Ben vestito e alla guida di un’auto di lusso per l’acquisto di una bici: le armi del truffatore

Condannato per truffa, e non per mera insolvenza fraudolenta, chi effettua l’acquisto di una bici grazie ad un assegno non esigibile e per convincere il venditore sulla concreta conclusione dell’affare e sulle proprie disponibilità economiche – inesistenti, in realtà – si presenta ben vestito e alla guida di un’automobile di lusso, esibendo un carnet di assegni.

Scenario della vicenda è la provincia lombarda, dove un uomo contatta il venditore di una bici – costosa, peraltro – e gli assicura di essere pronto a concludere l’affare. Ultimata la trattativa, il compratore si presenta all’incontro con il venditore, gli consegna un assegno di 1.600 euro e porta via la bicicletta solo pochi giorni dopo il proprietario della bici scopre che l’ assegno consegnatogli dal compratore non è in realtà esigibile . Inevitabili, a quel punto, le conseguenze legali per il compratore, condannato sia in primo che in secondo grado per truffa . Questa valutazione viene contestata fortemente in Cassazione dalla difesa, che ritiene sia più logico parlare di mera insolvenza fraudolenta difatti, è palese l’errore compiuto dalla Corte d'Appello, ossia «l’avere valorizzato, ai fini di ritenere integrato il reato di truffa, condotte successive alla conclusione del contratto verbale di acquisto della bicicletta e, per tale ragione, non influenti sulla qualificazione giuridica del fatto, non connotato da artifici e raggiri connessi alla fase della trattativa ». Per chiudere il cerchio, il legale osserva che il suo cliente «si è limitato a consegnare un assegno inesigibile, non ha garantito la solvibilità dell’assegno e con il proprio atteggiamento ha dissimulato il proprio stato di insolvenza ». Per i Giudici della Cassazione, però, la visione proposta dalla difesa non è affatto condivisibile. Ciò innanzitutto alla luce del principio secondo cui «il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore , mentre nell’insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di del soggetto ». Ragionando in questa ottica, è inequivocabile, secondo la Suprema Corte, la condotta tenuta dal compratore della bici. Nello specifico, egli «ha artificiosamente ostentato le proprie disponibilità economiche alla persona offesa» e lo ha fatto «al precipuo fine di indurla in errore e di farsi consegnare la bicicletta compendio del delitto». E ciò è avvenuto «presentandosi egli alla vittima con dei bei vestiti, con una automobile di lusso non di sua proprietà, con un carnet di assegni da cui ha disinvoltamente tratto quello rimasto insoluto». In sostanza, ci si trova di fronte ad «una condotta volta a suggestionare la persona offesa, ampliando l’immagine esterna delle proprie possidenze economiche in modo furbo e malizioso, circostanza che determina», osservano i Giudici, «la sussistenza del raggiro nella fase della trattativa finalizzata alla commissione del reato , così correttamente qualificato come truffa». E sul fronte della corretta definizione giuridica del fatto, poi, la Cassazione aggiunge che è stato correttamente valorizzato «il comportamento successivo del compratore , il quale, come raccontato dalla persona offesa, ha finto sorpresa allorquando è stato contattato dal venditore che non aveva potuto incassare l’assegno e l’ha rassicurato, per poi sparire nel nulla, senza restituire la bicicletta o rimborsare il denaro occorrente per l’acquisto». Ebbene, «tali comportamenti costituiscono ulteriori modalità dello stesso fatto, non modificato nel suo contenuto essenziale», chiosano i magistrati.

