Il comodato familiare è precario?

Il comodato di immobile per «vivere con la propria famiglia» non è precario pertanto, il comodante non può richiedere la restituzione del bene a proprio piacimento ai sensi dell’articolo 1810 c.c. Lo ha ribadito la Suprema Corte, chiarendo le principali caratteristiche del contratto di comodato «propriamente detto» e del «comodato senza determinazione di durata».

Il sig. G.F, quale trustee del trust «Famiglia F.», ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale il sig. R.F. per sentirlo condannare alla restituzione immediata dell'immobile compreso tra i beni del trust «Famiglia F.» e già concessogli in comodato per «vivere con la propria famiglia» nonché al pagamento di una penale per il ritardo nel dar seguito alla richiesta stragiudiziale di restituzione del bene . Ciò sul presupposto che il comodato di cui si discute fosse precario e dunque il comodante potesse richiedere la restituzione dell'immobile a proprio piacimento, ai sensi dell' articolo 1810 c.c. Il sig. R.F. ha contestato le pretese attoree, che sono state rigettate anzitutto dal Tribunale e poi dalla Corte d'Appello. Invero, il comodato di immobile per «vivere con la propria famiglia» è stato qualificato dai giudici di merito come un comodato a tempo determinato , essendo il termine desumibile dall'uso pattuito per il bene.     Avverso la decisione dei giudici di secondo grado, il sig. G.F. ha proposto ricorso per Cassazione, censurando la qualificazione del contratto come comodato a tempo determinato. Invero, a parere del ricorrente, sussistevano due ragioni per qualificare il contratto dedotto in causa come comodato precario a l'espressione «vivere con la propria famiglia» era generica e indeterminata , sicché avrebbe inammissibilmente introdotto una sorta di diritto reale sul bene non tipizzato dalla legge e, in ogni caso, avrebbe inammissibilmente consentito il possibile protrarsi del vincolo contrattuale per tutta la vita del comodatario b le parti avevano pattuito che il comodatario avrebbe dovuto restituire il bene al comodante entro trenta giorni dalla richiesta . La Suprema Corte non ha però accolto la tesi del sig. G.F., sulla base della seguente argomentazione esistono due tipi di comodato, ossia a il comodato «propriamente detto», regolato dagli articolo 1803 e 1809 c.c. e b il comodato precario , disciplinato dall' articolo 1810 c.c. e definito «comodato senza determinazione di durata». In caso di comodato «propriamente detto», il comodatario deve restituire subito il bene se sopravviene un bisogno urgente e imprevisto del comodante articolo 1809 c.c. invece, in caso di comodato precario, il comodatario deve restituire il bene non appena il comodante gliene faccia richiesta articolo 1810 c.c. nel contratto di comodato, il termine finale può risultare dall'uso a cui il bene deve essere destinato, quando a tale uso sia connaturata una durata predeterminata nel tempo v. Cass., Sez. Unumero , numero 3168/2011 nonché, fra le altre, Cass. numero 15877/2013 il comodato di immobile stipulato per la soddisfazione di esigenze abitative familiari del comodatario, pur inquadrabile nello schema del «comodato a termine indeterminato», non è precario , perché la determinazione della durata della concessione è desumibile dall'uso convenuto v. Cass., Sez. Unumero , numero 20448/2014 , nonché, fra le altre Cass., ord., numero 27634/2023 e Cass. numero 20118/2024 Nella fattispecie concreta, non poteva argomentarsi il carattere precario del comodato né in ragione della potenziale durata del vincolo contrattuale per tutta la vita del comodatario né in ragione dell'obbligo del comodatario di restituire il bene entro trenta giorni dalla richiesta del comodante. Del resto, da un lato, il riferimento a un'esigenza che potrebbe sussistere per tutta la vita del comodatario permette pur sempre di individuare un termine finale di durata del comodato dall'altro lato, l' obbligo di restituire il bene entro trenta giorni dalla richiesta del comodante deve essere correlato al venir meno dello scopo per cui il contratto era stato stipulato e non già a una sua mortificazione ad arbitrio del comodante, come è nella logica della precarietà . Il sig. G.F. dovrà, dunque, rassegnarsi alla realtà potrà ottenere la restituzione dell'immobile non già a proprio piacimento, bensì quando si verificheranno le condizioni previste dall' articolo 1809 c.c.

