Se l’abusante è il (sostituto del) medico di medicina generale

La condotta del medico che compie atti incidenti sulla sfera sessuale del paziente, dopo avergli consapevolmente fornito informazioni inesatte, reticenti o incomplete, così precludendo l’effettivo esercizio del diritto ad autodeterminarsi, integra gli estremi della violenza sessuale con abuso di autorità, in quanto strumentalizza la posizione di preminenza per costringere il soggetto passivo a subire tali atti.

Una donna si reca dal medico curante lamentando un gonfiore allo stomaco e trova il sostituto che dopo averle fatto alcune domande la fa sdraiare sul lettino e, sostenendo dovesse controllare se le ovaie fossero ingrossate, indossava i guanti e introduceva un dito nell'organo sessuale della paziente, muovendolo per alcuni secondi. Perplessa, la donna chiedeva informazioni ad altri medici che le confermavano trattarsi di un trattamento anomalo . Condannato per violenza sessuale aggravata dalla violazione dei doveri inerenti ad un pubblico servizio medico di medicina generale e concessa l'attenuante della minore gravità, l'imputato ricorreva in cassazione adducendo che vi era stato un errore sul consenso della vittima all'attività di esplorazione genitale. La Suprema Corte richiama la consolidata giurisprudenza sul tema. In particolare, ricorda che il consenso espresso da un paziente è vero e proprio presupposto di liceità dell'attività del medico che somministra il trattamento, non essendogli attribuibile un generale diritto di curare a prescindere dalla volontà dell'interessato. Vera e propria condizione di liceità, il consenso informato trova fondamento nell'autodeterminazione intesa come libertà di disporre del proprio corpo. Il consenso deve essere libero e consapevole , preceduto da informazioni complete, aggiornate e comprensibili relative a diagnosi, prognosi, benefici e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, possibili alternative e conseguenze dell'eventuale rifiuto al trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi Corte cost. 14/2023 . Può ravvisarsi errore rilevante e scusabile nel medico che compia atti incidenti sulla sfera di libertà sessuale del paziente, in quanto l'agente si rappresenti di agire avendo ricevuto un valido consenso da parte del secondo, sulla premessa di aver fornito informazioni complete, aggiornate e comprensibili , tali da consentire al titolare un effettivo esercizio del diritto ad autodeterminarsi rispetto agli atti che si accinge a compiere. Non vi è errore scusabile , invece, se il medico abbia consapevolmente fornito al paziente informazioni inesatte o lacunose in ordine ai trattamenti e alle ragioni che rendono necessario o utile procedervi, così precludendo al titolare l'effettivo esercizio all'autodeterminazione. Nell'esercizio di attività diagnostica o terapeutica, il medico può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito il suo consenso , esplicito e informato, o se sussistono i presupposti dello stato di necessità e deve, inoltre, immediatamente fermarsi in caso di dissenso. Nel caso in esame, il consenso non era stato prestato in modo valido e non vi era necessità o urgenza, in quanto l'esplorazione vaginale non era necessaria a fronte dei disturbi lamentati né eseguita in modo corretto. Per i giudici, pertanto, l'imputato aveva abusato della posizione di sanitario e dell'affidamento riposto dai pazienti, strumentalizzando la posizione di supremazia per eseguire attività sessuali non necessarie. Inoltre, l'imputato non aveva spiegato alla paziente il nesso tra il fastidio lamentato e l'ingrossamento delle ovaie né il tipo di manovra che si apprestava a compiere, limitandosi ad indossare i guanti e infilare il dito nella vagina in modo repentino e insidioso. In definitiva, l'imputato non versava in errore sul consenso, perché consapevolmente aveva omesso di fornire informazioni corrette e dunque aveva compiuto atti incidenti sulla sfera sessuale della vittima senza aver ottenuto un valido consenso. La consapevole reticenza, incompletezza e inesattezza delle informazioni fornite ha precluso alla vittima l'effettivo esercizio del diritto fondamentale ad autodeterminarsi .

