La liquidazione controllata su iniziativa del debitore è ammissibile solo se vi è concreta utilità per i creditori

La pronuncia in commento, riguardante l’istanza di un debitore per l’apertura di una procedura di liquidazione controllata per sovraindebitamento, fornisce un’analisi approfondita del dibattito sull’ammissibilità della liquidazione controllata in assenza di una prospettiva di soddisfazione non simbolica dei creditori, offrendo un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della normativa del CCII alla luce del “Correttivo-ter”.

L'evoluzione giurisprudenziale sull'ammissibilità della liquidazione controllata in assenza di attivo per i creditori ha visto un cambiamento d'interpretazione, come evidenziato nel decreto del Tribunale di Ferrara. Inizialmente, si riteneva che la liquidazione controllata fosse ammissibile solo se sussistesse una prospettiva di soddisfacimento non simbolico dei creditori successivamente, un diverso orientamento ha ammesso la procedura anche in assenza di attivo, basandosi su una diversa interpretazione del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza CCII . Analizziamo i due orientamenti principali e la loro evoluzione. Primo orientamento Questo orientamento, cui aderiva inizialmente anche il Tribunale di Ferrara, considerava la possibile utilità per i creditori uno dei presupposti fondamentali per l'ammissibilità della liquidazione controllata ex articolo 268 CCII . Di conseguenza, se il reddito del debitore, al netto delle spese di mantenimento e delle spese procedurali, non fosse stato sufficiente a garantire un soddisfacimento non meramente simbolico dei creditori, la procedura era ritenuta inammissibile. In questo caso, per ottenere l'esdebitazione, si riteneva più appropriato il ricorso alla procedura di “sovraindebitamento incolpevole” ex articolo 283 CCII . Secondo orientamento Questo orientamento sosteneva che nessuna norma imponesse l'esistenza di beni utilmente liquidabili come presupposto per l'apertura della liquidazione controllata. Si faceva notare che il CCII prevedeva la possibilità di chiusura della procedura per assenza di attivo. Si argomentava, inoltre, che se era ammissibile la liquidazione giudiziale richiesta dal debitore in assenza di attivo lo stesso principio dovesse valere anche per la liquidazione controllata, data la loro somiglianza strutturale. Evoluzione Normativa con il “Correttivo-ter” al Codice della Crisi e dell'Insolvenza Il dibattito è stato poi influenzato dal cosiddetto “terzo correttivo” al CCII tale intervento normativo ha chiarito che, nel caso di domanda presentata dal debitore, l'utilità della procedura per i creditori è un requisito essenziale. In particolare, la relazione del Gestore della Crisi, allegata al ricorso, deve indicare se vi sia una concreta possibilità di acquisire attivo da distribuire ai creditori, anche attraverso azioni giudiziarie. La modifica ha superato il dubbio circa la possibilità di apertura di una liquidazione controllata senza prospettiva di soddisfazione dei creditori. Tale correttivo, inoltre, ha chiarito che la liquidazione controllata e la procedura di sovraindebitamento incolpevole sono due istituti diversi, non sovrapponibili. L'interpretazione del Tribunale di Ferrara Il Tribunale di Ferrara, con il decreto in esame, ha adottato un'interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata del CCII, tenendo conto del “terzo correttivo” i Giudici di merito hanno stabilito che la liquidazione controllata, su iniziativa del debitore, è ammissibile solo se vi è una concreta utilità per i creditori diversamente, il debitore deve ricorrere alla procedura dedicata al sovraindebitamento incolpevole. Inoltre, il Tribunale emiliano ha precisato che il Giudice deve valutare caso per caso la capacità del debitore di offrire utilità ai creditori, considerando le sue spese ed il contesto economico. In sostanza, l'evoluzione giurisprudenziale, in particolare a seguito del “Correttivo-ter”, ha consentito una maggiore chiarezza sul tema la liquidazione controllata su iniziativa del debitore ex articolo 268 CCII è subordinata alla possibilità di un soddisfacimento non simbolico dei creditori, mentre la procedura di sovraindebitamento incolpevole ex articolo 283 CCII è pensata per i casi in cui tale utilità non sia ravvisabile. Tale interpretazione mira a tutelare il diritto dei creditori ad essere almeno parzialmente soddisfatti, evitando che la procedura di liquidazione controllata diventi un mero strumento per l'esdebitazione senza alcun beneficio per i creditori.

