Irrilevante il riferimento alla mancata adozione di un nuovo provvedimento del Tribunale per i minorenni, nonché il richiamo alla raggiunta maggiore età da parte della ragazza, che presenta comunque una condizione tale da avere bisogno di assistenza.
In ballo, nella delicata vicenda relativa ad una ragazza affidata da minorenne ad una casa-famiglia, una cifra di poco superiore ai 56mila euro. In primo grado viene respinta l’istanza con cui il Comune ha chiesto di essere liberato dall’obbligo di versare quella cifra alla Onlus che gestisce la casa-famiglia e che la reclama a fronte della ospitalità accordata, a seguito di un provvedimento del Tribunale per i minorenni, ad una ragazzina. Secondo il Comune, la pretesa avanzata dalla Onlus è illegittima, poiché relativa al periodo successivo al compimento della maggiore età da parte della ragazza. E questa visione viene ritenuta legittima, contrariamente a quanto sancito in primo grado, dai giudici d’appello, i quali condannano la Onlus a rimborsare al Comune quanto già indebitamente percepito per il periodo di ospitalità successivo ai 18 anni della ragazza. Per maggiore chiarezza, comunque, i giudici di secondo grado precisano che «il collocamento presso la struttura della Onlus era stato disposto nel maggio del 1998 con provvedimento del Tribunale per i minorenni e che detto provvedimento aveva cessato di avere efficacia al compimento della maggiore età della ragazza, sicché il Comune avrebbe potuto ritenersi obbligato alla prosecuzione del mantenimento solo in dipendenza di altro provvedimento del Tribunale per i minorenni». Invece, «in assenza, segnatamente, di un’istanza della stessa ragazza e, per essa, dell’amministratore di sostegno nel frattempo nominatole, deve tenersi conto dell’interpretazione impostasi nell’applicazione della Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, che obbligava alla preventiva programmazione della spesa nel rispetto dei vincoli di bilancio» con conseguente liberazione del Comune dall’obbligo imposto in origine dal Tribunale per i minorenni. A fronte delle obiezioni sollevate dalla onlus che gestisce la casa-famiglia, i magistrati di Cassazione provvedono a fare chiarezza, riconoscendo comunque l’obbligo del Comune di provvedere a pagare quanto richiesto per la permanenza della ragazza nella casa-famiglia. In primo luogo, viene affrontato il tema della durata del provvedimento emesso dal Tribunale per i minorenni. «I provvedimenti di giurisdizione volontaria non hanno un’efficacia limitata nel tempo, la loro efficacia semmai cessa quando non siano fatti oggetto di successiva modifica e, meglio, di revoca, allorché abbiano avuto esecuzione e lo scopo che ne aveva imposto l’adozione sia soddisfatto. Tanto più, questo, se, come nel caso in esame, il provvedimento rechi in sé l’esplicitazione che esso è adottato a tempo indeterminato e la sua efficacia non sia perciò subordinata ad alcun evento temporale», riconoscono i giudici, i quali aggiungono però che «il provvedimento» oggetto di esame, «sebbene recante l’indicazione che il collocamento della ragazza presso la struttura di ospitalità gestita dalla onlus fosse a tempo indeterminato», «risulta adottato nel quadro degli accertamenti che il Tribunale per i minorenni può disporre ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità della ragazza, minorenne all’epoca, e consiste nella misura dell’affidamento alla cui disposizione si può appunto procedere quando le esigenze di cura del minore, in rapporto alla specificità del contesto familiare, ne consigliano il collocamento presso una struttura debitamente qualificata». In questa cornice va rilevato, annotano i giudici, che «il provvedimento di affido ha di regola un’efficacia limitata nel tempo che», normativa alla mano, «non può eccedere i ventiquattro mesi, peraltro prorogabili, e può cessare la propria efficacia quando, valutato l’interesse del minore, sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea che ne ha giustificato l’allontanamento dal nucleo familiare di appartenenza». Dunque, «anche quando, come nel caso in esame, l’affidamento per la peculiarità della vicenda riconducibile alla persona sia disposto a tempo indeterminato, la