Presidente Di Nicola - Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 29 gennaio 2024, la Corte di appello di Milano, pronunciando in parziale riforma della sentenza di condanna del Tribunale di Milano, ha 1 confermato la dichiarazione di penale responsabilità di Stefano Po.St. per il reato di cui all' articolo 609-bis cod. penumero   in danno di Be.Anumero , la concessione dell'attenuante della minore gravità con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante della violazione dei doveri inerenti ad un pubblico servizio, nonché il diniego delle circostanze attenuanti generiche 2 dichiarato non doversi procedere per i reati di cui all' articolo 609-bis cod. penumero   in danno di Pe.Gi., e Sa.Ca., in quanto estinti per prescrizione 3 rideterminato la pena, riducendola, in cinque anni di reclusione. Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, in particolare, Po.St., abusando della propria autorità e posizione connessa all'esercizio del pubblico servizio di medico di medicina generale, avrebbe costretto la paziente Be.Anumero a subire atti sessuali, introducendo, in modo repentino e senza previo consenso, il proprio dito all'interno della vagina della donna, muovendolo e permanendo in tale posizione circa tre o quattro secondi, dopo aver asserito la necessità di dover procedere ad un controllo delle ovaie, in data 22 settembre 2017. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe la parte civile Po.St., con atto sottoscritto dagli Avv. Edoardo Pacia e Davide Giudici, articolando quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all' articolo 609-bis cod. penumero , nonché vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. penumero , avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Si premette che, nella specie, si discute non di un errore sul dissenso, ma di un errore sul consenso, e, perciò, di un errore sul fatto rilevante a norma dell' articolo 59, quarto comma, cod. penumero   Si deduce che, posta questa premessa, la Corte d'Appello illegittimamente non ha motivato sul perché dovrebbe escludersi il ragionevole dubbio circa la rappresentazione, nell'imputato, dell'esistenza di un effettivo consenso da parte della vittima, desumibile dal comportamento di questa. Si rimarca che un preciso elemento da cui inferire che l'imputato avesse informato la persona offesa della manovra che si accingeva a compiere, e che questa avesse prestato il consenso all'atto, o comunque avesse posto in essere un comportamento idoneo a far ritenere esistente il suo consenso in proposito, è fornito dalle dichiarazioni della donna di avere detto al sanitario di indossare il tampone e di aver autonomamente abbassato i pantaloni. 2.2. Con il secondo ed il terzo motivo, sviluppati congiuntamente, si denuncia violazione di legge, in riferimento all' articolo 62-bis cod. penumero , nonché vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. penumero , avuto riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Si deduce, in primo luogo, che la sentenza impugnata ha omesso di considerare che l'atto si pone sulla linea di confine tra l'attività medica e la violenza sessuale, anche per l'uso del guanto, è durato pochi secondi, e non risulta aver cagionato gravi effetti psicologici sulla vittima, e che l'imputato ha partecipato attivamente e correttamente al processo. Si deduce, in secondo luogo, che la sentenza impugnata è incorsa in travisamento degli atti del processo, perché, per negare le circostanze attenuanti generiche, ha valorizzato l'omessa corresponsione della provvisionale e per le spese processuali, quando, invece, risultano effettuati i bonifici in favore delle parti civili costituite per l'intero importo delle somme liquidate a titolo di provvisionale in primo grado si allegano le copie dei bonifici quelli effettuati in favore della persona offesa del reato per cui è stata confermata la dichiarazione di responsabilità penale sono datati 5 ottobre 2022 . 2.3. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , avuto riguardo al diniego del giudizio di prevalenza della circostanza attenuante della minore gravità del fatto sull'aggravante di cui all' articolo 61, numero 9, cod. penumero Si deduce che la sentenza impugnata ha omesso di esaminare il corrispondente motivo di appello, pur dando atto della sua proposizione. Si rappresenta che la censura è particolarmente rilevante, perché, di fatto, l'aggravante, per come contestata, coincide con l'elemento integrativo della violenza, e, quindi, la sua affermazione potrebbe dar luogo ad una duplicazione del peso dell'abuso della posizione di autorità si cita Sez. 3, numero 25434 del 22/09/2015 . Considerato in diritto 1. Il ricorso, per le ragioni di seguito precisate, è fondato limitatamente alle censure formulate nel secondo e nel terzo motivo, con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed al giudizio di comparazione tra le circostanze, mentre è infondato nel resto. 2. Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano l'affermazione di responsabilità con riguardo all'elemento soggettivo del reato, deducendo che la sentenza impugnata non ha correttamente motivato in ordine all'esistenza di un errore sul consenso all'atto sessuale, per avere l'imputato informato la persona offesa dell'atto che si accingeva a compiere e non aver percepito alcuna opposizione da parte di questa. 3. La questione da esaminare attiene alle condizioni necessarie per la configurabilità dell'errore sulla sussistenza di un valido consenso della vittima all'atto sessuale da parte dell'esercente di una professione medica. Il tema da approfondire, per la precisione, attiene non alla configurabilità della esimente di cui all' articolo 59, quarto comma, cod. penumero   quando l'errore del medico che compie atti sessuali sul paziente verta sulla sussistenza di un valido consenso cfr., per l'affermazione dell'ammissibilità dell'esimente, Sez. 3, numero 18864 del 22/02/2019, P., Rv. 275743 - 02 , bensì alla individuazione delle condizioni alla cui presenza può ritenersi ricorrere l'errore del sanitario sulla sussistenza di un valido consenso. 3.1. Secondo un principio già affermato nella giurisprudenza di legittimità, il medico, nell'esercizio di attività diagnostica o terapeutica, può lecitamente compiere atti incidenti sulla sfera della libertà sessuale di un paziente solo se abbia acquisito il suo consenso, esplicito e informato, o se sussistono i presupposti dello stato di necessità e deve, inoltre, immediatamente fermarsi in caso di dissenso del predetto Sez. 3, numero 18864 del 22/02/2019, P., Rv. 275743 - 01 . Questo principio si ricollega ad una elaborazione consolidata della giurisprudenza secondo cui il consenso espresso da parte del paziente a seguito di una informazione completa sugli effetti e le possibili controindicazioni di un intervento chirurgico, è vero e proprio presupposto di liceità dell'attività del medico che somministra il trattamento, al quale non è attribuibile un generale diritto di curare a prescindere dalla volontà dell'ammalato così, ad esempio, Sez. 4, numero 11335 del 16/01/2008, Hiscer, Rv. 238968 - 01, e Sez. 4, numero 16375 del 23/01/2008, Di Domenica, Rv. 239806 - 01, ma anche, in motivazione, Sez. U, numero 2437 del 18/12/2008, dep. 2009, Giulini, par. 5 . 3.2. La necessità di un consenso del paziente libero e informato , in particolare, è prevista espressamente l' articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e puntualmente riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale cfr., in particolare,   Corte cost., sent. numero 14 del 2023 , e   Corte cost., sent. numero 438 del 2008 . In particolare, si è espressamente osservato che il consenso informato, quale condizione per la liceità di qualsivoglia trattamento sanitario, trova fondamento nell'autodeterminazione, nelle scelte che riguardano la propria salute, intesa come libertà di disporre del proprio corpo, diritti fondamentali della persona sanciti dagli   articolo 2,13,32 Cost.   e dagli   articolo 1,2   e   3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea . Secondo quanto disposto dall' articolo 1 della legge numero 219 del 2017 , nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge . Più precisamente, il consenso del paziente deve essere libero e consapevole, preceduto da informazioni complete, aggiornate e comprensibili relative a diagnosi, prognosi, benefici e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, possibili alternative e conseguenze dell'eventuale rifiuto al trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi così   Corte cost., sent. numero 14 del 2023 , par. 16.1 . Ma già da tempo la Corte costituzionale