Esito dell’indagine genetica sul DNA: prova o elemento indiziario?

L’esito dell’indagine genetica condotta sul DNA, atteso l’elevatissimo numero di ricorrenze statistiche confermative tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, lungi dall’avere valore meramente indiziario, ha natura di prova dell’identità del contributore.

Costituisce, inoltre, elemento di prova a carico il rifiuto opposto dall'imputato a consentire al prelievo non invasivo di un campione biologico al fine di estrarre il suo DNA da raffrontare con quello rinvenuto sulla scena del crimine. La Suprema Corte rigetta il ricorso, ritenendolo in larghi tratti inammissibile, avanzato da un uomo, condannato in prime cure, all'esito del giudizio abbreviato, a quindici anni di reclusione per omicidio a danni della vittima colpendola con ventidue colpi in varie parti del corpo mediante uno scalpello o cesello e un martello. La sentenza viene confermata in secondo grado. Le tappe processuali di primo e secondo grado Con concorde valutazione dei giudici di merito doppia conforme è stata affermata la penale responsabilità dell'imputato sulla base degli accertamenti tecnico-scientifici relativi alla consulenza anatomopatologica sull'analisi della morte e sulla comparazione e analisi del tracciato del DNA dell'imputato con le tracce rinvenute sul corpo della vittima, nonché sui tracciati dei tabulati telefonici, e sulla base delle investigazioni e delle dichiarazioni dei testi e dei consulenti. La piattaforma probatoria ha permesso di accertare che l'omicidio è stato commesso da una sola persona che ha aggredito la vittima all'interno della sua abitazione con annesso laboratorio pertinenziale , con numerosi colpi inferti con uno strumento tagliente e un martello, rinvenuti nella scena del crimine, e poi spostato, trascinandola al suolo per le gambe, all'interno del suddetto laboratorio così da ostacolarne il rinvenimento, avvenuto infatti qualche giorno dopo. All'individuazione dell'imputato si è giunti attraverso la comparazione, cui si era opposto il ricorrente, del suo profilo genetico con le tracce lasciate sui pantaloni dell'ucciso, nonché sulla base della ritenuta presenza dell'imputato in prossimità del locus commissi delicti, a fronte dell'allegazione di un alibi risultato falso. I motivi di ricorso sulla prova “genetica” La pronuncia della Corte di assise di appello veniva aggredita su più punti dal ricorso per cassazione interposto dall'imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando che non sia stato accertato il momento nel quale il DNA dell'imputato si è trasferito sui pantaloni della vittima, sicché l'elemento probatorio non è univoco, mentre i giudici di merito fanno unicamente leva per condannare il ricorrente sul rifiuto opposto da quest'ultimo al prelievo di un campione del proprio materiale genetico. Il valore di prova e non di mero indizio dell'esame del DNA Nel respingere le doglianze difensive, la Prima sezione penale di Cassazione, ricorda che gli esiti dell'indagine genetica hanno natura di prova piena e non di mero elemento indiziario, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, sicché sulla loro base può essere affermata la penale responsabilità dell'imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti, ai sensi dell'articolo 192, comma 2, c.p.p. si richiamano i precedenti arresti, tutti della Cass., numero 38184/2022, e numero 43406/2016, e numero 8434/2013 . Non risulta, in effetti, contestato che il DNA rinvenuto sui pantaloni della vittima proviene dall'imputato alla luce dell'elevatissimo indice di identificazione riscontrato, nel caso di specie pari a 1023, mentre la scienza ritiene sufficiente per la certa individuazione un indice che supera 106. Solo «nei casi in cui l'indagine genetica non dia risultati assolutamente certi, ai suoi esiti può essere attribuita valenza indiziaria» Cass. numero 8434/2013 . Il che rende così necessario, proprio in base alla norma del secondo comma dell'articolo 192 c.p.p., la ricerca di ulteriori elementi di carattere indiziario che, unitamente alla traccia di DNA, presentino le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza. La sentenza impugnata attribuisce valore di prova e non di semplice indizio alle tracce rinvenute nei pantaloni in prossimità della parte che copre entrambe le caviglie della vittima, a testimoniare il trascinamento del corpo compiuto dall'omicida così assegnando al DNA una valenza di prova dell'azione violenta e non solo del contatto tra aggressione e vittima venendo a smentire