Avvocato interdetto: quando si può parlare di patrocinio infedele?

Si parla di patrocinio infedele solo qualora il legale diffidato arrechi nocumento agli interessi della parte da lui difesa dinanzi al giudice, e non anche durante le attività poste in essere prima dell’instaurazione del procedimento e ad esso prodromiche.

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte si è pronunciata sul caso di un legale che, pur interdetto dall'esercizio della professione , praticava normalmente, raggirando i clienti ignari della sua situazione. Dopo la pronuncia di condanna dei giudici di merito che avevano ravvisato nella sua condotta una molteplicità di reati tra cui, in particolare, il patrocinio infedele e la truffa , la Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso dell'avvocato relativamente ad un tentativo di truffa e ad un caso di patrocinio infedele . Nello specifico, i Giudici hanno annullato senza rinvio la sentenza di condanna relativamente al caso in cui il legale aveva ricevuto un incarico per avviare una causa civile mai instaurata effettivamente e aveva falsamente comunicato al cliente di aver ottenuto un titolo di 10.000 euro. L'avvocato, per rendere credibile quanto sostenuto, aveva anche effettuato dei pagamenti parziali all'offeso, apparendo come parte di un accordo transattivo, anche se le risorse utilizzate per tali versamenti erano le sue stesse. In tale situazione, per la Cassazione, i giudici di merito avevano erroneamente qualificato la fattispecie come un tentativo di truffa basato sul futuro ingiusto profitto legato al compenso professionale, poiché la transazione non si era conclusa e non era ancora giunto il momento per il pagamento del compenso. Quanto, invece, al caso di condanna per patrocinio infedele, il ricorso è stato ritenuto infondato relativamente alla controversia penale appurata la pendenza di un processo in tale ambito , mentre per l'impugnazione del licenziamento in sede civile , la Suprema Corte ha stabilito che, non essendo state realizzate attività davanti ad autorità giudiziarie, il fatto non sussiste . Invero, il reato di patrocinio infedele di cui all' articolo 380 c.p. sanziona la condotta del patrocinatore che, infedele ai suoi doveri professionali, arrechi nocumento agli interessi della parte da lui difesa dinanzi al giudice «per cui essa non può trovare applicazione qualora la condotta si riferisca ad attività poste in essere prima dell'instaurazione del procedimento e ad esso prodromiche.»

Presidente Di Stefano - Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Milano riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Varese del 28 marzo 2022, che aveva condannato Po.Ma. per i reati alla stessa ascritti salvo quello di falso di cui al capo 7, perché estinto per prescrizione alla pena di anni cinque e mesi tre di reclusione e alle pene accessorie, nonché al risarcimento dei danni in favore delle / parti civili, con pagamento in loro favore di una provvisionale. In sede di appello, la Corte territoriale dichiarava estinti per prescrizione alcuni reati e rideterminava la pena inflitta in quella di anni quattro, mesi dieci e giorni venti di reclusione, riformando anche le pene accessorie e confermando nel resto. Per quel che interessa in questa sede, all'imputata erano stati contestati reati di truffa anche in forma tentata e di patrocinio infedele, nonché di esercizio abusivo della professione di avvocato e di falso. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell' articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero 2.1. In relazione al capo 1 , violazione di legge in relazione agli articolo 43, 380 e 640 cod. penumero e vizio di motivazione. Nella condotta di cui al capo 1 difetta quella messa in scena preordinata dall'imputata a perpetrare l'inganno, essenziale per la configurabilità del reato di truffa. Come si evince dalla denuncia querela i mandati erano conferiti alla ricorrente nel 2013 e i procedimenti erano avviati dalla imputata, che poi si sono estinti, quello civile, per inattività delle parti conseguente alla irreperibilità della convenuta , mentre quello penale, per archiviazione per tardività della querela. I compensi ottenuti dall'imputata erano corrisposti per le attività svolte e non in ragione di inganni e raggiri. Gli inganni sono successivi e volti soltanto a celare le proprie negligenze ed imperizie. Pertanto, per configurare il reato dovevano esistere ex ante rispetto all'evento e non essere dedotti a posteriori rispetto alle azioni contestate. Neppure è profilabile il reato di patrocinio infedele, in quanto la cancellazione della causa civile dal ruolo non determinava altri danni alla persona offesa mentre la tardività della querela, firmata