La Sezione Seconda del Consiglio di Stato affronta una questione centrale nella dinamica processuale amministrativa, deferendola all’Adunanza Plenaria per la risoluzione di un contrasto giurisprudenziale. La problematica riguarda l’articolo 94 c.p.a. il quale stabilisce che il ricorso in appello deve essere depositato nella segreteria del giudice adito entro il termine perentorio di trenta giorni dall’ultima notificazione, unitamente alla sentenza impugnata e alla prova delle notificazioni.
La ratio della disposizione in esame è duplice. La sentenza rappresenta l'oggetto del giudizio di impugnazione e costituisce un elemento essenziale per consentire al giudice una rapida valutazione dell'ammissibilità e del merito del gravame. L'immediata disponibilità della pronuncia impugnata è, dunque, indispensabile per applicare anche gli strumenti acceleratori previsti dal codice, come l'articolo 60 decisione immediata in sede cautelare e l'articolo 72-bis definizione per manifesta inammissibilità . Invero «la previsione dell'articolo 94 c.p.a. risponde a esigenze di ordine pubblico processuale, che non possono essere disattese senza pregiudicare la funzionalità del rito e l'interesse generale alla definizione celere e ordinata delle controversie» tra le molte, Cons. Stato, numero 4548/2024 . Secondo l'orientamento tradizionale, l'omesso o tardivo deposito della sentenza di primo grado comporta l'inammissibilità dell'appello, in quanto l'onere previsto dall'articolo 94 c.p.a. è inderogabile e sanzionato con la decadenza. Tale impostazione è sostanzialmente fondata su una interpretazione letterale che la giurisprudenza ha conferito all'avverbio «unitamente» implicando una contestualità perentoria tra il deposito del ricorso e della sentenza appellata. A tale aspetto si aggiunge la necessità di tutelare l'efficienza e della funzionalità del processo, cui la sanzione della decadenza è preordinata, nonché il principio di autosufficienza che nel processo amministrativo come anche in quello civile prevede che l'appellante sia tenuto a fornire tutti gli elementi necessari al giudice per una valutazione immediata e completa del gravame. L'orientamento tradizionale, quindi, ben rappresentato dalla risalente Adunanza Plenaria numero 20/1982, afferma che l'omesso deposito della sentenza di primo grado entro il termine perentorio imposto dall'articolo 94 c.p.a. comporta l'immediata inammissibilità del ricorso in appello, senza possibilità di sanatoria. La pronuncia è particolarmente netta «l'onere dell'appellante di depositare copia autentica della sentenza impugnata nel termine di cui all'articolo 94 c.p.a. è funzionale a garantire ordine pubblico processuale e non può essere eluso né surrogato da attività del giudice. La sanzione dell'inammissibilità non è eccessiva, ma costituisce la diretta conseguenza della violazione di un precetto essenziale per la tempestiva instaurazione del contraddittorio in grado d'appello.» L'approccio della Plenaria si fonda su un principio di certezza processuale la perentorietà del termine è finalizzata a impedire ritardi e a garantire la celerità del giudizio di appello. La stessa impostazione viene ribadita nella sentenza numero 3154/2024 che sottolinea come il rispetto del termine risponda a esigenze di funzionalità del rito «l'inosservanza dell'articolo 94 c.p.a. non può essere considerata una mera irregolarità, giacché impedisce al giudice di applicare le disposizioni di definizione accelerata del giudizio articolo 60 e 72-bis c.p.a. , compromettendo l'efficienza del processo». Anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, sentenza numero 956/2022 giunge alle medesime conclusioni «il tempestivo deposito della sentenza di primo grado costituisce un requisito imprescindibile per l'ammissibilità del ricorso in appello ogni diversa interpretazione finirebbe per vanificare il principio di autosufficienza dell'impugnazione». Questa impostazione, pur garantendo la certezza del rito, si espone al rischio di eccessivo formalismo, che potrebbe sacrificare la sostanza del diritto di difesa a fronte di una violazione meramente formale. Tuttavia, va riconosciuto che il rigore della sanzione risponde all'esigenza di garantire parità di trattamento tra le parti e di preservare la celerità processuale, soprattutto in un sistema in cui il sovraccarico dei tribunali richiede soluzioni rapide e definite. Se tale è un primo orientamento, occorre segnalare che una seconda interpretazione, negli ultimi anni, si sta facendo strada, incentrata sulla ragionevolezza e incidenza del PAT. A fronte di tale impostazione, un orientamento più recente, invero, propone una lettura costituzionalmente orientata dell'articolo 94 c.p.a., valorizzando i principi di ragionevolezza articolo 3 Cost. e proporzionalità la decadenza automatica appare sproporzionata rispetto alla natura formale della violazione effettività della tutela giurisdizionale articolo 24 Cost. e articolo 6 CEDU il processo non può comprimere in modo eccessivo il diritto di difesa. Questa posizione si avvantaggia nella sua possibile fondatezza altresì da una constatazione pratica e tecnica con l'introduzione del processo amministrativo telematico PAT , il giudice d'appello può accedere direttamente al fascicolo telematico di primo grado. In tal senso, il mancato deposito della sentenza non pregiudicherebbe la funzione del rito. A partire infatti dagli ultimi anni, una parte della giurisprudenza ha iniziato a rivalutare l'interpretazione rigorosa dell'articolo 94 c.p.a., in un'ottica più conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza articolo 3 Cost. , effettività della tutela giurisdizionale articolo 24 Cost. e