Chi è una “vittima del dovere”?

Per il riconoscimento dello status di vittima del dovere, ai sensi dell’articolo 1, comma 563, l. numero 266/2005, non è sufficiente che le lesioni patite dal pubblico dipendente siano state riportate in conseguenza di eventi verificatisi in occasione di una delle attività tipizzate dalle lett. a , b , c , d , e ed f , del citato articolo 1, ma è necessario che l’evento da cui è scaturita la lesione costituisca a sua volta una concretizzazione della speciale pericolosità e/o del rischio che è tipicamente proprio di quelle determinate attività.

Agente di polizia cade in servizio per soccorre un bambino vittima del dovere o semplice infortunio? Un agente di polizia municipale cadeva e si procurava un trauma cranico-facciale, nel tentativo di raggiungere un bimbo che era scappato dalle braccia della madre, all'uscita da scuola. L'agente chiedeva quindi il riconoscimento dello status di «vittima del dovere» per essersi procurato lesioni nell'ambito di operazioni di soccorso. I giudici di merito negavano l'attribuzione di tale status e la questione giungeva alla Corte di Cassazione, chiamata a chiarire in quali circostanze si possa parlare di «vittima del dovere», ai sensi dell'articolo 1 comma 563 l. 266/2005. Secondo la Corte, se da un lato è indiscutibile che l'infortunio sia capitato in occasione dell'«operazione di soccorso» volta ad evitare che il minore, rimasto incustodito, potesse attraversare la strada trafficata ed essere investito, dall'altro lato, non si può non considerare che la caduta sul marciapiede, descritta come frutto di un autonomo dinamismo corporeo, corrisponda ad un rischio tipico e ordinario dell'operazione di soccorso. E' infatti normale che il soccorritore possa rimanere vittima delle conseguenze della situazione di pericolo imminente in cui si trova chi ne è beneficiario, ma tale rischio va adeguatamente avvalorato si è di fronte ad un semplice infortunato in servizio o una vittima del dovere?   La definizione di «soccorso» e la qualificazione di «vittima del dovere» Per sciogliere ogni dubbio la Corte di Cassazione parte dalla nozione di soccorso, discostandosi da quella delineata dai giudici di merito, i quali avevano escluso lo status di «vittima del dovere»  in ragione del fatto che l'attività di regolamentazione del traffico non fosse connotata dalla speciale pericolosità e dall'assunzione di rischi qualificati rispetto alla generalità dei pubblici dipendenti, sicchè andava esclusa la richiesta qualificazione. Diversamente, il ricorrente sosteneva che ai fini della richiesta qualificazione non rilevasse il servizio per il quale egli era stato comandato regolamentazione del traffico , quanto piuttosto il fatto che, in occasione del suo espletamento, egli era stato impegnato in un'operazione di soccorso. Ancora diversamente la Cassazione avvalora la nozione di soccorso, ragionando sulla lettera degli articolo 1 e 3 l. 466/1980 e articolo 1, comma 563, l. 266/2005 il soccorso si identifica con la necessità di adoperarsi per aiutare chi si trovi in una situazione di pericolo imminente o attuale tale necessità può scaturire da una richiesta diretta e specifica di assistenza, sia da un obbligo qualificato di soccorso che tragga fondamento nelle competenze attribuite. Ebbene, non c'è dubbio che l'agente sia intervenuto in soccorso, durante il servizio, ma ciò non è sufficiente a fargli avere lo status di vittima del dovere ai sensi dell'articolo 1 comma 563 l. 266/2005, poiché, tale norma, in combinato disposto con l'articolo 1 l. 466/1980 prevede che le lesioni  subite dalla vittima del dovere debbano essere riportate «in conseguenza di eventi [ ] dipendenti da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia preventiva o repressiva o all'espletamento di attività di soccorso». Se così non fosse, ogni dipendente pubblico che riportasse un'infermità per causa di servizio sarebbe una vittima del dovere invece, per tale qualificazione, è necessario che l'evento da cui è scaturita la lesione costituisca, a sua volta, una concretizzazione della speciale pericolosità e/o del rischio tipicamente proprio dell'attività. Ciò non può dirsi nel caso di specie, con la conseguenza che l'agente, infermo, avrà diritto alle tutele legate all'invalidità in servizio ma non a quelle riservate alle vittime del dovere.