in ogni caso dalla persona offesa, non era imputabile alla ricorrente, stante la data del mandato alla stessa conferito, così come apodittica è la pretesa omessa impugnazione della richiesta di archiviazione l'obbligazione assunta dal difensore è solo di mezzo e non di risultato . Entrambi i procedimenti erano stati avviati su richiesta della persona offesa e non già in forza di un disegno criminoso della imputata. Lo stesso capo di imputazione si basa su una ricostruzione confusionaria della vicenda si addebita alla ricorrente il falso presupposto di aver esercitato i diritti di difesa, mentre la stessa era rimasta inerte o aveva esercitato tardivamente i diritti della persona offesa, come l'aver incamerato profitti per prestazioni mai rese, mentre al contrario la causa era stata avviata in entrambi i casi al ricevimento del mandato difensivo. 2.2. In relazione al capo 2 , violazione di legge in relazione agli articolo 43, 56, 640 cod. penumero Il mandato era stato spontaneamente conferito alla ricorrente e in relazione ad esso legittimamente era stato emesso un preavviso di fattura. Non era configurabile il tentativo rispetto alla emissione di un documento di per sé lecito. Non è condivisibile che la condotta fraudolenta sia stata posta in essere per carpire il mandato o l'acconto nella specie piuttosto è stata realizzata in un momento successivo per celare al cliente il danno provocato dalla negligenza . Oltre a difettare nella fattispecie il danno, va richiamato il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte con sentenza numero 17106 del 2011 in un caso analogo in cui ha escluso la fattispecie della truffa. 2.3. In relazione al capo 3 , violazione di legge in relazione agli articolo 56 e 640 cod. penumero Dagli atti era emerso l'avvio di un'attività stragiudiziale che veniva ad escludere la fattispecie della truffa. Vieppiù la persona offesa ha dichiarato di aver ricevuto due acconti e di non aver corrisposto nulla alla ricorrente. Quanto al danno, la lettera di diffida inviata nel 2015 dalla ricorrente aveva interrotto la prescrizione del diritto risarcitorio derivante dalla sentenza del 2006 ancora alla data del presente ricorso, tale diritto non è prescritto . In presenza di tali elementi non è ravvisabile l'ipotesi di truffa tentata. Apodittica è l'affermazione che la ricorrente avrebbe tratto un arricchimento da tale condotta, posto che la persona offesa aveva dichiarato che il pagamento dei suoi emolumenti sarebbe avvenuto a pratica definita. 2.4. In relazione al capo 4 , violazione di legge in relazione agli articolo 380 e 640 cod. penumero La Corte di appello ha acriticamente recepito le argomentazioni della sentenza di primo grado, non considerando, se non in modo apparente, le censure difensive. La Corte territoriale ha ritenuto di ravvisare la truffa nell'avvio della causa di separazione artifici e raggiri per il rilascio del mandato , non considerando che si trattava di atto unilaterale e che la stessa persona offesa aveva dichiarato di aver conferito il mandato volontariamente la truffa non era ravvisabile nella contestata inerzia, fonte semmai di responsabilità civile, anche se fosse stato versato un acconto si richiama la sentenza della Suprema Corte numero 17106 del 2011 , sopra già citata . Neppure era ravvisabile il patrocinio infedele, in relazione al mancato avvio della attività di difesa. Anche in relazione all'altra causa, si era allegato che la persona offesa aveva confermato di aver corrisposto gli emolumenti nel corso del giudizio di primo grado. Pertanto, non risulta ex ante una condotta ingannevole. Le menzogne sono state architettate successivamente ma non hanno prodotto alcun ulteriore arricchimento. Non è stato accertato se alla condotta della imputata sia collegato un danno per la persona offesa. Neppure è ravvisabile per tale parte di condotta il reato di patrocinio infedele non risultando rilevanti la sola sentenza negativa del processo civile e la negligenza nello svolgimento dell'attività di difesa . 2.5. In relazione ai capi 5 e 6 , violazione di legge in relazione agli articolo 348 e 640 cod. penumero e vizio della motivazione. Erroneamente la Corte di appello pone in correlazione funzionale e causale i capi 5 e 6 . La ricezione della somma di denaro, nonostante che la ricorrente fosse a conoscenza della misura interdittiva, poteva integrare il reato di cui all' articolo 348 cod. proc. penumero ma non contestualmente la fattispecie della truffa come d'altronde emerge dalla stessa impostazione accusatoria . In tal modo la sentenza impugnata ha violato il principio di correlazione tra chiesto e pronunciato. Per il capo 5 si richiamano le osservazioni fatte per il capo 4 quanto alla rilevanza dell'inerzia della ricorrente. Errate sono anche le conclusioni per il capo 6 , in quanto difettava nella specie l'atto riservato alla professione forense, avendo l'imputata soltanto svolto una attività di consulenza esercitabile da qualsiasi laureato in giurisprudenza. Difetta anche il dolo, in quanto l'imputata non svolgeva il mandato conferitole tra l'altro non acquisito rilasciando regolare fattura. 