Nessuna sanzione per il dipendente pubblico che assume la guida di una loggia massonica

La condotta omissiva ascritta al dipendente non integra gli estremi dell’illecito disciplinare che il codice di comportamento sanziona con la sospensione dal servizio.

Protagonisti dello scontro legale sono l'Agenzia delle Entrate e un suo dipendente. A quest'ultimo – titolare anche di mansioni rilevanti – viene contestato di non avere comunicato per tempo, come invece necessario, a l datore di lavoro di avere ricoperto una importante carica associativa , ossia di avere assunto, in due periodi temporali differenti, la carica di rappresentante legale di due distinte associazioni massoniche, riconducibili al Grande oriente d'Italia . Per l'ente pubblico l'omissione legittimava l'adozione, nei confronti del dipendente, della sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per trenta giorni. Per il lavoratore, però, il provvedimento è eccessivo e i giudici del Tribunale concordano, seppur solo in parte, definendo « sproporzionata» la sanzione , alla luce del contratto che «consente, per il caso di inosservanza di disposizioni di servizio consente, l'irrogazione, al massimo, di una multa di quattro ore di retribuzione». Così, i giudici del Tribunale ritengono congruo rideterminare l'originaria sanzione, comminata nel luglio del 2021, in una «multa di importo pari a tre ore di retribuzione». Per i giudici di primo grado, comunque, «l'aver assunto la carica associativa senza darne preventiva comunicazione all'Agenzia delle Entrate si pone in contrasto con la disposizione datoriale, impartita nel maggio del 2004, che, nell'elencare le attività espletabili dal dipendente previa semplice comunicazione quali l'incarico di commissario ad acta su disposizione del giudice amministrativo, l'ufficio di giudice popolare o di difensore civico, l'esercizio di attività sportive, artistiche e che costituiscono manifestazione di diritti di libertà del singolo, l'iscrizione ad un albo professionale , vi ricomprende anche le attività di altro genere, svolte gratuitamente, indipendentemente dalla loro natura, lavorativa o meno». In appello, l'Agenzia delle Entrate si duole della riduzione della sanzione inflitta e sostiene che «l 'omessa comunicazione , da parte del dipendente, dell'adesione alle due associazioni massoniche e dell'assunzione, in esse, di cariche apicali si pone in contrasto con non solo con la disposizione direttoriale richiamata dal Tribunale, ma, ancor prima, con il codice di comportamento  dei dipendenti pubblici, Codice che, con disposizione pedissequamente recepita dal codice di comportamento del personale dell'Agenzia delle Entrate, rende obbligatoria la tempestiva comunicazione dell'adesione o dell'appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interesse posso interferire con lo svolgimento dell'attività dell'ufficio». Sempre secondo l'Agenzia delle Entrate, quindi, « la condotta omissiva del dipendente non integra la violazione solo di una disposizione di servizio, quanto piuttosto dell'anzidetta previsione del codice disciplinare , sicché costituisce una violazione di doveri e obblighi di comportamento, violazione che, qualora produca un grave danno all'amministrazione, il contratto  sanziona con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione». Per l'Agenzia delle Entrate, poi, « il grave danno è in re ipsa , stante la natura delle associazioni massoniche di cui il dipendente ha assunto la carica di legale rappresentante, associazioni che si contraddistinguono per la previsione di stringenti obblighi di fedeltà alla compagine associativa e di reciproca assistenza fra gli associati, obblighi che sono di per sé stessi incompatibili con il dovere di fedeltà dei pubblici impiegati alla nazione, sancito dall' articolo 98 della Costituzione , e con gli obblighi di imparzialità che l' articolo 97 della Costituzione pone a carico degli stessi pubblici impiegati». E aggiunge  che «ad aggravare l'infrazione commessa dal dipendente concorrono» anche «il rango delle funzioni che egli assolve presso l'amministrazione pubblica e il ruolo apicale che, senza darne comunicazione, ha ricoperto nelle articolazioni dell'associazione massonica di appartenenza». Chiara la tesi dell'Agenzia delle Entrate la sospensione comminata al lavoratore «è da ritenersi proporzionata». Opposta, ovviamente, la posizione del lavoratore, il quale ritiene inaccettabile anche la sanzione minima decisa nei suoi confronti dal Tribunale. Ragionando in questa ottica, egli punta sulla «inesistenza di un obbligo di comunicazione, per il dipendente pubblico, delle attività extralavorative che non interferiscano con l'attività dell'amministrazione datrice di lavoro» e sostiene che «l'attività dell'associazione massonica a cui egli appartiene non è in conflitto o in interferenza con quella dell'Agenzia delle Entrate, né tantomeno lo è l'incarico associativo che egli ha ricoperto, poiché esso non si sostanzia in un'occupazione lavorativa, né in un servizio a favore di terzi, né in un