aveva affermato che il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell' articolo 2 della Costituzione , che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli   articolo 13   e   32 della Costituzione , i quali stabiliscono, rispettivamente, che la libertà personale è inviolabile , e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge , che le informazioni devono essere le più esaurienti possibili, proprio per garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all' articolo 32, secondo comma, della Costituzione , e che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale Corte cost., sent. numero 438 del 2008 . In questa prospettiva, come ripetutamente precisato dalla giurisprudenza civile di legittimità, il consenso informato costituisce esercizio del diritto fondamentale all'autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli, ossia di un diritto autonomo e distinto da quello alla salute, il quale trova fondamento diretto nei principi degli   articolo 2,13   e   32, comma 2, Cost.   cfr., per tutte, Sez. 3 civ., numero 28985 del 11/11/2019, Rv. 656134 - 01, e Sez. 3 civ., numero 11749 del 15/05/2018, Rv. 648644 - 01 . E l'inadempimento, da parte del medico, dell'obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo a fini risarcitori - anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all'informazione - a condizione che sia allegata e provata, da parte dell'attore, l'esistenza di pregiudizi non patrimoniali derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in sé considerato, sempre che essi superino la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e non siano futili, ovvero consistenti in meri disagi o fastidi così, ad esempio, Sez. 3 civ., numero 20885 del 22/08/2018, Rv. 650433 - 01, e Sez. 3 civ., numero 2847 del 09/02/2010, Rv. 611428 - 01 . Deve, quindi, concludersi che il medico ha l'obbligo di fornire informazioni complete, aggiornate e comprensibili relative a diagnosi, prognosi, benefici e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati per ripetere le parole di   Corte cost., sent. numero 14 del 2023 anche al solo fine di consentire al paziente l'esercizio del diritto fondamentale ad autodeterminarsi. 3.3. Riconducendo ad unità i due profili indicati nei parr. 3.1 e 3.2, deve ritenersi che, in tanto può ravvisarsi un errore rilevante a norma dell' articolo 59, quarto comma, cod. penumero   nel medico che compie atti incidenti sulla sfera di libertà sessuale del paziente, in quanto il primo si rappresenti di agire avendo ricevuto un valido consenso da parte del secondo, e, quindi, avendo fornito a quest'ultimo informazioni complete, aggiornate e comprensibili , tali da consentire al medesimo un effettivo esercizio del diritto ad autodeterminarsi rispetto agli atti che egli, professionista, si accinge a compiere. Ne consegue che il medico, il quale abbia consapevolmente fornito al paziente informazioni inesatte o lacunose in ordine ai trattamenti che si accinge a compiere, e quindi anche in ordine alle ragioni che rendono necessario o utile procedervi, così da precludere al medesimo l'effettivo esercizio del diritto fondamentale ad autodeterminarsi, non si rappresenta di agire in presenza di un valido consenso, ossia di un presupposto indispensabile perché possa sussistere un errore sul fatto scusabile a norma dell' articolo 59, quarto comma, cod. penumero Questa conclusione, del resto, appare pienamente in linea con l'affermazione secondo cui la scriminante putativa del consenso dell'avente diritto non è applicabile quando debba escludersi, in base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l'approvazione della persona che può validamente disporre del diritto cfr., in particolare Sez. 3, numero 37166 del 18/05/2016, B., Rv. 268311 - 01, che, in applicazione del principio, ha ritenuto corretta l'esclusione dell'esimente con riferimento alla condotta di abuso sessuale commessa da uno psicologo nei confronti di alcune pazienti, in condizioni di inferiorità psichica, cui veniva indotta la convinzione che le pratiche sessuali fossero necessarie alla guarigione . Più in generale, può affermarsi che la condotta del medico, il quale compie atti incidenti sulla sfera sessuale del paziente, dopo avergli consapevolmente fornito informazioni inesatte, reticenti o incomplete, così precludendo al medesimo l'effettivo esercizio del diritto fondamentale ad autodeterminarsi, integra gli estremi della violenza sessuale con abuso di autorità, perché strumentalizza la sua posizione di preminenza per costringere il soggetto passivo a subire tali atti sulla rilevanza della posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, del soggetto agente, ai fini della configurabilità del reato di cui all' articolo 609-bis, primo comma, cod. penumero , cfr. Sez. U, numero 27326 del 16/07/2020, C., Rv. 279520 - 01 . 