2.6. In relazione al capo 7 , violazione di legge in relazione agli articolo 380 e 640 cod. penumero e vizio di motivazione. I reati relativi alla seconda vicenda descritta nella imputazione sono già stati dichiarati prescritti. Quanto ai restanti fatti, la Corte di appello si è limitata a respingere la eccezione di prescrizione senza argomentare null'altro. Dall'esame della denuncia querela si evince che la persona offesa era al corrente dell'esito negativo delle sentenze di merito. La sentenza di appello, acquisita agli atti, citava quella che si assume essere stata contraffatta ma che non è stata acquisita. La condotta truffaldina non prendeva le mosse dalla contraffazione della sentenza. La ricorrente svolgeva regolarmente il suo incarico nei gradi di giudizio. Solo la parte successiva causa penale e quella esecutiva è risultata inesistente. Non era quindi configurabile il patrocinio infedele manca una attività difensiva . Si ribadisce la prescrizione del reato di truffa alla data della sentenza impugnata, posto che la ritenuta condotta ingannatoria è proseguita fino al 2014. Il momento consumativo va ravvisato in quello dell'arricchimento del reo e, mancando la data esatta, può farsi riferimento alla missiva del 5 luglio 2014 con la quale erano richiesti 100 Euro per le operazioni di vendita. 2.7. In relazione al capo 8 , violazione di legge in relazione agli articolo 380 e 640 cod. penumero e vizio di motivazione. Generiche ed imprecise sono le argomentazioni della sentenza di appello, al pari di quella di primo grado. Non era ravvisabile una condotta ingannatoria, bensì al più una responsabilità civilistica, perché l'attività difensiva comunque era stata avviata e proseguita, difettando un profitto illecito e il dolo. Il reato di patrocinio infedele appare prescritto in relazione all'accertamento tecnico preventivo e insussistente per la causa di merito, in quanto regolarmente incardinata e anche vittoriosamente conclusa. Occorreva comunque che vi fosse un procedimento incardinato nella specie era promesso il mero avvio di un procedimento di sequestro, non avviato e nella specie difetta anche il dolo. 2.8. In relazione al capo 9 , violazione di legge in relazione agli articolo 380 e 640 cod. penumero Le censure avanzate nell'appello non sono generiche se rapportate all'atto di impugnazione complessivo e alla parte introduttiva. Si contestava in particolare la configurabilità dell' articolo 380 cod. penumero nella impugnativa del licenziamento, difettando un rapporto processuale già incardinato. Parimenti si deduceva per l'omesso deposito del ricorso per cassazione, che integra un illecito civile ma non il suddetto reato che presuppone un processo tecnicamente inteso non potendosi cumulare più gradi di giudizio . Neppure era configurabile la truffa nella mera inerzia della ricorrente. La Corte di appello incorre in un errore di correlazione tra causa ed effetto, attribuendo alle menzogne una valenza inesistente ad architettare ex post un inganno in senso positivo. 2.9. In relazione al capo 10 , violazione di legge in relazione agli articolo 380 e 640 cod. penumero e vizio di motivazione. La Corte di appello ha erroneamente ritenuto inesistenti le censure difensive sul reato di truffa, limitandosi a richiamare quanto esposto in relazione al capo che precede per il reato di cui all' articolo 380 cod. penumero Le argomentazioni sono scarsamente convincenti. Si era sostenuto nell'appello che non era configurabile la truffa rispetto all'incarico conferito all'imputata per il ricorso per cassazione mai presentato, ancorché accompagnato dalle dazioni di acconti sugli onorari, in quanto il mandato non era stato rilasciato dal cliente a seguito di raggiri o inganni, ma volontariamente, e la condotta successiva era costituita da mera inerzia. 3. L'avv. Fabrizio Piarulli, nella sua qualità difensore di fiducia e procuratore speciale dell'Ordine degli Avvocati di Varese, parte civile, ha depositato, con pec del 26 novembre 2024, una memoria, anticipando, in vista della discussione orale, le conclusioni. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato limitatamente ai reati di seguito indicati, risultando per il resto inammissibile. 