Presidente Relatore Ghedini Fatto e diritto Il debitore versa senza dubbio in stato di sovraindebitamento egli è gravato da circa 60mila euro attribuibili a debiti sorti nel contesto della attività imprenditoriale di fotografo ormai cessata, convive con la madre in una casa condotta in locazione dalla madre stessa, è titolare di un reddito da lavoratore dipendente di circa 1750 euro in media al mese. La madre gode di una pensione di euro 611 al mese e paga un canone di locazione di 500 euro al mese. Il ricorrente è tenuto al pagamento di euro 700 quale assegno di mantenimento dei figli ed è evidente che non possa essere in grado di offrire alcuna utilità alla procedura, tenuto conto delle esigenze di mantenimento proprio e verosimilmente della necessità di concorrere al pagamento delle utenze e spese domestiche se non, attesa la esiguità della pensione materna, di sostenere per intero dette spese. Lo stesso debitore quantifica le spese mensili per il proprio mantenimento in euro 1620 atteso lo stipendio medio la cifra che egli potrebbe al più destinare ai creditori ammonta a poco più di 100 euro mensili per un totale, tenuto conto della durata della procedura, di 3.600 euro. Infatti, giova rammentare che, ratificando l'orientamento giurisprudenziale nettamente prevalente, il legislatore del terzo correttivo ha modificato l'articolo 272 comma 3 CCI, individuando in tre anni dalla apertura la durata della liquidazione, fatta salva una durata ulteriore per il completamento delle operazioni di liquidazione. Il termine di tre anni deriva dal termine a decorrere dal quale, anche se ancora pendente la liquidazione, il debitore può ottenere la esdebitazione con la esdebitazione i crediti vantati verso il debitore, e che integrano la legittimazione della procedura a operare lo spossessamento dei beni ed a apprendere anche la quota di reddito o di pensione, divengono inesigibili con la conseguenza che non è più possibile acquisire alcun bene all'attivo, nemmeno la quota di emolumento mensile che il debitore riceve. Se dunque il massimo di attivo che la procedura potrebbe ricavare dalla liquidazione controllata del ricorrente è di 3600 euro, tenuto conto delle spese della procedura tra cui il compenso del gestore e del liquidatore, appare evidente che non vi è una seria possibilità che si dia luogo a un soddisfacimento non meramente simbolico dei creditori. Ciò premesso occorre dare conto che la legge applicabile alla presente fattispecie, ovvero il CCI come modificato dal terzo correttivo entrato in vigore il 27.9.24, ha chiarito, superando il contrasto prima esistente, il dubbio circa la possibilità di apertura di una liquidazione controllata senza prospettiva di soddisfazione dei creditori concorsuali. E' noto che si distinguevano due orientamenti di merito il primo che individuava nella possibile utilità per i creditori concorsuali uno dei presupposti della liquidazione controllata e pertanto la riteneva inammissibile quando il reddito da lavoro o pensione, tenuto conto delle spese di mantenimento, non fosse tale, considerate le spese di procedura, da assicurare un non simbolico soddisfacimento dei creditori concorsuali. Secondo tale orientamento cui aderiva questo Tribunale la possibilità di ottenere, per il debitore persona fisica, la esdebitazione era assicurata dal diverso istituto della esdebitazione dell'incapiente. In ogni caso si segnalava che sia la esdebitazione in esito alla liquidazione controllata che quella di cui all'articolo 283 CCI presuppongono il sovraindebitamento incolpevole, e che sotto tale profilo gli istituti erano sovrapponibili. Il secondo orientamento faceva leva sul fatto che nessuna norma impone va , quale presupposto della apertura della liquidazione controllata la esistenza di beni utilmente liquidabili che offrano una prospettiva di soddisfazione ai creditori concorsuali che l'articolo 276 comma 1, in punto di chiusura, richiama, con il limite