Con espresso rimando alla procedura semplificata di cui all’articolo 216 d.lgs. 152/06 TU Ambiente , la compatibilità urbanistica dell’impianto, per quanto non espressamente contemplata nel dettato normativo, non può non costituire presupposto per il legittimo esercizio dei rifiuti. È ben noto, infatti, che l’insediamento e lo svolgimento di attività produttivo-artigianali, quale quelle oggetto di controversia, non possono prescindere della compatibilità urbanistico-edilizia dell’attività sul territorio.
Atto impugnato Con ricorso presentato innanzi al TAR Campania, la Mediterranea snc agiva per ottenere l'annullamento del provvedimento della Giunta Regionale della Campania – Direzione Regionale per il ciclo integrato delle acque e dei rifiuti, Valutazioni e Autorizzazioni ambientali prot. PG/2021/0511347 del 15 ottobre 2021 con il quale è stata disposta l' archiviazione dell'istanza di rilascio del provvedimento autorizzativo unico regionale PAUR ai sensi dell' art 27 TU Ambiente per «l'impianto di recupero R5 e messa in riserva R13 di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da inerti da realizzare nel comune di Casamicciola Terme». Motivi in fatto La Mediterranea snc nell'ottobre 2020 aveva presentato alla Regione Campania istanza per il rilascio del provvedimento autorizzativo unico regionale , allegando altresì tutta la documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalle normative di settore per consentire la compiuta istruttoria tecnico-amministrativa. La Regione, ottemperando a tutti gli obblighi previsti per legge ex articolo 27 bis d.lgs 152/06 ne disponeva l'archiviazione motivando dettagliatamente che «il progetto per il quale è stato richiesto il PAUR e la VIA comprende opere già esistenti, che risultano prive del necessario permesso di costruire requisito di legittimità urbanistica , tale circostanza vizia insanabilmente le valutazioni ambientali effettuate nel SIA e nello Studio di Incidenza […]». La società ricorrente ha contestato il predetto provvedimento, ritenendo errata la valutazione operata dalla Regione, in quanto non aveva considerato come l'impianto interessasse soltanto una parte dell'area indicata, mentre le costruzioni urbanisticamente non in regola vi erano state escluse, in quanto oggetto di domanda di condono. Il ricorso , sulla base delle argomentazioni addotte dalla società ricorrente e da controparte resistente costituita è stato ritenuto infondato . Motivi in diritto Il cd “PAUR”, Provvedimento di Autorizzazione Unica Regionale, introdotto dall' articolo 16 co.2 d.lgs 104/2017 disciplinato dall' art 27 bis d.lgs 152/06 è quel provvedimento unico autorizzativo che riguarda e sostituisce tutti i titoli autorizzativi necessari all'esercizio dell'opera ivi compresi quelli a carattere non ambientale . I provvedimenti unici si caratterizzano perché comprendono oltre al provvedimento di VIA, tutti i titoli abilitativi necessari per la realizzazione e l'esercizio del progetto , ciò comporta quindi una valutazione della sussistenza di tutte le condizioni tecniche e di compatibilità urbanistico ambientale del sito. Come affermato dal Consiglio di Stato, in una recente statuizione «per lo svolgimento e l'insediamento di attività produttivo-artigianali si ravvisa una stretta interconnessione” tra i profili edilizio-urbanistico e commerciali, per giurisprudenza costante e condivisa, il titolo abilitativo di un’attività commerciale presuppone la regolarità urbanistico-edilizia dei locali interessati » cfr ex multis Cons. Stato, sez. IV, 25 agosto 2020, numero 5191 . Opere edilizie prive dei necessari titoli autorizzativi La Regione, nell'archiviare l'istanza ha rimarcato come la questione non riguardasse tanto l'autorizzabilità dell'impianto all'esisto del vaglio della sua compatibilità ambientale, quanto piuttosto il preliminare accertamento che la destinazione d'uso dei manufatti interessati dal progetto realizzativo fossero conformi alla normativa urbanistico ed edilizia . Il fatto che nel sito interessato fossero presenti dei manufatti privi dei necessari titoli autorizzativi è un dato conclamato dalle domande di condono presentate ma non ancora esitate. Tali luoghi, per quanto non strettamente funzionali alla conduzione dell'impianto erano comunque progettualmente destinati a svolgere una funzione accessoria all'impianto stesso, pertanto non avendo la società provveduto ad un