2. Il primo motivo, relativo al capo 1 , è inammissibile. Con tale capo, erano contestati alla ricorrente i reati di truffa e di patrocinio infedele, perché, ricorrendo ad artifici e raggiri, aveva ingannato il suo assistito Pa.Di., facendogli credere di aver svolto talune attività in suo favore e sulla vittoria della causa, incamerando da quest'ultimo emolumenti per prestazioni mai rese e cagionando al medesimo anche il danno derivante dalla decadenza o dalla prescrizione dei suoi diritti. Il motivo di ricorso è meramente reiterativo di questioni, già sollevate e affrontate sin dal primo grado, e aspecifico. La truffa è stata infatti correttamente ravvisata dai giudici di merito negli artifici e raggiri posti in essere dalla ricorrente volti a rassicurare, nel corso della trattazione dei procedimenti e non solo dopo il loro esito infausto , la persona offesa con false notizie sul buon esito delle cause. Parimenti corretta è la configurazione del patrocinio infedele. Anche in tal caso sin dal primo grado come in appello era stato precisato che il danno per la parte offesa non era costituito dalla decadenza dal far valere i suoi diritti in sede civile ma dalla ripresa della prescrizione, considerato che l'imputata, omettendo di comunicare alla persona offesa l'effettivo esito della causa, le aveva così impedito il tempestivo esercizio dei suoi diritti. Quanto alla causa penale, la ricorrente introduce circostanze in fatto, non sollevate con specificità con l'appello. Aspecifica è la critica sulla ricostruzione del fatto. La sentenza impugnata ha infatti affermato pag. 24 che la ricorrente non aveva sollevato con l'appello alcuna censura sulla ricostruzione in fatto, che pertanto doveva ritenersi pacifica . 3. Inammissibile è anche il secondo motivo relativo al capo 2 . All'imputata era stato contestato il tentativo di truffa, consistito nell'aver fatto credere a Ma.Gi., con artifici e raggiri, di aver instaurato un procedimento, in realtà inesistente, chiedendogli un emolumento per prestazioni mai rese. Il motivo è aspecifico e manifestamente infondato. Come è stato spiegato in sede di merito sin dal primo grado, il tentativo di truffa era consistito nella pretesa della ricorrente di vedersi pagata una prestazione inesistente, indicando, per far risultare l'apparenza della prestazione, un falso numero di registro generale del procedimento. Pertanto, le censure difensive non si confrontano con la ricostruzione del fatto operata in sede di merito anche in tal caso la Corte di appello ha rilevato a pag. 25 come la difesa non avesse sollevato critiche sul punto, dovendosi la stessa ricostruzione pertanto ritenersi pacifica e richiamano principi di diritto per nulla pertinente alla fattispecie in esame Sez. 2, numero 17106 del 22/03/2011, Rv. 250250 ha infatti ad oggetto il caso di artifici e raggiri posti a valle della percezione del profitto . Parimenti prive di qualsiasi fondamento sono le censure sulla mancanza del danno, posto che nel tentativo di truffa è necessario come nella specie che la condotta fraudolenta abbia avuto di mira un atto dispositivo dal quale può scaturire l'insorgenza del danno patrimoniale - elemento essenziale della truffa. 4. Fondato è invece il motivo relativo al capo 3 . All'imputata era stato contestato il tentativo di truffa, consistito nell'ingannare Barbara Spreafico, facendole credere di aver compiuto attività mai svolte ovvero di aver instaurato una causa di risarcimento danni e di aver ottenuto un titolo per il pagamento di 10.000 euro , non riuscendo ad incamerare l'ingiusto profitto. Va accolto in particolare il punto relativo al profitto. Risulta accertato in primo grado che la ricorrente, tra gli espedienti posti essere per ingannare la persona offesa sulle proprie inadempienze nella gestione della pratica, vi erano quelli di versarle degli acconti in realtà corrisposti dalla stessa imputata per simulare il buon esito della pratica e così tacitare la persona offesa. La Corte di appello, nel rispondere alla censura sulla mancanza di un profitto derivante da questa macchinazione, ha affermato che il fine di profitto era da ritenersi certo, in quanto il pagamento dei compensi alla imputata sarebbe stato successivo. Peraltro, la sentenza di primo grado aveva specificato che l'accordo tra le parti era di pagare le competenze della ricorrente solo con i soldi della transazione. Quindi effettivamente in relazione alla condotta della ricorrente non era ipotizzabile un ingiusto profitto, posto che la transazione era inesistente. Pertanto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio in relazione a tale capo, perché il fatto non sussiste. 