Presidente Pellegrino - Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Brescia, parzialmente riformando, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza del Tribunale di Bergamo, emessa il 27 settembre 2022, ha confermato la responsabilità del ricorrente in ordine al reato di truffa, per avere consegnato alla persona offesa un assegno inesigibile di euro 1600,00 quale corrispettivo per l'acquisto di una bicicletta. 2. Ricorre per cassazione M.P., deducendo, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto come truffa anziché come insolvenza fraudolenta. La Corte avrebbe valorizzato, ai fini di ritenere integrato il reato di truffa, condotte dell'imputato successive alla conclusione del contratto verbale di acquisto della bicicletta e, per tale ragione, non influenti sulla qualificazione giuridica del fatto, non connotato da artifici e raggiri connessi alla fase della trattativa, il ricorrente essendosi limitato a consegnare un assegno risultato inesigibile. Peraltro, i comportamenti successivi alla conclusione della transazione non risultano indicati nel capo di imputazione, sicché vi sarebbe stata una violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza. L'imputato non avrebbe garantito la solvibilità dell'assegno e si sarebbe limitato con il proprio atteggiamento a dissimulare il proprio stato di insolvenza. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivo manifestamente infondato. 1. E' pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, il principio di diritto secondo cui, il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente Sez. 5, numero 44659 del 21/10/2021, Cavanna, Rv. 282174 - 01 Sez. 7, numero 16723 del 13/01/2015, Caroli, Rv. 263360-01 . 2. Nel caso in esame, sulla base di valutazioni di fatto prive di vizi logici e per questo attratte al merito del giudizio non rivedibile in questa sede, la Corte di appello ha ritenuto che il ricorrente avesse artificiosamente ostentato le proprie disponibilità economiche alla persona offesa al precipuo fine di indurla in errore e di farsi consegnare la bicicletta compendio del delitto. Tanto è avvenuto presentandosi alla vittima con dei bei vestiti, con una auto di lusso non di sua proprietà, con un carnet di assegni dal quale aveva disinvoltamente tratto quello rimasto insoluto. Si era trattato, quindi, di una condotta positiva volta a suggestionare la persona offesa, ampliando l'immagine esterna delle proprie possidenze economiche in modo furbo e malizioso, circostanza che determina la sussistenza del raggiro nella fase della trattativa finalizzata alla commissione del reato, così correttamente qualificato come truffa. 3. Peraltro, il riscontro ricostruttivo in ordine alla corretta definizione giuridica del fatto ai sensi dell' articolo 640 cod. penumero , è stato rinvenuto dalla Corte di appello - senza vizi logico-giuridici - valorizzando anche il comportamento successivo del ricorrente, così come descritto dalla persona offesa al processo l'imputato aveva finto sorpresa allorquando era stato contattato dalla vittima che non aveva potuto incassare l'assegno, l'aveva rassicurata, per poi sparire nel nulla senza restituire la bicicletta o rimborsare il denaro occorrente per il suo acquisto. Tali comportamenti costituiscono ulteriori modalità dello stesso fatto, non modificato nel suo contenuto essenziale, che risiede nella parte della condotta descritta nel capo di imputazione con indicazioni dettagliate dell'assegno, della sua consegna, del bene acquistato, delle generalità della persona offesa, del luogo e del tempo del commesso reato , che ne risulta ancor meglio chiarita e confermata senza alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza così come si pretenderebbe in ricorso. Infatti, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l' iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione Sez. U, numero 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051-01 Sez. 3, numero 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846-04 . 4. Infine, a proposito della eccezione di irritualità della querela, formulata dal difensore solo all'odierna udienza di discussione, in relazione alla mera circostanza che la querela sarebbe stata ricevuta non da un ufficiale ma da un agente di polizia giudiziaria, basta richiamare, per comprendere le ragioni della inammissibilità della censura, il principio di diritto secondo il quale, è valida la querela ricevuta da un agente, anziché da un ufficiale di polizia giudiziaria come previsto dall' articolo 333, comma secondo, cod. proc. penumero , richiamato dall' articolo 337, comma primo, cod. proc. penumero , purché la presentazione della stessa sia effettuata da un soggetto regolarmente identificato presso un ufficio sottoposto al comando di un ufficiale di polizia giudiziaria, che proceda all'inoltro dell'atto all'autorità competente. Sez. F, numero 39592 del 10/08/2017, Mosca, Rv. 270751 - 01 . Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all'effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.