4. La sentenza impugnata espone analiticamente le ragioni per le quali ritiene che l'attuale ricorrente abbia commesso il reato di violenza sessuale del quale si discute in questa sede mediante abuso di autorità. 4.1. Quanto al contenuto delle fonti di prova acquisite, in particolare, la Corte d'Appello riporta le dichiarazioni della persona offesa e di due sanitari con i quali questa si era consultata, le indicazioni dei consulenti tecnici nominati dal Pubblico Ministero e dalla difesa, e le dichiarazioni dell'imputato. Secondo quanto indicato nella sentenza impugnata, la persona offesa, Be.Anumero , ha dichiarato che a ella, in data 22 settembre 2017, si era recata nell'ambulatorio del suo medico di base, il dott. Gr., per un problema di gonfiore allo stomaco e vi aveva trovato l'attuale imputato quale sostituto del dott. Gr. b l'imputato le aveva chiesto se avesse intolleranze o allergie, e poi se avesse una infezione urinaria o avvertisse bruciore nell'atto di urinare c nonostante ella avesse risposto negativamente, l'imputato aveva proceduto ad un esame delle urine, aveva affermato di rilevare l'esistenza di una lieve infezione urinaria ed aveva chiesto alla persona offesa di sdraiarsi sul lettino d l'imputato, poi, mentre ella si trovava in posizione supina con la maglia alzata fino sotto il seno e i pantaloni slacciati e leggermente abbassati in vita, le aveva tastato l'addome e, subito dopo, le aveva abbassato i pantaloni fino a scoprire parzialmente la zona pubica della stessa e ella aveva chiesto immediatamente spiegazioni e il professionista le aveva risposto di dover accertare se le ovaie fossero ingrossate f l'imputato, nonostante le perplessità della persona offesa circa la connessione tra il problema da lei lamentato e le ovaie, e nonostante fosse stato informato della presenza di un tampone mestruale nella vagina, aveva proceduto, senza fornire ulteriori informazioni , ad indossare i guanti e ad introdurre un dito nell'organo sessuale della paziente, lo aveva mosso per alcuni secondi, e poi aveva terminato l'ispezione Non mi ha chiesto di poter fare la visita ginecologica che stava per fare, mi ha semplicemente informata che doveva sentire se avevo le ovaie ingrossate, ma non mi ha detto Adesso farò questo gesto g il medico, nell'immediato prosieguo, aveva prescritto alla donna generici esami del sangue ed una visita allergologi, senza nulla esporre in ordine al controllo ginecologico appena effettuato h ella era rimasta perplessa, ed aveva subito informato in fidanzato, il quale aveva consultato il proprio medico di base, il quale gli aveva confermato l'irregolarità della visita i ella, quindi, successivamente, aveva parlato con il proprio medico di base, il dott. Gr., della vicenda, e questi gli aveva confermato l'irregolarità delle operazioni compiute dal suo sostituto, oltre a raccontarle di aver ricevuto già alcuni anni prima, da altra paziente, la segnalazione di un'analoga condotta dell'attale imputato, vissuta come inopportuna I ella, ancora, qualche tempo dopo, in occasione del controllo ed. pap test, aveva avuto ulteriore conferma dell'irregolarità di quanto subito da un'ostetrica, la dott.ssa Fo., ed aveva perciò deciso di presentare denuncia. Sempre secondo quanto rappresentato nella sentenza impugnata, sia il dott. Gr sia la dott.ssa Fo. hanno confermato l'anomalia del trattamento sanitario subito dalla persona offesa il dott. Gr., inoltre, ha aggiunto di aver ricevuto più segnalazioni di comportamenti anomali dell'attuale imputato, ed ha precisato di non aver mai effettuato, in trent'anni di esercizio della professione sanitaria come medico di famiglia, una visita ginecologica, ma di aver piuttosto prescritto alle pazienti eventuali visite specialistiche di tale tipologia. Ancora, dalla motivazione della Corte