La notifica all’imputato dell’avviso di accertamento da parte dell’INPS può essere perfezionata attraverso la compiuta giacenza, sulla scorta del costante orientamento secondo il quale «la notificazione può essere effettuata anche a mezzo del servizio postale mediante raccomandata inviata o presso il domicilio del datore di lavoro o presso la sede dell'azienda».
Con sentenza del 28 marzo 2024, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Verbania del 10 marzo 2022, con la quale, riconosciuta la recidiva ai sensi dell'articolo 99, commi primo e secondo, numero 1 , cod. penumero , l'imputato era stato condannato alla pena di mesi 1 e giorni 15 di reclusione ed € 375,00 di multa, in ordine al reato di cui all'articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 12 settembre 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, a lui ascritto per avere, quale datore di lavoro, legale rappresentante della ditta X , omesso di versare all'INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per l'anno 2016, per un importo pari ad € 15.515,00. Avverso la sentenza, l'imputato, tramite li difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. Con un primo motivo di doglianza la difesa pone l'eccezione di legittimità costituzionale degli articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, e 420-bis, comma 4, cod. proc. penumero , per violazione degli articolo 2,3,13,24,25,27, 111,112, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU, altresì censurando la violazione dell'articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983 e dell'articolo 415-bis cod. proc. penumero ed il relativo vizio di motivazione, con riguardo all'omessa notifica all'imputato dell'avviso di accertamento da parte dell'INPS. Nel caso in esame, difetterebbe la condizione di punibilità, sul rilievo che, né alla società X, né al legale rappresentante I. D, sarebbe mai stata effettuata, con le regole proprie della notifica degli atti civili ed amministrativi di cui all'articolo 140 cod. proc. civ., alcuna notifica dell'avviso di accertamento previsto dall'articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983. Né la predetta comunicazione sarebbe stata effettuata con raccomandata con avviso di ricevimento del deposito in giacenza della contestazione, non risultando agli atti la ricevuta di ritorno della notificazione né presso la nuova sede della società né presso la nuova residenza dell'imputato con la conseguenza che il ricorrente non avrebbe potuto essere condannato con decreto penale di condanna e l'esercizio dell'azione penale non avrebbe potuto essere effettuato prima del compimento del procedimento amministrativo presupposto. Secondo la difesa, li Tribunale di Verbania, applicando la teoria del reato a formazione progressiva, avrebbe erroneamente ritenuto il decreto di citazione a giudizio immediato, conseguente all'opposizione al decreto penale di condanna, equipollente alla notifica dell'avviso di accertamento dell'autorità amministrativa, la cui omissione, all'opposto, non avrebbe fatto maturare li termine di tre mesi entro i quali il datore di lavoro avrebbe potuto versare il dovuto. Non essendo ancora maturato tale termine, pertanto, non si sarebbe verificata la condizione di procedibilità, presupposto per l'esercizio stesso della successiva azione penale. Tale modalità avrebbe dunque violato li diritto di difesa dell'imputato, oltre che le garanzie a questo garantite dall'articolo 415-bis cod. proc. penumero , in ordine alla scelta di un rito diverso. La Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile ed ha dichiarato il primo motivo di censura manifestamente infondato alla luce del proprio costatante orientamento «le modalità di comunicazione dell'avviso in oggetto non sono soggette a particolari formalità, non applicandosi il regime delle notificazioni previsto per i soli illeciti di natura amministrativa dalla legge numero 689 del 24 novembre 1981, né quello delle notificazioni previsto dal codice di procedura penale la notificazione ben può essere, pertanto, anche effettuata a mezzo del servizio postale mediante raccomandata inviata o presso il domicilio del datore di lavoro o presso la sede dell'azienda» Sez. U., numero 1855 del 24/11/2011, Rv. 251268 Sez. 3, numero 26054 del 14/02/2007, Rv. 237202 Sez. 3, numero 9518 del 22/02/2005, Rv. 230985 . Anche in caso di compiuta giacenza della relativa raccomandata di invio, dunque, la comunicazione della contestazione deve ritenersi validamente perfezionata proprio in virtù della presunzione appena