Rimedi risarcitori nei confronti di soggetti detenuti: chiarimenti sul principio di discontinuità esecutiva

In materia di rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'articolo 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, è stato ribadito che è possibile presentare una richiesta di risarcimento, anche per eventi verificatisi in detenzioni precedenti ma connesse in maniera giuridica, anche se non cronologica, con la detenzione attuale. La continuità detentiva è considerata unitaria ai fini dell'esecuzione della pena.

Il caso in esame trae origine da una ordinanza del giudice di sorveglianza di Cosenza che aveva dichiarato l' inammissibilità di un reclamo presentato dal ricorrente, inteso ad ottenere, a titolo risarcitorio, la riduzione di pena detentiva prevista dall'articolo 35- ter , comma 1, l. numero 354/1975, in relazione alla restrizione patita a tutto il 27 febbraio 2019, data in cui il ricorrente ha riacquistato la libertà, stato che ha mantenuto sino all'applicazione, avvenuta il 5 novembre 2020, di altro titolo, costituito da provvedimento di esecuzione di pene concorrenti. Rigettato il reclamo, quanto alla detenzione subita dal 5 novembre 2020 al 29 gennaio 2023, giorno di presentazione dell'istanza risarcitoria, presso le carceri di Napoli Secondigliano e Rossano, in assenza di violazione dell'articolo 3 CEDU . Il provvedimento è stato impugnato innanzi al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro, che l'ha accolto con esclusivo riferimento al periodo di detenzione decorso tra il 4 ottobre 2022 e l'11 marzo 2023, disponendo la riduzione della pena ancora da espiare nella misura di quindici giorni e liquidando, ulteriormente, la somma di sessantaquattro euro. A tal fine, il Tribunale di sorveglianza aveva per un verso, osservato che la domanda del ricorrente doveva intendersi tardiva , nella parte riferita alla detenzione patita sino al 27 febbraio 2019, da reputarsi autonoma rispetto a quella iniziata il 5 novembre 2020 ed ininterrottamente protrattasi sino alla proposizione dell'originario reclamo. Avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro, il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi . In particolare col primo motivo, reputava del tutto improprio il riferimento, già operato dal magistrato di sorveglianza, al terzo comma dell'articolo 35- ter , nella parte in cui prevede che l'istanza, sia presentata, a pena di inammissibilità , entro il termine di sei mesi dalla cessazione della custodia cautelare in carcere, norma che, a suo modo di vedere, attiene alle sole ipotesi in cui - contrariamente a quanto accaduto nel caso in esame - la medesima custodia cautelare non sia computabile nella determinazione della pena da espiare. Assumeva che, comunque, egli avrebbe avuto diritto, perlomeno, allo «sconto di pena ex articolo 35 ter ord. penumero per il periodo di custodia in carcere patita pregressa all'esecuzione riferita alla condanna indicata al numero 1 del cumulo in esecuzione». L'annotata sentenza è di particolare interesse in quanto, involge il tema dei rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'articolo 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati , e più in particolare il problema, della tempestività della domanda presentata nella specie dal ricorrente, in relazione ai periodi di detenzione patiti dal condannato sino al 27 febbraio 2019. Nel quadro delle preoccupazioni da ultimo espresse si colloca difatti, la difficile delimitazione dell'ambito operativo del rimedio risarcitorio previsto dall'articolo 35- ter . E dunque, la rilevanza delle questioni dibattute è di non trascurabile momento, per i riflessi dell'esatta delimitazione dell'estensione dei nuovi rimedi sull'effettività degli stessi, nell'ottica dei parametri fissati dalla Corte di Strasburgo. Ora, il raffronto fra le alternative ricostruzioni esegetiche , rivela un significativo divario, a seconda dell'opzione ermeneutica seguita, nella perimetrazione dell'ambito operativo della normativa, il cui raggio di azione presenta una sensibile diversità di estensione in relazione alle ipotesi di accesso al rimedio in forma specifica che si discute se debbano o meno comprendere anche i casi di pregiudizio «non grave ed attuale» lamentato dal richiedente ancora in stato di detenzione .  Invero, la fonte normativa del  d.l. numero 92/2014,  convertito, con modificazioni, dalla l. numero 117/2014 , all'articolo 2, al comma 1, e l' articolo 35 ter,  comma 3 ord. penumero paiono fissare in modo chiaro il principio secondo cui per i periodi di detenzione cessati per il completamento dell'espiazione della pena detentiva o per la fine della custodia cautelare inframuraria la persona che abbia subìto il pregiudizio deve proporre la relativa azione entro il termine decadenziale di sei mesi che decorre dalla cessazione della condizione di restrizione per i casi in cui la sua conclusione sia avvenuta nella vigenza della fonte normativa suindicata, ovvero dall'entrata in vigore della fonte stessa — vale a dire del 28 giugno 2014 — per i casi in cui la conclusione della restrizione sia avvenuta in tempo antecedente.  