d'Appello, emerge che il consulente tecnico del Pubblico Ministero ha dichiarato che a le visite ginecologiche effettuate dall'imputato sulla persona offesa, e su altre pazienti, non erano necessarie a fronte dei disturbi lamentati e non erano state precedute da un adeguato consenso informato, né eseguite correttamente b in particolare, quanto al fatto oggetto del cui accertamento si discute in questa sede, i sintomi esposti dalla paziente non erano sufficienti per ipotizzare una infezione delle vie urinarie, inoltre, anche a fronte dell'esito del tampone, non era richiesta una visita ginecologica di urgenza, eseguita, tra l'altro, senza il consenso informato della paziente e in maniera non corretta . Emerge inoltre, che il consulente tecnico della difesa, ha affermato che l'imputato ha ottemperato alle indicazioni del codice di deontologia medica per le prestazioni di urgenza, che le esplorazioni vaginali erano volte ad escludere urgenze di intervento, che ogni medico è abilitato ad effettuare visite ginecologiche, e che l'imputato aveva sostanzialmente ottenuto il consenso informato delle pazienti e le aveva, poi, congedate con la prescrizione di adeguati esami e terapie ha però ammesso che il comportamento tenuto dall'imputato in tutti i casi analizzati era stato non usuale . Il Giudice di secondo grado, infine, segnala che l'imputato, in relazione al controllo effettuato sulla persona offesa, ha precisato di aver deciso procedere ad una esplorazione vaginale, poiché la paziente lamentava non solo un gonfiore, ma anche un dolore addominale aveva spiegato le ragioni per le quali riteneva opportuno procedere ad un controllo ginecologico, addirittura, arrabbiandosi con la Be.Anumero per non averlo informato di essere nel periodo del ciclo mestruale e di aver indossato un assorbente interno . 4.2. Sulla base di questi elementi istruttori, la Corte d'Appello ha affermato la responsabilità dell'imputato per il delitto di violenza sessuale in danno di Be.Anumero La sentenza impugnata, in linea generale, osserva che l'imputato ha abusato della sua posizione di sanitario e del conseguente affidamento risposto dalle persone sottoposte a visita, strumentalizzando la propria posizione di supremazia, per eseguire mere esplorazioni con le dita all'interno della vagina , attività che devono essere ritenute non necessarie, e effettuate superando i limiti delle prestazioni richieste e comunque obiettivamente consentite , e che sono state compiute senza aver ottenuto dalle pazienti alcun consenso informato . Con specifico riferimento al fatto per il quale ha confermato la condanna, la Corte d'Appello ha evidenziato che l'imputato non ha spiegato alla paziente quale collegamento potesse esserci tra il fastidio addominale lamentato e l'ingrossamento delle ovaie, né il tipo di manovra che si sarebbe apprestato a compiere, ma si è limitato ad indossare i guanti e ad infilare il dito nella vagina della donna per alcuni secondi, nonostante la stessa lo avesse esplicitamente informato di avere il tampone per le mestruazioni, così da lasciarla perplessa in ordine al trattamento effettuato. Il Giudice del gravame, inoltre, ha rimarcato come le visite ginecologiche praticate dall'imputato nei confronti delle diverse pazienti che hanno rappresentato vicende analoghe a quelle denunciate da Be.Anumero siano state ritenute assolutamente insolite da tutti i medici di base, siano state effettuate con modalità scorrette, e si siano caratterizzate per la insidiosa repentinità della penetrazione con le dita . 5. Le conclusioni della sentenza impugnata in ordine all'affermazione di responsabilità dell'attuale ricorrente per il reato di violenza sessuale in danno di Be.Anumero anche con riguardo alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, e alla esclusione di un errore sul fatto dell'imputato per errore sull'esistenza di un valido consenso della persona offesa, sono immuni da vizi. Invero, la Corte d'Appello, con motivazione precisa e congrua, ha spiegato perché deve ritenersi che l'imputato abbia consapevolmente omesso di informare correttamente la persona offesa del tipo di atto che si accingeva a compiere, e comunque delle ragioni che rendevano necessario o utile procedervi. Di conseguenza, è corretto concludere che l'imputato non versava in errore su un ipotizzato consenso presunto