ricordata, come costantemente affermato, del resto, dalle Sezioni civili di questa Corte Sez. U., numero 321 del 12/06/1999, Rv. 527332 Sez. 2, numero 1188 del 10/12/2013, dep. 2014, non massimata Sez. L., numero 6527 del 24/04/2003, Rv. 562463 e, sempre con riguardo alla fattispecie della comunicazione dell'avviso Inps, di contestazione, da questa stessa sezione Sez. 3, numero 45451 cel 18/07/2014, non massimata . Sicché, in altri termini, in caso di impiego del mezzo postale, la comunicazione si perfeziona per il notificante nel momento in cui il piego è depositato all'ufficio postale e, per il destinatario, nel momento in cui il medesimo piego sia dallo stesso ritirato ovvero, appunto, con il decorso della compiuta giacenza qualora la raccomandata non gli venga consegnata per assenza sua e di altra persona abilitata a riceverla. Né, d'altra parte, risulta che, nella specie, il ricorrente abbia allegato alcuna circostanza atta a dimostrare di essere stato, senza colpa, nell'impossibilità di avere avuto notizia dell'atto, potendo la predetta presunzione essere superata mediante la prova di un fatto o di una situazione che spezzi od interrompa in modo duraturo il collegamento tra il destinatario e il luogo di destinazione della comunicazione e che tale situazione sia incolpevole, ovvero non superabile con l'uso dell'ordinaria diligenza Sez. 2, numero 20482 del 06/10/2011, Rv. 619861 Sezione L., numero 25824 del 2013, non massimata . Per le ragioni che precedono, deve dunque ritenersi irrilevante - prima ancora che manifestamente infondata - la questione di legittimità costituzionale degli articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, e 420-bis, comma 4, cod. proc. penumero ,per violazione degli articolo 2,3,13,24,25,27,111,112,117 Cost. e 6 e 7 CEDU, nella parte in cui configurano nel corso del processo, in assenza dell'imputato, una fattispecie di reato a formazione progressiva a danno dell'imputato medesimo, che si presume a conoscenza sostanziale ed effettiva della possibilità di avvalersi della causa di non punibilità di cui all'articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983, per effetto della semplice conoscenza da parte del difensore. La prospettazione difensiva presuppone, infatti, la mancata notificazione della comunicazione all'imputato, smentita dagli atti. Per tutte le argomentazioni suesposte, la Corte di Cassazione ha ritenuto di dichiarare inammissibile il ricorso e per l'effetto di condannare il ricorrente alle spese processuali e al pagamento di euro 3000 alla cassa delle ammende.
Presidente Ramacci – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28 marzo 2024, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Varbania del 10 marzo 2022, con la quale, riconosciuta la recidiva ai sensi dell'articolo 99, commi primo e secondo, numero 1 , cod. penumero , l'imputato era stato condannato alla pena di mesi 1 e giorni 15 di reclusione ed € 375,00 di multa, in ordine a reato di cui all'articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 12 settembre 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, a lui ascritto per avere, quale datore di lavoro, legale rappresentante della ditta OMISSIS , omesso di versare all'INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per l'anno 2016, per un importo pari ad € 15.515,00. 2. Avverso la sentenza, l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si propone, innanzitutto, eccezione di legittimità costituzionale degli articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, e 420-bis, comma 4, cod. proc. penumero , per violazione degli articolo 2, 3, 13, 24, 25, 27, 111, 112, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU, altresì censurando la violazione dell'articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983 e dell'articolo 415-bis cod. proc. penumero ed il relativo vizio di motivazione, con riguardo all'omessa notifica all'Imputato dell'avviso di accertamento da parte dell'INPS. Nel caso in esame, difetterebbe la condizione di punibilità, sul rilievo che, né alla società OMISSIS , né al legale rappresentante I.D., sarebbe mai stata effettuata, con le regole proprie delia notifica degli atti civili ed amministrativi di cui all'articolo 140 cod. proc. civ., alcuna notifica dell'avviso di accertamento previsto dall'articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983. Né la predetta comunicazione sarebbe stata effettuata con raccomandata con avviso di ricevimento del deposito in giacenza della contestazione, non risultando agli atti la