5. Inammissibile è il motivo relativo al capo 4 . All'imputata erano stati contestati i reati di truffa e di patrocinio infedele, consistiti nell'aver, con artifici e raggiri, ingannato Ce.Ma. sulla vittoria di una causa civile mentre in realtà era rimasto soccombente , incamerando da quest'ultimo l'ingiusto profitto dell'emolumento versatogli e cagionando al medesimo anche il danno derivante dalla mancata posposizione dell'appello e dalla lievitazione delle spese civili da versare alla controparte, derivanti dalla sentenza nonché, nell'aver, con il medesimo modus operandi, incamerato dal medesimo assistito un emolumento per la redazione di atti di separazione giudiziale in realtà non svolti , esponendolo il cliente a conseguenze pregiudizievoli nel giudizio di separazione. Le doglianze versate nel ricorso sono aspecifiche e meramente oppositive. Quanto alla condotta riferita al primo segmento della contestazione ovvero riferita alla causa civile relativa ad una compravendita di un terreno , la Corte di appello ha puntualmente spiegato che gli emolumenti corrisposti non sarebbero stati versati in tale entità se la parte offesa avesse effettivamente saputo dell'esito e della successiva inerzia della ricorrente. Aspecifica è la censura sulla condotta tenuta dalla ricorrente - non limitata a mere inerzie o negligenze - bensì consistente in vere e proprie condotte ingannatone. Parimenti meramente ripetitiva è la censura volta a contestare la sussistenza del nocumento agli interessi della parte ai fini della integrazione del reato di cui all' articolo 380 cod. penumero , posto che la Corte di appello lo ha puntualmente individuato nella preclusione alla impugnazione della sentenza civile. In ordine al secondo segmento della imputazione relativo all'incarico conferito per la separazione coniugale , la Corte territoriale ha ravvisato il raggiro nell'aver ricevuto un mandato in ordine al quale non solo nulla aveva fatto sin da subito la ricorrente ma - di qui l'inganno - per il quale aveva fatto credere alla persona offesa di stare curando i suoi interessi. Non manifestamente illogica è la ricostruzione dei fatti - tra l'altro neppure contestata dalla difesa nell'appello cfr. 7 pag. 26 della sentenza impugnata - nel ritenere la condotta dolosa della ricorrente sin dalla ricezione del mandato e dell'acconto. Pertanto, anche in tal caso le censure sono aspecifiche, quanto alla condotta ingannatoria e al profitto. Quanto al patrocinio infedele, anche in tal caso la Corte di appello ha spiegato che la persona offesa si era vista destinataria, a causa della condotta della ricorrente, di un obbligo di mantenimento per un importo molto consistente ridotto in seguito solo grazie al patrocinio di altro difensore . 6. Inammissibili sono anche i motivi avanzati per i capi 5 e 6 . All'imputata era stato contestato il reato di truffa capo 5 , consistito nell'aver, ricorrendo ad artifici e raggiri, ingannato Lo.Er., facendole credere di aver avviato le pratiche di separazione giudiziale, incamerando un acconto, ma non svolgendo l'incarico e esponendo la cliente a conseguenze pregiudizievoli nella separazione nonché il reato di abusivo esercizio della professione di avvocato capo 6 , per aver esercitato tale professione, nelle vicende descritte ai capi 4 e 5 , nonostante la misura interdittiva emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese. Le doglianze sono aspecifiche e in fatto. Quanto alla truffa di cui al capo 5 , va evidenziato che già il primo giudice aveva posto in correlazione il reato di truffa con la vicenda di cui al capo 6 cfr. pagg. 13 e 25 della sentenza di primo grado e in sede di appello la ricorrente si era limitata a contestare soltanto che il mandato era stato espletato da altro difensore in luogo della ricorrente, già raggiunta da provvedimento sospensivo, e che al conferimento dell'incarico, seguito dall'acconto, faceva da contraltare la sola inerzia non integrante raggiro o inganno. In questa prospettiva, in cui i termini della imputazione era ben chiari alle parti Sez. U, numero 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 , correttamente la Corte di appello ha posto in evidenza come il raggiro fosse stato posto in essere dalla ricorrente sin dal ricevimento dell'acconto, in presenza della notifica della misura interdittiva. Quanto al reato di cui al capo 6 , va rilevato che identica censura aveva sollevato la difesa con l'appello mancanza dell'atto riservato e la ricorrente, nel reiterare la questione, non si confronta con la risposta della Corte di appello l'attività da svolgere era giudiziale cause di separazione e divorzio e non di mera consulenza stragiudiziale. Quanto agli altri profili prova del mandato e dolo , la difesa introduce aspetti non dedotti in appello con specifici motivi. 