misura, già di per sé soggetta ad un termine di efficacia, non può estendere i propri effetti oltre l’ambito in cui ne è giustificata l’adozione, che si identifica con le speciali esigenze di cura di cui necessita il minore per le difficoltà che quelle esigenze trovano ad essere soddisfatte nell’ambito familiare». Perciò, «trattandosi di un provvedimento finalizzato alla tutela del minore, esso non è dotato di un’ultrattività nel tempo che gli consenta di mantenersi anche quando, pur permanendo le esigenze di cura del soggetto, questo sia uscito dalla condizione, costituita appunto dalla sua minore età, in considerazione della quale ne era avvenuta l’adozione. Essendo, difatti, la sua adozione indissolubilmente legata alla valutazione delle esigenze di cura che il soggetto reclama in quanto minore, è certo e va perciò affermato», sanciscono i giudici, «che il provvedimento con cui il minore sia dato in affidamento ai soggetti abilitati, anche dove ne sia prevista fin dall’atto della sua adozione un’efficacia illimitata nel tempo, non possa produrre alcun effetto dopo il compimento della maggiore età, in quanto è venuta meno la condizione che ne aveva giustificato l’adozione». Corretta, quindi, la valutazione compiuta in appello, laddove si è evidenziata «la necessità di un nuovo provvedimento del Tribunale per i minorenni in grado di consentire il cosiddetto prosieguo amministrativo e quindi la continuità del regime assistenziale, quantomeno sino al 21esimo anno di età della ragazza». Detto ciò, però, il richiamo fatto sempre in appello ai vincoli di Bilancio gravanti sulle attività del Comune è privo di fondamento, chiariscono i magistrati di Cassazione. In premessa, comunque, viene ribadita la necessità per i Comuni di «operare un doveroso bilanciamento tra opposti fattori di condizionamento, sicché la spesa assistenziale non può collocarsi fuori dalle compatibilità di bilancio, nell’uno e nell’altro fattore esplicitandosi infatti valori costituzionali meritevoli entrambi di tutela». Tuttavia, nella specifica vicenda ci sono, secondo i magistrati, dettagli decisivi che legittimano la pretesa avanzata dalla onlus. Innanzitutto, «la ragazza dimora presso la struttura gestita dalla Onlus sin dalla sua minore età» e «sino al compimento della maggiore età il Comune ha fronteggiato, provvedendo ragionevolmente ai necessari appostamenti di bilancio, le spese per il suo mantenimento presso la casa-famiglia». Poi, altro dato incontroverso, «il Comune sa – o avrebbe dovuto sapere, visto che ne aveva sino ad allora sostenuto il mantenimento – che, nel tempo e neppure al conseguimento della maggiore età, le condizioni che giustificavano la collocazione della ragazza presso la struttura della Onlus non sono mutate e che le esigenze, perciò, della sua permanenza presso la struttura, che l’aveva ospitata sino ad allora, non sono affatto venute meno». Allora, «è naturale sbocco di questo quadro d’assieme che, se il Comune si era fatto carico delle spese del mantenimento della ragazza sino al compimento del diciottesimo anno di età, se ne dovesse fare carico anche successivamente, giacché l’adempimento dell’obbligo assistenziale, come da normativa, non dipende dall’età, ma dal bisogno di assistenza che reclama il soggetto». Di conseguenza, da un lato «non è l’esistenza o meno di provvedimento dell’autorità – nello specifico, il Tribunale per i minorenni – che può vincolare l’assunzione dell’onere di spesa – e a nulla vale perciò muovere ai soggetti che avevano in cura la ragazza il rimprovero di non avere sollecitato l’adozione di un nuovo provvedimento –» e dall’altro lato «se l’onere finanziario sotteso al mantenimento della ragazza presso la struttura della Onlus costituiva già una voce della spesa assistenziale gravante sul Comune, nella permanenza delle medesime esigenze assistenziali, il Comune non può farsi scudo delle compatibilità di Bilancio, perché una gestione prudenziale dei propri impegni su questo versante non avrebbe potuto comportare, appunto restando immutate le esigenze assistenziali della ragazza, un accantonamento della spesa sino ad escludere ogni obbligo corrispondente». Tirando le somme, invocare i vincoli di Bilancio non può liberare