l'affermazione, peraltro ritenuta implausibile, dello stesso imputato, prima di assumere tale veste, di avere notato tempo prima sul tavolo nell'abitazione della persona uccisa dei panni piegati di quest'ultima . Il rifiuto al prelievo del DNA, se non giustificato è sempre elemento di prova “a carico” Per i giudici di legittimità, costituisce elemento di prova a carico come ritenuto anche dalla Corte di assise di appello il rifiuto opposto dall'imputato a consentire al prelievo non invasivo di un campione biologico al fine di estrarre il suo DNA da raffrontare con quello rinvenuto sulla scena del crimine. Il rifiuto – perentorio, reiterato e immotivato – dimostrerebbe che l'imputato era ben consapevole del contesto omicida nel quale aveva lasciato le tracce biologiche rinvenute sui pantaloni della vittima, perché diversamente si sarebbe messo immediatamente a disposizione degli inquirenti. La giurisprudenza di Cassazione ormai da tempo ha chiarito che tale rifiuto, se non giustificato da motivazioni esplicite e fondate, costituisce elemento di prova valutabile dal giudice ai fini della ricostruzione del fatto Cass. numero 44624/2004 . Orientamento che non risente della procedura garantita introdotta nel 2009 dall'articolo 224-bis c.p.p., qualora occorre compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, il quale prevede il prelievo coattivo, evenienza diversa di quella di fornire un campione biologico di DNA. In definitiva, ferma la possibilità di disporre il prelievo coatto, il rifiuto opposto ad una richiesta di accertamento non invasivo e non comportanti atti di disposizione della propria sfera corporale, quando non sia motivato da ragioni esplicite e giustificate, può essere liberamente apprezzato dal giudice nella formazione del suo convincimento così come avvenuto nel caso in esame, il rifiuto può essere utilizzato come elemento di prova della natura non accidentale del contatto, dei tempi e dei modi di rilascio delle tracce biologiche rilevate sulla vittima. Prova genetica condizionata dal rispetto delle regole procedurali Giova precisare che, per saggiare la bontà degli esiti dell'analisi comparativa del DNA, occorre seguire le regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici. Ebbene, sulla valenza processuale attribuibile alle risultanze della prova scientifica, con particolare riferimento alle indagini genetiche, acquisite in violazione delle regole sancite dai protocolli internazionali, si registrano due orientamenti secondo una prima impostazione, in tema di indagini genetiche, l'analisi comparativa del DNA svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonché di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di compatibilità del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori Cass. numero 38184/2022, numero 36080/2015 secondo un altro orientamento, invece, in tema di indagini genetiche, l'eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA non comporta l'inutilizzabilità del dato probatorio, ove non si dimostri che la violazione abbia condizionato in concreto l'esito dell'esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilità Cass. numero 15140/2022 .   Un recente arresto ha inteso dare continuità al primo orientamento – che appare il più condivisibile – innanzitutto per ragioni di ordine generale, atteso che nel processo penale possono trovare ingresso solo esperienze scientifiche verificate secondo canoni metodologici generalmente condivisi dalla comunità scientifica di riferimento Cass. numero 27813/2024 . Dunque, l'utilizzabilità dei risultati della prova scientifica comporta inevitabilmente il rispetto delle regole che ne disciplinano l'acquisizione e la formazione all'interno del processo, con la conseguenza che il giudizio di affidabilità dei relativi esiti deve essere parametrato sulla osservanza di preordinate garanzie nell'iter formativo della prova. Detto altrimenti, il procedimento di assunzione della prova incide sui risultati cui la stessa perviene, inficiandoli irreparabilmente nel caso in cui risultino violate le regole che ne presidiano la formazione. In definitiva, l'analisi genetica, svolta in violazione delle prescrizioni dei protocolli in materia di repertazione e conservazione, priva del carattere di gravità e precisione - ergo, di certezza sia pure intesa non in termini di assolutezza, ma quale categoria processuale cui si giunge attraverso il procedimento probatorio - i risultati cui si è pervenuti.

Presidente Binenti – Relatore Aprile Il testo integrale della sentenza sarà disponibile a breve.