L’utilizzazione, richiesta per la configurabilità del reato previsto e punito dall’articolo 600 ter c.p. presuppone la ricorrenza di una posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore che rende del tutto invalido il suo eventuale consenso.
La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, condannava l'imputato in ordine al reato di cui all' articolo 600 ter c.p. , il quale proponeva ricorso per cassazione. La Suprema Corte, nel ritenere il ricorso infondato, coglie l'occasione per riaffermare un principio giurisprudenziale del 2018 con cui le Sezioni Unite hanno chiarito che « non sussiste l'utilizzazione del minore , la quale costituzione il presupposto di produzione di materiale pornografico di cui all' articolo 600 ter, comma 1, c.p. , nel solo caso di realizzazione di immagini o video che abbiano per oggetto la vita privata sessuale di un minore che abbia raggiunto l'età del consenso sessuale, nell'ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore , sicché le stesse siano frutto di una libera scelta e destinate ad un uso strettamente privato». Tale pronuncia, rileva il Collegio, ha fornito una importante precisazione circa il concetto di utilizzazione del minore , la quale implica una strumentalizzazione da intendersi come « trasformazione del minore, da soggetto dotato di libertà e dignità sessuali, in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere condotta che rende invalido anche un suo eventuale consenso». Se ne deduce che, qualora le immagini o i video abbiano per oggetto la vita privata sessuale nell'ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore, ma siano frutto di una libera scelta e siano destinate ad un uso strettamente privato , dovrà essere esclusa la ricorrenza di quella utilizzazione che costituisce il presupposto del reato . Alla luce di tali premesse dunque, il discrimine tra penalmente rilevante e irrilevante non è il consenso del minore, ma la configurabilità dell'utilizzazione, la quale presuppone la ricorrenza di un differente potere tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato, tale da generare una strumentalizzazione della sfera sessuale di quest'ultimo.
Presidente Galterio - Relatore Galanti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 19/05/2023, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 16/03/2022, condannava L.E. alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione ed € 16.667,00 di multa, in ordine al reato di cui all' articolo 600-ter cod. penumero commesso in danno di R.M 2. Avverso la sentenza, tramite il proprio difensore, ricorre per cassazione il L.E 2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione del principio del ne bis in idem processuale. I giudici di appello, con motivazione differente da quella del GUP di Roma, ritengono che i fatti oggetto di contestazione nel presente giudizio siano un antefatto di quelli giudicati con sentenza irrevocabile del Tribunale di Velletri. In realtà, dalla semplice lettura dell'imputazione appare evidente che i fatti della res iudicata e della res iudicanda condotta, evento e nesso causale sono i medesimi. Medesime sono altresì le circostanze di tempo, luogo e persona. 2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione dell' articolo 62-bis cod. penumero , in riferimento al diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La sentenza impugnata non tiene conto della personalità dell'imputato incensuratezza, giovane età al momento del fatto, pubbliche scuse fatte alla persona offesa e risarcimento del danno e dell'avvenuto riconoscimento del dolo eventuale. 2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, non emergendo alcuna motivazione in relazione alla dosimetria della pena. 3. In data 9 aprile 2024 l'Avv. Danilo Tomassini, per l'imputato, faceva pervenire memoria in cui replicava alle conclusioni del P.G. e insisteva per l'accoglimento del ricorso. II procuratore generale, pur richiamando il corretto principio giurisprudenziale di cui alla nota sentenza della Cass. sez. 5, numero 18020/2022 , ne invoca una errata applicazione, atteso che l'ulteriore estrinsecazione dell'attività delittuosa distinta nello spazio e nel tempo da quella pregressa che, a dire del procuratore generale, sarebbe ostativa alla preclusione del giudicato, attiene ad un diverso fatto storico, non invocato dalla scrivente difesa, già giudicato e contestato al capo b della sentenza definitiva del Tribunale di Velletri di converso, la violazione dell' articolo 649 c.p.p. , nell'estrinsecazione processuale, deriva dall'identità del fatto storico-naturalistico contestato nel capo a della res iudicanda, come ben evidenziato nei motivi di ricorso, con quello ascritto nel capo a della res iudicata, ricorrendo medesima condotta