il Comune dalla pretesa avanzata dalla Onlus. Né, aggiungono i giudici, «può essere di qualche peso richiamarsi, in senso parimenti ostativo, alla necessità, direttamente discendente dalla normativa, che il Comune, onde poter assumere l’onere del mantenimento, sia previamente informato. Il detto avviso si correla, infatti, inequivocabilmente alle esigenze della programmazione finanziaria del Comune, sicché, in disparte da ogni considerazione dettata dal caso concreto – in cui effettivamente diventa difficile comprendere perché il Comune dovesse essere informato di una spesa che, date le ben note condizioni della ragazza, avrebbe avuto ragionevolmente seguito –, una volta che l’argomento delle compatibilità di Bilancio non sia opponibile, neppure è, di riflesso, opponibile il mancato preavviso, ove effettivamente non vi sia stato, che quelle compatibilità di Bilancio intende propriamente salvaguardare».
Presidente Scoditti - Relatore Marulli Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in esergo ha accolto il gravame proposto dal Comune di OMISSIS avverso la decisione che in primo grado aveva respinto la domanda del medesimo Comune volta a far accertare che la somma di euro 56.585,63 reclamata dall'Associazione OMISSIS per l'ospitalità accordata a V.B., dimorante presso una struttura dell'Associazione sin dalla minore età, non fosse dovuta successivamente al compimento della maggiore età dell'interessata con condanna dell'Associazione convenuta pure al rimborso di quanto già indebitamente pagato. Riformando l'impugnata decisione di rigetto, la Corte di appello ha fatto osservare che il collocamento presso la struttura dell'Associazione era stato disposto con provvedimento del Tribunale per i minorenni di Ancona in data 28.5.1998 e che detto provvedimento aveva cessato di avere efficacia al compimento della maggiore età dell'interessata, sicché il Comune avrebbe potuto ritenersi obbligato alla prosecuzione del mantenimento solo in dipendenza di altro provvedimento del Tribunale per i minorenni, diversamente ed in assenza, segnatamente, di un'istanza della stessa interessata e, per essa, dell'amministratore di sostegno nel frattempo nominatole, dovendo tenersi conto, in senso ostativo, dell'interpretazione impostasi nell'applicazione dell'articolo 6, comma 4, l. 8 novembre 2000, numero 328, che obbligava alla preventiva programmazione della spesa nel rispetto dei vincoli di bilancio. La cassazione di detta sentenza è ora chiesta dall'Associazione soccombente con due motivi di ricorso, illustrati pure con memoria e resistiti dall'intimato con controricorso. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso – con cui si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 742 cod. proc. civ. e dell'articolo 6l. 328/2000 per aver la Corte di appello erroneamente affermato che il provvedimento adottato dal Tribunale per i minorenni era divenuto improduttivo di effetti al conseguimento della maggiore età dell'interessata, malgrado il provvedimento ai sensi dell'articolo 742 cod. proc. civ. non cessi la sua efficacia se non a seguito di una revoca/modifica dello stesso e non possa, peraltro, pensarsi ad una revoca implicita dello stesso, in quanto la revoca è espressione di un potere di disposizione dell'Autorità Giudiziaria ed implica l'esplicitazione delle relative ragioni – è infondato e non può trovare seguito. 2. E' ben vero che i provvedimenti di giurisdizione volontaria non abbiano un'efficace limitata nel tempo, la loro efficacia semmai cessando, quando non siano fatti oggetto di successiva modifica e, meglio, di revoca, allorché abbiano avuto esecuzione e lo scopo che ne aveva imposto l'adozione sia soddisfatto tanto più, questo, se, come nel caso che ne occupa, il provvedimento rechi in sé l'esplicitazione che esso è adottato a tempo indeterminato e la sua efficacia non sia perciò subordinata ad alcun evento temporale. Va però considerato che il provvedimento di che trattasi, sebbene appunto recante l'indicazione che il collocamento dell'interessata presso la struttura di ospitalità gestita dall'Associazione ricorrente fosse a tempo indeterminato, risulta adottato ai sensi dell'articolo 10 l. 4 maggio 1983. numero 184 nel quadro