Violenza sessuale sul posto di lavoro: quando la lista dei testi è sovrabbondante

In un caso di violenza sessuale nei confronti di una collega, se i giudici di merito ritengono eccessiva l'audizione di tutti i testi richiesti e la difesa non contesta tale decisione, non può poi dedurre, in seguito, la nullità dell’esclusione dei testimoni non espressamente indicati, essendo stata la sua scelta liberamente esercitata.

La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha dichiarato inammissibile il ricorso relativo ad un caso di violenza sessuale ai danni di una collega di lavoro. In particolare, la Cassazione – chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della sentenza di condanna della Corte d'Appello di Bologna – ha confermato quanto stabilito dai giudici di secondo grado rispetto ai tre motivi indicati dal ricorrente relativamente alla riduzione dei testi della difesa, al giudizio di credibilità della persona offesa nonché al diniego delle generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti. Rispetto al primo articolato motivo, la Corte ha spiegato che i giudici di merito avevano accolto solo due degli undici testimoni che avrebbero dovuto fornire informazioni sul clima lavorativo, i rapporti tra colleghi e la partecipazione ad eventi poiché ritenevano eccessiva e poco rilevante l'audizione di tutti i richiesti, considerandoli sovrabbondanti. La difesa non aveva, peraltro, mai contestato tale decisione per cui, sulla base della precedente giurisprudenza di legittimità, non era legittimata a dedurre, in seguito, la nullità dell'esclusione dei testimoni non espressamente indicati, «essendo stata la sua scelta liberamente esercitata, con conseguente assenza di ogni lesione del diritto di difesa.» I Giudici hanno, inoltre, evidenziato l'infondatezza delle pretese del ricorrente che lamentava il fatto che sia il Tribunale sia la Corte d'Appello avessero rifiutato di sentire il teste per poi disattendere le dichiarazioni difensive «tale censura non coglie nel segno perché non vi è sovrapposizione tra la modalità di acquisizione della prova, documentale piuttosto che orale, e la sua valutazione.» Quanto al secondo motivo, la Cassazione, dopo aver ricordato che il suo compito è verificare se la giustificazione della sentenza impugnata risulti compatibile con il buon senso e i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, ha chiarito che, nel caso analizzato, la Corte territoriale avesse fornito una spiegazione razionale dei punti critici della vicenda, escludendo collegamenti tra i fatti e strumentalizzazioni. I giudici di secondo grado avevano adeguatamente valutato gli elementi probatori presentati dalla vittima procedendo con un corretto accertamento della violenza, distanziandosi dalle personali considerazioni del giudice del lavoro, il quale aveva stigmatizzato il comportamento della donna perché non aveva preso misure conservative alternative alla denuncia. Infine, la Suprema Corte ha ritenuto che il terzo motivo di ricorso relativo al diniego delle generiche non fosse specifico, dal momento che il ricorrente non si era confrontato con la motivazione nel suo complesso, non considerando che i giudici di secondo grado, che pure avevano esaminato gli elementi dedotti a favore, avevano espresso un giudizio di gravità della condotta sulla base della reiterazione degli episodi violenti nell'ambito del contesto lavorativo.