ricevuta di ritorno della notificazione né presso la nuova sede della società né presso la nuova residenza dell'Imputato con la conseguenza che il ricorrente non avrebbe potuto essere condannato con decreto penale di condanna e l'esercizio dell'azione penale non avrebbe potuto essere effettuato prima del compimento del procedimento amministrativo presupposto. Secondo la difesa, il Tribunale di Verbania, applicando la teoria del reato a formazione progressiva, avrebbe erroneamente ritenuto il decreto di citazione a giudizio immediato, conseguente all'opposizione al decreto penale di condanna, equipollente alla notifica dell'avviso di accecamento dell'autorità amministrativa, la cui omissione, all'opposto, non avrebbe fatto maturare il termine di tre mesi entro i quali il datore di lavoro avrebbe potuto versare il dovuto. Non essendo ancora maturato tale termine, pertanto, non si sarebbe verificata la condizione di procedibilità, presupposto per l'esercizio stesso della successiva azione penale. Tale modalità avrebbe dunque violato il diritto di difesa dell'imputato, oltre che le garanzie a questo garantite dall'articolo 415-bis cod. proc. penumero , in ordine alla scelta di un rito diverso. Nella specie, peraltro, il procedimento si sarebbe svolto in assenza dell'imputato, con la conseguenza che costui non sarebbe stato posto personalmente a conoscenza della possibilità avvalersi della causa di non punibilità, con conseguente violazione del principio di legalità di cui all'articolo 7 CEDU. Mancando, dunque, la conoscenza da parte dell'imputato dell'avviso di accertamento e delle diffide inoltrate dall'INPS in data anteriore all'esercizio dell'azione penale, difetterebbe in capo al ricorrente, l'elemento soggettivo del reato. Secondo la prospettazione difensiva, del resto, nessuna prova certa della conoscenza dell'informazione da parte dell'imputato potrebbe derivarsi dalla circostanza che la difesa, come primo atto del processo, abbia eccepito la nullità della notifica del predetto avviso di accertamento, non potendo i fatti negativi conosciuti dal difensore essere riferiti de plano all'Imputato assente di talché il Tribunale non avrebbe nemmeno potuto applicare al caso in esame - come pure ha erroneamente fatto - la sentenza delia Corte di cassazione, Sez. 3, numero 29825 del 24 settembre 2020, Rv. 280283, dato che l'imputato non è mai stato posto a conoscenza effettiva ed aliunde del periodo di omesso versamento dell’importo dovuto e del luogo ove effettuare il pagamento, nonché della stessa possibilità in concreto di poter fruire della causa di non punibilità. Né, del resto, i giudici di merito avrebbero precisato da quali atti l'imputato assente sarebbe venuto a conoscenza aliunde delle informazioni necessarie e propedeutiche all’avvalimento della causa di non punibilità in esame. Nessun rilievo, a questi fini, avrebbe, inoltre, il disposto dell'articolo 420-bis, comma 4, cod. proc. penumero dal momento che l'imputato, anche alla luce della Direttiva numero 2016/343/UE, ha diritto ad essere personalmente informato per iscritto delle facoltà e dei diritti riconosciuti dalla legge a sua difesa prima e durante il giudizio con la conseguenza che tale omissione comporterebbe una nullità assoluta rilevabile in ogni stato e grado del processo. Laddove, all'opposto, si ritenesse di avallare la tesi accusatoria, secondo la quale l'imputato che sceglie consapevolmente di non partecipare al giudizio ed è dichiarato assente è rappresentato dal difensore e non ha diritto ad alcuna comunicazione, atteso che ha conoscenza di tutte le attività che si svolgono nel giudizio proprio tramite il difensore, a parere del ricorrente, si fornirebbe un'interpretazione incostituzionale degli articolo 420-bis, comma 4, cod. proc. penumero , e 2, comma 1 -bis, del d.l. numero 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, giacché violativi degli articolo 2, 3, 13, 24, 25, 27, 111, 112, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU in primo luogo, perché l'equiparazione della conoscenza da parte del difensore a quella della parte imputata contrasta con il principio della personalità della responsabilità penale in secondo luogo, in quanto la parte non può subire un effetto ad essa penalmente pregiudizievole per la condotta altrui, né per una conoscenza riferibile ad altri. Sotto altro profilo, lamenta, infine, il ricorrente che, nel caso di specie, sarebbe stato altresì leso il suo diritto di scegliere un rito alternativo, una volta integrati aliunde i requisiti del reato a formazione