degli accertamenti che il Tribunale per i minorenni può disporre ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità dell'interessata all'epoca minore e consiste nella misura dell'affidamento alla cui disposizione si può appunto procedere a mente degli articolo 2 e segg. l. 184/1983 quando le esigenze di cura del minore, in rapporto alla specificità del contesto familiare, ne consigliano il collocamento presso una struttura debitamente qualificata. In questa cornice va rilevato che il provvedimento di affido ha di regola un'efficacia limitata nel tempo che alla stregua dell'articolo 4, comma 4, l. 184/1983 non può eccedere i ventiquattro mesi peraltro prorogabili e può cessare la propria efficacia come prevede l'articolo 4, comma 5, l. 184/1983 quando, valutato l'interesse del minore, sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea che ne ha giustificato l'allontanamento dal nucleo familiare di appartenenza. Dunque, anche quando, come nel caso che ne occupa, l'affidamento per la peculiarità della vicenda riconducibile alla persona dell'interessata sia disposto a tempo indeterminato, la misura, già di per sé soggetta ad un termine di efficacia, non può estendere i propri effetti oltre l'ambito in cui n'e giustificata l'adozione, che si identifica con le speciali esigenze di cura di cui necessità il minore per le difficoltà che esse trovano ad essere soddisfatte nell'ambito familiare. Trattandosi, perciò, di un provvedimento finalizzato alla tutela del minore esso non è dotato di un'ultrattività nel tempo che gli consenta di mantenersi anche quando, pur permanendo le esigenze di cura del soggetto, questo sia uscito dalla condizione, costituita appunto dalla sua minore età, in considerazione della quale ne era avvenuta l'adozione. Essendo, infatti, la sua adozione indissolubilmente legata alla valutazione delle esigenze di cura che il soggetto reclama in quanto minore, è certo e va perciò affermato che il provvedimento con cui il minore sia dato in affidamento ai soggetti abilitati, anche dove ne sia prevista fin dall'atto della sua adozione un'efficacia illimitata nel tempo, non possa produrre alcun effetto dopo il compimento della maggiore età, in quanto è venuta meno la condizione che ne aveva giustificato l'adozione. 3. Sicché, limitatamente alla doglianza in disamina, dice certamente bene il giudice del gravame quando sul punto sposa questa conclusione e si appella alla necessità di un nuovo provvedimento del Tribunale per i minorenni in grado di consentire il cd. prosieguo amministrativo e quindi la continuità del regime assistenziale, quantomeno sino al 21° anno di età dell'interessata. E questo rende ragione del rigetto del primo motivo di ricorso. 4. Non altrettanto si può dire, invece per il secondo motivo di ricorso. Con esso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 6, comma 4, l. 328/2000 e degli articolo 183 e 191 d.lgs. 8 agosto 2000, numero 267 per avere la Corte di appello ritenuto che, cessando l'efficacia del provvedimento adottato dal Tribunale per i minorenni al diciottesimo anno di età dell'interessata, si rendesse necessaria l'adozione di un nuovo provvedimento, segnatamente in ragione dei vincoli di bilancio gravanti sulle attività dei Comuni, sì da imporre la previa informativa del Comune obbligato, e ciò sebbene fosse incontestato che nella specie non si trattasse di un nuovo ricovero, rispetto al quale andava appunto assolto l'onere della previa informazione imposto dall'articolo 6, comma 4. l. 328/2000, ma di prosecuzione di un ricovero già disposto con piena consapevolezza del Comune obbligato. 5. Nel rigettare il corrispondente motivo di gravame la Corte di appello si è fatta interprete del più recente intendimento che in materia questa Corte ha inteso da ultimo enunciare in extenso nell'ordinanza 5869/2022. Lungi dal mettere in discussione il principio ivi affermato, che è inteso ad operare un doveroso bilanciamento tra opposti fattori di condizionamento, sicché la spesa assistenziale non può collocarsi fuori dalle compatibilità di bilancio, nell'uno e nell'altro fattore esplicitandosi infatti valori costituzionali meritevoli entrambi di tutela, reputa, tuttavia, il collegio che l'esigenza conclusivamente invocata dal decidente per motivare il detto rigetto non faccia esattamente giustizia del caso concreto. 