Presidente Frasca - Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Fe.Gi., in qualità di trustee del Trust famiglia Fe.Gi. e Ma. , convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, Fe.Ro., chiedendo che fosse dichiarata la cessazione del contratto di comodato del 30 ottobre 2009, con conseguente condanna del convenuto al rilascio dell'appartamento sito a T, con il pagamento di una penale pari ed Euro 36.010. A sostegno della domanda espose, tra l'altro, che tra i beni appartenenti al trust di famiglia, costituito in data 4 dicembre 2010, vi era anche l'appartamento suindicato, concesso a suo tempo in comodato al convenuto. Di quel bene l'attore dichiarava di aver chiesto la restituzione al comodatario, non avvenuta e poiché il contratto prevedeva il pagamento di una penale giornaliera per il ritardo, l'attore chiese che il convenuto fosse condannato, oltre che al rilascio, anche al pagamento della somma suindicata a titolo di penale. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale rigettò la domanda e condannò l'attore al pagamento delle spese di lite. 2. La decisione è stata impugnata dall'attore soccombente e la Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 30 maggio 2023, ha rigettato il gravame e ha condannato l'appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado. Esaminando congiuntamente il primo e il secondo motivo di appello, la Corte territoriale li ha ritenuti entrambi infondati. Concordando con l'impostazione data dal Tribunale, la Corte ha affermato che, nel caso specifico, il contratto di comodato non prevedeva il diritto di Fe.Ro. a rimanere nell'immobile fino al momento in cui fosse esistita una sua famiglia. Prevedeva, invece, la possibilità, per il comodatario, di servirsi del bene per l'uso specifico di vivere con la propria famiglia , cosi che il termine implicito di durata discendeva dalla destinazione impressa al bene. La sentenza ha ricordato che, per costante giurisprudenza, esistono due forme di comodato quello propriamente detto, disciplinato dagli articolo 1803 e 1809 cod. civ. , e quello c.d. precario, disciplinato dall' articolo 1810 cod. civ. sotto la rubrica comodato senza determinazione di durata . Nel primo caso, il comodato sorge con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale e la restituzione immediata può essere chiesta solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno articolo 1809, secondo comma, cit. . Nel secondo caso, regolato dall' articolo 1810 cod. civ. , la mancata pattuizione di un termine consente al comodante di richiedere ad nutum al comodatario la restituzione del bene. Il contratto in esame, secondo la Corte torinese, rientrava nella prima ipotesi, trattandosi di comodato destinato a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario destinazione, questa, di per sé incompatibile con un godimento caratterizzato dall'incertezza e avente per sua natura una determinazione della durata. E in simile ipotesi, per costante giurisprudenza, il comodante non può chiedere la restituzione del bene ad nutum, né il comodante aveva dimostrato che il comodatario avesse smesso di usare l'immobile per viverci con la propria famiglia. Rispetto a tale ricostruzione la Corte torinese non ha ritenuto incompatibile l'articolo 2 del contratto, in base al quale il comodatario si impegnava a restituire il bene entro trenta giorni dalla richiesta dei comodanti l'articolo 2, infatti, ad avviso della Corte, non prevedeva un termine espresso di durata del comodato, destinato a soddisfare esigenze di per sé incompatibili con una durata limitata nel tempo. La sentenza, infine, ha affermato essere irrilevante la circostanza, prospettata dall'appellante, secondo cui il bisogno imprevisto e urgente era costituito dal mutamento del beneficiario del trust, riferendosi la legge alla comparsa di esigenze impreviste e serie, non identificabili con un desiderio voluttuario o capriccioso. 3. Contro la sentenza della Corte d'Appello di Torino ha proposto ricorso Fe.Gi., in qualità di trustee del Trust famiglia Fe.Gi. e Ma. , con atto affidato a due motivi. Ha resistito con controricorso Fe.Ro. Il ricorso è stato ritenuto inammissibile con una proposta di definizione anticipata ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., depositata dal Consigliere relatore in data 16 aprile 2024. Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto opposizione, chiedendo che il ricorso venga deciso, e la trattazione è stata fissata ai sensi dell' articolo 380-bis 1 cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni. Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all' articolo 360, primo comma, numero 3 , cod. proc. civ. , violazione e falsa applicazione dell' articolo 1809 cod. civ. e omessa applicazione dell' articolo 1810 cod. civ. , in relazione alla figura del comodato precario. Sostiene il ricorrente che, in mancanza di particolari prescrizioni sulla durata, l'uso corrispondente alla generica destinazione dell'immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, di conseguenza, un comodato precario in quanto revocabile ad nutum. Ammettere un comodato per tutta la durata di vita di una famiglia equivale a costituire una sorta di diritto reale sulla cosa non tipizzato dalla legge. Poiché il termine famiglia è generico e indeterminato, il comodato potrebbe essere prolungato per tutta la vita del comodatario. