Apertura anno giudiziario, Cassano: necessario rispetto reciproco fra istituzioni

Riflettori puntati sulla riforma della magistratura. Dalla prima Presidente della Cassazione una sottolineatura dell’impegno e del lavoro dei giudici italiani. Pinelli CSM e il ministro Nordio in difesa della riforma. Greco CNF chiede tutele per gli avvocati e per i cittadini.

Magistrati contro la riforma prospettata dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e, quindi, dal governo Meloni. Questo il succo della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario svoltasi a Roma venerdì mattina in Cassazione. Esemplari le pronunciate parole da Margherita Cassano, primo presidente della Corte di Cassazione, dinanzi al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella «la magistratura», ha sottolineato, «è diversa da quella oggetto di abituale rappresentazione e posta a base di progetti riformatori». Ad aprire il dibattito, come da tradizione, ha provveduto Margherita Cassano in veste di primo presidente della Cassazione , e sin dalle prime parole sono emerse critiche al potere legislativo, lamentando, in particolare, che «le molteplici normative speciali, in alcuni casi non coordinate fra loro e collocate in provvedimenti contenenti previsioni sui temi più disparati, sono talora frutto di decretazione d’urgenza destinata a riflettersi sulla qualità del dato normativo , con conseguente ampliamento dell’attività interpretativa del giudice». Per riassumere, la Cassano ha censurato il fenomeno della ipertrofia legislativa , che, a suo dire, «recepisce le istanze di un corpo sociale sempre più lacerato, incapace di darsi autonomamente regole di civile convivenza fondate sulla condivisione dei valori costituzionali e alla costante ricerca di un intervento esterno». In tale contesto «rendere giustizia si è fatto più difficile», ha ammesso la Cassano, la quale ha poi snocciolato, tra l’altro, i numeri per nulla rassicuranti relativi ai suicidi in carcere , quelli concernenti le problematiche connesse al lavoro e quelli in merito ai reati di violenza in danno delle donne. Su quest’ultimo fronte la Cassano ha posto in evidenza un dato, in particolare «all’incremento delle chiamate al numero di aiuto antiviolenza e stalking non corrisponde un aumento percentuale delle denunce o delle querele». Il quadro è allarmante in quanto, secondo la Cassano, «espressione di una perdurante, angusta concezione della donna quale oggetto di possesso e dominio da parte dell’uomo e di una visione dei rapporti sentimentali basata su logiche di prevaricazione sessuale, favorite anche dai social media che producono o riproducono stereotipi di genere, nuove forme di violenza di genere on line e amplificano il linguaggio violento». Tornando all’ambito operativo dei giudici, la Cassano ha sottolineato «il lavoro svolto dagli uffici di merito e dalla Corte di Cassazione» e «lo sforzo per definire l’arretrato» e ridurre «il tempo di chiusura dei procedimenti». Anche per questo, la Cassano ha parlato di «immagine della magistratura diversa da quella oggetto di abituale rappresentazione e posta a base di progetti riformatori» e ha spiegato che «la magistratura, conscia delle sue responsabilità, cerca di assolvere al meglio i propri doveri» ed è impegnata in «uno sforzo inedito che, teso ad inverare i più alti valori espressi dalla Costituzione, necessita di essere accompagnato da un contesto improntato al rispetto reciproco fra le varie Istituzioni dello Stato». Alle parole della Cassano ha replicato, in maniera indiretta, Fabio Pinelli in veste di vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, sottolineando «l’essenza del magistrato», ossia «essere solutore di conflitti, a volte tra parte pubblica e privata, altre volte tra privati», e aggiungendo poi che «dall’essere solutore di conflitti derivano i suoi poteri e i suoi limiti». Ebbene, «se il fondamento del giudice sta nella sua terzietà, se si è risolutori di conflitti, allora non si può essere parte», ha ribadito Pinelli, e quindi «la magistratura interviene legittimamente nel dibattito e porta il proprio contributo di competenza , ma non deve divenire parte del conflitto». Ancora, «se la connotazione fondante dei giudici finisse per essere smarrita, la magistratura degraderebbe da soggetto costituzionalmente imparziale a soggetto che partecipa al conflitto», ha aggiunto Pinelli. Per chiudere il cerchio, infine, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura ha lanciato un ulteriore attacco «quello giudiziario è un potere che si è espanso moltissimo negli ultimi cinquant’anni. Oggi siamo in una fase di riequilibrio che ha spinto la politica a toccare anche aspetti dell’architettura costituzionale». E, ha aggiunto, «su molti degli interventi riformatori – specie quelli sul sistema elettorale degli organi di governo autonomo – ha pesato e continua a pesare il bisogno di dare una risposta alle degenerazioni che, nel recente passato, avevano caratterizzato il fenomeno italiano del “correntismo” in magistratura. Degenerazioni che si sono determinate, talvolta, per una carenza di tensione ideale