Da aggiungere, precisandosi per ciò che concerne la portata della disciplina richiamata, che presupposto necessario per radicare la competenza del magistrato di sorveglianza è il perdurante stato di restrizione del richiedente , e non l'attualità del pregiudizio . In giurisprudenza nella stessa direzione si è precisato che sussiste la competenza del magistrato di sorveglianza - e non del giudice civile – a provvedere sull'istanza prevista dall'articolo 35- ter cit., presentata dal detenuto per il quale, nelle more del procedimento di reclamo per la detrazione della pena, a seguito alla proposizione di ricorso per cassazione, sia cessata l'esecuzione, dovendo ritenersi l'istanza risarcitoria implicitamente compresa in quella specifica di riduzione della pena e riferita ai medesimi periodi pregressi di carcerazione Sent. Burgio . Ora, nel caso in esame, è risultato pacifico che il ricorrente, dopo avere terminato, il 27 febbraio 2019, la precedente carcerazione, è rimasto in libertà fino al 5 novembre 2020, giorno in cui ha fatto ingresso in carcere in forza del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dalla Procura generale presso la Corte di appello di Napoli del 17 dicembre 2020, poi parzialmente integrato e corretto con successivo provvedimento del 10 novembre 2022. II Tribunale di sorveglianza era pervenuto, sul punto, a conclusione negativa sul postulato che i predetti periodi di restrizione non sono in continuità temporale con la detenzione in atto al momento di proposizione dell'istanza , onde, dovendosi avere riguardo alla data di cessazione della precedente detenzione, individuata nel 27 febbraio 2019, l'istanza presentata il 29 gennaio 2023 non poteva che essere ritenuta inammissibile perchè proposta ben oltre il termine semestrale di decadenza. E tanto sul principio che la possibilità di ottenere dal magistrato di sorveglianza il rimedio compensativo della riduzione della pena viene meno nel momento in cui l'espiazione del nuovo titolo, pur nell'ambito di un cumulo di pene unificate, non avvenga in continuità con il precedente, sussistendo cesura temporale tra la precedente esecuzione - in cui si assume essersi verificata la violazione - e quella in corso al momento della domanda. Al cospetto di detta ipotesi, invero, è consentito, piuttosto, azionare il rimedio avente ad oggetto il solo ristoro monetario, entro il termine decadenziale di sei mesi. Entrando maggiormente nel dettaglio della pronuncia ora in esame, secondo la Corte non è possibile ammettere, in mancanza di una specifica disposizione di segno opposto, che il successivo inizio di un nuovo periodo di detenzione, del tutto autonomo rispetto al primo, comporti la restituzione dell'interessato nella possibilità giuridica di richiedere la prima forma di ristoro per la precorsa carcerazione . La cesura fra i periodi di detenzione, osservano i Giudici, deve ritenersi ostativa della possibilità di ottenere una decurtazione da imputare alla nuova pena oggetto di espiazione e da correlare al pregiudizio patito durante la precedente espiazione, allorquando sussista il presupposto della discontinuità fra le fasi esecutive. Tuttavia nell'occasione la Cassazione ha osservato – che in un'ottica generale, focalizzata sulla peculiarità della fattispecie in esame - che il suddetto principio di discontinuità esecutiva soffre eccezione quando la nuova condizione detentiva risulti legata a quella precedentemente sofferta, così da costituire, nella prospettiva dell'accesso ai rimedi risarcitori, un unicum e il legame è da individuarsi, non soltanto quando se ne riscontri la sussistenza in termini cronologici, ma anche quando essa si determini per motivi giuridici. In questa prospettiva, la Suprema Corte ha osservato come la domanda risarcitoria ben può estendersi a periodi detentivi antecedenti quelle volte in cui - è soltanto quelle volte in cui - la detenzione sia stata perdurante o comunque sia unificata in un complessivo decreto di cumulo mentre, al contrario, qualora non sussistano i presupposti per considerare dimostrata la continuità esecutiva della detenzione pregressa con l'attuale restrizione, opera ineludibilmente il termine decadenziale stabilito dalla legge. Per questa via, la Cassazione ha ritenuto che la continuità esecutiva sussista soltanto quando , pur se si sia verificata la temporanea liberazione