proporzionalità della sanzione processuale. La sentenza del Consiglio di Stato numero 4542/2024 è una delle più significative in questa prospettiva «l'attuale sistema del processo amministrativo telematico consente al giudice d'appello di accedere direttamente al fascicolo di primo grado. In tale contesto, l'omesso deposito della sentenza non può più essere considerato una violazione insanabile, bensì una mera irregolarità sanabile, previa assegnazione di un termine per l'integrazione dell'adempimento». Il passaggio chiave della sentenza richiama la necessità di bilanciare formalismo e sostanza, affermando che «la sanzione dell'inammissibilità per violazioni meramente formali rischia di risultare sproporzionata rispetto alla lesione effettiva del contraddittorio o delle prerogative del giudice». Questa posizione è condivisa anche nella sentenza Cons. Stato numero 4548/2024 che evidenzia come il processo amministrativo telematico abbia modificato radicalmente la funzione del deposito cartaceo «l'onere imposto dall'articolo 94 c.p.a. deve essere reinterpretato alla luce delle regole tecniche del PAT, che consentono l'acquisizione d'ufficio della sentenza. La decadenza automatica appare, pertanto, contraria al principio di effettività della tutela giurisdizionale». Il nodo interpretativo, come rilevato dalla Sezione Seconda, si riassume, dunque, nel seguente quesito «se l'onere di deposito della sentenza di primo grado entro trenta giorni dall'ultima notificazione, stabilito dall'articolo 94 c.p.a., sia previsto a pena di decadenza, con la conseguenza che, in caso d'inadempimento, l'appello deve essere dichiarato inammissibile, ovvero se la disposizione debba essere intesa, in un'ottica costituzionalmente orientata, nel senso che l'onere non è previsto a pena di decadenza e può dunque essere assolto mediante un deposito tardivo ovvero surrogato dalla trasmissione del fascicolo di primo grado». La decisione dell'Adunanza Plenaria avrà un impatto rilevante sul processo amministrativo, stabilendo se l'articolo 94 c.p.a. debba essere applicato secondo un approccio rigoroso, a tutela della certezza e della celerità processuale, o secondo un'interpretazione flessibile, volta a valorizzare i principi costituzionali e le opportunità offerte dal processo telematico. L'esito sarà determinante per il bilanciamento tra formalismo processuale e tutela effettiva dei diritti, delineando i confini della decadenza nel processo amministrativo contemporaneo.
Presidente Poli - Estensore Basilico Per la riforma 1. Il comune di Canosa di Puglia impugna la sentenza che ha accolto il ricorso proposto dal signor Antonio Fuggetta per l'annullamento dell'ingiunzione di demolizione emessa nei suoi confronti a cagione dell'installazione di una vetrata mobile scorrevole su una parte del perimetro di una pergotenda già autorizzata, mediante la quale avrebbe ottenuto, secondo l'amministrazione, la chiusura della superficie e la creazione di una nuova volumetria non assentita. 2. I fatti di causa rilevanti, quali emergono dalle affermazioni delle parti non specificamente contestate e comunque dagli atti e documenti del giudizio, possono essere sinteticamente ricostruiti nei termini seguenti. 2.1. L'appellato è proprietario di un compendio immobiliare nel comune di Canosa di Puglia destinato a ristorante e pizzeria. Come risulta dall'accertamento svolto da funzionari della Polizia locale e dell'ufficio tecnico il 26 ottobre 2021 docomma 1 depositato in primo grado dal comune , il compendio consiste di un'area «completamente recintata, pavimentata e sistemata anche a verde, […] sulla quale sono presenti dei manufatti/costruzioni utilizzati a cucina, servizi igienici e spazi per la ristorazione allo scoperto ed al coperto». 2.2. Con permesso di costruire numero 13 del 18 giugno 2020, l'appellato è stato autorizzato a installare nell'area scoperta dell'immobile una pergotenda di 18,50 x 8,50 metri, con altezza media di 3 metri. 2.3. All'esito del sopralluogo tenutosi il 26 ottobre 2021 si è rilevata la presenza di un fabbricato in muratura con adiacente forno prefabbricato e pensilina metallica, a sua volta collegata a «una pergotenda a struttura portante metallica alluminio e copertura apribile costituita da un telo impermeabile delle dimensioni di m. 18,50 x 8,50 circa allocata su un'area pavimentata posta su due lati in adiacenza con il confine con le aree di pertinenza di fabbricati di proprietà di terzi» e, su una parte del perimetro della pergotenda, «la installazione di vetrate mobili scorrevoli su binari, prive di intelaiatura», oltre a una piscina e a tavoli, sedie e giochi per bambini si veda il relativo verbale, depositato in primo grado dalla difesa dell'ente quale docomma 1 . 2.4. Con ingiunzione numero 52 del 7 giugno 2022 prot. 18303 , emessa ai sensi dell'articolo 31 del t.u. edilizia approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380 , il comune ha ordinato all'appellato, quale proprietario, committente e responsabile dell'abuso edilizio, la demolizione o rimozione della «installazione su una parte del perimetro della pergotenda autorizzata con il Permesso di Costruire numero 13/2020 di una vetrata mobile scorrevole su binari», la quale, comportando la chiusura della superficie interessata dalla pergotenda, concretizzerebbe una nuova volumetria realizzata in assenza del necessario titolo edilizio. 3. L'interessato ha impugnato il provvedimento dinanzi al T.a.r. della Puglia, chiedendone l'annullamento. 3.1. Il ricorso si fondava su un unico motivo, con il quale è stata dedotta «VIOLAZIONE DI LEGGE ED ECCESSO DI POTERE – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'articolo 97 COST. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'articolo 1 L. 241/1990 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI articolo 6,10 E 31 DEL D.P.R. 380/2001 – TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DIRITTO – DIFETTO DI ISTRUTTORIA – ILLOGICITÀ E CONTRADDITTORIETÀ». In particolare, si è contestata la tesi del comune secondo cui si sarebbe creata una nuova volumetria, osservando che «le caratteristiche tipologiche e strutturali della vetrata non consentono la configurazione di una chiusura stabile della superficie interessata dalla pergotenda», in ragione dell'«assenza di elementi di fissità, stabilità e permanenza» pp. 3 e 4 del ricorso . 3.2. Con sentenza 15 novembre 2022, numero 1538, il T.a.r. ha accolto il ricorso, annullando l'ingiunzione di demolizione numero 52 del 2022 e compensando tra le parti le spese di lite. In particolare, il Tribunale ha ritenuto dirimente il fatto che «la vetrata in questione, in quanto scorrevole su binari ed installata solo per un lato della pergotenda, non conduce ad una chiusura permanente dell'area da essa interessata, che resta immutata nei suoi tratti essenziali in particolare sagoma, superficie utile a fini commerciali, volume , né tantomeno ne comporta una indebita estensione o un incremento [e] non conduce a una diversa ed ulteriore utilizzazione dell'area interessata dalla pergotenda, già destinata alla ristorazione». 4. Il Comune ha impugnato la sentenza con appello notificato via p.e.comma il 9 maggio 2023 e depositato il successivo 29 maggio. 4.1. Il gravame si fonda su un unico motivo esteso da pagina 3 a pagina 5 del ricorso , con cui si deduce «CONTRADDITTORIETA' E MANCATA APPLICAZIONE DEL DIRITTO nella parte in cui Il Tribunale afferma “….Considerato che, anche in base ai recenti arresti della giurisprudenza amministrativa cfr. Tar Liguria, sentenza numero 408 del 5 maggio 2021 è la chiusura su tutti i lati, nel caso di specie non sussistente, l'aspetto fattuale decisivo per far ritenere realizzata la creazione di un nuovo volume….”». In particolare, si sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, l'installazione della vetrata abbia comportato una chiusura totale dello spazio coperto dalla pergotenda, perché ha riguardato l'unico lato aperto della struttura, che per il resto era già delimitata da muri su tre lati, e che per questo sarebbe stato necessario il permesso di costruire, in assenza del quale l'opera deve essere rimossa. 4.2. Nel giudizio di secondo grado si è costituito l'appellato, chiedendo il rigetto del gravame. 4.3. Il 9 maggio 2024 il comune ha depositato l'istanza di fissazione dell'udienza pubblica per la discussione della causa. 4.4. Con ordinanza 8 maggio 2024, numero 1675, emessa all'esito della camera di consiglio fissata per l'esame dell'incidente cautelare, il collegio, oltre a respingere la domanda cautelare perché l'appellante «non ha allegato né comunque provato di poter subire un pregiudizio grave e irreparabile nelle more del giudizio», ha fissato l'udienza pubblica per la trattazione del merito, invitando sin da allora le parti «a contraddire sulla questione, che il collegio rileva d'ufficio, della possibile inammissibilità del gravame per omesso deposito di copia della sentenza impugnata, come prescritto dall'articolo 95 [rectius, 94] cod. procomma amm.». 4.5. Il 16 maggio 2024 il Comune ha depositato una copia della sentenza di primo grado, con attestazione di conformità all'originale. 4.6. Nel prosieguo del giudizio l'appellato ha depositato una memoria difensiva, insistendo per la dichiarazione d'inammissibilità dell'appello o comunque per il suo rigetto nel merito. 4.7. All'udienza pubblica del 5 novembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 5. In via preliminare rispetto allo scrutinio dell'unico motivo di appello, è necessario valutare la questione pregiudiziale, che il collegio ha sollevato d'ufficio e sottoposto al contraddittorio tra le parti, dell'inammissibilità del gravame per omesso tempestivo deposito della sentenza di primo grado, in considerazione del fatto che l'articolo 276, comma 2, c.p.comma , cui rinvia l'articolo 76, comma 4, c.p.a., impone di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l'ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, secondo una scansione che non rientra nella disponibilità delle parti e non subisce eccezioni come affermato dall'Adunanza plenaria, numero 5 del 2015 . 6. A tal proposito, viene in rilievo l'articolo 94 c.p.a. il quale dispone che «nei giudizi di appello, di revocazione e di opposizione di terzo il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall'ultima notificazione ai sensi dell'articolo 45, unitamente ad una copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni». 7. Secondo l'interpretazione tradizionale, per lungo tempo pressoché unanime, l'onere stabilito dall'articolo 94 c.p.a. di deposito della copia – anche non autentica – della decisione impugnata entro il termine di trenta giorni dall'ultima notificazione dell'appello è da intendersi a pena di decadenza in quanto «funzionale a garantire esigenze di ordine pubblico processuale, indisponibili per le parti private, strumentali al regolare svolgimento del giudizio», rispetto alle quali l'adempimento in questione si configura come un corollario dei «canoni di canoni di chiarezza, sinteticità, leale collaborazione, che non sono mere enunciazioni di principio o puri esercizi cartolari, ma il contenuto di puntuali doveri delle parti» da ultimo Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2024, numero 3154 negli stessi termini, tra le tante C.g.a., sez. giur., 23 gennaio 2023, numero 86, e 22 settembre 2022, numero 956, le quali