preventivo frazionamento dell'area de qua, inificiata dalla mancanza dei necessari titoli autorizzativi, l'amministrazione non ha potuto far altro che considerare l'area di sedime nella sua interezza. Pertanto il Tribunale Amministrativo Regionale della Regione Campania, definitivamente pronunciandosi, in ossequio alla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato e di altri Tribunali Amministrativi Regionali ha chiarito come « per lo svolgimento dell'attività industriale è necessario che il manufatto o il locale sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo ed in tal modo, una corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni ospitanti l'attività commerciale e la regolarità urbanistica degli stessi » cfr ex multis Consiglio di Stato sez. II NR. 3836 TAR Toscana numero 177 del 28.01.2014 TAR Lombardia numero 2145 del 2.9.2011 .
Presidente Abbruzzese - Estensore Maffei Fatto e diritto 1.- L'odierna ricorrente ha dedotto in fatto di essere proprietaria di un suolo nel comune di Casamicciola Terme, sul quale aveva intenzione di realizzare un impianto di recupero R5 e messa in riserva R13 di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da inerti. A tal fine, in data 29 ottobre 2020 aveva trasmesso alla Regione Campania l'istanza per il rilascio del provvedimento autorizzativo unico regionale PAUR corredata da tutta la documentazione occorrente all'istruttoria dell'istanza. Tuttavia, decorsi i termini della pubblicazione dell'istanza sul sito web della Regione e dopo aver inoltrato un preavviso di archiviazione, la Regione Campania, obliterando del tutto le presentate osservazioni, aveva disposto l'archiviazione dell'istanza con la seguente motivazione “le circostanze su riportate rendono improcedibile articolo 2, comma 1 L.241/90 l'istanza in oggetto in quanto il progetto per il quale è stato richiesto il PAUR e la VIA comprende opere già esistenti, costituenti il presupposto del progetto presentato stato attuale dei luoghi , che risultano prive del necessario permesso di costruire requisito di legittimità urbanistica tale circostanza vizia insanabilmente le valutazioni ambientali effettuate nel SIA e nello Studio di Incidenza, in quanto le predette opere, prive del prescritto titolo edilizio, sono state considerate come “già realizzate”, e quindi non valutate come da realizzarsi è inoltre escluso che possa essere avanzata una istanza di PAUR – VIA per un progetto il cui presupposto stato attuale dei luoghi comprende opere per le quali non è stato rilasciato il prescritto titolo edilizio e che quindi devono essere considerate come “inesistenti” . Con un'unica ed articolata censura di carenza istruttoria e motivazionale, la società ricorrente, con il gravame all'esame, ha contestato l'impugnato provvedimento sotto plurimi profili di seguito sinteticamente riportati. Nel dettaglio, ha censurato l'errata valutazione operata dalla Regione Campania che, nel concludere per la irregolarità urbanistica del sito interessato dal presentato progetto, non aveva considerato come l'impianto interessasse soltanto una parte dell'area indicata, essendo state escluse le costruzioni urbanisticamente non in regola, in quanto oggetto di domanda di condono. In secondo luogo, la resistente amministrazione, per la prima volta con il provvedimento di rigetto, aveva fondato la disposta archiviazione sull'incongruenza catastale tra l'attuale destinazione dell'immobile oggetto del progettato intervento C2 e quella dichiarata dalla ricorrente A10 , necessaria per la realizzazione dell'impianto. Infondate, infine, secondo la sostenuta tesi ricorsuale, dovevano giudicarsi le ulteriori ragioni poste a fondamento dell'impugnato provvedimento, poiché, da un lato, la legittimità del fabbricato interessato dal programmato intervento doveva ritenersi ampiamente asseverata sotto il profilo urbanistico, come attestato dal rilasciato certificato di agibilità e, dall'altro, le particelle costituenti il lotto interessato non assistite dai necessari titoli edilizi non erano funzionali allo svolgimento dell'attività da impiantare, non occorrendo, affinché tale separazione emergesse, il previo e corrispondente frazionamento catastale del sito. Si sono costituite le intimate amministrazioni insistendo per la reiezione del ricorso, essendo stato il provvedimento impugnato adottato all'esito di una compiuta istruttoria, oltreché congruamente motivato. All'udienza pubblica del 3 dicembre 2024, la causa è stata riservata in decisione. 