del ristretto, sia operante un titolo esecutivo che comporti l'unificazione giuridica della detenzione pregressa e di quella in corso . Nel caso di specie, le considerazioni svolte dal Tribunale di sorveglianza sono state messe in crisi dalle argomentazioni sviluppate dal ricorrente. Ed infatti secondo la Suprema Corte la decisione impugnata - imperniata, sul solo rilievo della cesura cronologica tra la detenzione pregressa e quella in atto - non ha tenuto conto della prospettazione difensiva, secondo cui il ricorrente, tra il 19 aprile 2014 ed il 27 febbraio 2019, sarebbe stato ristretto, a titolo cautelare, in virtù di ordinanza emessa nel corso del procedimento suggellato dalla condanna inserita nel più recente provvedimento di esecuzione di pene concorrenti e, alla data di presentazione dell'istanza finalizzata al conseguimento dei rimedi risarcitori, non ancora completamente espiata. L'ordinanza del Tribunale di sorveglianza al vaglio della Cassazione, si è così palesata, per questa ragione ed alla luce delle superiori considerazioni, illegittima. La Cassazione ha, pertanto, imposto l' annullamento , limitatamente a tale profilo ed al torno di tempo indicato, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro per un nuovo giudizio . Il Tribunale di sorveglianza -  ha sottolineato la Cassazione - dovrà verificare la continuità, da apprezzarsi ai sensi dell' articolo 657, comma 1, c.p.p. e solo in caso di esito positivo del predetto accertamento della sussistenza, in relazione a tale periodo, dei presupposti per il riconoscimento dei rimedi compensativi.

Presidente Casa - Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 12 aprile 2023 il Magistrato di sorveglianza di Cosenza ha - dichiarato l'inammissibilità del reclamo presentato da P.D., inteso ad ottenere, a titolo risarcitorio, la riduzione di pena detentiva prevista dall' articolo 35-ter, comma 1, legge 26 luglio 1975, numero 354 , in relazione alla restrizione patita a tutto il 27 febbraio 2019, data in cui P.D. ha riacquistato la libertà, stato che ha mantenuto sino all'applicazione, avvenuta il 5 novembre 2020, di altro titolo, costituito da provvedimento di esecuzione di pene concorrenti - rigettato il reclamo, quanto alla detenzione subita dal 5 novembre 2020 al 29 gennaio 2023, giorno di presentazione dell'istanza risarcitoria, presso le carceri di Napoli Secondigliano e Rossano, in assenza di violazione dell'articolo 3 CEDU . 2. P.D. ha impugnato il menzionato provvedimento innanzi al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro, che lo ha accolto con esclusivo riferimento al periodo di detenzione decorso tra il 4 ottobre 2022 e l'11 marzo 2023, disponendo la riduzione della pena ancora da espiare nella misura di quindici giorni e liquidando, ulteriormente, la somma di sessantaquattro euro. A tal fine, il Tribunale di sorveglianza ha, per un verso, osservato che la domanda di P.D. deve intendersi tardiva, nella parte riferita alla detenzione patita sino al 27 febbraio 2019, da reputarsi autonoma rispetto a quella iniziata il 5 novembre 2020 ed ininterrottamente protrattasi sino alla proposizione dell'originario reclamo. Al riguardo, ha affermato che «per i periodi di carcerazione che non siano in continuazione con quella in atto al momento di proposizione della domanda», il Magistrato di sorveglianza, competente in virtù della contingente condizione detentiva dell'istante, è tenuto a «valutare se è maturato, rispetto alla precedente carcerazione, il termine di decadenza di sei mesi» che, nel caso in esame, risulta ampiamente superato. Il Tribunale di sorveglianza ha, per altro verso, ritenuto, quanto al periodo di restrizione iniziato il 5 novembre 2020, che P.D. è stato sottoposto a trattamento inumano e degradante esclusivamente nel lasso intercorso tra il 4 ottobre 2022 e l'11 marzo 2023, durante il quale egli è stato allocato in camere nelle quali ha fruito di uno spazio individuale inferiore a tre mq. senza che a ciò abbia fatto da contraltare la sussistenza di adeguati fattori compensativi, costituiti, stando al corrente indirizzo ermeneutico dalla breve durata della detenzione dalle dignitose condizioni carcerarie dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella dallo svolgimento di adeguate attività. Ha, invece, stimato che, nel tempo residuo, P.D. è stato ristretto in condizioni conformi all'articolo 3 CEDU , giacché tanto a Rossano quanto a Napoli Secondigliano egli ha fruito di uno spazio individuale superiore a tre mq. ed è stato assoggettato ad un regime restrittivo connotato da idonee condizioni strutturali e logistiche sotto il profilo sia igienico-sanitario che trattamentale. 