caratterizzata dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persona cfr. pagg. 11 ss del ricorso . Invero, dagli atti di indagine seguiti alla denuncia-querela sporta dalla p.o., sono scaturiti due diversi procedimenti in cui sono state elevate due imputazioni a carico dell'imputato quella oggetto di giudicato di cui al capo a della sentenza irrevocabile di applicazione della pena che, seppur qualificata dal Tribunale di Velletri come estorsione, è consistita nei sui aspetti storico-naturalistici nel costringere e, dunque indurre, con minaccia, R.M., a spogliarsi davanti ad una webcam quella del capo a della odierna res iudicanda, che ha per oggetto la produzione di materiale pornografico di cui all' articolo 600-ter. comma 1 c.p. , per aver l'imputato indotto, via web, una minore di anni diciotto a compiere su sé stessa atti sessuali. Contrariamente a quanto rilevato dal procuratore generale, la Corte distrettuale non solo ha omesso, con violazione di legge, il raffronto tra il capo di imputazione a della res iudicata con il capo a della res iudicanda, che invece le era imposto da una corretta applicazione del principio invocato nei motivi di ricorso, ma, altresì, con motivazione illogica e contraddittoria, oltre che apparente, omettendo di analizzare compiutamente il fatto storico oggetto della res iudicata ha posto erroneamente e illogicamente a fondamento della propria decisione il diverso fatto storico naturalistico di cui al capo b della res iudicata che, costituendo l'ulteriore estrinsecazione dell'attività delittuosa fatto diverso già oggetto di giudicato, non è pertinente alla violazione di legge sollevata dalla difesa. Con il secondo motivo di ricorso si è denunciato il difetto e la contraddittorietà della motivazione in relazione al motivo di appello concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche, per aver la Corte distrettuale omesso qualsivoglia motivazione in ordine agli specifici elementi dedotti sul punto dall'imputato quest'ultimo, incensurato, per la giovane età all'epoca dei fatti e per la condotta irreprensibile ad essi successiva e tenuta sino ad oggi, per aver confessato spontaneamente dinanzi al Tribunale del Riesame ed in sede di interrogatorio richiesto dal PM la sua responsabilità in ordine ai fatti di cui al capo a di imputazione, accompagnando alla confessione anche dichiarazioni di resipiscenza e di pubbliche scuse alla persona offesa, per aver, già prima della chiusura delle indagini, risarcito sotto il profilo economico il danno, meritava quantomeno una motivazione che tenesse conto dei suddetti elementi favorevoli dedotti ed in cui si specificavano i motivi della loro non decisività, anche in ragione dell'avvenuto riconoscimento, ad opera della Corte di Appello, che l'imputato ha agito con il dolo eventuale in merito all'età della persona offesa, prossima al compimento del diciottesimo anno di età. Con il terzo motivo di ricorso, si censurava la contraddittorietà della motivazione contenuta nella sentenza di secondo grado per aver la Corte distrettuale applicato il medesimo trattamento sanzionatorio del giudice di prime cure, pur avendo degradato l'elemento psicologico al dolo eventuale. 4. In data 4 aprile 2024 l'Avv. Massimo Caria, per la parte civile, depositava conclusioni scritte in cui chiedeva la conferma delle statuizioni civili. Considerato in diritto 1. Il ricorso è complessivamente infondato. 2. Il primo motivo è doppiamente infondato. 2.1. Nel caso in esame il ricorrente prospetta un caso di possibile ne bis in idem processuale. Come noto, con la sentenza numero 200 del 21/07/2016, la Corte costituzionale - nel dichiarare illegittimo l' articolo 649 cod. procomma penumero nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale - ha ridefinito il principio del ne bis in idem processuale, affermando il criterio dell'idem factum e non dell'idem legale ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. Successivamente, le Sezioni Unite della Corte Sez. U. numero 20664 del 23/02/2017, Stalla hanno messo in evidenza la «necessità di una comparazione concreta e complessiva delle fattispecie con particolare distinzione - quanto alla verifica del presupposto processuale di cui all' articolo 649 cod. procomma penumero e del suo corrispondente convenzionale dell'articolo 4 Prot. 7 CEDU - al fatto oggetto di contestazione e, quanto all'individuazione dell'unitarietà della fattispecie contestata, agli elementi costitutivi della stessa, caratterizzati come sempre dalla correlazione azione - evento - elemento psicologico, e dalla loro concreta attribuzione, attraverso il capo di imputazione, alla persona sottoposta a giudizio». Occorre pertanto verificare, alla luce dei principi sopra espressi, se ci si trovi o meno di fronte alla