2.- Il ricorso è infondato, non avendo pregio le argomentazioni con cui la parte ricorrente lamenta la violazione della disciplina in materia di provvedimenti di autorizzazione unica regionale c.d. Paur ex articolo 27 bis del D. Lgs. numero 152/2006 , introdotto dall' articolo 16, comma 2, del D. Lgs. numero 104/2017 , in ragione del cesurato difetto di istruttoria e di motivazione in cui sarebbe incorsa l'amministrazione regionale nel valutare la regolarità urbanistica del sito quale condizione legittimante l'insediamento del progettato impianto. Va premesso che il c.d. Paur è il provvedimento unico autorizzatorio che riguarda e sostituisce tutti i titoli autorizzativi necessari all'esercizio dell'opera, ivi compresi quelli a carattere non ambientale. Il Consiglio di Stato, nel parere numero 1725 del 2 settembre 2020, ha chiarito che - una delle principali novità introdotte nella procedura di VIA dal d.lgs. numero 104 del 2017 consiste nell'avere aggiunto, a fianco alla tradizionale procedura conclusa da un parere di valutazione dell'impatto ambientale con carattere propedeutico e preliminare per il successivo rilascio dei titoli autorizzativi necessari per la realizzazione del progetto attuale articolo 25 , una nuova procedura unitaria imperniata su di un provvedimento unico in materia ambientale articolo 27 per i procedimenti di VIA di competenza statale e articolo 27-bis per i procedimenti di VIA regionale , che si pone come alternativa facoltativa, a richiesta del proponente, rispetto alla VIA tradizionale. In base a questa nuova disciplina il proponente può richiedere all'autorità competente che il provvedimento di VIA sia rilasciato nell'ambito di un provvedimento unico comprensivo di ogni autorizzazione, intesa, parere, concerto, nulla osta, o atto di assenso in materia ambientale, richiesto dalla normativa vigente per la realizzazione e l'esercizio del progetto. Affianco, dunque, al precedente modello bifasico della VIA tradizionale, nel quale, dopo la VIA, si accede a una conferenza di servizi diretta al rilascio dell'autorizzazione unica ambientale o dell'autorizzazione unica regionale e nella quale la VIA costituisce comunque il presupposto per il conseguimento degli altri titoli autorizzatori necessari , la riforma del 2017 ha aggiunto un modello facoltativo/alternativo unitario, nel quale la VIA, che mantiene, come vedremo, una sua efficacia preminente e un suo ruolo pregiudiziale, viene rilasciata insieme a tutti gli altri pareri e atti autorizzatori richiesti per la realizzazione del progetto punto 2.4 - Non vi è pertanto dubbio sul fatto che il provvedimento unico in materia ambientale, in caso di VIA statale, come l'omologo provvedimento autorizzatorio unico regionale di cui all'articolo 27-bis, in caso di VIA regionale, costituiscano un qualcosa di diverso e un di più rispetto al provvedimento di valutazione degli impatti ambientali di cui 6 all'articolo 25 del D. Lgs. numero 152 del 2006, posto che, a differenza di quest'ultimo, che ha natura ed effetti solo preliminari e articolo 26 deve sempre essere integrato nell'autorizzazione e in ogni altro titolo abilitativo alla realizzazione dei progetti, i provvedimenti unici degli articolo 27 e 27-bis comprendono, oltre al provvedimento di VIA, tutti i titoli abilitativi necessari per la realizzazione e l'esercizio del progetto, tra i quali arg. ex articolo 27 , l'autorizzazione integrata ambientale, l'autorizzazione riguardante la disciplina degli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, l'autorizzazione paesaggistica, l'autorizzazione culturale, l'autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico, l'autorizzazione antisismica di cui all' articolo 94 del D.P.R. 6 giugno 2001, numero 380 , etc., ferma restando la preminenza del provvedimento di VIA, sulla base del quale la decisione di concedere i titoli abilitativi di cui al periodo precedente è assunta par. 2.6 . Tuttavia, il ricorso alla procedura semplificata non esclude che, ai sensi dell'articolo 216, comma 3 cit., l'Amministrazione sia tenuta a verificare la sussistenza delle condizione e dei requisiti richiesti con particolare riferimento, per quanto qui rileva, al possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti ed al d lo stabilimento, la capacità di recupero e il ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati, nonché l'utilizzo di eventuali impianti mobili . Il riferimento ai requisiti soggettivi e soprattutto ai requisiti dello stabilimento non può non implicare una valutazione della sussistenza di tutte le condizioni tecniche e di compatibilità urbanistica ed ambientale del sito, valutazione peraltro già direttamente discendente dai principi di buona amministrazione e buon andamento della P.A. non si vede, infatti, come si possa ritenere legittima l'autorizzazione di un sito di rifiuti da realizzare su immobili non in regola dal punto di vista urbanistico ed edilizio . Le procedure autorizzative semplificate previste dal D.Lgs. 152 del 2006 , difatti, riguardano l'esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti articolo 216 comma 1 e non anche la legittimazione degli impianti attraverso cui tali attività vengono svolte sotto il profilo edilizio. L'articolo 216 del citato decreto legislativo prevede, infatti, che le operazioni suddette possano essere intraprese a condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all'articolo 214, commi 1, 2 e 3 che riguardano la protezione dell'ambiente e non i profili urbanistici ed edilizi degli impianti. Anche ammesso che la verifica dei requisiti di stabilimento di cui alla lettera d del comma 3 del citato articolo 216 attenga non solo la loro idoneità tecnica e la conformità alle norme ambientali ma comporti anche un esame dei profili urbanistici come ha sostenuto il TAR Palermo nella sentenza 1443 del 2011 ciò non significa che la sussistenza del permesso di costruire non occorra ai fini del legittimo insediamento dell'impianto, non potendo essere sostituito dal provvedimento autorizzativo ambientale. A ciò si aggiunga che sovente le normative di settore subordinano il rilascio delle autorizzazioni all'esercizio di determinate attività ad una verifica relativa alla conformità urbanistica degli immobili nei quali esse devono svolgersi ciò accade, ad esempio, con riguardo alle autorizzazioni inerenti le strutture commerciali medie e grandi , senza che ciò renda superfluo il rilascio delle necessarie autorizzazioni edilizie. È ben noto, difatti, che l'insediamento e lo svolgimento di attività produttivo-artigianali, quale è quella in esame, non possono prescindere della compatibilità urbanistico-edilizia dell'attività sul territorio, costituendo essa un evidente presupposto affinché l'attività possa legittimamente insediarsi in un determinato luogo ovvero proseguire Consiglio di Stato, Sez. IV, 25/08/2020, numero 5191/2020 , ravvisandosi una stretta ‘interconnessione tra i profili edilizio-urbanistico ai quali è riconducibile la problematica agitata in questa sede, inerente alla impossibilità di rilasciare l'autorizzazione unica ambientale con riguardo ad impianti non in regola sotto il profilo urbanistico-edilizio e commerciali per giurisprudenza costante e condivisa, dunque, il titolo abilitativo all'esercizio di un'attività commerciale presuppone la regolarità urbanistico-edilizia dei locali interessati tra le altre, cfr. Cons. Stato - Sez. VI, 23/10/2015 numero 4880 . Invero, la necessità di tale verifica preliminare s'impone anche nel procedimento finalizzato al rilascio dell'AUA. D'altronde, la circostanza che i provvedimenti autorizzativi in materia ambientale possano rivestire anche portata di variante urbanistica non comporta che il Comune ove insiste l'impianto abbia per ciò solo dismesso il suo potere generale di vigilanza e controllo sull'attività urbanistica ed edilizia, di cui all'articolo 27, d.P.R. numero 380 cit. potere che ha carattere generale e riguarda l'intera attività edilizia sul territorio, anche se il titolo abilitativo debba essere rilasciato, in forza di una speciale disposizione di legge, da altra pubblica amministrazione TAR Lombardia, Milano, sez. II, 22 ottobre 2013 numero 2331 sulla natura generale del potere conferito dall'articolo 27 cit. v. anche Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015 numero 319 TAR Campania, Napoli, sez. III, 19 dicembre 2017 numero 5967 sez. IV, 11 dicembre 2017 numero 5822 sez. VIII, 6 novembre 2012 numero 4431 . Il potere di vigilanza di cui al citato articolo 27, comma 1°, deve intendersi, dunque, come potere di carattere generale, riguardante l'intera attività edilizia sul territorio, anche se - come nel caso di specie - il titolo abilitativo debba essere rilasciato, in