Esperibile l'azione di arricchimento in caso di nullità della vendita del sepolcro

Quando una persona sostiene le spese di ristrutturazione di un mausoleo cimiteriale in seguito all'acquisto del diritto al sepolcro tramite una compravendita affetta da nullità, il venditore può essere citato in giudizio con l'azione di arricchimento senza causa ed essere condannato a indennizzare la diminuzione patrimoniale subita da chi ha sopportato il costo della ristrutturazione, nei limiti dell’aumento di valore del manufatto ristrutturato.

Questo il principio affermato dalla Suprema Corte, che ha accolto il ricorso presentato dalla vedova di uno dei fratelli che avevano ereditato la tomba di famiglia dopo la scomparsa del padre. Secondo la ricorrente, i fratelli, dopo la morte del marito, approfittando della sua “buona fede”, l'avrebbero convinta a ristrutturare il mausoleo, dopo averle ceduto gratuitamente «i diritti di proprietà e di uso» spettanti sull'edicola sita in un piccolo comune laziale. La donna aveva acconsentito, sostenendo spese e oneri, convinta di essere l'unica titolare dei diritti sull'edificio cimiteriale della famiglia. Tuttavia, una volta completata l'opera, i fratelli avevano rivendicato la proprietà come figli del fondatore, costringendola a seppellire altrove la salma del marito. Di conseguenza la donna aveva intrapreso un'azione legale contro i “germani”, ottenendo un verdetto positivo dal tribunale di Cassino, che aveva dichiarato la nullità della scrittura privata e condannato i convenuti al pagamento dei 25.000 euro necessari per la ristrutturazione. La Corte d'Appello di Roma, tuttavia, ribaltava la decisione, sostenendo che «la pretesa attorea nasceva dal prospettato illecito aquiliano degli allora convenuti, che l'avrebbero indotta con l'inganno a sostenere la spesa per la manutenzione dell'edicola, contro i quali dunque avrebbe potuto agire per il risarcimento del danno» ex articolo 2043 c.c. Per la ricorrente, l'unica via era l'azione di indebito arricchimento ai sensi dell'articolo 2041 c.c., data la nullità del contratto e l'assenza di un titolo alternativo valido. Valutazione condivisa anche dalla Suprema Corte, che ha accolto le argomentazioni della donna. La Terza Sezione civile, infatti, spiega che «nel sepolcro ereditario lo ius sepulchri si trasmette nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come qualsiasi altro diritto, dall'originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia», mentre «nel sepolcro gentilizio o familiare - tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio - lo ius sepulchri è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall'atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non iure successionis, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità». Tale diritto «si trasforma da familiare in ereditario con la morte dell'ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l'ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione mortis causa». La parola, ora, passa ai giudici del rinvio.

Presidente Travaglino – Relatore Tassone Il testo integrale dell'ordinanza sarà disponibile a breve.