medesima fattispecie contestata, avuto riguardo agli elementi costitutivi della stessa azione, evento, elemento psicologico . La risposta, in concreto, non può che essere negativa. In primo luogo, va evidenziato come diverso sia il bene giuridico tutelato dalle due fattispecie ed infatti, l'estorsione è posta a tutela dell'integrità del patrimonio, mentre l' articolo 600-ter cod. penumero è un delitto contro la libertà individuale. Diversa è poi la condotta la «utilizzazione di minori», nell' articolo 600-ter cod. penumero la «costrizione di taluno mediante violenza o minaccia a fare o ad omettere qualche cosa», nell'estorsione. Diverso è, infine, l'evento, che nel delitto in esame consiste nella «produzione di materiale pedopornografico», mentre nel delitto di cui all' articolo 629 cod. penumero è il «procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno». Trattandosi di reati a dolo generico, in cui è necessaria la coscienza e volontà della condotta e dell'evento, non può che divergere anche l'elemento psicologico dei due reati, attinendo, un eventuale coefficiente psicologico del reato, all'area irrilevante del movente. Non sussiste, in conclusione, alcun elemento da cui poter considerare sussistente un bis in idem processuale se non, in ipotesi, l'identità di tempo, la quale tuttavia, scissa da condotta ed evento, non può che far propendere per un concorso formale di reati. Il motivo è pertanto infondato. 2.2. In ogni caso, come evidenziato anche dal Procuratore generale, la Corte di appello ha ripercorso le plurime condotte criminose poste in essere dal L.E. nei confronti della minore R.M., chiarendo come i fatti oggetto del procedimento si collocassero in epoca antecedente a quelli che avevano condotto all'arresto in quanto l'uomo, già in precedenza, aveva posto in essere condotte di induzione nei confronti della vittima. In proposito, la parte iniziale della sentenza, che ripercorre l'iter temporale di svolgimento dei fatti, chiarisce che essi si svolsero in un arco temporale piuttosto ampio. In un primo periodo, l'imputato, classe 1987n aveva agganciato con un nickname che celava la sua reale identità la persona offesa diciassettenne tramite il social network OMISSIS , e, attraverso l'uso di blandizie, si era guadagnato la fiducia della stessa, che poi convinceva a posare a seno nudo, riprendendo il tutto con la webcam. Successivamente, aveva iniziato a minacciarla di diffondere il materiale se non fosse andata oltre, inducendola a compiere atti di autoerotismo, anch'essi filmati. L'epilogo della vicenda avveniva alla stazione ferroviaria di Frascati, dove l'imputato aveva preteso, sotto minaccia, di vedere la giovane, per ottenere un rapporto orale nei bagni pubblici. In quella circostanza veniva arrestato e giudicato per estorsione e tentata violenza sessuale. A pagina 5 della sentenza impugnata, la Corte di appello chiarisce che l'estorsione si è «verificata in un momento successivo alla condotta di induzione della quale si tratta in questa sede, che ne aveva costituito dunque l'antefatto», in quanto l'imputato aveva dapprima «con richieste insistenti e pressioni psicologiche», indotto la ragazza a posare per lui a seno nudo e poi, «in un crescendo di richieste a sfondo sessuale, l'aveva indotta a compiere atti di autoerotismo in filmati effettuati con webcam che aveva conservato». Non vi è dubbio quindi che, a giudizio della Corte di appello, la minore sia stata «utilizzata» in epoca ben precedente rispetto alla avvenuta estorsione. Tale affermazione appare conforme alla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte, la quale ha chiarito, nella sua massima composizione Sez. U, numero 51815 del 31/05/2018, M., Rv. 274087 - 02 , che non sussiste l'utilizzazione del minore, che costituisce il presupposto del reato di produzione di materiale pornografico di cui all' articolo 600-ter, comma 1, cod. penumero , nel solo caso di realizzazione di immagini o video che abbiano per oggetto la vita privata sessuale di un minore, che abbia raggiunto l'età del consenso sessuale, nell'ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore, sicché la stesse siano frutto di una libera scelta e destinate ad un uso strettamente privato. Tale pronuncia ha precisato che il concetto di «utilizzazione del minore» implica una «strumentalizzazione» del minore stesso, dovendosi conseguentemente intendere con tale locuzione «la trasformazione del minore, da soggetto dotato di libertà e dignità sessuali, in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere condotta che rende invalido anche un suo eventuale consenso ex plurimis, Sez. 3, numero 1783 del 17/11/2016, dep. 16/01/2017, C., Rv. 269412 Sez. 3, numero 1181 del 23/11/2011, dep. 16/01/2012, L., Rv. 251905 . Si