aggiungono che la disposizione «continua ad essere vigente anche in regime di processo amministrativo telematico, e impone un adempimento che non può ritenersi caduto in desuetudine per effetto del PAT, posto che la previsione costituisce norma imperativa e inderogabile» Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2022, numero 4520, che osserva altresì che tale interpretazione è «strumentale all'attuazione di ulteriori istituti processuali funzionali alla sollecita definizione della controversia, richiedenti la tempestiva acquisizione al giudizio della sentenza gravata, in assenza della quale alcuna decisione potrebbe al riguardo essere assunta», quali la definizione dei giudizio in esito all'udienza cautelare ai sensi dell'articolo 60 c.p.a. e la decisione dei ricorsi suscettibili d'immediata definizione ai sensi dell'articolo 72-bis cod. procomma amm. sez. VI, 31 gennaio 2017, numero 397, che puntualizza come il termine sia ridotto a 15 giorni nelle controversie relative alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture sez. VI, 28 giugno 2016, numero 2856 sez. V, 6 agosto 2012, numero 4516, e sez. III, 14 dicembre 2011, numero 6572, le quali precisano che il termine è dimidiato per i procedimenti in camera di consiglio, tra cui il giudizio di ottemperanza, così come, secondo sez. III, 14 marzo 2012, numero 1432, per le controversie relative ai provvedimenti della Commissione centrale per la definizione ed applicazione delle speciali misure di prevenzione nei confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia . 8. Tale orientamento è sostanzialmente confermativo, sia pure sulla base di diversi argomenti e in un diverso quadro normativo, di quello maturato prima dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo che faceva applicazione dell'articolo 347, comma 2, c.p.comma – secondo cui «l'appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata» – per affermare che «l'appellante dinanzi al consiglio di Stato è tenuto ad inserire nel suo fascicolo copia della sentenza impugnata, e tale deposito può effettuare sino a quando gli è consentito produrre documenti che l'onere dell'appellante di depositare copia autentica della sentenza impugnata nel processo amministrativo può essere surrogato dalla produzione della sentenza fatta dall'appellato o anche dalla esibizione da parte dell'appellante di una copia non autentica, se non vi è contestazione ma se manca del tutto la produzione della decisione impugnata, il giudice d'appello non può assegnare un termine all'appellante per provvedere, ma deve dichiarare l'improcedibilità dell'appello» Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2009, numero 1682, e precedenti ivi richiamati fra cui l'essenziale Ad. plenumero numero 20 del 1982 . 9. Nel vigore del c.p.a., si è invece subito ritenuto, dinanzi alla lettera dell'articolo 94 c.p.a., che, sebbene non sia impedito il deposito di copia della sentenza impugnata separatamente rispetto al ricorso, o di copia non autentica, l'onere deve comunque essere assolto «nel veduto termine perentorio di trenta giorni dall'ultima notificazione del ricorso, dimezzato nel rito abbreviato» Cons. Stato, sez. III, 14 giugno 2011, numero 3619 e tale tesi è stata per lungo tempo pressoché unanime, per quanto in un'occasione si sia adombrata incidentalmente la possibilità di ammettere che a tale adempimento si provveda «nei termini di deposito dei documenti previsti dal codice del processo amministrativo», per effetto del “rinvio esterno” dell'articolo 39 c.p.a. all'articolo 372 c.p.c., che consente il deposito autonomo di documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso per cassazione Cons. Stato, sez. VI, 17 novembre 2020, numero 7133, che ha tuttavia dichiarato l'inammissibilità dell'appello in quanto ha riscontrato che «l'onere non risulta comunque in alcun modo validamente assolto nel termine di legge né comunque assolto da parte delle amministrazioni appellanti» . Altre pronunce, affrontando singoli, particolari casi, hanno ritenuto che l'inammissibilità dell'appello dovesse essere dichiarata «soltanto laddove sia carente in senso assoluto la produzione della sentenza gravata» Cons. Stato, Sez. IV, sentenza numero 4488 del 2020 in termini analoghi si v. la sentenza numero 1455 del 2014 della medesima sezione, che ha dichiarato il gravame “improcedibile” e, su questa base, hanno considerato frutto di un errore materiale emendabile il deposito di un'ordinanza in luogo della sentenza impugnata C.g.a., sez. giur., sentenza numero 843 del 2021 di diverso avviso C.g.a., sez. giur., sentenze numero 960 e 962 del 2022 , oppure la mancanza del provvedimento tra gli allegati dell'appello quando la relativa indicazione fosse comunque presente nel foliario, circostanza che sarebbe stata idonea ad attribuire l'omissione a una mera “svista” o a un “inconveniente informativo”, senza che fosse in dubbio la volontà della parte di depositarlo Sez. VII, sentenze numero 4130, numero 4831, numero 4832, numero 4833 e numero 4834 del 2024, nonché ordinanza numero 683 del 2024, che ha quindi concesso un termine per adempiere Sez. VI, sentenza numero 1388 del 2024 . Talora infine, in via di prassi, si è preferito prescindere dall'esame della questione d'inammissibilità, invocando il principio della “ragione più liquida” per affrontare direttamente il merito Sez. VII, sentenze numero 1848, numero 2571 e numero 8469 del 2024 Sez. II, sentenze numero 5299, numero 7622, numero 7623 del 2024 . Tali pronunce s'inserivano comunque in un contesto – che anzi, a ben vedere, davano anche quale presupposto – in cui l'orientamento più rigoroso, che considerava il mancato tempestivo deposito della sentenza impugnata una causa d'inammissibilità, era largamente maggioritario, al punto da far ritenere che non vi fosse un vero e proprio contrasto di giurisprudenza sull'interpretazione dell'articolo 94 c.p.a. e che non fossero sussistenti le condizioni per deferire la questione all'Adunanza plenaria Sez. IV, sentenza numero 4135 del 2024 e Sez. V, sentenza numero 1678 del 2024 . 