della paziente, perché egli, omettendo consapevolmente di fornire le corrette informazioni che era tenuto a fornire, era a conoscenza dell'assenza di qualunque valido consenso della persona offesa al compimento dell'atto da lui realizzato ed incidente sulla sfera della libertà sessuale della vittima. Ne discende, allora, che l'imputato, avendo consapevolmente fornito alla vittima informazioni inesatte, reticenti o comunque incomplete, ha precluso alla stessa l'effettivo esercizio del diritto fondamentale ad autodeterminarsi, ha strumentalizzato la sua posizione di preminenza per costringere il soggetto passivo a subire atti incidenti sulla propria sfera sessuale, e, con tale condotta, ha integrato gli estremi della fattispecie di violenza sessuale con abuso di autorità. 6. Fondate sono le censure formulate nel secondo e nel terzo motivo, che contestano il diniego delle circostanze attenuanti generiche, deducendo, in particolare, il travisamento degli atti del processo con riferimento all'avvenuto pagamento delle somme liquidate a titolo di provvisionale e di spese processuali. In effetti, la sentenza impugnata ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, affermando che l'imputato può valorizzare soltanto il suo stato di incensuratezza, e che non ha dimostrato alcuna sensibilità per le persone offese, perché ha omesso di corrispondere, anche solo in parte, l'importo liquidato a titolo di provvisionale in favore delle stesse. Tuttavia, il ricorso evidenzia che, diversamente da quanto indicato dalla Corte d'Appello, l'imputato ha corrisposto le somme liquidate a titolo di provvisionale e di spese processuali, e, in particolare, allega i relativi bonifici, effettuati il 5 ottobre 2022, in favore di Be.Anumero , persona offesa del reato per il quale è stata confermata la dichiarazione di penale responsabilità. Di conseguenza, risulta evidente che il diniego delle circostanze attenuanti generiche è stato espressamente deciso sulla base un presupposto inesistente, ed anzi omettendo qualunque valutazione della documentazione prodotta dalla difesa, attestante l'esatto contrario. La relativa statuizione, quindi, è viziata ed è necessario un nuovo giudizio sul punto. 7. Fondate sono anche le censure enunciate nel quarto motivo, che contestano il giudizio di equivalenza, invece che di prevalenza, della circostanza attenuante della minore gravità del fatto sull'aggravante di cui all' articolo 61, numero 9, cod. penumero , in particolare per l'omesso esame delle corrispondenti richieste formulate nell'atto di appello. Invero, nell'atto di appello era stata espressamente formulata la richiesta di un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sull'aggravante, e la sentenza impugnata, nonostante abbia dato atto di tale censura cfr. pag. 12 , ha omesso qualunque motivazione in ordine alla stessa. È quindi necessario un nuovo giudizio di merito per l'esame di tale censura. 8. In conclusione, la sentenza impugnata, stante la infondatezza delle censure esposte nel primo motivo e della fondatezza, invece, delle censure formulate nel secondo, nel terzo e nel quarto motivo, diventa irrevocabile nel punto relativo all'affermazione della responsabilità dell'imputato per il reato di violenza sessuale in danno di Be.Anumero mentre deve essere annullata per nuovo giudizio limitatamente al punto concernente le circostanze attenuanti generiche e al punto concernente il giudizio di comparazione tra circostanze. Il Giudice del rinvio, che si individua in altra Sezione della Corte d'Appello di Milano, in primo luogo, valuterà se siano concedibili le circostanze attenuanti generiche, espressamente apprezzando la documentazione prodotta dalla difesa, in particolare quella costituita dai bonifici effettuati in favore di Be.Anumero . All'esito di tale giudizio, poi, procederà ad esaminare la questione concernente la comparazione tra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti, per decidere se essere confermato quello di equivalenza o se invece debbano prevalere le prime, eventualmente apprezzando a tal fine, ove concesse, anche le circostanze attenuanti generiche. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente le attenuanti generiche e al punto concernente il giudizio di comparazione tra circostanze con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.