Con la sentenza in commento la Suprema Corte coglie l’occasione per evidenziare come il delitto previsto e punito dall’articolo 572 c.p. non distingue tra vittima dei maltrattamenti diretti e assistiti la moglie e la figlia sono infatti, indistintamente, vittime di maltrattamenti in famiglia anche se i comportamenti vessatori non sono rivolti direttamente in danno della minore.
La difesa dell'indagato, al quale con ordinanza veniva applicata la misura coercitiva del divieto di avvicinamento perché ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui all' articolo 572, primo e secondo comma, c.p. per aver posto in essere, con sistematiche ingiurie, minacce e aggressioni, maltrattamenti in danno della moglie e della figlia minore , lamentava con ricorso per cassazione, vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine ai presupposti di applicabilità della misura alla figlia minorenne. Il difensore infatti, sottolineava come il GIP, così come il Tribunale del riesame, pur ritenendo la minore episodicamente vittima dei maltrattamenti, applicavano la medesima misura coercitiva sia a tutela della moglie che della figlia, nonostante la seconda sia vittima solo di maltrattamenti c.d. assistiti . Per il Supremo Consesso il motivo è infondato poiché il distinguo fornito dal ricorrente è privo di fondamento normativo . Nella disciplina vigente infatti, non vi è differenza tra vittima dei maltrattamenti diretti e assistiti . Nel caso di specie dunque, sia la moglie che la figlia sono vittime di maltrattamenti in famiglia. Il delitto , sottolinea il Collegio, è configurabile anche nel caso in cui «i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente , come involontari spettatori delle liti tra genitori che si svolgono all'interno delle mura domestiche, c.d. violenza assistita sempre che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi».
Presidente Fidelbo - Relatore D'Arcangelo Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Firenze ha rigettato la richiesta di riesame proposta da S.F., che ha condannato al pagamento delle spese del procedimento, e ha confermato l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Prato, che in data 13 aprile 2024 ha applicato nei confronti del medesimo la misura coercitiva del divieto di avvicinamento alle persone offese. In questa ordinanza S.F. è stato ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui all' articolo 572, primo e secondo comma, cod. penumero , per aver posto in essere, con sistematiche ingiurie, minacce e aggressioni, maltrattamenti in danno della moglie e della figlia minore, in OMISSIS dal 2006/2007 al 21 marzo 2024. 2. L'avvocato Antonino Denaro, difensore di S.F., ricorre avverso tale ordinanza e ne chiede l'annullamento, deducendo tre motivi. 2.1. Il difensore, con il primo motivo di ricorso, denuncia la violazione dell' articolo 309, comma 9, terzo periodo, cod. proc. penumero Il difensore premette di aver censurato nel procedimento di riesame la carenza dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento alla contestazione di maltrattamenti ai danni della figlia minore e che il Giudice per le indagini preliminari non ha in alcun modo motivato sull'applicazione del divieto di avvicinamento alla figlia. Il Tribunale del riesame, tuttavia, in violazione della predetta disposizione, avrebbe confermato l'ordinanza genetica per «motivi nuovi», in luogo di disporre il suo annullamento per carenza assoluta di motivazione sul punto. 2.2. Con il secondo motivo il difensore censura il vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine ai presupposti di applicabilità della misura coercitiva del divieto di avvicinamento alla figlia minorenne. Il Tribunale del riesame, tuttavia, pur avendo condiviso la valutazione del Giudice per le indagini preliminari, che ha ritenuto la minorenne solo episodicamente vittima dei maltrattamenti, avrebbe applicato la medesima misura coercitiva, sia a tutela della moglie del ricorrente, che sarebbe stata vittima di «maltrattamenti diretti», che della figlia, vittima solo di «maltrattamenti assistiti». Ad avviso del difensore, tuttavia, se per impedire la reiterazione di «maltrattamenti diretti» si renderebbe necessario «spezzare la contiguità spaziale tra maltrattante e maltrattata», per impedire i «maltrattamenti assistiti» non occorrerebbe allontanare il maltrattante dal «terzo spettatore». Il Tribunale del riesame, dunque, equiparando due situazioni, invero distinte e non comparabili, avrebbe illegittimamente sacrificato il rapporto tra padre e figlia. 2.3. Con il terzo motivo il difensore eccepisce la mancanza di motivazione in ordine ai presupposti dell'applicazione del divieto di non comunicare con la figlia minorenne. L'adozione di un divieto ulteriore, rispetto a quello principale che connota la misura coercitiva prescelta, infatti, avrebbe reso necessaria una specifica motivazione sul punto, che, invece, sarebbe assente, persino sotto il profilo puramente grafico. 3. Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 16 settembre 2024, il Procuratore generale, Elisabetta Ceniccola, ha chiesto il rigetto del ricorso. In data 26 settembre 2024 l'avvocato Antonino Danaro ha depositato memoria di replica e conclusioni, insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi proposti sono infondati. 