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all' articolo 360, primo comma, numero 3 , cod. proc. civ. , violazione o falsa applicazione degli articolo 1362, 1371 e 1372 cod. civ. e dei criteri di interpretazione dei contratti. Secondo il ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe confuso due contenuti, perché nel caso specifico la durata del contratto è espressamente regolata dall'articolo 2, che prevede appunto che il comodatario sia tenuto a restituire il bene entro i trenta giorni dalla richiesta. Il diritto di recesso, quindi, ha una sua regolazione contrattuale, che la Corte d'Appello non ha nella specie applicato, e che conferma trattarsi di un comodato precario. L'interpretazione della Corte d'Appello, inoltre, sarebbe in contrasto con l' articolo 1371 cod. civ. , perché finirebbe col rendere il contratto più gravoso per l'obbligato, che è il contrario di quanto la suindicata norma prevede. 3. La Corte ritiene opportuno, innanzitutto, trascrivere i passaggi più significativi della proposta di definizione anticipata redatta, ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., dal Consigliere delegato in data 16 aprile 2004. Si legge in detta proposta, tra l'altro, che ove il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, si versa nell'ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare in tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso allo stesso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario idoneo a conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la eventuale crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante, salva la facoltà di quest'ultimo di chiedere la restituzione nell'ipotesi di sopravvenienza di un bisogno, ai sensi dell' articolo 1809, comma 2, cod. civ. , segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione Cass. Sez. U., Sentenza numero 13603 del 21/07/2004 , Rv. 575657 Cass. Sez. 2, Sentenza numero 3072 del 13/02/2006 , Rv. 592981 . La citata proposta rileva, inoltre, che il ricorrente peraltro non si confronta con la motivazione addotta in sentenza, ma anzi inammissibilmente insiste nell'assunto difensivo esplicitamente confutato dai giudici a quibus, tenendo in non cale quanto al riguardo da essi rilevato, là dove rimarcano che, a differenza di quanto afferma l'appellante , il Tribunale non ha affermato che il comodato abbia durata fino a quando esista una 'famiglia' del signor Fe.Ro. ma che sia destinato a consentire che il comodatario si serva del bene per l'uso specifico di vivere con la propria famiglia , con termine implicito di durata correlato alla destinazione impressa e quindi fissato per relationem all'avvenuto dissolversi di tale esigenza . Il ricorrente, nel chiedere che il ricorso venisse deciso ai sensi del secondo comma dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., ha insistito nelle proprie argomentazioni, inserendo in memoria la suggestiva argomentazione secondo cui ammettere la validità di un contratto di comodato per tutta la vita di una famiglia significherebbe creare un'abnormità giuridica , di fatto costituendosi in tal modo un diritto reale atipico, in contrasto con la natura chiusa dei diritti reali. 4. La Corte rileva, intanto, che è corretta la distinzione richiamata dalla Corte torinese tra comodato propriamente detto, regolato dagli articolo 1803 e 1809 cod. civ. , e comodato c.d. precario di cui all' articolo 1810 cod. civ. , definito dalla legge comodato senza destinazione di durata. La differenza tra le due ipotesi acquista importanza decisiva per quanto riguarda la facoltà di chiedere la restituzione del bene, perché nel primo caso l'obbligo di restituzione e regolato dall'articolo 1809 cit., mentre nel secondo il comodatario è tenuto alla restituzione non appena il comodante gliene faccia richiesta ad nutum . Si tratta, quindi, di stabilire se, pacifica essendo tale distinzione, la Corte subalpina abbia fatto corretta applicazione del sistema normativo, alla luce dei numerosi precedenti di questa Corte in argomento. Giova rammentare, in proposito, che, ferma la giurisprudenza indicata nella proposta di definizione anticipata, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che nel contratto di comodato il termine finale può risultare dall'uso cui la cosa deve essere destinata, in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo per cui, in mancanza di tale destinazione, l'uso del bene risulta qualificato a tempo indeterminato, divenendo in tale ipotesi il comodato precario e, perciò, revocabile ad nutum da parte del proprietario sentenza 9 febbraio 2011, numero 3168, ribadita, tra le altre, dalla sentenza 25 giugno 2013, numero 15877 . Successivamente le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 29 settembre 2014, numero 20448 - ripercorrendo i vari orientamenti in materia e dando continuità alla precedente sentenza 21 luglio 2004, numero 13063 - hanno stabilito, tra