facilmente intellegibile – in ordine agli anni di residenza nel territorio della Repubblica necessari, per il maggiorenne cittadino di uno Stato non appartenente all'UE, per poter presentare domanda di concessione della cittadinanza italiana dieci, come attualmente dispone l'articolo 9, comma 1, lettera f , o cinque, come eventualmente disporrebbe, parzialmente modificato, l'articolo 9, comma 1, lettera b in caso di approvazione del referendum abrogativo». La parziale abrogazione dell'articolo 9, comma 1, lettera b non determinerebbe , inoltre, « alcuna modificazione in peius della posizione dello straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano ma, anzi, consentirebbe anche a quest'ultimo di richiedere la concessione della cittadinanza dopo solo cinque anni di residenza sul territorio nazionale». Infine, ha rilevato la Corte, il quesito referendario, pur combinando due abrogazioni, totale e parziale, non contraddice la natura abrogativa dell'istituto , che, per giurisprudenza costante cfr., ex multis numero 32/1993 numero 49/2022 , non deve trasformare il referendum abrogativo in propositivo. La richiesta, infatti, non è volta a sostituire la disciplina con una diversa ed estranea al contesto normativo, per cui non supera la «soglia di tollerabile manipolatività» consentita. Referendum Jobs Act Ritenuto ammissibile dalla Corte Costituzionale anche il referendum per l'abrogazione del decreto delegato attuativo del Jobs Act in materia di licenziamenti illegittimi . Il quesito referendario, si legge nella sentenza numero 12/2025, punta a rimuovere dall'ordinamento l'intero d.lgs. numero 23 del 2015 , «frutto di una discrezionale opzione di politica legislativa, senza che dalla vis abrogans possa scaturire una, preclusa, reviviscenza del quadro normativo preesistente la disciplina dettata dal suddetto decreto legislativo si è affiancata a quella dettata dall'articolo 18 statuto lavoratori e dall' articolo 8 della legge numero 604 del 1966 , dando così luogo a “un duplice e parallelo regime ” sentenza numero 44 del 2024 ». L'effetto che ne scaturirebbe consisterebbe «nella fisiologica espansione della sfera di operatività di norme già presenti nell'ordinamento , tuttora vigenti, anche se compresse, per effetto della applicabilità delle disposizioni oggetto del referendum, su un ambito di efficacia limitato ai soli licenziamenti individuali dei lavoratori già in servizio alla data del 7 marzo 2015». Il quesito, per il giudice delle leggi, in sostanza, è munito di una matrice razionalmente unitaria ravvisabile «nel profilo teleologico sotteso, mirante all'abrogazione di un corpus organico di norme e funzionale alla reductio ad unum, senza più la divisione tra prima e dopo la data del 7 marzo 2015, della disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi, con la riespansione della disciplina pregressa , valevole per tutti i dipendenti, quale che sia la data della loro assunzione». Infine, ha sentenziato la Corte, «la circostanza che all'esito dell'approvazione del quesito abrogativo il risultato di un ampliamento delle garanzie per il lavoratore non si verificherebbe in realtà in tutte le ipotesi di invalidità, perché in alcuni casi particolari si avrebbe, invece, un arretramento di tutela , non assume una dimensione tale da inficiare la chiarezza, l'omogeneità e la stessa univocità del quesito medesimo». Referendum indennità di licenziamento Con la sentenza numero 13/2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato altresì l'ammissibilità del referendum sulla misura massima dell' indennità da licenziamento illegittimo . Il referendum ha ad oggetto, nello specifico, l'abrogazione dell' articolo 8 della legge numero 604 del 1966 , limitatamente alle parole che stabiliscono una misura massima pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per la liquidazione dell'indennità da licenziamento illegittimo. La norma oggetto del quesito referendario trova oggi applicazione, ha spiegato in motivazione il giudice delle leggi, «a seguito delle modifiche intervenute nella legislazione in materia, nei confronti dei soli lavoratori assunti alle dipendenze delle cosiddette “ piccole imprese ” ossia, presso datori di lavoro che non raggiungono la soglia dimensionale indicata dall' articolo 18, ottavo comma, dello Statuto dei lavoratori prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto legislativo numero 23 del 2015 , attuativo della legge sul Jobs act». A giudizio della Corte, la richiesta referendaria è ammissibile , poiché non è «ravvisabile alcuna preclusione proveniente dai divieti posti dall' articolo 75, secondo comma, Cost. , né si apprezzano profili attinenti a disposizioni a contenuto costituzionalmente obbligato». Il quesito risponde poi «ai requisiti di chiarezza, univocità e omogeneità». Referendum contratti a termine Ammissibilità anche per il referendum abrogativo in tema di contratti di lavoro a termine . Con la sentenza numero 14/2025, la Corte ha legittimato il quesito per l'«Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi». In particolare, si tratta delle previsioni di cui agli articoli 19, commi 1, 1-bis e 4, e 21, comma 01, del decreto legislativo numero 81 