progressiva nel corso del giudizio, così determinandosi - anche alla luce di molteplici pronunce della Corte costituzionale - un'ingiustificata disparità di trattamento, oltre che la già censurata lesione del diritto di difesa. Da qui, l'ulteriore profilo di illegittimità costituzionale della fattispecie di reato a formazione progressiva, per contrasto sia con i principi relativi all'azione penale ex articolo 112 Cost., sia con i principi sul giusto processo, ai sensi degli articolo 111 Cost. e 6 e 7 CEDU. 2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si lamentano la violazione degli articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, 125, comma 3, 187, 192, comma 2, 533, comma 1, 546, comma 1, lettera e , e 415-bis cod. proc. penumero , nonché vizi della motivazione. Riprendendo parzialmente le argomentazioni già spese nell'ambito del primo motivo di ricorso e richiamando integralmente alle pagg. 21-27 i motivi di appello, la difesa denuncia il travisamento della prova, sia con riguardo alla conoscenza personale dell’imputato, oltre che di tutti gli elementi contenuti nell'avviso di accertamento, della possibilità di avvalersi, entro tre mesi, della causa di non punibilità, sia relativamente all'effettivo pagamento o meno delle retribuzioni. Da un lato, infatti, il ricorrerne non sarebbe mai venuto a conoscenza dell'esistenza della comunicazione INPS e dei dati di cui all'avviso di accertamento non recapitato, non potendosi ritenere prova certa di tale effettiva conoscenza la circostanza che il difensore in primo e secondo grado avesse eccepito la nullità della notifica dell'avviso di accertamento ed il mancato perfezionamento della fattispecie. Dall'altro lato, difetterebbe il compiuto accertamento del pagamento delle retribuzioni dei dipendenti e, dunque, la prova della penale responsabilità dell'imputato, tenuto conto che costui non avrebbe versato le somme dovute per forza maggiore. A parere della difesa, del resto, il modello DM10, unitamente alle denunce mensili rappresentate dai flussi Uniemens, non potrebbe costituire una presunzione grave, precisa e concordante degli avvenuti pagamenti delle retribuzioni, essendo risultato dall'Istruttoria dibattimentale che l'INPS non aveva effettuato i dovuti accertamenti. 2.3. Con un terzo motivo di ricorso, ci si duole della violazione degli articolo 81, secondo comma, 131-bis e 101 cod. penumero , 125, comma 3, 533, comma 1, e 546, comma 1, lettera e , cod. proc. penumero , oltre che dell'omessa motivazione, relativamente alla mancata configurazione della continuazione e della particolare tenuità del fatto. Posta la compatibilità con la recidiva specifica contestata, il Tribunale avrebbe dovuto applicare l'istituto della continuazione tra i reati di cui alle precedenti condanne - intervenute il 17 ottobre 2013 ed il 23 dicembre 2013 - e quello per il quale si procede, sussistendo sia una violazione della stessa indole sia l'unicità del disegno criminoso, nonché un breve lasso temporale intercorso, non potendo la disciplina di cui all'articolo 81 cod. penumero comunque impedire l'applicabilità dell'articolo 131-bis cod. penumero e non potendo neppure configurarsi l'abitualità in capo al ricorrente, trattandosi di mera continuazione tra reati. 2.4. Con una quarta censura, si deducono, invece, la violazione degli articolo 62-bis, 133, 163, 175 cod. penumero , 533, comma 1, e 546, comma 1, lettera e , cod. proc. penumero , ed il connesso difetto motivazionale. Ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non si sarebbero considerati i congrui elementi positivi forniti dalla difesa e, segnatamente, l'intervenuto accordo di rottamazione stipulato tra l'imputato e l'Agenzia delle Entrate in data 14 giugno 2019, riguardante il pagamento di € 1.807,00, quale quota contributi non versati e risalente al mese di dicembre 2015, di cui risulta il pagamento alla data del marzo 2020. La non gravità del fatto e del danno, anche in conseguenza della mancata notifica dell'avviso di accertamento che rende invalida la procedura sia amministrativa che penale. Inoltre, si giustificherebbe la concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, non ostando al riconoscimento di tali benefici le precedenti condanne, laddove considerate in continuazione e nell'ottica del medesimo disegno criminoso. Eccessivo e sproporzionato risulterebbe, in ogni caso, il trattamento sanzionatorio. 