l'altro, che il comodato di bene immobile stipulato per la soddisfazione di esigenze abitative familiari del comodatario, pur inquadrabile nello schema del comodato a termine indeterminato , non è, in punto di disciplina, riconducibile al comodato senza determinazione di durata altrimenti denominato precario regolato dall' articolo 1810 cod. civ. , bensì alla figura prevista dall' articolo 1809 cod. civ. , in quanto la determinazione della durata della concessione, non ancorata ad un termine prefissato, è comunque desumibile per relationem dall'uso convenuto. Ed hanno poi aggiunto che a questo genere di comodato, ispirato da finalità solidaristiche, mal si attaglia la natura instabile della situazione negoziale di cui all' articolo 1810 cod. civ. . L'insegnamento contenuto nella sentenza numero 20448 del 2014 è stato ripreso e confermato in più occasioni v., tra le decisioni più recenti, le ordinanze 29 settembre 2023, numero 27634, e 22 luglio 2024, numero 20118 e deve essere ulteriormente ribadito nella pronuncia odierna. La richiamata giurisprudenza, peraltro, ha specificamente concentrato la propria attenzione - tentando di dare risposta ad un problema di pressante attualità - alle sorti del comodato per le esigenze della famiglia in caso di sopravvenienza di figli e di crisi della coppia. Tale situazione non trova riscontro nella vicenda odierna, nella quale si tratta di stabilire come vada interpretata una clausola secondo cui il comodatario può servirsi del bene immobile per l'uso specifico di vivere con la propria famiglia . È opportuno ricordare che questa Corte ha già affermato - con un orientamento al quale l'odierna pronuncia intende dare continuità - che la concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l'an ed incerto il quando, atteso che, con l'inserimento di un elemento accidentale per l'individuazione della precisa durata nella specie, la massima possibile, ossia per tutta la durata della vita del beneficiario , il comodante ha limitato la possibilità di recuperare, quando voglia, la disponibilità materiale dell'immobile, rafforzando, al contempo, la posizione del comodatario, a cui viene garantito il godimento per tutto il tempo individuato sentenza 18 marzo 2014, numero 6203 . E la Corte d'Appello, infatti, ha chiarito che la clausola doveva essere interpretata non nel senso di garantire la durata del comodato fino a quando esista una famiglia di Fe.Ro., in quanto il collegamento con la vita della propria famiglia conteneva in sé, per implicito, l'idea di un termine correlato con quella destinazione. È indubbio, d'altra parte, che il riferimento alla vita del comodatario, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, permette pur sempre di individuare un termine finale, per quanto anche molto lontano, nel quale il contratto avrà termine per cui la disciplina da applicare non può che essere quella dell' articolo 1809 cod. civ. , come correttamente stabilito dalla Corte d'Appello, non potendo il comodato in questione essere connotato dalla precarietà. Ed è appena il caso di evidenziare come sia improprio, da parte del ricorrente, il richiamo all'ordinanza 15 ottobre 2020, numero 22309, di questa Corte, avendo detta pronuncia ad oggetto un comodato destinato ad uso commerciale. Si deve, inoltre aggiungere, che l'esclusione della precarietà trova riscontro anche in queste altre considerazioni suggerite dal tenore delle clausole contrattuali. In particolare a l'indicazione nella clausola 1.3. dello scopo del comodato nel vivere con la propria famiglia , esprimendo un evidente interesse ad assicurare gratuitamente il godimento in funzione della convivenza della famiglia del comodatario, se confrontato con la clausola che prevede l'obbligo di restituzione entro trenta giorni dalla richiesta, giustifica - proprio per la particolarità dello scopo contemplato - che quest'ultima clausola non debba interpretarsi nel senso di assicurare la sua mortificazione ad arbitrio del comodante come nella logica della precarietà , ma, all'evidenza alla cessazione della vivenza della famiglia del comodatario nell'immobile, cioè all'impiego di esso per un uso diverso b milita nello stesso senso l'espressa previsione - nel secondo inciso della clausola 2.1. - della immediata risoluzione nel caso di separazione coniugale o di decesso del comodatario l'una e l'altra ipotesi integrano fattispecie di cessazione della vivenza della famiglia nell'immobile e la prima può essere integrata anche dalla permanenza nel godimento del bene del solo comodatario. 5. Il ricorso, pertanto, è rigettato. Ritiene la Corte, tuttavia, in considerazione della delicatezza della vicenda, della serietà delle argomentazioni proposte dal ricorrente e della non sempre pacifica univocità degli orientamenti della giurisprudenza, che le spese del giudizio di cassazione debbano essere compensate. Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all' articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115 , per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi dell 'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 11 5, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.