della compatibilità, l'articolo 233 CCI che a sua volta comprende anche la ipotesi di chiusura per assenza di attivo, e che quindi, essendo prevista la possibilità di chiusura di una liquidazione controllata per assenza di attivo essa doveva essere ritenuta ammissibile. Inoltre, si sosteneva che non esistevano dubbi sulla ammissibilità di una liquidazione giudiziale richiesta dallo stesso debitore pur in assenza di attivo, e che quindi, atteso che la procedura liquidatoria del sovra indebitato mutuava la sua struttura dalla procedura maggiore, l'inevitabile parallelismo portava ad ammettere tale ipotesi anche per la procedura minore. A tali osservazioni chi aderiva al primo orientamento replicava che se pacificamente è ammissibile una istanza di liquidazione giudiziale in proprio in assenza di attivo, non si può fare la stessa affermazione per la liquidazione controllata infatti l'imprenditore sopra soglia non ha altra possibilità a parte gli strumenti di composizione per conseguire la esdebitazione se non passare attraverso la procedura liquidatoria, mentre il debitore persona fisica che non abbia alcuna utilità da offrire ai propri creditori non è obbligato a percorrere la via della liquidazione controllata per potere accedere alla esdebitazione, poiché' a tale scopo l'ordinamento ha previsto lo strumento dedicato della esdebitazione dell'incapiente T. Palermo 30.9.22 . Quanto alla chiusura senza attivo, pur essendo il richiamo alla regola dell'articolo 233 nella sua interezza, la clausola di compatibilità impone una verifica tale verifica, in forza della presenza nel sistema del sovraindebitamento dell'istituto ex articolo 238 CCI, consentiva di escludere che nella liquidazione controllata aperta su istanza del debitore fosse possibile pervenire ad una apertura, e quindi a una chiusura, senza attivo. La nuova norma, come modificata dal correttivo sopra citato, consente di ritenere superato ogni dubbio circa il fatto che, in riferimento alla possibilità del debitore e quindi a una sua iniziativa, i due istituti della liquidazione controllata e della esdebitazione dell'incapiente siano due istituti alternativi che disciplinano due ipotesi diverse e non sovrapponibili. Infatti, l'articolo 268 comma 3 CCI prevede che “quando la domanda è proposta da un creditore nei confronti di un debitore persona fisica non si fa luogo all'apertura della liquidazione controllata se l'OCC, su richiesta del debitore, attesta che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l'esercizio di azioni giudiziarie. All'attestazione sono allegati i documenti di cui all'articolo 283, comma 3. Il debitore eccepisce l'impossibilità di acquisire attivo entro la prima udienza allegando all'attestazione i documenti di cui all'articolo 283, comma 3. Se il debitore dimostra di aver presentato all'OCC la richiesta di cui al primo periodo e l'attestazione non è ancora stata redatta, il giudice concede un termine non superiore a sessanta giorni per il deposito dell'attestazione.” la attestazione circa la mancata possibilità di distribuire attivo ai creditori concorsuali nemmeno a mezzo di azioni che il liquidatore può promuovere consente di pervenire al rigetto della richiesta del creditore di apertura della liquidazione. Per converso, quanto alla ipotesi di domanda di apertura avanzata dallo stesso debitore, il presupposto di utilità della procedura viene in rilievo tramite il contenuto obbligatorio della relazione del gestore che deve essere allegata al ricorso articolo 269 seconda parte «La relazione indica le cause dell'indebitamento e la diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni e contiene l'attestazione di cui all'articolo 268, comma 3, quarto periodo.» . Il caso di una liquidazione controllata senza attivo distribuibile diviene del tutto marginale e relegata alla ipotesi di una richiesta del creditore a fronte della quale il debitore nulla eccepisce. Tale lettura è suffragata dalla