2.5. Con un ultimo motivo di impugnazione, si invoca, infine, l'applicazione dell'articolo 129 cod. proc. penumero , per rottamazione del debito, intervenuta in data antecedente alla sentenza di appello, a seguito di definizione bonaria con l'Agenzia delle Entrate delle pendenze contributive INPS relative all'anno 2016. 3. In sede di discussione orale, la difesa ha eccepito l'intervenuta prescrizione del reato in esame sul rilievo che, essendosi i precedenti reati estinti per intervenuta definizione del debito con l'Agenzia delle Entrate, la contestata recidiva dovrebbe escludersi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Il primo motivo di censura - con il quale si propone questione di legittimità costituzionale degli articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, e 420-bis, comma 4, cod. proc. penumero , per violazione degli articolo 2, 3, 13, 24, 25, 27, 111, 112, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU, e si lamentano la violazione dell'articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983 e dell'articolo 415-bis cod. proc. penumero ed il relativo vizio di motivazione, con riguardo all'omessa notifica all'imputato dell'avviso di accertamento da parte dell'INPS - è manifestamente infondato. Dall'esame degli atti - consentito a questa Corte in ragione della natura processuale della questione - emerge infatti che, nel caso di specie, con riguardo alla notifica dell'accertamento Inps, la stessa risulta essersi perfezionata attraverso la compiuta giacenza. Ed invero, per costante indirizzo di questa Corte, le modalità di comunicazione dell'avviso in oggetto non sono soggette a particolari formalità, non applicandosi il regime delle notificazioni previsto per i soli illeciti di natura amministrativa dalla legge numero 689 del 24 novembre 1981, né quello delle notificazioni previsto dal codice di procedura penale la notificazione ben può essere, pertanto, anche effettuata a mezzo del servizio postale mediante raccomandata inviata o presso il domicilio del datore di lavoro o presso la sede dell'azienda Sez. U., numero 1855 del 24/11/2011, Rv. 251268 Sez. 3, numero 26054 del 14/02/2007, Rv. 237202 Sez. 3, numero 9518 del 22/02/2005, Rv. 230985 . Anche in caso di compiuta giacenza della relativa raccomandata di invio, dunque, la comunicazione della contestazione deve ritenersi validamente perfezionata proprio in virtù della presunzione appena ricordata, come costantemente affermato, del resto, dalle Sezioni civili di questa Corte Sez. U., numero 321 del 12/06/1999, Rv. 527332 Sez. 2, numero 1188 del 10/12/2013, dep. 2014, non massimata Sez. L., numero 6527 del 24/04/2003, Rv. 562463 e, sempre con riguardo alla fattispecie della comunicazione dell'avviso Inps, di contestazione, da questa stessa sezione Sez. 3, numero 45451 del 18/07/2014, non massimata . Sicché, in altri termini, in caso di impiego del mezzo postale, la comunicazione si perfeziona per il notificante nel momento in cui il piego è depositato all'ufficio postale e, per il destinatario, nel momento in cui il medesimo piego sia dallo stesso ritirato ovvero, appunto, con il decorso della compiuta giacenza qualora la raccomandata non gli venga consegnata per assenza sua e di altra persona abilitata a riceverla. Né, d'altra parte, risulta che, nella specie, il ricorrente abbia allegato alcuna circostanza atta a dimostrare di essere stato, senza colpa, nell'impossibilità di avere avuto notizia dell'atto, potendo la predetta presunzione essere superata mediante la prova di un fatto o di una situazione che spezzi od interrompa in modo duraturo il collegamento tra il destinatario e il luogo di destinazione della comunicazione e che tale situazione sia incolpevole, ovvero non superabile con l'uso dell'ordinaria diligenza Sez. 2, numero 20482 del 06/10/2011, Rv. 619861 Sezione L., numero 25824 del 2013, non massimata . 1.1. Per le ragioni che precedono, deve dunque ritenersi irrilevante - prima ancora che manifestamente infondata - la questione di legittimità costituzionale degli articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, e 420-bis, comma 4, cod. proc. penumero , per violazione degli articolo 2, 3, 13, 24, 25, 27, 111, 112, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU, nella parte in cui configurano nel corso del processo, in assenza dell'imputato, una fattispecie di reato a formazione progressive a danno dell'imputato medesimo, che si presume a conoscenza sostanziale ed effettiva della possibilità di avvalersi della causa di non punibilità di cui all'articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983, per effetto della semplice conoscenza da parte del difensore. La prospettazione