Presidente Aceto - Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 12 ottobre 2023 la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza in data 7 giugno 2018 del Tribunale di Bologna che aveva condannato l'imputato alle pene di legge per violenza sessuale, con l'attenuante del fatto di minore gravità, ai danni di una collega di lavoro. 2. Il ricorrente presenta tre motivi di ricorso per cassazione. Con il primo deduce il vizio di motivazione e impugna l'ordinanza in data 18 gennaio 2018 relativa all'ammissione ci solo due degli undici testi richiesti, l'ordinanza in data 7 giugno 2018 relativa all'assunzione dei testi della parte civile che aveva ritirato la querela, l'ordinanza in data 7 giugno 2018 relativa al rigetto della richiesta di integrazione probatoria con l'escussione del teste che aveva reso le dichiarazioni nel processo del lavoro. Osserva che i testi non erano sovrabbondanti e comunque non vi era spazio per una contestazione immediata che la revoca della costituzione della parte civile aveva comportato la rinuncia ai testi che quindi erano stati illegittimamente escussi che non erano state valutate adeguatamente le dichiarazioni del teste nel processo del lavoro che non era stato ammesso nel processo penale. Con il secondo denuncia il vizio di motivazione in merito alla credibilità della persona offesa. Segnala le seguenti incongruenze il giudice del lavoro non aveva riconosciuto la giusta causa di licenziamento per il comportamento tenuto nei confronti della vittima questa aveva riferito che il superiore l'aveva spinta a presentare la denuncia ma nella causa di lavoro aveva dichiarato di essersi sbagliata sul punto i tre testi della difesa avevano concordemente riferito di un clima scherzoso tra i due, in particolare, un teste aveva ricordato la pregressa relazione ai tempi dell'università che era cessata con rancore da parte della donna, mentre un altro teste aveva 'accontato che aveva invitato entrambi, contemporaneamente, alla sua festa, che avevano sùbito accettato e che anzi lei aveva concordato con lui l'accompagnamento, sebbene quello stesso giorno lei avesse presentato la denuncia era impossibile che ci fosse stato il palpeggiamento tutti i giorni quando la porta dell'ufficio era sempre aperta e i colleghi non avevano mai percepito nulla di anomalo non era coerente in tale contesto l'accordo sul rientro insieme a casa dopo la festa. Con il terzo eccepisce il vizio di motivazione in ordine al diniego delle generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti. Precisa a tal fine che era incensurato, che aveva ribadito la sua innocenza nel corso dell'interrogatorio, che aveva risarcito il danno patito dalla parte civile, che il Giudice del lavoro lo aveva reintegrato nel suo posto. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. 3.1. Il primo articolato motivo, relativo alla riduzione dei testi della difesa, all'audizione dei testi della parte civile dopo la revoca della sua costituzione e alla mancata audizione del teste del processo del lavoro, costituisce una ripetizione del primo motivo di appello senza alcun confronto critico con le esaustive considerazioni della Corte territoriale sul punto. Il Tribunale ha ammesso solo due degli undici testi perché ha stimato superflua e irrilevante l'audizione di tutti i testi richiesti «su circostanze analoghe e perciò sovrabbondanti». Tale conclusione è stata validata dalla Corte territoriale che ha osservato che i testi avrebbero dovuto riferire in merito al clima in ufficio, ai rapporti di colleganza, alla partecipazione alla festa, alle dichiarazioni rese nel processo del lavoro. Molte circostanze, peraltro, sono state oggetto di prova documentale. La difesa non ha mai svolto contestazioni né nelle immediatezze della decisione né nelle udienze successive. Pertanto, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto preclusa l'eccezione in appello. Con il ricorso per cassazione la difesa ha affermato che non era prevista un'impugnativa di tale ordinanza. L'assunto è fallace perché la difesa avrebbe potuto contestare la violazione dell'articolo 190 cod. proc. penumero , e quindi la valutazione di sovrabbondanza e superfluità, mentre invece ha implicitamente aderito alla decisione del Tribunale indicando i due testi. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la parte che abbia presentato una lista testi ritenuta sovrabbondante e che abbia esercitato la facoltà, attribuitale dal giudice, di scelta dei testimoni da assumere, non è legittimata a dedurre, in seguito, la nullità dell'esclusione di quelli non espressamente indicati, essendo stata la sua scelta liberamente esercitata, con conseguente assenza di ogni lesione del diritto di difesa Sez. 3, numero 16677 del 02/03/2021, Ballarmi, Rv. 281649 - 03 . I testi, poi, una volta ammessi, non sono della parte che li ha chiesti ma sono a disposizione dell'ufficio e sono sottoposti all'esame e al controesame. Il Tribunale ha reputato, quindi, di sentire le testi indicate dalla parte civile «anche ai sensi dell'articolo 195 cpp», dal momento che avevano reso dichiarazioni stragiudiziali, mentre ha ritenuto non indispensabile sentire il teste della difesa ai sensi dell'articolo 507 cod. proc. penumero perché ha acquisito il verbale delle dichiarazioni rese nel processo del lavoro. La Corte territoriale ha ben spiegato che la scelta non è stata incoerente, perché le prime non erano state sentite da un giudice a differenza