10. Di recente, tuttavia, in giurisprudenza è stata sostenuta la tesi secondo cui la decadenza per omesso o tardivo deposito della sentenza impugnata sarebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza e con il diritto di azione e difesa di cui agli articoli 3,24,103,113 della Costituzione, nonché all'articolo 117, primo comma, in relazione all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo CEDU , in quanto rappresenterebbe una conseguenza sproporzionata che «non risulta sorretta da adeguate e concrete giustificazioni in punto di soddisfacimento dell'interesse delle parti né di alcun interesse pubblico , non foss'altro perché anche in forza delle attuali regole sul processo amministrativo telematico, il giudice dell'impugnazione come anche l'avvocato della controparte può agevolmente reperire, in seno al fascicolo di primo grado al quale ha accesso , copia digitale della sentenza impugnata» Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 2024, numero 4542, che fa riferimento all'articolo 11 delle regole tecniche-operative del processo amministrativo telematico di cui all'allegato 2 al decreto del Presidente del Consiglio di Stato 28 luglio 2011, emesso ai sensi dell'articolo 13, comma 1, c.p.a., secondo cui «la trasmissione dei fascicoli informatici di primo grado con modalità telematiche […] avviene, tramite SIGA, mediante accesso diretto al fascicolo di primo grado da parte dei soggetti abilitati» . In questa prospettiva, s'imporrebbe una lettura della disposizione costituzionalmente orientata, che trae argomento dalla considerazione che, nel più volte menzionato articolo 94, la decadenza sarebbe «correlata, su un piano meramente strutturale del sintagma, unicamente al mancato rispetto del termine per il deposito dell'atto di impugnazione», e che quindi si potrebbe ritenere che l'inadempimento della parte appellante all'obbligo di deposito della sentenza di primo grado non comporti l'inammissibilità del gravame, bensì costituisca una «causa impeditiva della spedizione della causa in decisione», analogamente a quanto avviene in caso di mancato deposito dell'istanza di fissazione dell'udienza pubblica sul punto viene richiamato quale precedente Cons. Stato, Ad. Plenumero , 22 dicembre 1982, numero 20, che – nel sistema precedente all'entrata in vigore del codice del processo in cui l'onere di deposito della sentenza di primo grado veniva tratto dall'articolo 347, comma 2, c.p.comma – aveva ritenuto che «l'appellante [potesse] provvedere al deposito della sentenza impugnata fin quando sia a lui legittimamente dato produrre documenti» e che tale adempimento fosse «suscettibile di venire surrogato in virtù della acquisizione della sentenza in giudizio, verificantesi tramite la produzione della stessa effettuata da altra parte ovvero per effetto dell'avvenuto inserimento di una sua copia nel fascicolo d'ufficio», escludendosi invece che «in caso di omesso deposito della medesima, il giudice di appello [potesse] o [dovesse] fissare un termine per il relativo adempimento» in quell'occasione l'appello era stato dichiarato “improcedibile” per assenza della sentenza impugnata nel fascicolo . 11. Seguendo il medesimo percorso argomentativo – fondato, da un lato, sull'esigenza di un'interpretazione costituzionalmente conforme dell'articolo 94 c.p.a. e, dall'altro, sull'ambiguità del dato letterale, che si presterebbe a diverse soluzioni ermeneutiche – altra pronuncia ha ritenuto che «le esigenze di carattere processuale poste a fondamento della soluzione finora seguita dalla giurisprudenza prevalente possono essere efficacemente soddisfatte con la fissazione di un termine, come condizione di procedibilità del gravame, per la produzione in giudizio di copia della sentenza impugnata» Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 2024, numero 4548, la cui soluzione è dichiaratamente ispirata alla prassi instauratasi a seguito della sentenza numero 148 del 2021 della Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale l'articolo 44, comma 4, c.p.a. nella parte in cui consentiva al giudice di ordinare la rinnovazione della notificazione del ricorso, con esclusione di ogni decadenza, solo quando l'esito negativo della stessa dipendesse da causa non imputabile al notificante, osservando che sarebbe sproporzionato e irragionevole far «discendere da un vizio esterno all'atto di esercizio dell'azione stessa la definitiva impossibilità di far valere nel giudizio la situazione sostanziale sottostante» . 12. Il collegio ritiene che l'orientamento tradizionale, ancora largamente maggioritario, sia più conforme all'attuale sistema processuale e che per un suo superamento non risultino decisivi gli argomenti portati a supporto di quello più recente. 12.1. In primo luogo, si deve osservare che l'interpretazione costituzionalmente orientata è una tecnica ermeneutica il cui esperimento incontra un limite nell'esistenza di un dato letterale chiaro e univoco tra le tante, Corte cost., 26 ottobre 2023, numero 192 e precedenti ivi richiamati nella specie, l'articolo 94 c.p.a., mediante l'uso dell'avverbio “unitamente”, è univoco nello stabilire che il deposito della sentenza di primo grado debba avvenire nello stesso termine previsto per l'appello, con la logica conseguenza che, se è previsto a pena di decadenza il deposito del gravame, deve esserlo anche quello della pronuncia gravata. Il canone della interpretazione letterale delle norme, del resto, è quello gerarchicamente sovraordinato a tutti gli altri, come sancito dall'articolo 12 delle preleggi al codice civile sul punto si richiamano le convergenti conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale fra le tante, numero 192 del 2023 § 5.2. numero 186 del 2020 §2.2.2. dalle sezioni unite della Corte di cassazione fra le tante, 28 gennaio 2021, numero 2061 § 4.3.1. 