e di confronto sui grandi quesiti fondamentali. E ora la magistratura rischia di apparire interessata sostanzialmente ad un dibattito svolto in un’ottica di autotutela». Invece, «l’indipendenza interna dei magistrati – che il CSM è tenuto a salvaguardare, non meno della loro indipendenza esterna – rappresenta uno strumento indispensabile per garantire quell’imparzialità della magistratura che è la fonte prima della sua legittimazione come ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere e per rafforzare la fiducia dei cittadini nella giustizia». Sulla stessa falsariga anche il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio , il quale, però, in prima battuta, ha riconosciuto i raggiunti «obiettivi di riduzione dei tempi di trattazione dei procedimenti civili e penali». Detto ciò, però, resta irrinunciabile «l’azione del Governo rivolta verso una produzione normativa su più ambiti e più livelli , a partire dalle iniziative legislative. La più importante è sicuramente il ben noto disegno di legge costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare, approvato in prima deliberazione alla Camera dei deputati lo scorso 16 gennaio, da una maggioranza con basi politiche più ampie delle forze che compongono la coalizione di Governo”. Ebbene, “la riforma si presenta, per quanto riguarda l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, con una chiarezza cartesiana di rocciosa solidità». Ad ampliare l’orizzonte ha poi provveduto Luigi Salvato in veste di Procuratore Generale della Corte di Cassazione, il quale ha rivendicato un concetto «il “servizio giustizia” consiste nell’applicare la legge all’esito di un giusto processo. Il fattore tempo è essenziale, ma non l’unico rilevante per valutarne efficienza e qualità». Fissato questo paletto, però, «vi sono segnali di una crisi di fiducia nella magistratura , preoccupante perché investe uno dei capisaldi dello Stato costituzionale di diritto. La fiducia non va confusa con il consenso sul merito dei provvedimenti. Il consenso è la fonte di legittimazione delle funzioni politiche, non del potere giudiziario, che si radica nella legalità, nell’autorevolezza nello stabilire la verità giudiziaria, attestata dalla motivazione dei provvedimenti che, all’esito di un giusto processo, danno applicazione alla legge. Il potere giudiziario, come gli altri pubblici poteri, è fondato sulla sovranità popolare, di questa è espressione la legge ed il suo esercizio è quindi ad essa sottoposto». Come recuperare la fiducia? «Realizzando l’equilibrio fissato dalla Costituzione, che esige un forte impegno della magistratura. La centralità della giurisdizione è stata scambiata in qualche caso con l’ avvento di una nuova etica pubblica e forse, purtroppo, qualche magistrato lo ha creduto, giungendo talora a forzare il principio di legalità, anche sulla scorta del consenso, con il rischio di una sorta di populismo giudiziario. La magistratura deve dimostrarsi consapevole dell’essenzialità del proprio ruolo con umiltà, senza improprie finalità di redenzione sociale. E la fiducia non si recupera senza l’opera del Parlamento, al quale spetta attuare i diritti costituzionalmente garantiti, dare tempestive risposte ai bisogni della società, nei confini fissati dalla Carta, mediante leggi ragionevoli, chiare ed inequivoche e perciò vincolanti nei confronti della magistratura. L’equilibrio fissato dalla Costituzione impone che i poteri si ri-conoscano reciprocamente, senza infingimenti legati al contingente, con uno sguardo lungo sul bene delle Istituzioni, senza denunciarne la contraffazione quando inesistente, senza indirette rivalse che sgretolino l’indipendenza della giurisdizione. Mai può giovare all’equilibrio tra poteri una magistratura inutilmente sfregiata, agli occhi dei cittadini, dell’indispensabile autorevolezza della giurisdizione. Per recuperare la fiducia, l’azione della magistratura deve essere guidata da rigorose regole deontologiche». A sottolineare i risultati raggiunti dalla Cassazione ha provveduto anche l’ Avvocato Generale dello Stato , Gabriella Palmieri Sandulli, la quale li ha definiti “lusinghieri” e “straordinari”. Allo stesso tempo, ha anche posto in rilievo «l’efficace assolvimento del compito di difesa in giudizio delle amministrazioni patrocinate dall’Avvocatura dello Stato», aggiungendo che «esso dipende non solo, evidentemente, dalla collaborazione» con le amministrazioni stesse, «ma anche e soprattutto dalla possibilità di affidarsi a indirizzi giurisprudenziali consolidati. La funzione nomofilattica è, infatti, indispensabile anche per orientare l’agire amministrativo nell’esercizio delle funzioni consultive attribuite all’Avvocatura dello Stato e così favorire la deflazione del contenzioso, ove quegli indirizzi rendano evidente la non utile perseguibilità della fase giudiziale». Rilevante, però, anche il ricorso alla tecnologia per l’’informatizzazione del processo. In tale ottica, «Avvocatura dello Stato, che già da tempo è passata a una modalità di lavoro quasi interamente digitale, si è tempestivamente conformata alle novità introdotte, modificando