compito di interesse pubblico e, pertanto, non è ascrivibile alle attività che, in base alla direttiva interna che gli si imputa di aver violato, devono essere comunicate al datore di lavoro». Dai giudici d'appello arriva una censura alla linea seguita dall'Agenzia delle Entrate. In sostanza, « la condotta omissiva ascritta al dipendente non integra gli estremi dell'illecito disciplinare che il codice di comportamento sanziona con la sospensione dal servizio ». Ciò perché «quel codice obbliga il dipendente ad informare l'amministrazione della sua adesione o della sua appartenenza ad associazioni i cui ambiti di interessi possono interferire con lo svolgimento dell'attività dell'ufficio ». Nell'ottica dell'Agenzia delle Entrate, ciò è ravvisabile, nella vicenda presa in esame «in ragione degli stringenti vincoli di fedeltà all'associazione e di reciproca assistenza tra gli associati che discendono dal giuramento massonico e che sono contemplati dal regolamento interno. E nell'esistenza di tali vincoli vi sono altresì gli estremi del grave danno all'amministrazione in presenza del quale la condotta omissiva ascritta al dipendente è sanzionabile, in base al codice di comportamento, con la sua sospensione dal servizio e dalla retribuzione». Tale ragionamento non convince affatto i giudici d'appello, poiché, spiegano, «non è suffragato da riferimenti a circostanze concrete o a specifici episodi capaci di rivelare come l'appartenenza del dipendente all'associazione massonica e l'assunzione della carica associativa apicale nelle sue articolazioni si pongano in rapporto di conflitto o di interferenza con lo svolgimento delle sue mansioni o con l'attività espletata dall'amministrazione a cui egli appartiene». In sostanza, la tesi dell'Agenzia delle Entrate si risolve, secondo i giudici d'Appello, «nell'apodittica affermazione dell'incompatibilità del giuramento di fedeltà massonica con l'esclusività del servizio alla Nazione dovuto dal dipendente pubblico» mentre «trascura, da un canto, il richiamo, da parte del lavoratore, alle disposizioni statutarie che invece impongono all' associazione massonica e dunque anche ai suoi iscritti la dovuta obbedienza e la scrupolosa osservanza alla carta costituzionale dello Stato democratico italiano e alle leggi che ad essa si ispirino , e dà per scontata, d'altro canto, l'indimostrata prevalenza del vincolo associativo sull'obbligo di fedeltà all'amministrazione datrice di lavoro, a dispetto di quanto prevede la costituzione dell'associazione massonica che obbliga gli iscritti ad essere buoni e leali cittadini, rispettosi della carta costituzionale e delle leggi». Peraltro, «il regolamento interno dell'associazione non prevede stringenti obblighi di fedeltà alla loggia che prevalgano sugli obblighi di rispetto delle leggi e della Costituzione, giacché si limita a stabilire, con formulazione ampia e generica, che “i liberi muratori sono reciprocamente tenuti all'insegnamento, alla fedeltà, alla lealtà, alla stima e alla fiducia”». Non condivisibile, aggiungono ancora i giudici d'appello, la tesi sostenuta dal Tribunale, tesi secondo cui «l'omessa comunicazione dell'adesione del dipendente alla massoneria e dell'assunzione di cariche associative apicali integrano condotte sanzionabili in quanto violano la disposizione datoriale che impone ai dipendenti di comunicare all'Agenzia delle Entrate lo svolgimento di ogni genere di attività». Su questo fronte i giudici d'appello fanno chiarezza «vero è che tale disposizione ha una portata applicativa tanto ampia da ricomprendervi anche le attività che non interferiscono con le mansioni del dipendente o con le funzioni dell'ufficio di appartenenza. Altrettanto vero è, però, che, proprio in quanto concepita in termini così estesi, la disposizione si apprezza nulla perché è generica, in quanto non delinea altrimenti i confini di un'indeterminata obbligazione di comunicazione che finisce per coinvolgere ogni ambito di interesse, di impegno, di partecipazione del lavoratore, indipendentemente dalla tipologia di attività e dell'ambito in cui essa si esplica». E poi «tale disposizione è in contrasto con lo Statuto dei lavoratori  che legittima l'acquisizione, da parte del datore di lavoro, di informazioni che attengono alla vita privata del lavoratore solo se siano strettamente legate alle specifiche mansioni dedotte in contratto e siano, pertanto, rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore ». Mentre nel 1996 la Corte Costituzionale ha escluso che fra le condotte valutabili della persona possano rilevare «le scelte di adesione ad associazioni lecitamente operanti nell'ordinamento e l'appartenenza alle quali non sia ritenuta normativamente incompatibile con la funzione specifica del lavoratore». Sicché «la riservatezza del lavoratore rispetto alle sue attività extralavorative recede solo quando esse risultino connesse con la dimensione oggettiva della prestazione lavorativa e, come tali, siano in grado di interferire con essa», e ciò «non è dimostrato» nella vicenda in esame.

