Maltrattamenti in famiglia: un figlio in comune basta ad integrare il reato?

Nessun dubbio sulla responsabilità penale dell’uomo denunciato dalla compagna. Per i giudici, pur in assenza di convivenza, non vi era una «mera genitorialità condivisa», bensì una «aspettativa di vita in comune».

Scenario della vicenda è la provincia calabrese. A finire nei guai è un uomo, denunciato dalla compagna – con la quale ha anche avuto un figlio – per presunti maltrattamenti ai danni di lei. Il quadro probatorio, centrato soprattutto sulle dichiarazioni della donna, è inequivocabile secondo i giudici d’appello, i quali ritengono l’uomo colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia . Questa decisione viene fortemente contestata in Cassazione dall’avvocato che difende l’uomo. In questa ottica, quindi, il legale non vi sono « i presupposti di un rapporto stabile » tra il proprio cliente e la persona offesa, la quale, aggiunge il legale, non a caso «non ha mai parlato di relazione, né di fidanzamento, ma anzi ha escluso l’esistenza di un rapporto stabile», tanto da esserle «precluso l’accesso all’abitazione dell’uomo», il quale, a sua volta, «non aveva le chiavi dell’abitazione della persona offesa». Senza dimenticare, poi, che «i due vivono in paesi differenti», precisa il legale. Per ampliare la linea difensiva, poi, viene rilevato che «i fatti si collocano tutti in una fase temporale successiva al concepimento del figlio , in una fase, cioè, in cui le parti avevano in comune solo il figlio , ma vivevano vite del tutto autonome ed affettivamente separate, così come avvenuto prima del concepimento». Impossibile, quindi, sempre secondo il legale, dedurre dalla «mera frequentazione della casa della persona offesa da parte dell’uomo» l’esistenza «di un legame e di vincoli di solidarietà così forti da delineare la concretezza di un rapporto di tipo familiare». E «non è stato indicato alcun elemento da cui dedurre che la genitorialità fosse stata condivisa, tanto che la stessa persona offesa in querela ha affermato che l’uomo voleva che ella abortisse». A fronte delle obiezioni difensive, però, i magistrati di Cassazione replicano condividendo l’ottica adottata in appello tra l’uomo e la donna vi erano, all’epoca, « legami affettivi stabili ». Sacrosanto, quindi, catalogare come maltrattamenti in famiglia i soprusi compiuti dall’uomo ai danni della compagna. Accertati, difatti, diversi elementi relativi al fatto che vi era un rapporto familiare tra l’uomo e la donna. Nello specifico, «la relazione sentimentale tra i due era iniziata tre anni prima della nascita del figlio, e, nella querela e nel corso dell’esame dibattimentale, la persona offesa aveva affermato che quella con l’uomo era stata una relazione affettiva stabile , caratterizzata dall’ assidua frequentazione della propria abitazione da parte dell’uomo, relazione da cui ella aveva avuto un figlio». Evidente, anche secondo i Giudici di Cassazione, l’esistenza di «un progetto di vita condiviso , basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza ». Tirando le somme, «pur in assenza di una convivenza osteggiata dalla madre dell’uomo , non vi era una mera genitorialità condivisa, bensì una aspettativa di vita in comune », requisito sufficiente per parlare di maltrattamenti in famiglia .