del terzo. Ai sensi dell'articolo 603 cod. proc. penumero , la Corte ha poi acquisito tutta una serie di documenti contenenti le dichiarazioni difensive, la convocazione, rimasta senza séguito, del presidente della società ove lavoravano l'imputato e la vittima, il carteggio sindacale relativo alla controversia tra l'imputato e la società in data anteriore ai fatti, le mail relative alla festa. Non consta che il ricorrente abbia tempestivamente contestato le due ordinanze del 7 giugno 2018, con conseguente preclusione di eventuali eccezioni. Con il ricorso per cassazione ha invece lamentato che il Tribunale aveva rifiutato di sentire il teste che aveva reso le dichiarazioni nel processo del lavoro ma poi si era discostato dalle conclusioni espresse in quel giudizio. In continuità con tale osservazione, ha evidenziato un comportamento contraddittorio della Corte di appello che, del pari, aveva ritenuto non indispensabile l'escussione del teste, perché aveva ritenuto sufficiente l'acquisizione del verbale, salvo disattendere le dichiarazioni difensive. Tale censura non coglie nel segno perché non vi è sovrapposizione tra la modalità di acquisizione della prova, documentale piuttosto che orale, e la sua valutazione. 3.2. Il secondo motivo attiene al giudizio di credibilità della persona offesa. Il ricorrente ha negato gli addebiti e ha rappresentato un clima di lavoro normale, scherzoso e cameratesco. Ha insistito in particolare su tre circostanze la porta dell'ufficio era sempre aperta e nessuno aveva notato nulle di anomalo, la vittima si era accordata con lui per un passaggio in auto per andare alla festa, nel processo del lavoro era emersa la collusione della donna che non aveva respinto con nettezza certi atteggiamenti ma aveva finito per provocarli. Il motivo è fattuale. La Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. La manifesta illogicità della motivazione, prevista dall'articolo 606, comma 1, lett. e cod. proc. penumero , presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un'ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza Sez. 6, numero 2972 del 04/12/2020, G., Rv. 280589 . In altri termini, il controllo sulla motivazione è circoscritto alla sola verifica dell'esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l'hanno determinata, dell'assenza di manifesta illogicità dell'esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l'utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame si veda tra le più recenti, Sez. 3, numero 17395 del 24/01/2023, Chen, R v. 284556-01 . Nel caso in esame la Corte territoriale ha offerto una spiegazione non manifestamente illogica o contraddittoria dei punti critici della vicenda. Innanzi tutto, ha sottolineato che la donna aveva rimesso la querela perché gli avvocati avevano trovato un accordo, lei ere incinta e voleva stare tranquilla quindi, ha analizzato i comportamenti ritenuti collusivi dal giudice del lavoro, pervenendo a conclusioni opposte. La donna aveva sopportato i toccamenti sessuali, le molestie verbali, i gesti di maleducazione mantenendo lo stretto riserbo anche con i colleghi, perché non voleva perdere il posto, ma, con il passare del tempo, la situazione era diventata insostenibile per cui aveva avuto un colloquio, sempre riservato, con il direttore generale, il quale le aveva detto di sporgere querela. Quanto alla festa, era stato inizialmente previsto che nell'auto dell'imputato sarebbe andata anche con un altro collega, ma dal giorno in cui si erano accordati per l'accompagnamento a quello della festa, a cui era poi andata con il marito, era aumentata la tensione in ufficio. L'imputato le aveva comunicato che aveva controllato il conto corrente del marito, circostanza che il ricorrente ha negato, ma che invece risulta riscontrata dall'accesso abusivo al sistema informativo, mentre, in un'altra occasione, aveva brandito un coltello verso di lei. Nella prospettiva difensiva, la denuncia era stata favorita dal direttore generale dal momento che il ricorrente aveva una controversia con la società già dal 2012. La Corte territoriale ha escluso collegamenti tra i due fatti e ha escluso strumentalizzazioni. A specifica domanda, la donna ha chiarito che nel giudizio del lavoro aveva affermato che il direttore le aveva suggerito, per sua tutela, di sporgere la denuncia perché i comportamenti erano inaccettabili e lei, acquisita tale consapevolezza, aveva raccolto il consiglio. Non è contraddittoria poi la diversa lettura delle dichiarazioni del teste nel processo del lavoro. La Corte territoriale ha infatti preso le distanze dalle personali considerazioni del Giudice del lavoro, il quale aveva stigmatizzato il comportamento della donna perché non aveva preso misure conservative alternative alla denuncia, e ha correttamente rimarcato la differenza tra l'accertamento della giusta causa di licenziamento e l'accertamento della violenza sessuale. La decisione resiste dunque alle censure sollevate. 3.3. Il terzo motivo di ricorso relativo al diniego delle generiche non è specifico, perché il ricorrente non si è confrontato con la motivazione nel suo complesso, non considerando che la Corte territoriale, che pure ha analizzato gli elementi dedotti a favore, ha espresso un giudizio di gravità della condotta per la reiterazione degli episodi violenti nell'ambito del contesto lavorativo. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Cole ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.