7. Inammissibile è anche il motivo relativo al capo 7 . All'imputata erano stati contestati i reati di truffa e di patrocinio infedele, consistiti nell'aver, con artifici e raggiri, ingannato Sergio Romerio, facendogli credere di aver svolto talune attività giudiziali in suo favore, incamerando da quest'ultimo emolumenti per prestazioni mai rese e cagionando al medesimo anche il danno derivante dalla soccombenza nella causa e dal mancato esperimento dell'appello nonché, nell'avergli fatto credere, con il medesimo modus operandi, di essere risultato vittorioso in un lodo arbitrale contro un operatore telefonico in realtà la causa era stata dichiarata improcedibile , facendosi pagare una somma di danaro e cagionando alla parte offesa anche il danno derivante dalla impossibilità di tutelare i suoi diritti. Il motivo è manifestamente infondato e avanza precluse doglianze. Va premesso che, con l'appello, la ricorrente aveva sostenuto che i reati del capo 7 erano interamente prescritti, e in subordine, che non erano ravvisabili ipotesi distinte di reato due distinte ipotesi di truffa e infedele patrocinio , ma un unico disegno criminoso estinto per prescrizione quanto la truffa, forse sussistente rispetto all'infedeltà professionale, per i più recenti inadempimenti e negligenze contestati all'imputata . La Corte di appello ha rilevato che la prescrizione era maturata solo per i reati del secondo segmento della imputazione, così respingendo la tesi difensiva che ancorava il perfezionamento della condotta delittuosa alla data della missiva del 20 ottobre 2011 secondo la Corte di appello per i restanti reati la prescrizione non era ancora maturata . Ebbene, anche in tal caso la difesa non aveva contestato con l'appello la ricostruzione dei fatti operata in primo grado, secondo cui erano distinte le condotte realizzate nei due segmenti della imputazione contenzioso con il Pa. e contenzioso la Telecom e in particolare la condotta ingannatoria della ricorrente era stata ravvisata in una serie di false informazioni fornite alla parte offesa sui procedimenti penale e civile, così da indurla in errore sulla loro pendenza e ottenere versamenti di danaro i raggiri erano inoltre proseguiti facendo credere alla persona offesa di essere transitati in una fase esecutiva, così da ottenere altri emolumenti, l'ultimo dei quali risaliva al primo gennaio 2016, cfr. pag. 26 della sentenza di primo grado . Pertanto, il motivo di appello era aspecifico, oltre che manifestamente infondato e la risposta, per quanto sintetica della Corte di appello, non merita alcuna censura. Il delitto di truffa si consuma infatti nel momento in cui l'autore della condotta fraudolenta ottiene l'ingiusto profitto della propria attività criminosa Sez. 2, numero 27833 del 07/05/2019, Rv. 276665 . La giurisprudenza ha inoltre ravvisato la truffa ed. a consumazione prolungata , e non una pluralità di reati, quando il soggetto agente manifesta sin dall'inizio la volontà di realizzare un evento destinato a durare nel tempo, e quindi il momento consumativo del reato coincide con quello della cessazione dei pagamenti, che segna la fine dell'aggravamento del danno tra tante, Sez. 2, numero 3615 del 20/12/2005, dep. 2006, Rv. 232956 . Nel caso di specie, stante la ritenuta recidiva reiterata e infraquinquiennale per tale capo cfr. pag. 34 della sentenza di primo grado e considerato l'ultimo versamento del primo gennaio 2016 il reato di truffa del primo segmento è stato ritenuto unico , i reati relativi al contenzioso con il Pa. non erano effettivamente prescritti alla data della pronuncia di appello. Per il resto il motivo prospetta vizi non sollevati in sede di appello e non rilevabili di ufficio in base alla ricostruzione dei fatti emergente dalle sentenze di merito. Va rammentato in tema di impugnazioni che è rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione il vizio di violazione di legge non dedotto con l'atto d'appello, nel caso in cui sia prospettata, con il ricorso, una violazione di legge emendabile ed essa emerga dal capo di imputazione e dalla non contestata ricostruzione della vicenda, non essendo necessario alcun ulteriore accertamento in fatto tra tante, Sez. 2, numero 8654 del 23/11/2022, dep. 2023, Rv. 284430 . 8. Inammissibile è anche il motivo relativo al capo 8 All'imputata erano stati contestati i reati di truffa e di patrocinio infedele, consistiti nell'aver, con artifici e raggiri, ingannato Wa.Anumero , facendole credere di aver ottenuto un favorevole esito per un accertamento tecnico preventivo e di aver avviato favorevolmente la causa nei confronti della società GLS l'accertamento tecnico aveva avuto esito negativo e la causa non era stata instaurata se non dopo due anni e mezzo , incamerando da quest'ultima emolumenti e cagionando alla medesima anche il danno derivante dalla decadenza o prescrizione dei suoi diritti, nonché dal mancato esercizio dei suoi diritti. Le censure sono generiche, ripetitive e precluse. La ricorrente si limita a generiche doglianze quanto alla risposta fornita dalla Corte di appello. 