Presidente Sirianni - Relatore Murgida Fatto 1. omissis che alle dipendenze dell'Agenzia delle entrate lavora dal omissis con mansioni di capo area contenzioso e, in precedenza, di capo ufficio legale, è stata comminata, in data 28.7.2021, la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro per trenta giorni. L'Agenzia gli ha addebitato di non averle comunicato di aver assunto la carica di rappresentante legale di due associazioni massoniche riconducibili al Grande oriente d'Italia la prima carica ricoperta sino all'8.2.2016, la seconda ricoperta dall'11.1.2019 e dismessa solo a seguito dell'addebito disciplinare. 2. Il tribunale di Cosenza, che il lavoratore ha adito con ricorso del 4.11.2021, ha accolto solo in parte l'impugnativa della sanzione comminatagli. Ha infatti ritenuto che l'aver assunto la carica associativa senza darne preventiva comunicazione all'Agenzia si ponga in contrasto con la disposizione datoriale, impartita con nota direttoriale numero 2004/74427 del 10.5.2004, che, nell'elencare le attività espletatibili dal dipendente “previa semplice comunicazione” quali l'incarico di commissario ad acta su disposizione del giudice amministrativo, l'ufficio di giudice popolare o di difensore civico, l'esercizio di attività sportive, artistiche e che costituiscono manifestazione di diritti di libertà del singolo, l'iscrizione ad un albo professionale , vi ricomprende al punto 4 lettera k , con disposizione di chiusura, anche le “attività di altro genere, svolte gratuitamente”, indipendentemente dalla loro natura, lavorativa o meno. Ha escluso la natura ritorsiva della sanzione, ma l'ha giudicata sproporzionata alla stregua della previsione collettiva articolo 62, comma 2, del CCNL di comparto che per il caso di inosservanza di disposizioni di servizio consente, al massimo, l'irrogazione di una multa di quattro ore di retribuzione. Ha quindi valutato congruo rideterminare la sanzione nella multa di importo pari a tre ore di retribuzione. 3. Entrambe le parti impugnano la sentenza. 4. Con appello principale, l'Agenzia delle entrate si duole della riduzione della sanzione inflitta perché sostiene a che l'omessa comunicazione, da parte del dipendente, dell'adesione alle due associazioni massoniche e dell'assunzione, in esse, di cariche apicali si pone in contrasto con non solo con la disposizione direttoriale richiamata dal tribunale, ma “ancor prima” con il codice di comportamento dei dipendenti pubblici approvato con dPR numero 62 del 2013 che all'articolo 5, comma 1 con disposizione pedissequamente recepita dal codice di comportamento del personale dell'Agenzia delle entrate rende obbligatoria la tempestiva comunicazione dell'adesione o dell'appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interesse posso interferire con lo svolgimento dell'attività dell'ufficio b che, pertanto, la condotta omissiva del dipendente non integra la violazione solo di una disposizione di servizio, quanto piuttosto dell'anzidetta previsione del codice disciplinare, sicché costituisce una violazione di doveri e obblighi di comportamento che, qualora produca un grave danno all'amministrazione, l'articolo 62, comma 8 lett. e, del CCNL di comparto sanziona con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione c che, nella specie, il grave danno è in re ipsa stante la natura delle associazioni massoniche di cui il dipendente ha assunto la carica di legale rappresentante, le quali si contraddistinguono per la previsione di stringenti obblighi di fedeltà alla compagine associativa e di reciproca assistenza fra gli associati, che sono di per sé stessi incompatibili con il dovere di fedeltà dei pubblici impiegati alla Nazione, sancito dall' articolo 98 della Costituzione , e con gli obblighi di imparzialità che l' articolo 97 della Costituzione pone a carico degli stessi pubblici impiegati d che ad aggravare l'infrazione commessa dal dipendente concorrono la reiterazione della stessa, il rango delle funzioni che egli assolve presso l'amministrazione appellante, il ruolo apicale che, senza darne comunicazione, ha ricoperto nelle articolazioni dell'associazione massonica di appartenenza, sicché la sospensione comminatagli è da ritenersi proporzionata anche alla luce dell'articolo 62, comma 10, del CCNL di comparto che, nel caso in cui l'infrazione disciplinare non sia tipizzata, consente comunque di sanzionarla in misura adeguata ai parametri dettatati dal comma 1 del medesimo articolo e che, in subordine, proprio in considerazione di quegli stessi parametri, la sanzione che il dipendente merita non può comunque essere inferiore alla sospensione dal servizio con privazione dalla retribuzione fino a un massimo di dieci giorni. 