devono, insomma, distinguere le condotte di produzione aventi un carattere abusivo, per la posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore o per modalità con le quali il materiale pornografico viene prodotto ad esempio, minaccia, violenza, inganno o per il fine commerciale che sottende la produzione, o per l'età dei minori coinvolti, qualora questa sia inferiore a quella del consenso sessuale». In altri termini, qualora le immagini o i video abbiano per oggetto la vita privata sessuale nell'ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore, ma siano frutto di una libera scelta - come avviene, per esempio, nell'ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni - e siano destinate ad un uso strettamente privato, dovrà essere esclusa la ricorrenza di quella «utilizzazione» che costituisce il presupposto dei reati sopra richiamati. Dunque, il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante in questo campo non è il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell'utilizzazione, la quale presuppone la ricorrenza di un «differenziale di potere» tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato, tale da generare una strumentalizzazione della sfera sessuale di quest'ultimo, che può essere esclusa solo attraverso un'approfondita valutazione della sussistenza in concreto dei presupposti sopra delineati. Il motivo ricorso è pertanto, anche sotto tale profilo, infondato. 3. Il secondo motivo manifestamente infondato. Questa Corte ritiene che le circostanze attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale «concessione» del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell' articolo 133 cod. penumero , che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena cfr., Sez. 2, numero 14307 del 14.3.2017, Musumeci Sez. 2, numero 30228 del 5.6.2014, Vernucci il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell'imputato, conseguente all'assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo v. ex multis sez. 3, numero 24128 del 18/3/2021, De Crescenzo, Rv. 281590 Sez. 5, numero 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, numero m. inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all' articolo 62-bis cod. penumero , al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti sez. 2 numero 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826 sez. 7 numero 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475 sez. 4 numero 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201 , rientrando la stessa concessione di esse nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo sez. 6 numero 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737 . Non è neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all' articolo 133 cod. penumero , ma è sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento sez. 1, numero 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959 Sez. 6, numero 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419 . Rileva altresì la Corte che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, numero 92 , convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, numero 125 , per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato Sez. 4, numero 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489 - 01 Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986 - 01 ». Nel caso di specie i giudici hanno ritenuto di non concedere le attenuanti atipiche in ragione della particolare gravità del fatto, come emergente dalla visione complessiva della vicenda, della personalità dell'imputato, e dell'«inquietante contesto» in cui gli accadimenti si sono succeduti. Tale motivazione, che va ovviamente letta congiuntamente con l'excursus dei fatti operati nella parte iniziale della sentenza, la quale ripercorre la climax criminosa, non appare manifestamente illogica o contraddittoria. Del resto, l'imputato non quantifica neppure l'offerta reale effettuata nei confronti della persona offesa, difettando quindi - la deduzione - della necessaria specificità. Il motivo è pertanto manifestamente infondato. 4. Il motivo relativo alla graduazione del trattamento sanzionatorio è inammissibile per tardività. È infatti inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca una omessa motivazione su una censura relativa al giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata che, come nel caso di specie, non contiene l'enunciazione dello specifico profilo di doglianza che non menzioni la medesima violazione come doglianza già proposta in sede di appello, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo v., ex multis, Sez. 2, numero 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli, Rv. 270627 - 01 . Il motivo è pertanto inammissibile. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.