Confermato il reato di ricettazione per il detenuto che accetta un telefono introdotto illegalmente in carcere da un soggetto esterno. In presenza di una condotta che integra anche una fattispecie più grave come quella di ricettazione, infatti, la stessa prevale rispetto a quella del semplice «accesso indebito ai dispositivi.»
In una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione relativa al reato di ricettazione da parte di un detenuto , il quale aveva ricevuto un apparecchio introdotto illecitamente all'interno dell'istituto penitenziario. Il caso in esame nasceva da un ricorso presentato da un detenuto che contestava l'accusa di ricettazione, chiedendo che il proprio comportamento fosse qualificato come semplice «accesso indebito a dispositivi di comunicazione da parte di detenuti» . La Suprema Corte, però, ha ritenuto infondato il ricorso, richiamando l 'articolo 391- ter c.p. questa disposizione normativa punisce sia chiunque introduca, procuri o consenta l'introduzione e l'uso di dispositivi idonei a comunicare all'interno di un istituto penitenziario senza l'autorizzazione dell'Amministrazione Penitenziaria sia il detenuto stesso che riceva indebitamente un dispositivo di comunicazione. Nel caso in questione, il detenuto aveva ricevuto un dispositivo che era stato introdotto illegalmente da un soggetto esterno tale comportamento, secondo i Giudici, è da qualificarsi come ricettazione, dal momento che il dispositivo ricevuto proveniva da un reato preesistente ai sensi del primo comma della suddetta norma l'introduzione illecita del dispositivo nel carcere . La Cassazione ha, infatti, precisato che in presenza di una condotta che integra una fattispecie di reato più grave , come la ricettazione, questa prevale rispetto a quella meno grave dell'accesso indebito ai dispositivi. Di conseguenza, anche qualora il comportamento del detenuto fosse stato formalmente riconducibile alla violazione dell'accesso ai dispositivi, doveva essere trattato come ricettazione, visto che l'oggetto del reato il dispositivo derivava da un delitto previsto dal primo comma dell' articolo 391- ter c.p. La Corte ha, dunque, rigettato il ricorso e sottolineato che la disciplina in analisi ha l'obiettivo di garantire la sicurezza e l'efficacia della pena detentiva , impedendo che i detenuti possano gestire attività illecite dall'interno degli istituti penitenziari grazie all'utilizzo di dispositivi di comunicazione non autorizzati. L'introduzione di tali dispositivi può, infatti, compromettere la corretta esecuzione della pena e mettere in pericolo l'ordine e la sicurezza all'interno del carcere , consentendo ai detenuti di mantenere contatti esterni e di proseguire eventualmente attività criminose.
Presidente Pellegrino - Relatore Nicastro Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13/12/2023, il G.i.p. del Tribunale di Nuoro ha applicato, su richiesta congiunta dell'imputato e del pubblico ministero, ai sensi dell' articolo 444 cod. proc. penumero , a M.V. la pena di un anno e otto mesi di reclusione ed € 1.000,00 di multa per il reato di ricettazione. In base al capo d'imputazione, tale reato era stato contestato al M.V. «per avere, al fine di procurarsi un profitto, essendo detenuto nel carcere di Nuoro B. e C. , indebitamente ricevuto un apparecchio telefonico, cosa provento del delitto di cui all' articolo 391 ter c.p. » Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti . Il G.i.p. del Tribunale di Nuoro riteneva corretta la qualificazione giuridica del fatto come ricettazione, sull'assunto che «la stabile detenzione del bene è condizione necessaria e sufficiente perché si possa configurare la condotta come riconducibile alla ricettazione e non al semplice reato di cui all'articolo 391 ter. Non si è mai trattato di una conversazione ma l'uso del telefono è di una certa stabilità come ben precisato fin dalla CNR». 2. Avverso tale sentenza del 13/12/2023 del G.i.p. del Tribunale di Nuoro, ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell' articolo 448, comma 2-bis, cod. proc. penumero , per il tramite del proprio difensore avv. Elena Cesana, M.V., con il quale deduce l'erronea qualificazione giuridica del fato come ricettazione anziché come accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti di cui all' articolo 391-ter, terzo comma, cod. penumero , il quale punisce con la stessa pena che è prevista dal primo comma dello stesso articolo la reclusione da uno a quattro anni il «detenuto che indebitamente riceve o utilizza un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni». Con riguardo alla motivazione contenuta nella sentenza impugnata a sostegno della qualificazione del fatto come ricettazione, il ricorrente deduce che la configurazione del reato di cui all' articolo 391-ter cod. penumero «non dipende certo dalla stabilità e dal numero di volte con cui il detenuto ha avuto a disposizione il cellulare ma è determinata dalla semplice detenzione o dal semplice utilizzo dell'apparecchio telefonico a prescindere dal tempo impiegato, inteso come durata stabile dell'utilizzo». Il ricorrente rappresenta che l'errore di qualificazione giuridica che sarebbe stato commesso dal G.i.p. del Tribunale di Nuoro emergerebbe «dalla stessa lettura del capo d'imputazione» e che il rilievo dello stesso errore non richiederebbe alcun accertamento in fatto. Considerato in diritto 1. L'unico motivo non è fondato. 