23 aprile 2020, numero 8091 § 6 dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato numero 7 del 2022, § 5 numero 3 del 2017 § 3.1. numero 3 del 2010 § 18.1., secondo cui il primato della interpretazione letterale non cede neppure davanti al principio di effettività della tutela . 12.2. A conforto di questa tesi soccorre anche l'esegesi sistematica che scaturisce dal confronto con l'articolo 45, comma 4, c.p.a., secondo cui diversamente dal giudizio di appello , in quello di primo grado «la mancata produzione, da parte del ricorrente, della copia del provvedimento impugnato e della documentazione a sostegno del ricorso non implica decadenza» avendo il legislatore, con l'articolo 46, comma 2, c.p.a. fatto gravare l'obbligo di deposito del provvedimento e della correlata documentazione sull'amministrazione . Non solo manca il presupposto perché si faccia ricorso al rinvio interno ex articolo 38 c.p.a. la disciplina sancita dall'articolo 94, nella sua completezza, si pone come deroga espressa alle previsioni analoghe che caratterizzano il giudizio di primo grado. Difetta anche la identità di ratio e di interessi in gioco. L'articolo 45, comma 4 c.p.a. presuppone e intende rimediare a una situazione di asimmetria informativa, che invece non sussiste nella fattispecie regolata dall'articolo 94 c.p.a. Invero, la parte che intenda proporre un ricorso al T.a.r. non sempre ha a sua disposizione il provvedimento da impugnare, vuoi perché gli è stato comunicato nel solo dispositivo, vuoi perché, trattandosi di un terzo non destinatario dell'atto, non gli è stato comunicato affatto. A fronte di tale asimmetria tra il privato e l'amministrazione, sin da prima dell'entrata in vigore del c.p.a. si è affermato che il mancato deposito del provvedimento amministrativo impugnato non comporta decadenza. Ben diversa è la situazione dell'appellante, che ha la piena disponibilità della sentenza appellanda. Non può quindi darsi seguito all'argomento, che talora si riscontra negli scritti difensivi, secondo cui l'omesso deposito della sentenza in appello non determinerebbe decadenza, in virtù dell'articolo 45, comma 4, c.p.a 12.3. Tale lettura è coerente anche con l'evoluzione storica dell'ordinamento a fronte del sistema processuale previgente in cui, in assenza di una disposizione specifica, veniva applicato l'articolo 347, comma 2, c.p.a. – alla luce del quale poteva ritenersi che l'onere di deposito fosse suscettibile di essere adempiuto nel termine per la produzione dei documenti e di essere surrogato in virtù dell'acquisizione, comunque avvenuta, della sentenza in giudizio – il codice del processo amministrativo contiene una norma espressa e completa, che individua la fattispecie l'omesso deposito della sentenza di primo grado nel termine di trenta giorni dall'ultima notificazione dell'appello e ne definisce la disciplina la “decadenza” ossia l'inammissibilità dell'appello . La completezza della disciplina positiva sancita dall'articolo 94 preclude l'operatività del “rinvio esterno” alle disposizioni del codice di procedura civile, le quali, ai sensi dell'articolo 39, comma 1, c.p.a. sono applicabili al giudizio amministrativo «per quanto non disciplinato» dal codice che lo regola. Detto altrimenti, l'applicazione delle disposizioni del codice di procedura civile nel processo amministrativo, per il tramite dell'articolo 39 c.p.a., presuppone la doppia verifica che ci sia una lacuna nel c.p.a. o che la disposizione richiamata sia espressione di un principio generale che sia compatibile con il c.p.a. conseguentemente, tale diretta applicazione è consentita nelle sole ipotesi in cui il primo ordinamento esprima principi generali che non rinvengono nel secondo una sufficiente ed esaustiva declinazione regolatoria cfr. Cons. Stato, Ad. plenumero , 22 marzo 2024, numero 4 27 aprile 2015, numero 5 10 dicembre 2014, numero 33 . 12.4. Sotto altro profilo, nemmeno l'avvento del processo amministrativo telematico giustifica una diversa lettura del richiamato articolo 94. 12.4.1. In tale occasione, infatti, sono state apportate numerose modifiche al codice del processo si pensi, per esempio, all'inserimento dei commi 1-bis e 1-ter nell'articolo 25 o alle innovazioni relative all'articolo 136 e a diverse norme di attuazione [in primis l'articolo 5], per opera del decreto legge 31 agosto 2016, numero 168, convertito con modificazioni in legge 25 ottobre 2016, numero 197 , mentre tale disposizione, su cui era già maturato l'orientamento sopra richiamato, è rimasta intatta, a riprova dell'intenzione del legislatore di mantenere – meglio, di non eliminare – la sanzione della decadenza per mancato tempestivo deposito della sentenza di primo grado. 