8.1. Va premesso che con l'appello la difesa aveva sollevato rilievi solo per il reato di truffa - e solo il profilo della mancanza di raggiri ed artifici - concludendo che la responsabilità della imputata pare dunque riconducibile alla sola ipotesi di reato di cui all' articolo 380 cod. penumero . Rilievi sulla truffa che la ricorrente meramente ripropone in questa sede, non confrontandosi con la risposta data dalla Corte territoriale. La Corte di appello ha infatti rilevato come la ricorrente non si fosse limitata a mere bugie sull'esito dell'a.t.p. o a mera inerzia il tardivo avviamento della causa di merito , ma avesse indotto in errore la parte offesa sul come stesse curando con solerzia i suoi interessi, chiedendo somme per attività in realtà mai effettuate. Gli altri punti profitto e dolo non sono stati devoluti all'appello e sono pertanto preclusi in questa sede. 8.2. Quanto al patrocinio infedele nessuna censura era stata devoluta anzi, come si è visto, la stessa difesa aveva convenuto sulla configurabilità del reato , restando pertanto precluse le doglianze versate in relazione a tale capo. Pertanto, è irrilevante, oltre che generica, la censura sulla prescrizione di tale reato, posto che non è maturata nel giudizio a quo tenuto conto della recidiva specifica infraquinquennale ritenuta per tale capo, cfr. pag. 34 della sentenza di primo grado . Il delitto di patrocinio infedele, previsto dall' art 380 cod. penumero , si consuma infatti attraverso qualsiasi azione od omissione idonea a produrre nocumento agli interessi della parte rappresentata, assistita o difesa e che costituisca, per il soggetto che la compie, una infedeltà ai doveri professionali Sez. 6, numero 4436 del 05/12/1975, dep. 1976, Rv. 133118 conf. Sez. 6, numero 25766 del 05/05/2023 e la condotta ascritta alla ricorrente è stata consumata almeno fino al novembre 2015. Non avendo sollevato rilievi in sede di merito sulla ricostruzione della vicenda non possono trovare ingresso in questa sede le doglianze volte a parcellizzare quella che è stata ritenuta un'unica condotta di patrocinio infedele. Quanto, infine, ai vizi rilevabili d'ufficio sul reato ex articolo 380 cod. penumero è sufficiente rilevare la manifesta infondatezza della doglianza che contesta la esistenza di un procedimento giudiziario incardinato. Sulla base della ricostruzione dei giudici di merito, il patrocinio infedele era consistito nella dolosa gestione del contenzioso civile tra la persona offesa e la società Glc per il malfunzionamento di un impianto fotovoltaico - prima omettendo di riferire alla parte offesa l'esito negativo dell'a.t.p. il ricorso era stato rigettato , poi introducendo tardivamente di oltre due anni il procedimento civile originato - come prospettato dal legale -dall'a.t.p., informando falsamente la cliente sull'andamento del contenzioso in realtà non ancora neppure avviato , poi anche prospettando iniziative a tutela del credito della persona offesa, relativo al contenzioso in corso, in realtà mai effettuate. 9. Il motivo relativo al capo 9 è parzialmente fondato, risultando per il resto inammissibile. All'imputata erano stati contestati i reati di truffa e di patrocinio infedele, consistiti nell'aver, con artifici e raggiri, ingannato Ma.Ri., facendogli credere di aver svolto talune attività processuali in suo favore impugnazione del suo licenziamento e proposizione del ricorso per cassazione , incamerando da quest'ultimo emolumenti per prestazioni mai rese e cagionando al medesimo anche il danno derivante dalla irrevocabilità della sentenza penale che lo aveva condannato a pena da eseguire e dalla decadenza del diritto di impugnare il licenziamento. Quanto alle censure sulla truffa, la Corte di appello ha definito generiche le deduzioni su tale reato e in questa sede la ricorrente si limita a sua volta a generiche critiche di tipo oppositivo. Manifestamente infondata è la censura relativa al patrocinio infedele riferito alla vicenda del processo penale. Come correttamente ha rilevato la Corte di appello, quello che è necessario per la configurazione del suddetto reato è la pendenza di un procedimento nell'ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, anche se la condotta non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti processuali Sez. 6, numero 21160 del 17/03/2009, Rv. 244182 . Nella specie è certo che era pendente il processo penale non rilevando la singola fase o grado . Fondata è invece la censura che riguarda l'altra ipotesi di patrocinio