difensiva presuppone, infatti, la mancata notificazione della comunicazione all'imputato, smentita dagli atti. 1.2. La seconda doglianza - riferita alla violazione degli articolo 2, comma 1-bis, del d.l. numero 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 638 dell'11 novembre 1983, 125, comma 3, 187, 192, comma 2, 533, comma 1, 546, comma 1, lettera e , e 415-bis cod. proc. penumero , a vizi della motivazione ed al travisamento della prova - è anch'essa infondata. Il rilievo mosso dal ricorrente ruota intorno a due differenti aspetti, entrambi afferenti al censurato travisamento della prova in primo luogo, quello della conoscenza personale, da parte dell'imputato, oltre che di tutti gli elementi contenuti nell'avviso di accertamento, della possibilità di avvalersi, entro tre mesi, della causa di non punibilità in secondo luogo, quello dell'effettivo pagamento o meno delle retribuzioni. Quanto al primo aspetto, si rimanda alle considerazioni svolte sub 1.1., da intendersi integralmente richiamate. Quanto, invece, al secondo profilo - relativo al presunto difetto di prova della penale responsabilità dell'imputato, conseguente al mancato accertamento dell'effettività o meno del pagamento delle retribuzioni, sull'assunto che non potrebbero ritenersi sufficienti, a tal fine, né il modello DM10, né le denunce mensili rappresentate dai flussi Uniemens - deve osservarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro, i modelli DM10, formati secondo il sistema informatico Uniemens, possono essere valutati come piena prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni, trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico dell'INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente Sez. 3, numero 28672 del 24/09/2020, Rv. 280089 . Gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l'istituto previdenziale hanno, infatti, natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e fanno piena prova ai sensi dell'articolo 2709 cod. civ. a carico dell'imprenditore il che fa sì che la loro presentazione equivalga all'attestazione di aver corrisposto, fino a prova contraria, le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi Sez. 3, numero 37145 del 10/04/2013, Rv. 256957 Sez.3, numero 46451 del 07/10/2009, Rv.245610 Sez.3, numero 26064 del 14/02/2007, Rv.237203 Sez.3, numero 32848 del 08/07/2005, Rv.232393 . Né, del resto, l'imputato, nel caso di specie, ha contrastato, in alcun modo, tale quadro probatorio, nonostante gravasse su di lui l'onere di provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l'assenza del materiale esborso delle somme Sez. 3, numero 7772 del 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 258851 . 1.3. Il terzo motivo di ricorso, afferente alla violazione di legge ed al difetto di motivazione, relativamente alla mancata configurazione della continuazione e della particolare tenuità del fatto, deve, invece, dichiararsi inammissibile per genericità. Pur correttamente rilevando la mancata incompatibilità tra l'istituto della recidiva e quello della continuazione, il ricorrente non precisa né la natura e la gravità dei reati che verrebbero in considerazione né le ragioni per cui vi sarebbe identità di disegno criminoso con i delitto oggetto del presente procedimento, non essendo sufficiente il mero richiamo a precedenti condanne. Peraltro, anche a prescindere da ciò, occorre ribadire che, in tema di particolare tenuità del fatto ex articolo 131-bis cod. penumero - cui risulta di fatto protesa l'invocata applicazione dell'articolo 81 cod. penumero - pur non essendo ostativa, in astratto, la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, giacché quest'ultima non si identifica autonomamente con l'abitualità nel reato Sez. 4, numero 36534 del 15/09/2021, Rv. 281922 , il presupposto ostativo del comportamento abituale -valorizzato dai giudici di merito - ricorre quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole ex multis, Sez. 6, numero 6551 del 09/01/2020, Rv. 278347 Sez. U., numero 13681 del 25/02/2016, Rv. 266591 . Di talché, in maniera del tutto corretta, la Corte di appello ne ha escluso la astratta configurabilità, risultando il ricorrente, per sua stessa ammissione, già condannato per il medesimo reato con pronunce divenute irrevocabili in data 17 ottobre 2013 e 23 dicembre 2013, sicché evidente risulta l'abitualità della condotta criminosa, come tale preclusiva rispetto al riconoscimento della predetta causa di esclusione della punibilità. A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, lo scostamento di euro 5.515,00 rispetto alla soglia di punibilità fissata dal legislatore in euro 10.000,00 non può certamente ritenersi esiguo essendo superiore al 50% il che esclude a priori la possibilità di considerare il fatto di particolare tenuità. Deve infatti ribadirsi che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'articolo 131-bis cod. penumero , è applicabile soltanto all'omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, in considerazione del fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia stessa ex plurimis, Sez. 3, numero 58442 del 02/10/2018, Rv. 275458 Sez. 3, numero 13218 del 20/11/2015, Rv. 266570 . 