forza di una speciale disposizione di legge, da altra Pubblica Amministrazione. Da quanto sopra discende, allora, che i fatti di causa non attengono, se non indirettamente, alla sussistenza dei presupposti per il legittimo rilascio dell'autorizzazione unica per l'esercizio dell'impianto, riguardando viceversa la sua concreta realizzazione da parte del privato nel rispetto delle norme urbanistiche/edilizie degli immobili ad esso programmaticamente destinati, intercettando tale ultimo profilo le modalità di esercizio di predetto potere generale di vigilanza del territorio sull'attività edilizia svolta. Nel caso all'esame, in altri termini, la questione non concerne tanto l'autorizzabilità dell'impianto all'esito del vaglio della sua compatibilità ambientale, quanto piuttosto il preliminare accertamento che la destinazione d'uso dei manufatti interessati dal progetto realizzativo sia conforme alla normativa urbanistica ed edilizia. Con espresso riferimento specifico, poi, alla procedura semplificata di cui all' articolo 216 del d.lgs. numero 152/06 , secondo orientamento dal quale questo Collegio non ravvisa valide ragioni per discostarsi, la compatibilità urbanistica dell'impianto, benché non espressamente contemplata dalle prefate disposizioni, non può non costituire presupposto per il legittimo esercizio dell'attività di recupero dei rifiuti, atteso che deve essere qualificato sicuramente incompatibile con la conservazione dell'ambiente circostante un impianto che, sebbene rispetti le specifiche tecniche del caso, si ponga in dissonanza con la normativa ed edilizia dei cespiti indicati come sede dell'attività. Tale interpretazione, d'altronde, è l'unica possibile per rendere coerente la procedura semplificata di cui agli articolo li 214 e ss. d.lgs. 152/06 con quella ordinaria di cui al precedente articolo 208, nel quale si fa espresso riferimento all'esigenza di documentare la conformità del progetto di impianto alla normativa urbanistica ed alla valutazione in sede di conferenza dei servizi, della compatibilità dello stesso con le esigenze ambientali e territoriali T.A.R. Campania, sez. I, numero 3733/09 Cons. di St., sez. III. 24.09.2013, numero 4689 T.A.R. Liguria, Genova, 20.01.2015, numero 88 . 2.2.- Applicando il menzionato assetto normativo, come unanimemente ricostruito dalla giurisprudenza amministrativa, reputa il Collegio non ravvisarsi nella fattispecie in esame il dedotto eccesso di potere con riferimento alla figura sintomatica del difetto di motivazione. Invero, l'amministrazione resistente, nell'archiviare l'istanza in esame, e quindi nel concludere per la sua non vagliabilità sotto il profilo della compatibilità ambientale, ha, in primo luogo, rimarcato come il sito indicato quale sede del progettato impianto fosse stato, in parte, interessato da un'attività edilizia realizzata in assenza dei necessari titoli autorizzativi, come conclamato dalle domande di condono presentate dalla ricorrente non ancora esitate. In particolare, non può condividersi quanto sostenuto dalla ricorrente circa il non previsto impiego delle aree indicate con i sub nnumero 1 e 3 ai fini dello svolgimento della progettata attività poiché, come è dato evincere dalle controdeduzioni presentate dalla ricorrente in risposta al ricevuto preavviso di archiviazione, l'attività progettuale aveva investito l'intera particella numero 149, distinguendo l'area da destinare ad uffici, quelle in cui era localizzata l'effettiva attività di recupero e, infine, le aree indicate come accessorie all'attività impiantistica. Quest'ultime sub nnumero 1 e 3 , oggetto della presentata domanda di condono, seppur non strettamente funzionali alla conduzione dell'impianto, erano state progettualmente destinate a svolgere una funzione accessoria all'attività del predetto impianto, in quanto chiamate a costituire “il solaio di copertura di una zona che sarà, per l'area sottostante, adibita a parcheggio/deposito per i dipendenti”, così da palesarsi strettamente funzionali all'impianto complessivamente considerato. In ragione di ciò, considerata anche l'assenza del preventivo frazionamento dell'unitaria particella e comunque la non espressa esclusione dell'area de qua dal complessivo progetto, correttamente l'amministrazione ha ritenuto che l'attività impiantistica riguardasse l'intera area di sedime, pacificamente interessata da opere abusive, e quindi priva