2. Si deve preliminarmente rammentare che la Corte di cassazione afferma costantemente che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell' articolo 448, comma 2- bis, cod. proc. penumero , l'erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto - ossia ai casi in cui sussiste l'eventualità che l'accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati -, il quale è configurabile quando detta qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d'imputazione Sez. 4, numero 13749 del 23/03/2022, Gamal Eid Sayed, Rv. 283023- 01 Sez. 2, numero 14377 del 31/03/2021, Paolino, Rv. 281116-01 , dovendosi escludere l'ammissibilità dell'impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione Sez. 6, numero 3108 del 08/01/2018, Antoci, Rv. 272252-01 o che denunci errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dalla stessa contestazione e dal testo del provvedimento impugnato Sez. 5, numero 33145 del 08/10/2020, Cari, Rv. 279842-01 Sez. 6, numero 25617 del 25/06/2020, Annas Kaddche, Rv. 279573-01 Sez. 3, numero 23150 del 17/04/2019, El Zitouni, Rv. 275971-02 . 3. Ciò posto, va detto che l' articolo 391 -ter cod. penumero è stato inserito nel codice penale dall'articolo 9, comma 1, del d.l. 21 ottobre 2020, numero 130 il cosiddetto Decreto sicurezza bis , conv. con modif. dalla legge 18 dicembre 2020, numero 173 , a chiusura del Capo II, dedicato ai Delitti contro l'autorità delle decisioni giudiziarie , del Titolo III, che contiene i Delitti contro l'amministrazione della giustizia . Esso, in vigore dal 22/10/2020 articolo 16 del d.l. numero 130 del 2020 , stabilisce che «Fuori dei casi previsti dall'articolo 391-ò/s, chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consente a costui l'uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni [primo comma]. Si applica la pena della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense [secondo comma]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto che indebitamente riceve o utilizza un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni [terzo comma]». Il bene giuridico tutelato dalla disposizione incriminatrice appare essere l'effettività della pena detentiva e della custodia cautelare in carcere, le cui finalità possono risultare frustrate dall'indebito accesso, da parte dei detenuti, a dispositivi idonei alla comunicazione dei quali gli stessi detenuti si potrebbero servire non solo per coltivare il proprio diritto all'affettività, comunicando con i propri cari, ma anche per continuare a gestire i propri affari illeciti. Sulla base di quanto emerge dai lavori preparatori, l'introduzione della nuova fattispecie delittuosa rispondeva all'esigenza di contrastare il fenomeno, che era divenuto ormai endemico, dell'introduzione in carcere di apparecchi cellulari, che l'Amministrazione penitenziaria non era in condizioni di contrastare efficacemente, essendo risultata non praticabile, dal punto di vista sia tecnico sia economico, la soluzione alternativa e, in vero, dirimente, della cosiddetta schermatura degli istituti penitenziari. Passando alla descrizione della nuova fattispecie, si deve osservare che l' articolo 391-ter cod. penumero contiene due reati, uno previsto dal primo comma e l'altro previsto dal terzo comma, i quali sono puniti con la stessa pena della reclusione da uno a quattro anni. Quanto al primo comma, esso prevede un reato comune «chiunque» che presenta la tipica struttura della norma a più fattispecie, atteso che vi si contemplano tre condotte tra loro alternative, precisamente, quelle di chi 1 procura indebitamente a un detenuto un apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni 2 consente a un detenuto l'uso indebito di tali strumenti 3 introduce in un istituto penitenziario uno dei menzionati strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta. Mentre le prime due fattispecie sono a dolo generico, atteso che lo scopo dell'agente risulta indifferente ai fini dell'integrazione del reato, in quanto estraneo alla tipicità del fatto, la terza fattispecie sembrerebbe esigere il dolo specifico «al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta» . Requisito, questo, che in dottrina è stato ritenuto bilanciare l'anticipazione dell'offesa che discende dal fatto che la fattispecie non appare richiedere che il detenuto entri nell'effettiva disponibilità del dispositivo, essendo sufficiente che l'autore del reato lo introduca