infedele connessa alla impugnazione del licenziamento della persona offesa. In tal caso non vi era alcun procedimento pendente davanti alla autorità giudiziaria era stato accertato che nessuna impugnazione era stata presentata dalla ricorrente . Già questa Corte ha affermato che il reato di patrocinio infedele di cui all' articolo 380 cod. penumero sanziona la condotta del patrocinatore che, infedele ai suoi doveri professionali, arrechi nocumento agli interessi della parte da lui difesa assistita o rappresentata dinanzi all'autorità giudiziaria per cui essa non può trovare applicazione qualora la condotta si riferisca ad attività poste in essere prima dell'instaurazione del procedimento e ad esso prodromiche Sez. 6, numero 29783 del 30/03/2017, Rv. 270638, fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza del reato con riferimento alla condotta tenuta dal legale nel corso della procedura di conciliazione davanti all'Ispettorato del lavoro . Pertanto, in ordine a tale specifico reato la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. 10. Il motivo relativo al capo 10 è inammissibile. All'imputata erano stati contestati i reati di truffa e di patrocinio infedele, consistiti nell'aver, con artifici e raggiri, ingannato Ve.Do. e Ca.Anumero , facendo loro credere di aver svolto attività processuali e fornendo loro false informazioni sull'esito dei contenziosi, ottenendo il pagamento di illeciti profitti e cagionando ai predetti danni patrimoniali e la decadenza dall'esercizio dei loro diritti. Le censure sono generiche e precluse. Va rilevato che la ricorrente sul capo 10 avanzava con l'appello specifiche critiche solo per le fattispecie di patrocinio infedele sostenendo la tesi, correttamente disattesa dalla Corte territoriale, della pendenza del procedimento giudiziario riferita alla singola fase o grado . Quanto alle ipotesi di truffa, la ricorrente nell'appello si riservava in prosieguo di analizzare partitamente la sussistenza effettiva del reato di truffa, successivamente all'analisi degli atti contenuti nel fascicolo del P.M. non ancora acquisiti , limitandosi soltanto a definire non convincente la motivazione quantomeno per la vicenda Ga. per il ricorso per cassazione mai presentato conferimento dell'incarico senza inganni e raggiri . A fronte di questa prospettazione espressamente sommaria e provvisoria delle censure, non può definirsi viziata la sentenza impugnata. I rilievi della difesa, oltre che generici, erano infatti del tutto avulsi dalla ricostruzione della vicenda operata da giudice di primo grado cfr. pag. 19 e 30 della sentenza di primo grado, quanto alle modalità di conferimento dell'incarico e alle rassicurazioni date alle parti civili sul corso del procedimento, ottenendo al contempo versamenti a suo favore . 11. Conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio quanto al capo 9 , limitatamente alla condotta di patrocinio infedele di mancata impugnazione del licenziamento disciplinare, nonché al capo 3 perché i fatti non sussistono. Per il resto il ricorso va dichiarato inammissibile. Non potendo procedere questa Corte direttamente alla rideterminazione della pena per i residui reati stante le modalità di determinazione degli aumenti a titolo di continuazione , va disposto per tale punto il rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Va disposta altresì la condanna della imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenuta dalle parti civili, come indicata in dispositivo. Tale condanna riguarda anche le parti civili, rispetto alle quali l'imputata ha visto ridimensionata la propria responsabilità civile in modo peraltro minimale rispetto alle ipotesi di reato per le quali è stata confermata . Va rammentato, invero, in tema di regolamento delle spese nel giudizio di impugnazione, che in caso di parziale accoglimento dell'impugnazione dell'imputato è legittima la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che non abbia proposto a sua volta impugnazione, non configurandosi soccombenza reciproca tra le parti Sez. 5, numero 22780 del 25/03/2021, Rv. 281436 . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto al capo 9 limitatamente alla condotta di cui all 'articolo 380 cod. pen . per la mancata impugnazione del licenziamento disciplinare, nonché al capo 3 perché i fatti non sussistono. Dichiara inammissibile il ricorso per gli altri reati per i quali dichiara definitivo l'accertamento di responsabilità. Rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Milano per la rideterminazione della pena. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Ma.Ri., Ordine degli Avvocati di Varese e Pa.Di., che liquida per ciascuna in complessivi Euro 3.696,00, oltre accessori di legge.