1.4. Il quarto motivo di impugnazione, con cui si deducono la violazione degli articolo 62-bis, 133, 163, 175 cod. penumero , 533, comma 1, e 546, comma 1, lettera e , cod. proc. penumero , ed il connesso difetto motivazionale, è parimenti inammissibile, poiché riguarda elementi di valutazione dei sottratti al sindacato di legittimità, in quanto forniti di un adeguato apparato argomentativo. Per quanto concerne, in primo luogo, le circostanze attenuanti generiche, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, la decisione del giudice di secondo grado ben rappresenta e giustifica le ragioni per le quali il giudice dell'appello ha ritenuto di negare il riconoscimento dell'invocato beneficio di cui all'articolo 62-bis cod. penumero all'imputato, esprimendo una valutazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità Sez. 3, numero 1913 del 20/12/2018, Rv. 275509-03 Sez. 3, numero 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899 Sez. 6, numero 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244 Sez. 6, numero 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419 , riferita, nello specifico, non solo alla molteplicità dei precedenti penali a carico del ricorrente, ma anche al carattere solo minimale del pagamento effettuato dall'imputato a seguito di parziale accordo con l'Agenzia delle Entrate, non sussistendo, nel caso di specie, ulteriori e diversi elementi di segno contrario, invero non prospettati nemmeno dalla difesa. Analogamente, si ritiene che i giudici di merito abbiano correttamente negato ex lege i benefici di cui agli articolo 163 e 175 cod. penumero , trattandosi di istituti fondati, in entrambi i casi, su un giudizio prognostico di ravvedimento dell'imputato, evidentemente incompatibile con la contestata recidiva specifica. A ciò si aggiunga che non è consentita, in sede di legittimità, la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sostenuta, come nella specie, da adeguata e logica motivazione, facente riferimento, non solo alla contestata recidiva, ma anche all'evidente intensità dell'elemento soggettivo ed alla gravità della condotta, tenuto altresì conto che la pena irrogata è molto prossima al minimo edittale. 1.5. La quinta censura - relativa alla presunta estinzione del reato per intervenuta rottamazione del debito, a seguito di definizione bonaria con l'Agenzia delle Entrate delle pendenze contributive INPS relative all'anno 2016 - è inammissibile, giacché manifestamente infondata. Come correttamente rilevato dai giudici di merito, infatti, trattasi di accordo di rottamazione stipulato con l'Agenzia delle Entrate con riferimento ad una sola cartella di pagamento, relativa all'importo - minimale, se rapportato all'ammontare del debito, pari ad € 15.515,00 - di € 1.807,00 quale quota contributi non versata e risalente al mese di dicembre 2015, come tale, dunque, insufficiente a fondare l'invocata estinzione del reato ai sensi dell'articolo 129 cod. proc. penumero 1.6. Infine, deve essere ritenuto inammissibile il rilievo, proposto dalla difesa dell'Imputato, in ordine alla presunta estinzione del reato per prescrizione. La censura infatti - oltre a essere manifestamente infondata, perché non tiene conto della valenza della recidiva quanto al termine complessivo applicabile - è preclusa, poiché è stata sollevata dal ricorrente esclusivamente in sede di trattazione orale e non con il ricorso per cassazione. E, in generale, l'inammissibilità del ricorso preclude anche il rilievo d'ufficio della prescrizione ex plurimis, Sez. U., numero 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Rv. 268966 Sez. 2, numero 53663 del 20/11/2014, Rv. 261616 Sez. 2, numero 28848 del 08/05/2013, Rv. 256463 Sez. U., numero 19601 del 28/02/2008, Rv. 239400 Sez. U., n, 23428 del 02/03/2005, Rv. 231164 Sez. U., numero 32 del 22/10/2000, Rv. 217266 . 2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.