3. P.D. propone, con il ministero dell'avv. S.F., sostituto processuale dell'avv. C.D.L., ricorso per cassazione affidato a due motivi, con entrambi i quali eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione. 3.1. Con il primo motivo, segnala che, tra il 28 febbraio 2010 ed il 27 febbraio 2019, egli è stato sottoposto a misura cautelare detentiva specifica, in particolare, di essere stato, tra il 19 aprile 2014 ed il 27 febbraio 2019, ristretto, a titolo cautelare, per effetto di provvedimento emesso nell'ambito del procedimento che si è concluso con la condanna irrevocabile alla pena inserita, al punto 1 , nel provvedimento di esecuzione di pene concorrenti in forza del quale egli è ristretto a far data dal 5 novembre 2020. Reputa, pertanto, del tutto improprio il riferimento, già operato dal Magistrato di sorveglianza, al terzo comma dell'articolo 35-ter, nella parte in cui prevede che l'istanza sia presentata, a pena di inammissibilità, entro il termine di sei mesi dalla cessazione della custodia cautelare in carcere, norma che, a suo modo di vedere, attiene alle sole ipotesi in cui — contrariamente a quanto accaduto nel caso in esame — la medesima custodia cautelare non sia computabile nella determinazione della pena da espiare. Sostiene, quindi, che il principio di unicità della pena — connesso all'inserimento nel cumulo di sanzioni irrogate con distinti provvedimenti di condanna — avrebbe imposto il riconoscimento della tempestività della domanda rivolta al Magistrato di sorveglianza, da ritenersi «estesa ai presofferti indicati afferenti ai titoli concorrenti in esecuzione da considerarsi nella loro unicità, essendo computabili nella determinazione della pena residua in fase di esecuzione al momento della domanda». Assume che, comunque, egli avrebbe avuto diritto, perlomeno, allo «sconto di pena ex articolo 35 ter o.p. per il periodo di custodia in carcere patita pregressa all'esecuzione riferita alla condanna indicata al numero 1 del cumulo in esecuzione». 3.2. Con il secondo motivo, P.D. osserva, preliminarmente, che la ritenuta inammissibilità dell'istanza risarcitoria con riferimento ai periodi detentivi anteriori al 5 novembre 2020 ha indotto i giudici di sorveglianza ad omettere, in ordine a tali lassi temporali, il vaglio della sua fondatezza, adempimento che, in caso di accoglimento del primo motivo, sarebbe, invece, imprescindibile. In ordine, poi, alla restrizione patita nelle carceri di Rossano e Napoli Secondigliano, ricorda di avere sostenuto, già con il reclamo, che le condizioni detentive si sono rivelate inumane e degradanti, a prescindere dallo spazio disponibile, in ragione, tra l'altro del sovraffollamento delle celle della collocazione di materassi non a norma del caldo torrido in estate dell'intermittenza del riscaldamento invernale, discrezionalmente attivato dall'autorità penitenziaria della saltuaria assenza di acqua calda in cella della limitazione a tre volte alla settimana della possibilità di fare la doccia nei locali comuni dell'assenza di privacy nei servizi igienici dell'interruzione, specie in concomitanza con l'emergenza pandemica, delle attività ricreative e formative e dei colloqui con i familiari della carente offerta formativa dell'inadeguatezza dell'assistenza sanitaria dei problemi di sicurezza dovuti all'insufficienza dell'organico della polizia penitenziaria. Ascrive, ulteriormente, all'amministrazione di non avere fornito congrua ed esaustiva risposta alle richieste di informazioni formulate anche a seguito delle allarmanti segnalazioni provenienti dal garante regionale dei detenuti e da un'associazione di settore. Rileva, conclusivamente, che la richiesta risarcitoria è stata, per la massima parte, disattesa valorizzando, in vista del superamento della presunzione di violazione dell'articolo 3 CEDU , fattori compensativi richiamati in termini meramente astratti e, alla prova dei fatti, rivelatisi insussistenti. 4. Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, limitatamente all'ammissibilità della richiesta in relazione al periodo già espiato in forza di diverso titolo. Considerato in diritto 1. Preliminarmente, è opportuno ricordare — a fronte di doglianze articolate in chiave anche di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato — che, in materia di rimedi restitutori, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto per violazione di legge a norma dell'articolo 35-bis, comma 4-bis aggiunto dall'articolo 3, comma 1, lett. b , d.l. 23 dicembre 2013, numero 146 , convertito, con modificazioni, dalla l. 21 febbraio 2014, numero 10 , richiamato dall' articolo 35-ter legge 26 luglio 1975, numero 354 . 2. Il primo motivo di ricorso è fondato. 