della necessaria regolarità urbanistica. Quanto poi alla particella sub 2, altrettanto correttamente l'amministrazione regionale, da un lato, ha considerato non pienamente comprovata la sua regolarità urbanistica e, dall'altro, ne ha constatato l'incompatibilità della sua attuale destinazione deposito rispetto a quella progettata uffici . In ordine al primo profilo, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, in assenza di una puntuale indicazione da parte della società istante in sede di istruttoria procedimentale dei titoli edilizi attestanti la regolarità dell'immobile, non era possibile evincere l'esistenza e la regolarità di quest'ultimi dall'esibito certificato di agibilità. Dal tenore di tale certificazione, difatti, si desume come la stessa fosse stata rilasciata ai sensi del R.D. numero 1265/1931, onde attestare la salubrità dell'immobile. Orbene, l'esibita dichiarazione di abitabilità, come corrobora il richiamo nel testo della stessa all'attività di risanamento compiuta, discendeva dall'accertamento dell'inesistenza di cause di insalubrità, senza che tale dichiarazione fosse condizionata dalla regolarità delle opere sotto il profilo edilizio e urbanistico. Ne consegue l'impossibilità di ricavare la conformità edilizia delle opere dall'accertamento incidentalmente compiuto ai fini del rilascio del certificato di agibilità, cui non può essere ascritto il significato di implicito assenso alla sanatoria dell'abuso edilizio cfr. TAR Liguria, sez. I, 25 giugno 2018, numero 564 TAR Campania - Napoli, sez. VIII, 16 aprile 2014, numero 2157 TAR Toscana, sez. III, 28 gennaio 2014, numero 177 TAR Lombardia - Milano, sez. II, 2 settembre 2011, numero 2145 T.A.R. Calabria - Catanzaro, sez. II, 8 novembre 2010, numero 2670 TAR Veneto, sez. II, 5 dicembre 2003, numero 6052 TAR Puglia - Bari, sez. II, 4 febbraio 2003, numero 489 . In merito al secondo profilo, è incontestato che l'immobile indicato dal sub 2 avesse una destinazione deposito incompatibile con quella indicata nel progetto presentato ufficio , richiedendo quest'ultima il previo rilascio di un nuovo titolo edilizio affinché potesse essere regolarmente svolta l'attività cui l'immobile era stato destinato nella proposta progettuale. È noto, difatti, che non si possa ritenere il cambio di destinazione d'uso dell'immobile in questione da deposito ad attività connessa ai servizi come integrante un cambio di destinazione d'uso nell'ambito della medesima categoria funzionale di cui alla lett. b , dell'articolo 23 ter, d.P.R. numero 380 del 2001, come tale irrilevante e liberamente eseguibile. Invero, il passaggio dalla destinazione dell'immobile da deposito, essendo irrilevante se utilizzato in via autonoma o funzionale ad altro fabbricato, a luogo ove si svolge un'attività di servizi annessi ad attività produttiva di tipo industriale-commerciale non solo determina un cambio tra categorie non omogenee, ma è anche idoneo ad incidere sul carico urbanistico T.A.R. Campania - Napoli, sez. VII, 06/11/2017, numero 5152 . Alla luce di tutte le superiori osservazioni, deve concludersi per l'infondatezza della sostenuta impostazione censoria, atteso che la legittimità urbanistica dei manufatti o dei locali nei quali si intendeva svolgere la progettata attività, nella specie non adeguatamente comprovata dalla ricorrente mediante la documentazione corredante la presentata istanza, rappresenta il necessario ponte di collegamento tra la situazione urbanistico - edilizia e quella produttiva, nel senso che la non conformità dei locali per il versante urbanistico - edilizio si traduce nella loro non agibilità anche sul versante industriale/commerciale. Per lo svolgimento dell'attività industriale è necessario che il manufatto o il locale sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo e, più in generale, che lo stesso non rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal modo, una corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni ospitanti l'attività commerciale e la regolarità urbanistica degli stessi cfr. Cons. St., sez. II, 17 maggio 2021 numero 3836 . 3. La complessità delle questioni trattate e le difese di mero stile delle resistenti amministrazioni inducono a dichiarare interamente compensate le spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - NAPOLI Sezione Quinta , definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge spese compensate.