i propri sistemi in funzione delle diverse realtà tecnico-informatiche , tanto che si è verificato un ulteriore incremento dei depositi telematici, innanzi alla Cassazione, passati dai 13mila del 2023 ai 16mila del 2024». Per chiudere, poi, la Palmieri Sandulli ha messo sul tavolo «alcuni dati numerici indicativi della complessa attività e dell’impegno profuso dall’Avvocatura dello Stato. Nel 2024 i nuovi affari trattati sono stati oltre 167mila, con un incremento di circa il 14 per cento rispetto al 2023» e «gli esiti dei giudizi, con particolare riferimento al rilevante contenzioso tributario, confermano una percentuale di successo nella media superiore al 68 per cento». Ultimo, in ordine di tempo, a prendere parte al dibattito è stato Francesco Greco , presidente del Consiglio nazionale forense , il quale ha subito fotografato la realtà attuale «nel nostro Paese è in corso un significativo cambiamento delle regole del sistema giudiziario ». Con inevitabili ripercussioni sulla giurisdizione. “ «Con la legge di bilancio 2025 – attraverso la leva fiscale – il legislatore ha dettato regole sulla proponibilità delle azioni giudiziarie e, addirittura nel processo amministrativo, si è spinto ad introdurre una sanzione economica, quale contropartita all’inammissibilità del ricorso, nell’ipotesi in cui il difensore abbia scritto difese eccessivamente lunghe senza a ciò essere stato preventivamente autorizzato dal giudice». Ma «è compatibile che il percorso verso la verità, seppur processuale, passi per le strettoie di regole procedurali oggi divenute estremamente stringenti, quasi asfittiche?», ha sollevato il dubbio, Greco. Analizzando la Cassazione, come esempio, il presidente del CNF ha stigmatizzato «l’ eccessivo numero di ricorsi che vengono presentati , superiore a 30mila all’anno nel Civile e ancor di più nel Penale, numero che condiziona il funzionamento della Suprema Corte. Questa situazione ha raggiunto livelli d’intollerabilità. Tuttavia, essa non può giustificare un giudizio di legittimità rivolto più alla ricerca delle condizioni di ammissibilità che a costituire lo strumento di giustizia dinnanzi il giudice supremo di ultima istanza. Peraltro, in un contesto in cui il processo di Appello, connotato da preclusioni e divieti, è ormai disegnato come rivolto al mero controllo dell’operato del primo giudice, piuttosto che come ad un procedimento di merito di secondo grado». Da qui la domanda «il processo italiano risponde al precetto del giusto processo?». E anche di fronte ai problemi sollevati dai processi mediatici e dal ricorso all’intelligenza artificiale, per Greco la risposta è una sola «solo la forza intrinseca di una adeguata motivazione di ogni provvedimento può garantire il rispetto del giusto processo .  Per questo preoccupa, e non poco, la tendenza alla sinteticità della motivazione, che ha già trovato accesso nel processo civile all’articolo 436- bis c.p.c., a norma del quale il collegio dichiara improcedibile articolo 348 c.p.c. o inammissibile articolo 348- bis l’appello con motivazione sintetica, principio di sinteticità e che il cosiddetto correttivo alla riforma Cartabia approvato con il d.lgs. numero 164/2024 ha esteso a tutti i provvedimenti del procedimento civile articolo 121 cpc, articolo 46 disp. att. c.p.c. .  Nel processo penale, il riferimento alla sinteticità lo troviamo all’articolo 421 c.p.p., secondo cui il pubblico ministero motiva sinteticamente la richiesta di rinvio a giudizio dell’indagato. Principi di sinteticità che oggi la forza pratica dei sistemi di intelligenza artificiale , unita alla pressante richiesta del rispetto dei ritmi dettati dalla statistica per la riduzione dei tempi, potrebbero portare all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per sinteticamente motivare i provvedimenti giudiziari». Allarme, poi, secondo Greco, «suscita la endemica carenza di organico e di strutture degli uffici dei Giudici di Pace, ove viene amministrata la giustizia delle questioni di vita quotidiana dei cittadini». Senza dimenticare, poi, «il paradosso provocato dalle riforme del rito civile che, di fatto, hanno chiuso le porte dei Palazzi di Giustizia agli avvocati, e quindi ai cittadini, costruendo un processo senza il processo, un contraddittorio senza contraddittori. Le sezioni civili dei tribunali italiani sono vuote ed i cittadini hanno perso consapevolezza di come viene amministrata la giustizia. Il giudice è diventato una realtà invisibile, intangibile. L’abuso – perché di questo si tratta – del sistema della trattazione scritta nel processo civile, colpisce il contradditorio ed il diritto di difesa. Nel processo penale, pur comprendendo le disfunzioni che inevitabilmente insorgono nella fase di avvio della trasformazione da un processo cartaceo ad uno telematico, non si può non evidenziare la grande preoccupazione per un sistema che si è dovuto fare partire quando gli uffici, nel loro complesso, non erano pronti. Non si può porre a carico del difensore il rischio del mancato funzionamento del sistema del processo penale telematico. Non si gioca con la libertà delle persone».