3. L' articolo 35-ter legge 26 luglio 1975, numero 354 , riconosce il rimedio risarcitorio conseguente alla violazione dell'articolo 3 CEDU nelle ipotesi previste dall'articolo 69, comma 6, lett. b , del medesimo testo normativo, ovvero quando il detenuto subisca un attuale grave pregiudizio all'esercizio dei suoi diritti in ragione della «inosservanza da parte dell'amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento». Se l'accertato pregiudizio si protrae per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, il magistrato di sorveglianza dispone, in accoglimento di apposita istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, una riduzione, a titolo di risarcimento del danno, della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio. Qualora il periodo di pena ancora da espiare sia tale da non consentire la detrazione dell'intera misura percentuale testé indicata, il magistrato di sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo ed a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio nello stesso senso provvede nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all'articolo 3 CEDU sia stato inferiore ai quindici giorni. Il comma 3 dell'articolo 35-ter prevede, ancora, che coloro che hanno subito il pregiudizio risarcibile in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere possono rivolgersi al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio hanno la residenza, entro il termine, stabilito a pena di decadenza, di sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere al fine di ottenere il ristoro in forma esclusivamente monetaria. A tale ultima previsione fa pendant la disposizione transitoria contenuta nell' articolo 2, comma 2, del d.l. 26 giugno 2014, numero 92 , convertito nella legge 11 agosto 2014, numero 117 , secondo cui il termine semestrale di decadenza, per coloro che hanno cessato di espiare la pena detentiva o non si trovano più in stato di custodia cautelare in carcere, decorre dal 28 giugno 2014, data di entrata in vigore della norma. La competenza a decidere tale istanza spetta, nel caso di soggetto libero, al giudice civile, mentre la domanda risarcitoria — sia essa volta ad ottenere un risarcimento in forma specifica ovvero un ristoro di carattere monetario — inoltrata da soggetto detenuto o internato è delibata dal magistrato di sorveglianza, indipendentemente dal fatto che essa si riferisca a periodi di carcerazione inclusi o meno nel titolo in espiazione oppure ad esso uniti da continuità temporale. In questo senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità, che ha ribadito come il radicamento della competenza in capo al magistrato di sorveglianza discenda dalla condizione di attuale detenzione, sia pure per altro titolo, dell'istante Sez. 1, numero 31042 del 02/10/2020, Di Trapani, Rv. 279798 - 01 Sez. 1, numero 40909 del 24/03/2017, Harnifi, Rv. 271363 - 01 . 4. Nel caso in esame — pacifico che P.D., dopo avere terminato, il 27 febbraio 2019, la precedente carcerazione, è rimasto in libertà fino al 5 novembre 2020, giorno in cui ha fatto ingresso in carcere in forza del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dalla Procura generale presso la Corte di appello di Napoli del 17 dicembre 2020, poi parzialmente integrato e corretto con successivo provvedimento del 10 novembre 2022 — il tema controverso attiene, in primis, alla tempestività della domanda presentata in relazione ai periodi di detenzione patiti dal condannato sino al 27 febbraio 2019. Il Tribunale di sorveglianza è pervenuto, sul punto, a conclusione negativa sul postulato che i predetti periodi di restrizione non sono in continuità temporale con la detenzione in atto al momento di proposizione dell'istanza, onde, dovendosi avere riguardo alla data di cessazione della precedente detenzione, individuata nel 27 febbraio 2019, l'istanza presentata il 29 gennaio 2023 non può che essere ritenuta inammissibile perché proposta ben oltre il termine semestrale di decadenza. Tanto ha fatto in ossequio al principio secondo il quale, se è vero che, per effetto del cumulo giuridico, la pena indicata nel relativo provvedimento costituisce un unicum, non è men vero che la possibilità di ottenere dal magistrato di sorveglianza il rimedio compensativo della riduzione della pena viene meno nel momento in cui l'espiazione del nuovo titolo, pur nell'ambito di un cumulo di pene unificate, non avvenga in continuità con il precedente, sussistendo cesura temporale tra la precedente esecuzione — in cui si assume essersi verificata la violazione — e quella in corso al momento della domanda al cospetto di detta ipotesi, invero, è consentito, piuttosto, azionare il rimedio avente ad oggetto il solo ristoro monetario, entro il termine decadenziale di sei mesi. In argomento, la giurisprudenza di legittimità, chiamata a circoscrivere l'ambito di applicazione