5. Il ricorrente, nel chiedere il rigetto dell'appello avversario perché infondato, ha proposto appello incidentale censurando la decisione del tribunale di ritenere legittima, seppur nella misura ridotta, la sanzione disciplinare che gli è stata irrogata. Più precisamente 1 con il primo motivo, argomenta sull'inesistenza di un obbligo di comunicazione, per il dipendente pubblico, delle attività extralavorative che non interferiscano con l'attività dell'amministrazione datrice di lavoro e sostiene che l'attività dell'associazione massonica a cui egli appartiene non è in conflitto o in interferenza con quella dell'Agenzia delle entrate, né tantomeno lo è l'incarico associativo che egli ha ricoperto, perché esso non si sostanzia in un'occupazione lavorativa, né in un servizio a favore di terzi, né in un compito di interesse pubblico e, pertanto, non è ascrivibile alle attività che, in base alla direttiva interna che gli si imputa di aver violato, devono essere comunicate al datore di lavoro 2 con il secondo motivo, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della natura discriminatoria del provvedimento disciplinare che denuncia adottato esclusivamente in base ad una pregiudiziale avversione nei confronti della massoneria. 6. Sentiti i difensori comparsi all'udienza di discussione, il Collegio ha deciso come da separato dispositivo. Diritto 7. L'appello principale è infondato perché la condotta omissiva ascritta al dipendente non integra gli estremi dell'illecito disciplinare che il codice di comportamento sanziona con la sospensione dal servizio. 7.1. Ed invero, l'articolo 5 di quel codice obbliga il dipendente ad informare l'amministrazione della sua adesione o della sua appartenenza ad associazioni “i cui ambiti di interessi possono interferire con lo svolgimento dell'attività dell'ufficio”. 7.2. L'Agenzia appellante sostiene che ciò nella specie è ravvisabile in ragione degli stringenti vincoli di fedeltà all'associazione e di reciproca assistenza tra gli associati che discendono dal giuramento massonico e che sono contemplati dal regolamento interno. E nell'esistenza di tali vincoli ravvisa altresì gli estremi del grave danno all'amministrazione in presenza del quale la condotta omissiva ascritta al dipendente è sanzionabile, in base al codice di comportamento, con la sua sospensione dal servizio e dalla retribuzione. 7.3. L'argomentazione non convince e va disattesa perché a non è suffragata da riferimenti a circostanze concrete o a specifici episodi capaci di rivelare come l'appartenenza del dipendente all'associazione massonica e l'assunzione della carica associativa apicale nelle sue articolazioni si pongano in rapporto di conflitto o di interferenza con lo svolgimento delle sue mansioni o con l'attività espletata dall'amministrazione a cui egli appartiene b si risolve, dunque, nell'apodittica affermazione dell'incompatibilità del giuramento di fedeltà massonica con l'esclusività del servizio alla Nazione dovuto dal dipendente pubblico che però, da un canto, trascura il ribadito richiamo, da parte del ricorrente appellato, alle disposizioni statutarie che invece impongono all'associazione massonica e dunque anche ai suoi iscritti “la dovuta obbedienza e la scrupolosa osservanza alla Carta Costituzionale dello stato democratico italiano e alle leggi che ad essa si ispirino”, e d'altro canto dà per scontata l'indimostrata prevalenza del vincolo associativo sull'obbligo di fedeltà all'amministrazione datrice di lavoro, a dispetto di quanto prevede l' articolo 9 della costituzione dell'associazione massonica che obbliga gli iscritti ad essere “buoni e leali cittadini, rispettosi della Carta Costituzionale … e delle leggi …” c è sprovvista, del resto, di riscontri già sul piano letterale, da momento che l'articolo 7 del regolamento interno dell'associazione, richiamato dall'Agenzia appellante, non prevede stringenti obblighi di fedeltà alla loggia che prevalgano sugli obblighi di rispetto delle leggi e della Costituzione, giacché si limita a stabilire, con formulazione ampia e generica, che “i liberi muratori sono reciprocamente tenuti all'insegnamento, alla fedeltà, alla lealtà, alla stima e alla fiducia”. 