6. E' incontestato, infatti, che l'interessata dimori presso la struttura gestita dalla ricorrente sin dalla sua minore età e che sino al compimento della maggiore età il Comune di OMISSIS abbia fronteggiato, provvedendo ragionevolmente, ai necessari appostamenti di bilancio, le spese per il suo mantenimento presso la struttura di collocamento. E un dato altresì incontroverso, come il Comune di OMISSIS ben sa - o avrebbe dovuto sapere, visto che ne aveva sino ad allora sostenuto il mantenimento - che, nel tempo e neppure al conseguimento della maggiore età, le condizioni che giustificavano la collocazione dell'interessata presso una struttura dell'associazione ricorrente non siano mutate e che le esigenze, perciò, della sua permanenza presso la struttura che l'aveva ospitata sino ad allora, non siano per questo affatto venute meno. E' allora naturale sbocco di questo quadro d'assieme che, se il Comune si era fatto carico delle spese del suo mantenimento sino al compimento del diciottesimo anno di età, se ne dovesse fare carico anche successivamente, giacché l'adempimento dell'obbligo assistenziale di cui all'articolo 6, comma 4, l. 328/2000 non dipende dall'età, ma dal bisogno di assistenza che reclama il soggetto interessato. E questo, se da un lato, porta a superare l'argomento ostativo sviluppato a commento del primo motivo, dato che non è l'esistenza o meno di provvedimento dell'autorità che può vincolare l'assunzione dell'onere di spesa – e a nulla vale perciò muovere ai soggetti che avevano in cura l'interessata il rimprovero di non averne sollecitato l'adozione –, dall'altro porta pure ad escludere la concludenza che si vorrebbe attribuire all'argomento oggetto del secondo motivo di ricorso. Se, in altre parole, l'onere finanziario sotteso al mantenimento dell'interessata presso la struttura dell'associazione ricorrente costituiva già una voce della spesa assistenziale gravante sul Comune, nella permanenza delle medesime esigenze assistenziali, il Comune non può farsi scudo delle compatibilità di bilancio, perché una gestione prudenziale dei propri impegni su questo versante non avrebbe potuto comportare, appunto restando immutate le esigenze assistenziali dell'interessata, un accantonamento della spesa sino ad escludere ogni obbligo corrispondente. E quindi invocare i vincoli di bilancio, secondo quanto pure non si è mancato di indicare da questa Corte, non giustifica l'assunto decisorio che la Corte di appello ha inteso enunciare in rapporto al caso concreto. Né, è bene rimarcarlo – perché nel ragionamento così sviluppato il punto non è esplicitato in modo compiuto ed è bene perciò rimuovere ogni dubbio al riguardo – può essere di qualche peso richiamarsi, in senso parimenti ostativo, alla necessità, direttamente discendente dal testuale tenore dell'articolo 6, comma 4, l. 328/2000, che il comune, onde poter assumere l'onere del mantenimento, sia previamente informato. Il detto avviso si correla, infatti, inequivocabilmente alle esigenze della programmazione finanziaria del comune, sicché, in disparte da ogni considerazione dettata dal caso concreto – dove effettivamente diventa difficile comprendere perché il comune dovesse essere informato di una spesa che, date le ben note condizioni dell'interessata, avrebbe avuto ragionevolmente seguito – una volta che l'argomento delle compatibilità di bilancio per le ragioni viste non sia opponibile, neppure è, di riflesso, opponibile il mancato preavviso, ove effettivamente non vi sia stato, che quelle compatibilità di bilancio intende propriamente salvaguardare. 7. Il motivo va dunque accolto e la causa va rinviata al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio. P.Q.M. Rigetta il primo motivo di ricorso accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa l'impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte di appello di Ancona che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio. Dispone omettersi in caso di pubblicazione della presente ordinanza ogni riferimento ai nominativi e agli altri elementi identificativi delle parti persone fisiche.