del principio di discontinuità tra le fasi esecutive, lo ha ritenuto preclusivo alla riparazione dei pregiudizi subiti durante l'espiazione di un titolo pregresso e diverso da quello in corso Sez. 1, numero 54862 del 17/01/2018, Moliuso, Rv. 274971 - 01 , qualora la precedente esecuzione pregressa risulti del tutto slegata da quella in atto. Analoga traiettoria ermeneutica deve essere seguita con riferimento alle detenzioni antecedenti al 28 giugno 2014, con la precisazione che il detenuto, il quale richieda il rimedio risarcitorio di cui all' articolo 35-ter della legge 26 luglio 1975, numero 354 , per la restrizione degradante subita per un titolo diverso e stia espiando il nuovo titolo senza soluzione di continuità con quello precedente, nel contesto di un cumulo di pene unificate, può adire il magistrato di sorveglianza per ottenere il rimedio compensativo della riduzione della pena stessa, laddove, viceversa, nel caso in cui l'espiazione del nuovo titolo non avvenga in continuità con quello precedente e sussista, dunque, cesura temporale tra la precedente esecuzione — nella quale si assume essersi verificata la violazione — e quella in corso al momento della domanda, sarà possibile azionare il rimedio avente ad oggetto il solo ristoro monetario, entro il termine decadenziale di sei mesi dal 28 giugno 2014. Siffatta regolamentazione risponde all'esigenza di evitare che l'interessato ottenga una riduzione di pena imputabile al trattamento degradante vissuto nel corso di una precedente esecuzione, ormai esaurita e non unificata a quella attuale, in assenza, dunque, della correlazione che deve necessariamente esistere tra esecuzione e titolo di riferimento essa intende, al contempo, prevenire il rischio di perniciose interferenze con la disciplina della fungibilità, che non ammette crediti di pena spendibili in relazione a condotte di rilevanza penale non ancora poste in essere Sez. 1, numero 54862 del 17/01/2018, Molluso, Rv. 274971 - 01 Sez. 1, numero 16915 del 21/12/2017, dep. 2018, Gerbino, Rv. 272830, che si occupa, pure, del caso di successivo inizio di un nuovo periodo di detenzione del tutto slegato dal primo . Le precedenti considerazioni inducono a stimare, conclusivamente, che quando sia avvenuta l'espiazione della pena, con essa si determina, stante l'univoco tenore letterale della norma, la possibilità di chiedere il solo ristoro nella forma monetaria. Di conseguenza, non è possibile ammettere, in mancanza di una specifica disposizione di segno opposto, che il successivo inizio di un nuovo periodo di detenzione, del tutto autonomo rispetto al primo, comporti la restituzione dell'interessato nella possibilità giuridica di richiedere la prima forma di ristoro per la precorsa carcerazione la cesura fra i periodi di detenzione deve ritenersi ostativa alla della possibilità di ottenere una decurtazione da imputare alla nuova pena oggetto di espiazione e da correlare al pregiudizio patito durante la precedente espiazione, allorquando sussista il presupposto della discontinuità fra le fasi esecutive. 5. Ciò posto, va nondimeno osservato — in un'ottica generale e, tuttavia, focalizzata sulla peculiarità della fattispecie in esame — che il suddetto principio di discontinuità esecutiva soffre eccezione quando la nuova condizione detentiva risulti legata a quella precedentemente sofferta, così da costituire, nella prospettiva dell'accesso ai rimedi risarcitori, un unicum e il legame è da individuarsi, non soltanto quando se ne riscontri la sussistenza in termini cronologici, ma anche quando essa si determini per motivi giuridici in questo senso, cfr. in specie, Sez. 1, numero 23545 del 21/02/2024, Agresta, numero m. , tra i quali va annoverato l'inserimento nel cumulo di pene definitive che il condannato ha, in parte, già espiato a titolo cautelare. L'interpretazione della disciplina in esame, specificandone la portata, ha, infatti, condotto al condiviso approdo secondo cui non sussiste alcuna ragione per ritenere non valutabile, da parte della magistratura di sorveglianza, una domanda avente ad oggetto il ristoro, ai sensi dell'articolo 35-fer, di pregiudizi lamentati come patiti in occasione di una detenzione distinta ed anteriore rispetto a quella in essere all'atto della proposizione della domanda che, però, sia in rapporto di continuità detentiva, sotto il profilo giuridico, ancorché non anche sotto quello cronologico, con la restrizione in corso, sicché l'esecuzione della corrispondente pena possa ritenersi complessivamente unitaria. In questo senso, si ritiene che la domanda risarcitoria ben possa estendersi a periodi detentivi antecedenti quelle volte in cui — e soltanto quelle volte in cui — la detenzione sia stata perdurante o comunque sia unificata in un complessivo decreto di cumulo mentre, al contrario, qualora non sussistano i presupposti per considerare dimostrata la continuità esecutiva della detenzione pregressa con l'attuale restrizione, opera ineludibilmente il termine decadenziale stabilito dalla legge. 