8. I restanti rilievi dell'appellante principale restano assorbiti dall'accoglimento del primo motivo dell'appello incidentale proposto dal lavoratore. 8.1. Ed infatti, non merita seguito la statuizione del tribunale secondo cui l'omessa comunicazione dell'adesione del dipendente alla massoneria e dell'assunzione di cariche associative apicali integrino condotte sanzionabili in quanto violano la disposizione datoriale che impone ai dipendenti di comunicare all'Agenzia lo svolgimento di ogni genere di attività. 8.2. Vero è, come il tribunale ha constatato, che tale disposizione ha una portata applicativa tanto ampia da ricomprendervi anche le attività che non interferiscono con le mansioni del dipendente o con le funzioni dell'ufficio di appartenenza. Altrettanto vero è però che, proprio in quanto concepita in termini così estesi, la disposizione si apprezza nulla a perché è generica, in quanto non delinea altrimenti i confini di un'indeterminata obbligazione di comunicazione 1 che finisce per coinvolgere ogni ambito di interesse, di impegno, di partecipazione del lavoratore, indipendentemente dalla tipologia di attività e dell'ambito in cui essa si esplica b perché in è contrasto con l' articolo 8 della L. numero 300 del 1970 che legittima l'acquisizione, da parte del datore di lavoro, di informazioni che attengono alla vita privata del lavoratore solo se siano strettamente legate alle specifiche mansioni dedotte in contratto e siano, pertanto, “rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore”. Ma la Corte Costituzionale sent. numero 311 del 1996 ha escluso che fra le condotte valutabili della persona possano rilevare le scelte di adesione ad associazioni lecitamente operanti nell'ordinamento e l'appartenenza alle quali non sia ritenuta normativamente incompatibile con la funzione specifica del lavoratore. Sicché la riservatezza del lavoratore rispetto alle sue attività extralavorative recede solo quando le stesse risultino connesse con la dimensione oggettiva della prestazione lavorativa e, come tali, siano in grado di interferire con essa. E ciò – come si è già detto – nella specie non è dimostrato. 8.3. L'accoglimento del primo motivo dell'appello incidentale assorbe il secondo, giacché la denuncia di discriminatorietà che con esso è riproposta non è funzionale ad una tutela diversa e maggiore di quella che consegue all'accertata insussistenza dell'obbligo di comunicazione la cui violazione forma oggetto della sanzione disciplinare impugnata. 9. Ne consegue la caducazione della medesima sanzione, che dovrà altresì essere espunta dal fascicolo personale del ricorrente, in base all' articolo 25 del DPR numero 686 del 1957 2 . 10. Le spese del doppio grado si pongono a carico dell'amministrazione appellante e si liquidano come da dispositivo, avendo riguardo al valore indeterminato della controversia e ai parametri del DM Giustizia numero 55/2014, considerando che la controversia concernente la legittimità di una sanzione disciplinare è di valore indeterminabile 3 , giacché l'applicazione della sanzione esplica un'incidenza sullo status del dipendente in quanto implica un giudizio negativo che va oltre il valore strettamente economico della sanzione stessa ed involge la correttezza, la diligenza e la capacità professionale del dipendente medesimo 4 . 11. Non ricorrono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato a carico dell'amministrazione appellante perché essa quel contributo non lo paga cfr. Cass. 9021/2024 . P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da AGENZIA DELLE ENTRATE, con ricorso depositato il 16.11.2022, e sull'appello incidentale proposto da omissis con memoria depositata il 3.4.2024, avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza, giudice del lavoro, numero 1219/22, pubblicata in data 12.7.2022, così provvede 1. Accoglie l'appello incidentale, rigetta l'appello principale e, in riforma della gravata sentenza, annulla la sanzione disciplinare irrogata a omissis 2. Condanna l'Agenzia delle Entrate a rifondere a quest'ultimo le spese di lite che liquida in 3.000 euro per il primo grado e in 3.500 euro per il secondo, oltre accessori e rimborsi di legge.