Presidente Petruzzellis – Relatore Coscioni Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 14 maggio 2024 emessa a seguito della sentenza della Sesta sezione di questa Corte, per quanto qui di interesse, confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto C.C. responsabile dei reati di cui agli articolo 572 cod. penumero e 614 cod. penumero 1.1 Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di C.C., eccependo la violazione dell'articolo 572 cod. pen premesso che la sentenza di annullamento di questa Corte aveva chiesto al giudice di rinvio di individuare se sussistessero i presupposti di un rapporto stabile rilevante ai sensi dell' articolo 572 cod. penumero , il difensore evidenzia che la persona offesa non aveva mai parlato di una relazione stabile, né di fidanzamento, ma anzi aveva escluso l'esistenza di un rapporto stabile, tanto che le era anche precluso l'accesso all'abitazione di C.C., il quale non aveva le chiavi dell'abitazione della persona offesa i due vivevano in paesi differenti rileva che i fatti oggetto di imputazione si collocavano tutti in una fase temporale successiva al concepimento del figlio, in una fase in cioè in cui le parti avevano in comune solo il figlio, ma vivevano vite del tutto autonome ed affettivamente separate, così come avvenuto prima del concepimento l'impugnata sentenza aveva pertanto dedotto erroneamente che alla mera frequentazione dell'abitazione della persona offesa da parte di C.C. potesse ricondursi un legame e vincoli di solidarietà così forte da delineare la sussistenza di un rapporto di tipo familiare. Il difensore aggiunge che la Corte di appello non aveva indicato alcun elemento da cui dedurre che la genitorialità fosse stata condivisa, tanto che la stessa persona offesa in querela aveva affermato che C.C. voleva che ella abortisse. 1.2 Il difensore eccepisce l'erronea applicazione degli articolo 133 e 62-bis cod. penumero quanto al primo aspetto, la Corte di appello si era limitata ad un mero calcolo matematico, senza indicare le ragioni per cui il venir meno di una serie di imputazioni dovessero incidere sulla complessiva valenza penale del fatto e senza operare una complessiva rivalutazione del disvalore penale del fatto ciò incideva anche sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, che erano state escluse dalla Corte di appello di Messina in virtù della gravità del fatto riferita anche ai capi di imputazione successivamente venuti meno per l'annullamento disposto da questa Corte o dichiarati prescritti giungere a negare persino la possibilità di sospensione della pena senza nemmeno una valutazione degli elementi positivi prospettati nel primo ricorso per cassazione ed oggi divenuti attuali appariva ingiusto e certamente mortificante del risvolto sostanziale del principio di funzione rieducativa della pena. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato soltanto limitatamente alla omessa motivazione sulla mancata concessione delle attenuanti generiche. 1.1 Relativamente al primo motivo di ricorso, si deve precisare la natura del sindacato di legittimità -principi che questa Corte ha più volte ribadito a mente dei quali gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono censurabili nel giudizio di legittimità, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa ciò conduce alla valutazione di inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Non va infatti dimenticato che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito cfr. Sez. 6 numero 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482 , stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito Sez. 6 numero 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099 . La Corte di appello ha ritenuto, con un giudizio di merito non censurabile nella presente sede, che vi erano diversi elementi relativi al fatto che vi fosse un rapporto familiare rilevante ai fini della configurabilità del reato, osservando che la relazione sentimentale tra C.C. e la persona offesa era iniziata nel 2011, tre anni prima della nascita del figlio, e che nella querela e nel corso dell'esame dibattimentale la stessa aveva affermato che quella con l'odierno giudicabile era stata una relazione affettiva stabile, caratterizzata dall'assidua frequentazione della sua abitazione da parte dell'imputato, dalla quale poi aveva avuto un figlio , ritenendo quindi che vi fosse un progetto di vita condiviso, basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza pag. 3 sentenza impugnata , pertanto, pur in assenza di una convivenza che era osteggiata dalla madre dell'imputato , non vi era una mera genitorialità condivisa, ma una aspettativa di vita in comune, requisito sufficiente per ritenere integrata l'ipotesi di reato di cui all' articolo 572 cod. penumero Si deve inoltre aggiungere che l'accertamento richiesto dalla sentenza di annullamento era quello relativo ai legami affettivi stabili, non alla convivenza, circostanza che rende irrilevante la successiva evoluzione giurisprudenziale sul punto, stante il vincolo per il giudice del rinvio del principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione vedi Sez.2, numero 33560 del 09/06/2023, Brunno, Rv. 281542 a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, il giudice del rinvio deve ritenersi vincolato unicamente ai principi e alle questioni di diritto decise con la sentenza di annullamento, con esclusione di ogni altra restrizione derivabile da eventuali passaggi di natura argomentativa contenuti nella motivazione della sentenza di legittimità, in special modo se riferibile a questioni di mero fatto attinenti il giudizio di merito vedi anche Sez. 1, numero 28 del 15/01/1968, F. Rv. 108645 se la sentenza impugnata viene cassata per violazione di norme di diritto, il giudice di rinvio deve uniformarsi al giudizio della Corte di Cassazione sul punto di diritto da questa stabilito, in quanto il giudizio di rinvio e limitato alla decisione delle questioni, che non sono state decise dalla Corte di Cassazione, con la efficacia prevista dall' articolo 546, comma 1, cod.proc.penumero pertanto, l'investitura del giudice di rinvio avviene con limitazioni assimilabili a preclusioni in forza delle quali il principio di diritto affermato dalla suprema Corte acquista valore di lex specialis, al punto che, qualora la Cassazione accerti che il giudice di rinvio non si e uniformato ai principi di diritto da essa affermati nella sentenza di annullamento, non può esimersi dall'annullare la sentenza di rinvio neppure se, modificata la prima opinione, ritenga più esatta la tesi giuridica accolta dal giudice di rinvio. Consegue che il giudice di rinvio, il quale, in applicazione dell' articolo 546, comma 1 cod.proc.penumero , si uniforma alla sentenza della Corte di Cassazione, per ciò che concerne le questioni di diritto con essa decise, non si pone in contrasto con la norma dell' articolo 101 della Costituzione , per la quale i giudici sono soggetti soltanto alla legge, ma fa applicazione di un principio inquadrabile in un sistema assimilabile a quello delle preclusioni, per le quali non sussiste inconciliabilità con alcuna disposizione della Costituzione . 1.2 Fondato è il motivo relativo alla concessione delle attenuanti generiche. A fronte della richiesta formulata in grado di appello, nella quale si evidenziavano il percorso terapeutico, l'assenza di episodi sconvenienti, la ripresa di un flebile dialogo seppur filtrato dal servizio sociale, la ferma volontà di C.C. di prendere atto degli errori commessi ed avviare un nuovo percorso di vita pag.13 atto di appello , nessuna considerazione è contenuta nella sentenza impugnata né si può ritenere la sussistenza di una motivazione implicita, posto che non vi è alcuna considerazione sulla gravità del reato, sui motivi che hanno spinto l'imputato a delinquere o considerazioni relative al trattamento sanzionatorio che possano ritenere sussistente una adeguata motivazione al riguardo. 2. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al giudice di appello, per nuovo giudizio su quanto sopra evidenziato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'applicabilità delle attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Rigetta il ricorso nel resto e dichiara definitivo l'accertamento di responsabilità.