disamina della relazione illustrativa al terzo correttivo al CCI, che riferisce le modifiche apportate all'intenzione di escludere il ricorso alla procedura liquidatoria in assenza di attivo utilmente distribuibile ai creditori. In verità la lettura dell'articolo 283 comma 2 come ridisegnato dal terzo correttivo potrebbe indurre a diversa conclusione ovvero ad affermare che vi siano casi in cui il debitore ha utilità che può destinare al soddisfacimento dei creditori ma, ciò nonostante, può accedere alla esdebitazione dell'incapiente. Si tratta della ipotesi che è stata definita dai primi commentatori come quella del “falso incapiente”. Infatti, il primo comma dell'articolo 283 CCI continua a riferire l'istituto della esdebitazione dell'incapiente a colui che non è in grado di offrire ai creditori concorsuali alcuna utilità il richiamo e la simmetria con la espressione che il legislatore utilizza per definire il presupposto della liquidazione controllata sono evidenti. Se la lettura si fermasse al primo comma il sistema sarebbe chiaro e coerente il debitore può ricorrere alla liquidazione laddove vi sia seria possibilità di distribuire attivo ai creditori, mentre può ricorrere al beneficio della esdebitazione dell'incapiente quando, appunto, tale possibilità non vi sia. Tanto è vero che l'istituto ex articolo 283 CCI non è procedura concorsuale e non ha alcuna ambizione o scopo di soddisfare i creditori. Il terzo correttivo ha però modificato anche il secondo comma della norma in esame la regola contenuta nel secondo comma prima del correttivo non definiva chi fosse incapiente ma quale era la soglia di rilevanza posta per determinare la rilevanza delle eventuali utilità sopravvenute nei quattro anni che faceva rivivere il diritto dei creditori ad essere pagati. Ora invece, espressamente la norma fa richiamo al presupposto di cui al primo comma primo periodo, per definirlo, essendo sparito ogni riferimento alla soglia di rilevanza delle eventuali utilità sopravvenute. Ebbene a fronte di un non modificato fattore fisso che chiameremo x l'assegno sociale aumentato della metà e moltiplicato per il paramelo la norma stabilisce che sia incapiente colui il cui reddito annuo, detratte le spese necessarie al mantenimento suo e della famiglia, sia inferiore a x. Pertanto, sarebbe incapiente ovvero non sarebbe in grado di offrire ai creditori concorsuali alcuna utilità, secondo la definizione del primo comma anche colui che ha una eccedenza di reddito rispetto a quanto gli occorre per mantenere sé stesso e la sua famiglia, purché' questa eccedenza non superi x. Il secondo comma, applicato alla lettera, ci restituisce come incapiente e potenziale beneficiario della esdebitazione quel debitore che ha eccedenze di reddito rispetto a quanto gli serve per mantenersi, eccedenze che, in una ipotesi di accesso alla liquidazione controllata, può destinare al soddisfacimento dei propri creditori, e quindi colui che, secondo la definizione dettata dal primo comma è “capiente”. Si tratta di un corto circuito inverosimile e irragionevole, posto che induce a estendere il beneficio anche a colui che, pacificamente, non è incapiente. Occorre quindi a questo punto ricorrere a uno sforzo interpretativo che consenta il rispetto del sistema e delle norme costituzionali. Da un lato infatti non si ritiene potersi revocare in dubbio che, alla luce del terzo correttivo, il sistema sia quello di consentire all'accesso alla liquidazione controllata, da parte del debitore persona fisica in proprio, solo in presenza di utilità della procedura per i creditori, in alternativa potendo e dovendo il debitore ricorrere allo strumento ad hoc di cui all'articolo 283 CCI, diversamente dovendo ipotizzare due strumenti parzialmente sovrapponibili di cui solo uno con prospettiva di soddisfacimento dei creditori con il che ovviamente il debitore capiente, ma solo con redditi da lavoro o da pensione, sarebbe comprensibilmente