2. Con il primo motivo il difensore deduce l'erronea applicazione dell' articolo 309, comma 9, terzo periodo, cod. proc. penumero , in quanto il Tribunale del riesame avrebbe confermato l'ordinanza genetica per «motivi nuovi», in luogo di disporre il suo annullamento per carenza assoluta di motivazione sul punto. 3. Il motivo è infondato. Il Tribunale del riesame ha rilevato che «se è vero che il giudice [per le indagini preliminari] ha escluso l'abitualità di condotte ingiuriose e minacciose direttamente in danno della figlia, non vi è dubbio che la bimba, di appena cinque anni d'età, abbia assistito nei suoi pochi anni di vita a gravi episodi di violenza fisica, respirando l'insano clima di sopraffazione posto in essere dal padre nei confronti della madre. Non bisogna infatti sottacere che l'indagato, presente la figlia, ha, tra le altre cose, spinto la moglie in terra facendole urtare il capo contro il radiatore, lanciandole addosso una sigaretta e ha incitato la figlia a lanciare del cibo addosso alla madre, come fosse una pattumiera». Il Tribunale, dunque, rilevando l'oggettiva gravità degli episodi di sopraffazione accertati, gli ultimi dei quali posti in essere dal ricorrente in epoca anche recente, e degli episodi di percosse ai danni dell'anziana madre, avvenuti sempre al cospetto della figlia, ha ritenuto di «mantenere in vita il blando presidio in corso di esecuzione». Il Tribunale, dunque, non ha integrato illegittimamente la motivazione carente dell'ordinanza genetica, ma ha solo precisato che la figlia del ricorrente, pur solo sporadicamente vittima di violenze fisiche, ha sistematicamente assistito alle condotte di maltrattamenti poste in essere ai danni della madre. 4. Con il secondo motivo il difensore censura il vizio di motivazione in ordine ai presupposti di applicabilità del divieto di avvicinamento alla figlia minorenne. 5. Il motivo è infondato. Il ricorrente muove da un distinguo tra «vittima dei maltrattamenti» diretti e vittima dei «maltrattamenti assistiti», che è, tuttavia, privo di adeguato fondamento normativo nella disciplina vigente, infatti, sia la moglie che la figlia del ricorrente sono, infatti, vittime di maltrattamenti in famiglia e, dunque, non certo illogicamente il Tribunale del riesame ha ritenuto concrete e attuali le esigenze cautelari in relazione ad entrambe. Il delitto di maltrattamenti è, infatti, configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all'Interno delle mura domestiche c.d. violenza assistita , sempre che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi Sez. 6, numero 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985 - 01 . Questa sentenza, in motivazione espressamente rileva che «secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza civile, i maltrattamenti inflitti da un coniuge all'altro in presenza dei figli possono condurre alla dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, a norma dell' articolo 330 cod. civ. , per le inevitabili ripercussioni negative sull'equilibrio fisiopsichico della prole e sulla serenità dell'ambiente familiare e poiché, ancora, denotano mancanza di quel minimo di disponibilità affettiva e pedagogica richiesto in chi esercita la potestà parentale». Infondato è, inoltre, il rilievo formulato dal difensore in ordine alla idoneità della misura coercitiva applicata a ledere il rapporto tra padre e figlia, in quanto non si confronta con la necessità prioritaria di preservare l'equilibrio psicofisico della minorenne in ottemperanza al principio dell'interesse preminente del minore. Questo principio, sancito da una pluralità di strumenti normativi internazionali e dell'Unione europea e dagli articolo 30 e 31 Cost. , impone che in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei migliori interessi o dell'interesse superiore del minore C. cost., sentenza numero 102 del 2020 . La giurisprudenza di legittimità ha, del resto, ritenuto, in tema di maltrattamenti in famiglia, che è legittimo il provvedimento cautelare che disponga il divieto di avvicinamento dell'indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, dovendo ritenersi prevalenti, in funzione del best interest of the child, le ragioni di tutela del minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali Sez. 6, numero 20004 del 12/03/2024, S., Rv. 286478 - 01 . 6. Con il terzo motivo il difensore eccepisce la mancanza di motivazione in ordine ai presupposti dell'applicazione del divieto di non comunicare con la figlia minorenne. 7. Il motivo è infondato. Il Tribunale non ha argomentato espressamente in ordine al divieto di comunicazione tra l'indagato e le persone offese, ma dal complessivo tenore della motivazione del provvedimento impugnato risulta che l'obiettiva gravità degli episodi accertati e l'esigenza di tutelare la minore è stata ritenuta - peraltro non certo illogicamente - allo stato incompatibile con la permanenza delle comunicazioni tra l'indagato e la figlia. 8. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere rigettato. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell' articolo 616 cod. proc. penumero , al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i processuali.