6. In questa chiave, deve ritenersi che la continuità esecutiva sussista soltanto quando, pur se si sia verificata la temporanea liberazione del ristretto, sia operante un titolo esecutivo che comporti l'unificazione giuridica della detenzione pregressa e di quella in corso. Tale è la situazione che si riscontra nel caso in cui il cumulo attenga, in via esclusiva o concorrente, all'esecuzione della porzione residua di pene che siano state in parte già espiata a titolo cautelare, regolato dall' articolo 657, comma 1, cod. proc. penumero , secondo cui «Il pubblico ministero, nel determinare la pena detentiva da eseguire, computa il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per altro reato, anche se la custodia è ancora in corso». È in questa precisa accezione che, allora, si deve intendere la verifica dell'unicità del cumulo come situazione determinativa dell'unificazione dell'esecuzione della pena detentiva pregressa e di quella in corso dalla parzialità dell'espiazione della pena detentiva riferita al periodo antecedente deriva la conseguenza che non si possa ritenere verificato il completamento dell'espiazione di essa, completamento che integra l'evento costitutivo del dies a quo per il decorso del ricordato termine di decadenza. Al cospetto di dette condizioni, alla discontinuità cronologica si sovrappone quindi — prevalendo su di essa ai presenti fini — la continuità giuridica dell'esecuzione. Essa si colloca in un contesto diverso da quello tratteggiato all'articolo 35, comma 3, che afferisce alla distinta ipotesi in cui il periodo trascorso in stato di custodia cautelare in carcere non sia computabile nella determinazione della pena da espiare, e che non espone al rischio di creare inammissibili e, almeno potenzialmente, criminogeni crediti di pena. A quest'ultimo proposito, va rimarcato che, in ipotesi consimili, si discute, per necessità di cose, di custodia cautelare subita dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire e si versa, dunque, al di fuori del perimetro applicativo della disposizione contenuta all' articolo 657, comma 4, cod. proc. penumero . 7. La decisione impugnata — imperniata, come detto, sul solo rilievo della cesura cronologica tra la detenzione pregressa e quella in atto — non ha tenuto conto della prospettazione difensiva, ribadita con il primo motivo del ricorso per cassazione, secondo cui P.D., tra il 19 aprile 2014 ed il 27 febbraio 2019, sarebbe stato ristretto, a titolo cautelare, in virtù di ordinanza emessa nel corso del procedimento suggellato dalla condanna inserita nel più recente provvedimento di esecuzione di pene concorrenti e, alla data di presentazione dell'istanza finalizzata al conseguimento dei rimedi risarcitori, non ancora — a suo dire — completamente espiata. L'ordinanza del Tribunale di sorveglianza si palesa, per questa ragione ed alla luce delle superiori considerazioni, illegittima se ne impone, pertanto, l'annullamento, limitatamente a tale profilo ed al torno di tempo indicato, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro per un nuovo giudizio che, libero nell'esito, sia esente dal vizio riscontrato ed abbia ad oggetto, in primo luogo, la verifica della continuità, da apprezzarsi ai sensi dell' articolo 657, comma 1, cod. proc. penumero , tra la detenzione patita da P.D. tra il 19 aprile 2014 ed il 27 febbraio 2019 e, solo in caso di esito positivo del predetto accertamento, della sussistenza, in relazione a tale periodo, dei presupposti per il riconoscimento dei rimedi compensativi. 8. La censura del ricorrente appare, invece, infondata in relazione ai periodi detentivi precedenti al 19 aprile 2014, per i quali P.D. fa valere, in termini del tutto generici, l'effetto di unificazione determinato dal cumulo che, a suo modo di vedere, renderebbe tempestiva la richiesta risarcitoria anche con riferimento alle pene ormai interamente eseguite, ciò che, è agevole replicare, non vale a configurare l'imprescindibile elemento di continuità giuridica tra la detenzione pregressa e quella in atto. 9. Il secondo motivo di ricorso è infondato. Questa Corte, pronunziando a Sezioni Unite numero 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Commisso, Rv. 280433 - 02 , ha affermato, con specifico riferimento al profilo di lesione integrato dalla ristrettezza dello spazio all'interno della camera di pernottamento, che, in caso di spazio a disposizione pro capite inferiore ai tre metri quadri, esiste per vincolo convenzionale una forte presunzione di disumanità del trattamento, superabile dalla compresenza di fattori compensativi che costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività , se congiuntamente ricorrenti, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell'articolo 3 della CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati. Nel caso, invece, di disponibilità di uno spazio individuale compreso fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi concorrono, unitamente ad altri di carattere negativo, alla valutazione unitaria delle condizioni complessive di detenzione. 