portato a optare per il beneficio dell'incapiente che gli consente di trattenere per sé la eccedenza distribuibile. Ciò sarebbe irragionevole e asistematico e ingiustamente deteriore per i creditori. Dall'altro lato infatti la opzione della sovrapponibilità dei due istituti comporterebbe una irragionevole compressione del diritto, avente rango costituzionale, dei creditori concorsuali che si vedrebbero espropriati del loro diritto, sia pure nella forma della inesigibilità, pure a fronte della possibilità, se si ricorresse all'istituto “concorrente” della liquidazione controllata, di essere almeno parzialmente soddisfatti. Tale compressione non troverebbe adeguata giustificazione nella esigenza, ormai anche di ispirazione comunitaria, di consentire la esdebitazione una tantum del debitore incapiente incolpevole, poiché' nella ipotesi in commento il medesimo risultato -la esdebitazione il debitore potrebbe ottenerlo con la liquidazione in proprio, immutato nei due istituti il presupposto soggettivo della mancata colpevolezza del sovraindebitamento. E' quindi doveroso interpretare la norma di cui all'articolo 283 CCI in senso complessivo e avendo riguardo al sistema unitario degli istituti del sovraindebitamento, non fermandosi al dato puramente letterale disegnato dal secondo comma, valorizzando la definizione che il primo comma dà dell'incapiente e il sistema della alternatività fra i due istituti in commento con il risultato che dovrà essere di volta in volta il giudice, previa identificazione della somma necessaria al mantenimento del debitore e della sua famiglia avendo riguardo alle necessità specifiche ed al costo della vita del luogo di residenza, a valutare se il debitore sia in grado di offrire qualche utilità ai propri creditori, tenuto conto delle spese e della durata della procedura liquidatoria di riferimento, ovvero della liquidazione controllata con ciò rispettando il parametro di uguaglianza sostanziale che impone al giudice di non fermarsi alla eguaglianza formale ma di trattare in maniera diversa situazioni diverse. In sostanza il giudice dovrà fare la medesima valutazione, ma in negativo, che deve fare laddove deve valutare la ammissibilità di una richiesta in proprio di liquidazione controllata. Questa interpretazione, che passa per una mancata valorizzazione del dato letterale del secondo comma dell'articolo 283 CCI -forse frutto di un lapsus calami-, e che trova la sua ragione in un criterio sistematico e costituzionalmente orientato, consente peraltro di confermare l'impianto del CCI come emerge dalla relazione illustrativa al terzo correttivo e che vede, con riguardo alle possibilità offerte al debitore persona fisica non imprenditore, gli istituti della liquidazione controllata e dell'incapiente come speculari ed alternativi il primo destinato a chi abbia utilità da distribuire ai creditori, tenuto conto delle spese della procedura e della sua durata, e il secondo dedicato a chi non abbia alcuna utilità da distribuire ai creditori. Tornando al caso in esame, in considerazione dei redditi del ricorrente e delle sue verosimili spese di mantenimento, non appare possibile ritenere che sia verosimile una soddisfazione, non simbolica, dei creditori. La verosimile soddisfazione anche parziale dei creditori va parametrata a un soddisfacimento non simbolico e non irrisorio e questo andrà valutato con riguardo alla verifica che il gestore avrà fatto delle utilità acquisibili dalla procedura, delle spese della procedura stessa, e della composizione del passivo. La domanda deve quindi essere dichiarata inammissibile, non potendosi non rilevare peraltro che il gestore nominato dall'OCC, nonostante la relazione risulti redatta in data 15.10.24, abbia del tutto omesso di indagare sul presupposto previsto dalla legge, dimostrando quindi di ignorare la modifica legislativa intervenuta. P.Q.M. Dichiara inammissibile la istanza di apertura della liquidazione controllata.