12.4.2. Né può ragionevolmente affermarsi che l'onere di deposito della sentenza impugnata sia divenuto un adempimento superfluo per effetto del processo telematico, che mette in collegamento il fascicolo digitale di primo grado e quello di appello e consente al giudice di appello di accedere ad entrambi e acquisire d'ufficio la sentenza. In disparte il rilievo che il dato letterale dell'articolo 94 non prevede siffatta acquisizione di ufficio a fronte di un adempimento imposto alla parte a pena di decadenza, deve osservarsi che non vi è equivalenza giuridica tra il deposito della sentenza a cura della parte onerata e la sua acquisizione d'ufficio nel fascicolo di primo grado. Ciò che si acquisirebbe di ufficio è la sentenza senza la informazione, essenziale, se la stessa sia stata o meno notificata, informazione rilevante al fine della verifica della tempestività dell'appello. La parte appellante, con il deposito della sentenza, non si limita a compiere un'attività materiale, essa compie un'attività giuridica, perché, depositando la sentenza senza la documentazione attestante la sua notifica, assume implicitamente la responsabilità di dichiarare che la stessa non è stata notificata. Il giudice che acquisisse d'ufficio la sentenza appellata nel fascicolo di primo grado, in ossequio al principio della parità delle parti dovrebbe anche disporre istruttoria per verificare se la sentenza è stata o meno notificata, al fine della verifica della tempestività dell'appello. Ma è evidente che questo modus operandi si porrebbe in contrasto con le regole sull'onere della prova nel processo amministrativo, in cui il soccorso istruttorio non è consentito nei confronti della parte indebitamente inerte, ma solo nei confronti della parte che si trova in posizione asimmetrica rispetto alla prova e non riesce a fornirla nonostante ogni sforzo diligente. 12.5. A ben vedere, l'esigenza di un'interpretazione “adeguatrice” può escludersi anche perché la disposizione, come tradizionalmente interpretata, non si pone in contrasto con le norme costituzionali o con quelle europee. 12.5.1. La stessa sentenza della Corte costituzionale numero 148 del 2021, in continuità con una consolidata giurisprudenza, ha ribadito che «il legislatore dispone di un'ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali, incontrando il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, che viene superato qualora emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire in giudizio» negli stessi termini, più di recente, si veda la sentenza numero 96 del 3 giugno 2024 . Nel caso di specie, non può dirsi che l'onere di tempestivo deposito di copia della sentenza appellata comporti una compressione di diritti di azione e difesa, perché per la parte, anche non costituita nel giudizio dinanzi al T.a.r., è agevole recuperare la pronuncia, accedendo al fascicolo del giudizio di primo grado, risultando destinataria della sua notifica o, eventualmente, anche rinvenendola sul sito della giustizia amministrativa e rimanendo applicabile, nei rari casi in cui questo non sia stato possibile in concreto, l'istituto della rimessione in termini per errore scusabile in presenza di «gravi impedimenti di fatto», ai sensi dell'articolo 37 c.p.a. . Sotto altro profilo, l'onere non comporta costi significativi per la parte, potendo essere assolto mediante deposito di una copia semplice da questo punto di vista, vi è una differenza rispetto all'articolo 369 c.p.c., che richiede, a pena d'improcedibilità, che insieme al ricorso per cassazione sia depositata, tra l'altro, «copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta» . 12.5.2. Neppure si ravvisano ragioni di contrasto con il diritto europeo articolo 47 della Carta di Nizza e articolo 6 della CEDU . Non sembrano attagliarsi al sistema processuale amministrativo – che appunto reputa sufficiente il deposito di una copia semplice – le considerazioni che hanno indotto la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza 23 maggio 2024, Patricolo and others v. Italy, pt. 102, a ritenere violato l'articolo 6, comma 1, della CEDU in conseguenza della dichiarazione d'inammissibilità di ricorsi per cassazione fondata sulla mancanza dell'attestazione di conformità della copia della sentenza gravata con essi impugnata – «the Court considers that the absence of an attestation that the paper copies of the notice of service were true copies did not prevent the Court of Cassation from assessing compliance with the short time limit for filing an appeal at the earliest stage of the proceedings. Declaring the appeals inadmissible, moreover without giving the applicants a fair chance to submit the attestation at a later stage – especially in a transitional phase from paper-based to electronic proceedings – therefore went beyond the aim of ensuring legal certainty and the proper administration of justice and created a barrier preventing the applicants from having their case determined on the merits by the Court of Cassation» . A sua volta, la Corte di giustizia UE ha escluso la violazione dell'articolo 47 della Carta di Nizza in fattispecie caratterizzate dalla imposizione, ai fini della ammissibilità della proposizione di domande di giustizia, di oneri ben più consistenti del mero deposito di una copia informale della sentenza impugnata , come nel caso della norma nazionale che imponga la cautio pro expensis Corte di giustizia UE, sez. III, 15 settembre 2016, C-439/14 e C-488/14, SC STAR , questo perché ha sempre ritenuto che il diritto di agire in giudizio non sia un diritto assoluto, di modo che possono esserne previste restrizioni purché proporzionate e volte al perseguimento di uno scopo legittimo cfr. Corte di giustizia UE, sez. V, 6 ottobre 2015, C-61/14, Orizzonte salute, che ha ritenuta legittima la disciplina del contributo unificato, in sintonia con quanto ritenuto successivamente da Corte cost. numero 78 del 2016 sono convergenti i principi elaborate da Corte di giustizia UE, sez. II, 30 giugno 2016, C-205715, Directia Generala, sempre in materia di presunti ostacoli all'accesso alla giustizia . Alle stesse conclusioni è pervenuta la giurisprudenza