nell'istituto penitenziario. Il primo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero prevede la clausola di riserva «[fluori dei casi previsti dall' articolo 391 bis» cod. penumero , il quale punisce l'«Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all' articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975, numero 354 . Comunicazioni in elusione delle prescrizioni». La clausola comporta la sussidiarietà del reato di cui al primo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero rispetto al reato di cui all' articolo 391-bis cod. penumero , al quale il legislatore ha assegnato, perciò, la prevalenza. Il secondo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero prevede un'aggravante speciale del reato di cui al primo comma dello stesso articolo, la quale, in quanto caratterizzata dalla qualifica soggettiva dell'agente pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio, esercente la professione forense , comporta che lo stesso reato diventi proprio. Passando al terzo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero , esso prevede un reato proprio, il cui soggetto attivo qualificato è il «detenuto», e presenta anch'esso la struttura della norma a più fattispecie, atteso che vi si contemplano due condotte tra loro alternative, precisamente, quelle del detenuto che indebitamente «riceve» o «utilizza» un apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni. L'utilizzo della congiunzione disgiuntiva «o» implica che, affinché il reato sia integrato, non è necessario che il detenuto utilizzi il dispositivo per la funzione di esso di effettuare comunicazioni ma è sufficiente che l'agente qualificato ne sia in possesso per averlo ricevuto. La Corte di cassazione ha chiarito che il delitto di ricezione di dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti di cui al terzo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero è punito a titolo di dolo generico, come è reso evidente dalla formulazione testuale della norma, la quale non contiene alcun riferimento a particolari finalità che devono animare l'agente, con la conseguenza che, a integrare il dolo del reato, è sufficiente la coscienza e volontà della ricezione dell'apparecchio telefonico o di altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni Sez. 6, numero 34282 del 10/07/2024, A., non massimata . Anche il terzo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero si apre con una clausola di riserva, che ne delimita il perimetro applicativo, cioè la clausola «[s]alvo che il fatto costituisca più grave reato», la quale comporta la sussidiarietà del reato di cui al terzo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero rispetto all'intera categoria dei reati più gravi, ai quali il legislatore ha assegnato, perciò, la prevalenza. Il presupposto di entrambi i reati di cui al primo e al terzo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero è che l'accesso a dispositivi idonei alla comunicazione sia indebito. Clausola, questa, di antigiuridicità espressa speciale con la quale il legislatore appare fare riferimento a un accesso a dispositivi di comunicazione non autorizzato dall'Amministrazione penitenziaria sulla base delle leggi e dei regolamenti. Con riguardo all'oggetto dei due reati, la Corte di cassazione ha escluso che esso possa essere costituito da una scheda SIM Sez. 6, numero 42941 del 11/09/2024, Collalunga, Rv. in corso di attribuzione . 4. Tornando al motivo di ricorso, alla luce di quanto si è esposto al punto 3 che precede, si deve ritenere che, nel caso in cui il detenuto riceva l'apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo alla comunicazione da parte di chi lo abbia abusivamente introdotto nell'istituto penitenziario senza un previo accordo con lo stesso detenuto, tale condotta di ricezione del dispositivo appare integrare il reato di ricettazione, per avere il detenuto ricevuto una cosa il dispositivo proveniente dal delitto di cui all' articolo 391-ter, primo comma, cod. penumero Tale reato di ricettazione, ove ritenuto in concreto più grave, per effetto della clausola di riserva «[s]alvo che il fatto costituisca più grave reato» con cui si apre il terzo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero - clausola che il ricorrente mostra di non avere considerato - prevale su quello di cui al terzo comma dell' articolo 391-ter cod. penumero Da quanto si è appena esposto discende perciò come la qualificazione giuridica del fatto attribuito al ricorrente come ricettazione non si possa ritenere palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d'imputazione, nel quale è stato contestato all'Imputato di avere ricevuto un apparecchio telefonico provento del delitto di cui all' articolo 391-ter cod. penumero 5. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell' articolo 616, comma 1, cod. proc. penumero , al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.