del 2015 che attualmente consentono la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato e anche la loro proroga e/o il rinnovo fino a un anno senza dover fornire alcuna giustificazione , e, per quelli di durata superiore , sulla base di una giustificazione individuata dalle parti , anche se non prevista né dalla legge, né dai contratti collettivi stipulati dai sindacati più rappresentativi a livello nazionale. Il quesito, per il giudice delle leggi, soddisfa tutti i requisiti di chiarezza, omogeneità, univocità nonché quello della matrice razionalmente unitaria richiesta, per consentire al corpo elettorale una scelta libera e consapevole . Esso, infatti, si legge in sentenza, pone l'elettore «dinanzi a un'alternativa secca da un lato, la riespansione dei vincoli al ricorso al lavoro temporaneo, nella forma della generalizzazione dell'obbligo di giustificazione dell'apposizione del termine al contratto, senza eccezioni con riguardo alla durata del rapporto e in riferimento alle sole ipotesi previste dalla legge o dai contratti collettivi dall'altro, la conservazione della normativa vigente , che, all'opposto, ne agevola l'impiego». Infine, ha rilevato la Corte, «la proposta referendaria, pur utilizzando la tecnica del ritaglio di frammenti normativi, non contraddice la natura abrogativa dell'istituto». Da qui la sancita ammissibilità. Referendum responsabilità imprenditore committente La sentenza numero 15/2025 ammette, poi, il referendum sulla responsabilità dell'imprenditore committente , finalizzato all'abrogazione dell' articolo 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, numero 81 , limitatamente alle parole «Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici ». In altre parole, il referendum abrogativo mira ad eliminare la limitazione della responsabilità solidale , mediante la soppressione dell'intero secondo periodo, che tale limitazione ha disposto. Il quesito per la Corte è dunque ammissibile , in quanto non interferisce con materie precluse al ricorso all'istituto di cui all' articolo 75 Cost. , rispetta i requisiti di chiarezza e semplicità e rivela una matrice razionalmente unitaria. «Dalla formulazione del quesito e dall'analisi della sua incidenza sul quadro normativo – ha rilevato la Consulta - si evince in modo inequivocabile la finalità di rafforzare la responsabilità solidale per i danni non indennizzati dall'INAIL o dall'IPSEMA e di ripristinarne l'originaria ampiezza, nei termini definiti dall' articolo 1, comma 910, della legge numero 296 del 2006 , che non contemplava limitazioni di sorta». Abrogata la limitazione oggi prevista, ha concluso il giudice delle leggi, «il sistema si ricompone in modo armonico con il fine ispiratore della richiesta referendaria l'imprenditore committente risponde in solido con appaltatori e subappaltatori per tutti i danni che l'INAIL o l'IPSEMA non devono indennizzare , a prescindere dall'eventuale inerenza di tali danni a rischi tipici delle attività degli appaltatori e subappaltatori». Referendum autonomia differenziata L'unica inammissibilità dell'ultimo deposito da parte della Corte Costituzionale riguarda il referendum sull'autonomia differenziata. Con la sentenza numero 10/2025, la Consulta ha espresso il suo diniego alla richiesta di abrogazione della legge numero 86/2024 , puntando sulla mancanza di chiarezza dell'oggetto e della finalità del quesito . Il giudice delle leggi ha ricordato, infatti, che il testo della legge numero 86 è quello risultante a seguito della sentenza numero 192/2024 che ha profondamente inciso sull'architettura essenziale della legge stessa, dichiarando l'illegittimità costituzionale di molteplici disposizioni e l'illegittimità consequenziale di altre, fornendo anche un'interpretazione costituzionalmente orientata di ulteriori disposizioni. Conseguentemente, oscuro risulta l'oggetto del quesito , il che andrebbe a pregiudicare la sua comprensibilità da parte del corpo elettorale. «L'elettore si verrebbe a trovare – ha spiegato la Consulta - in una condizione di disorientamento , rispetto sia ai contenuti, sia agli effetti di quel che resta della legge numero 86 del 2024 . Con la conseguenza che tale disorientamento impedirebbe l'espressione di un voto libero e consapevole, che la chiarezza e la semplicità del quesito mirano ad assicurare». Non solo. Il quesito è inoltre, privo di chiarezza quanto alla sua finalità , con il rischio, ha sentenziato infine il giudice delle leggi «che si risolva in altro – ossia - nel far esercitare un'opzione popolare non già su una legge ordinaria modificata da una sentenza di questa Corte, ma a favore o contro il regionalismo differenziato». La consultazione referendaria verrebbe ad avere, dunque, «una portata che trascende quel che i Costituenti ritennero fondamentale, cioè l'uso corretto – e ragionevole – di questo importante strumento di democrazia», con il risultato di una «radicale polarizzazione identitaria sull'autonomia differenziata come tale, e in definitiva sull' articolo 116, terzo comma, Cost. , che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo di revisione costituzionale ». Pertanto, la richiesta referendaria è stata dichiarata inammissibile .