della Corte costituzionale – cui si è sempre conformata quella delle Sezioni unite della Corte di cassazione da ultimo 7 febbraio 2024, numero 3452 in tema di mediazione obbligatoria – allorquando, esaminando le varie fattispecie di “giurisdizione condizionata” presenti nell'ordinamento, ha ritenuto che l'articolo 24 Cost., nel tutelare il diritto di azione «non comporta l'assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare interessi generali, con le dilazioni conseguenti…» Corte cost. numero 276 del 2000 prima ancora, Corte cost. numero 46 del 1974, numero 47 del 1964, numero 40 del 1962 . A tali principi ha fatto espresso rinvio anche questo Consiglio cfr. sez. IV, numero 880 del 2018 quando si è confrontato con fattispecie di “giurisdizione amministrativa condizionata” nella specie articolo 1363, comma 2, d.lgs. numero 66 del 2010 come tale qualificata dal giudice delle leggi che non ne ha mai affermato la illegittimità, cfr. Corte cost. numero 322 del 2013, numero 113 del 2017, numero 37 del 1992 . 12.6. Pertanto, non si può ritenere che il menzionato articolo 94 imponga un adempimento sproporzionato, risultando piuttosto un corollario del dovere di cooperazione di cui all'articolo 2, comma 2, c.p.a. preordinato ad assicurare la ragionevole durata del processo e, in quest'ottica, potrebbe essere agevolato mediante un'evoluzione delle modalità di deposito telematico dell'atto che, per mezzo di una modifica del modulo ovvero un “alert”, rammenti alla parte la necessità di allegare anche copia della pronuncia oggetto del gravame . Il tempestivo deposito della sentenza impugnata, così come la correlata conseguenza dell'inammissibilità dell'appello, si giustifica infatti in considerazione dello scopo che persegue, ossia consentire al giudice dell'appello di avere immediatamente tutti gli elementi necessari per una prima valutazione del gravame – anche ai fini dell'applicazione degli articolo 60 e 72-bis c.p.a., nonché in relazione alla sua eventuale manifesta irricevibilità per tardività nella misura in cui la parte onerata del deposito della sentenza dichiara sotto la sua responsabilità che la medesima è stata o non è stata notificata – senza dover svolgere in proprio indagini integrative all'interno del fascicolo del giudizio di primo grado secondo una logica non dissimile da quella che ha condotto la Corte di cassazione e la Corte costituzionale a esigere la “autosufficienza”, rispettivamente, del ricorso per cassazione e dell'ordinanza di rimessione sul punto si veda, tra le più recenti, Cass. civ., sez. II, 10 maggio 2024, numero 12835 e Corte cost., 1 giugno 2023, numero 108 . Logica, che non è stata ritenuta in contrasto con il diritto di difesa dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo che, nella sentenza 28 ottobre 2021, Succi et autres comma Italie, § 75, ha considerato tale requisito come volto a semplificare l'attività della Suprema Corte e a garantire allo stesso tempo la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia – «la Cour estime que ce principe vise à simplifier l'activité de la Cour de cassation et à assurer en même temps la sécurité juridique et la bonne administration de la justice» . Tale scopo non sarebbe adeguatamente perseguito mediante un'interpretazione della norma che consentisse il deposito nel termine per produrre i documenti – anche considerato che la sentenza di primo grado non può considerarsi un “documento” ai fini processuali, perché non costituisce un mezzo di prova, bensì l'oggetto del giudizio d'impugnazione – o che comportasse la fissazione di un ulteriore termine da parte del giudice – possibilità che allo stato non trova fondamento nelle norme processuali come dimostrato dal fatto che per consentire la rinnovazione della notificazione nulla è stata necessaria una pronuncia della Corte costituzionale e che darebbe luogo ad una fattispecie di “soccorso istruttorio” praeter legem, a detrimento di una delle parti del giudizio ed a favore di quella che è stata oggettivamente negligente. 13. Tuttavia, alla luce dell'obiettiva esistenza del contrasto giurisprudenziale di cui si è dato conto nonché del fatto che l'esigenza di certezza del diritto – cui è correlata la funzione nomofilattica – si esprime al massimo grado rispetto alle disposizioni processuali dalla cui applicazione dipende il concreto esercizio dei diritti di azione e difesa, il collegio ritiene opportuno deferire la questione all'Adunanza plenaria, cui si sottopone il seguente quesito «se l'onere di deposito della sentenza di primo grado entro trenta giorni dall'ultima notificazione, stabilito dall'articolo 94 c.p.a., sia previsto a pena di decadenza, con la conseguenza che, in caso d'inadempimento, l'appello deve essere dichiarato inammissibile, ovvero se la disposizione debba essere intesa, in un'ottica costituzionalmente orientata al rispetto del principio di ragionevolezza e dei diritti di azione e difesa, nel senso che l'onere non è previsto a pena di decadenza e può dunque essere assolto mediante un deposito tardivo ovvero surrogato dalla trasmissione del fascicolo di primo grado, anche nella forma dell'accesso diretto da parte del giudice di secondo grado». Il presente deferimento si affianca a quello effettuato – con dovizia di argomenti - dalla V sezione del Consiglio di Stato con l'ordinanza numero 9116 del 13 novembre 2024. 14. La sezione, salvo che l'Adunanza plenaria intenda decidere per intero la causa, ai sensi dell'articolo 99, comma 4, c.p.a., si riserva, all'esito della restituzione degli atti, la decisione del ricorso in appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione II, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.