10. Nel caso di specie, discorrendosi delle condizioni detentive cui P.D. è stato esposto nei periodi in cui lo spazio individuale garantitogli all'interno della cella è stato compreso tra tre e quattro metri quadrati posto che, è utile rammentare, il Tribunale di sorveglianza ha, al contempo, accolto il reclamo dell'odierno ricorrente in relazione al periodo in cui egli ha fruito di uno spazio individuale inferiore a tre mq. , non si applica la c.d. «presunzione forte» di trattamento inumano o degradante prevista nel diverso caso in cui il detenuto fruisca di un'area inferiore a tre metri quadri, dovendosi, invece, procedere, secondo quanto ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, nel suo consesso più rappresentativo Sez. U, numero 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Commisso, Rv. 280433 - 02 e sopra già enunciato, ad una valutazione globale ed onnicomprensiva delle condizioni di detenzione, che tenga conto anche di eventuali fattori compensativi o che, al contrario, incidono in senso negativo. Il Tribunale di sorveglianza, al riguardo, è pervenuto al rigetto, in parte qua, del reclamo proposto da P.D. avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza sul postulato che il detenuto, durante la detenzione nell'istituto di Napoli Secondigliano, è stato sottoposto a regime, in tutto o in parte, c.d. «aperto», ed ha fruito, nella camere di detenzione, di sufficiente illuminazione ed areazione e, nei locali comuni, di acqua calda che il riscaldamento invernale è stato sempre garantito, in linea con le disposizioni dell'autorità amministrativa, così come l'assistenza sanitaria che i servizi igienici sono strutturati in modo da assicurare la privacy di ciascuno degli occupanti la cella, i quali hanno avuto la possibilità di fare la doccia, con acqua calda, tre volte alla settimana che adeguata è stata l'offerta trattamentale, avendo P.D. avuto l'opportunità di svolgere attività lavorative secondo turnazione, sportive, formative, culturali e religiose. Non dissimili, ha aggiunto, le condizioni in cui P.D. è stato ristretto a Rossano istituto dotato, peraltro, di assistenza sanitaria h24 , all'interno di celle illuminate, areate, dotate di doccia con acqua calda ed aperte, quotidianamente, per quasi sei ore, distribuite su tre fasce orarie, durante le quali egli ha fruito di opportunità trattamentali, sportive e ricreative. Il Tribunale di sorveglianza non ha mancato di dare analiticamente atto dei rilievi critici di P.D. che ha, nondimeno, ritenuto inidonei ad elidere o circoscrivere la valenza dei fattori compensativi risultanti dalla documentazione in atti, già compiutamente evidenziati dal Magistrato di sorveglianza e solo genericamente contestati dal reclamante, attestanti la sicura insussistenza di condizioni detentive disumani, degradanti o, comunque, integranti violazione dell'articolo 3 CEDU . 11. La decisione impugnata, adottata sulla base di un percorso argomentativo cristallino perché scevro da vizi logici e saldamente ancorato alle emergenze istruttorie, resiste alle censure del ricorrente, connotate da tangibile genericità. P.D., infatti, si limita a riproporre, analiticamente, le censure svolte in sede di reclamo — volte, in sostanza, a contraddire, almeno in parte, le informazioni trasmesse dagli istituti di pena — che, come detto, il Tribunale di sorveglianza ha disatteso svolgendo considerazioni rispetto alle quali il ricorrente si pone in una prospettiva di mera confutazione che, in quanto non accompagnata da specifiche e pertinenti allegazioni, si palesa del tutto inidonea ad eccitare il potere censorio del giudice di legittimità, che, come sopra già ricordato, è confinato, ai sensi dell' articolo 35-bis, comma 4-bis, legge 26 luglio 1975, numero 354 in combinato disposto con gli articolo 35-ter, comma 1, e 69, comma 6, del medesimo plesso normativo , alla sola violazione di legge. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla omessa valutazione del periodo di presofferto in custodia cautelare decorso dal 31 ottobre 2014 al 27 febbraio 2019, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro. Rigetta nel resto il ricorso.