Fatti di causa Con sentenza depositata il 22.2.2022, la Corte d'appello di Bari ha confermato, integrandone la motivazione, la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di G.M. volta a conseguire i benefici dovuti alle vittime del dovere. La Corte, anzitutto, ha dato atto che il primo giudice aveva ritenuto che l'attività svolta dall'appellante e dalla quale si erano originate le lesioni non potesse rientrare nella nozione di “operazioni di soccorso” indi, sulla scorta di Cass. numero 29204 del 2021, ha ritenuto che l'ordinaria attività di regolamentazione della viabilità non potesse ritenersi connotata da speciale pericolosità e dall'assunzione di rischi qualificati rispetto alla generalità degli altri pubblici dipendenti. Per la cassazione di tali statuizioni ricorre G.M., deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria. Il Ministero dell'Interno ha resistito con controricorso. La causa è stata rimessa alla pubblica udienza, a seguito di infruttuosa trattazione camerale, con ordinanza del 15.2.2024. Il Pubblico ministero ha depositato memoria. In vista dell'udienza pubblica, parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria. Ragioni della decisione Con l'unico motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 563, l. numero 266/2005, per avere la Corte di merito ritenuto che l'attività di regolamentazione della viabilità propria dell'agente di polizia municipale, nell'espletamento della quale era maturato l'incidente occorsogli, non possedesse quella speciale pericolosità richiesta affinché le lesioni riportate in conseguenza del suo svolgimento potessero guadagnargli la condizione di vittima del dovere ad avviso del ricorrente, infatti, non rileverebbe all'uopo il servizio per il quale egli era stato comandato, ma piuttosto il fatto che, in occasione del suo svolgimento, egli era stato impegnato in una “operazione di soccorso” ai sensi dell'articolo 1, comma 563, lett. d , l. numero 266/2005. Il motivo è infondato, sebbene la motivazione della sentenza vada corretta. In punto di fatto, deve ritenersi incontroverso che in data 7.10.2005, l'odierno ricorrente, agente di Polizia Municipale presso il Comune di OMISSIS , mentre espletava il servizio di controllo della viabilità davanti ad una scuola elementare, si avvide che un bambino di tre anni, sfuggito al controllo della madre, correva incustodito lungo uno stretto marciapiede adiacente alla strada trafficata lanciatosi quindi al suo inseguimento, scivolò e, colpendo con il capo il palo di sostegno di un cestino della spazzatura, riportò trauma cranio-facciale fratturativo, che gli ha cagionato lesioni permanenti. Ciò posto, deve senz'altro convenirsi con parte ricorrente nel rilievo secondo cui, ai fini dell'applicazione della speciale disciplina prevista per le vittime del dovere, non può rilevare in specie il servizio che il pubblico dipendente era stato chiamato a svolgere, ma piuttosto l'azione che quel servizio ha, nelle circostanze concrete, reso necessaria questa Corte ha infatti già avuto modo di chiarire, con riguardo alla nozione di “soccorso” delineata nel combinato disposto degli articolo 3 e 4, l. numero 466/1980, che la necessità di adoperarsi per aiutare chi si trovi in una situazione di pericolo imminente può scaturire sia in conseguenza di una richiesta specifica di assistenza avanzata nell'immediatezza della situazione di pericolo, sia in conseguenza di un obbligo qualificato di soccorso che abbia fondamento nelle competenze attribuite, in via generale, dalla legge e distinto dal generico dovere di soccorso che opera per il comune cittadino cfr. in tal senso Cass. numero 30902 del 2021 e dal momento che la nozione di “operazione di soccorso” di cui all'articolo 1, comma 563, lett. d , l. numero 266/2005, deve necessariamente essere modulata su quella di cui agli articolo 3 e 4, l. numero 466/1980, cit., stante l'assimilazione operata dall'articolo 1, comma 563, cit., tra “gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invalidità permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto” e “i soggetti di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 1980, numero 466”, deve logicamente ritenersi che una “operazione di soccorso”, ai sensi della lett. d della norma in esame, può configurarsi sia in conseguenza dell'espletamento di compiti che istituzionalmente contemplino l'aiuto prestato a chi si trova in situazione di pericolo imminente, sia in conseguenza di un'improvvisa situazione di pericolo determinatasi nell'espletamento di compiti che istituzionalmente non abbiano tale finalità. Non può, tuttavia, ritenersi che ogni lesione riportata da un pubblico dipendente nell'ambito di una operazione di soccorso possa valere a guadagnargli anche lo status di vittima del dovere. È bensì vero che l'articolo 1, comma 563, l. numero 266/2005, nel richiedere, per quanto qui rileva, che le lesioni siano state riportate “in conseguenza di eventi verificatisi […] in operazioni di soccorso”, sembra evocare una concezione naturalistica o meglio, logica del rapporto di causalità, tale per cui sarebbe sufficiente che l'attività in specie, di soccorso costituisca mera condicio sine qua non dell'evento lesivo. È però altrettanto vero che questa Corte ha da tempo chiarito che la nozione di causa va ricostruita sulla base dello scopo della norma che la contempla come elemento della fattispecie cfr. in tal senso Cass. S.U. numero 13246 del 2019 e, più di recente, Cass. numero 8429 del 2024 il concetto di “causa” è infatti eminentemente normativo ed è solo in virtù di questa sua peculiare connotazione che, ad es., è possibile attribuire efficienza causale ad una omissione articolo 40, comma 2°, c.p. o escludere il rapporto di causalità tra azione o omissione ed evento in presenza di concause sopravvenute che non abbiano approfondito o l'abbiano approfondito nei limiti del lecito il rischio originariamente creato con l'azione o l'omissione articolo 41, comma 2°, c.p. . Ciò posto, si è già visto che l'articolo 1, comma 563, l. numero 266/2005, nel dettare la definizione di “vittime del dovere”, assimila i dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invalidità permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto ai “soggetti di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 1980, numero 466”, vale a dire ai dipendenti pubblici civili e militari che “per diretto effetto di ferite o lesioni subite nelle circostanze ed alle condizioni di cui agli articoli 1 e 2 della presente legge, abbiano riportato una invalidità permanente”. Sennonché, l'articolo 1, l. numero 466/1980, espressamente prevede che le lesioni rilevanti ai fini dell'attribuzione dello status di vittima del dovere debbano essere riportate “in conseguenza di eventi […] dipendenti da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia preventiva o repressiva o all'espletamento di attività di  soccorso” e in presenza di un tale disposto normativo, l'assimilazione tra le due categorie sancita dal legislatore non può non indurre l'interprete a ritenere che anche gli “eventi verificatisi […] in operazioni di soccorso”, di cui all'articolo 1, comma 563, lett. d , l. numero 266/2005, così come quelli verificatisi nello svolgimento delle altre attività menzionate nelle lett. a , b , c , e , f , della norma cit., debbano essere dipendenti da rischi specificamente attinenti a tali attività, ossia rappresentare una concretizzazione di quella speciale pericolosità e/o dell'assunzione di quel rischio qualificato che – come già posto in evidenza da Cass. numero 29204 del 2021 – il legislatore ha considerato per differenziare la categoria delle vittime del dovere rispetto alla generalità dei pubblici dipendenti che possano riportare un'infermità per causa di servizio diversamente argomentando, infatti, la ratio sottesa all'assimilazione tra le due categorie di vittime del dovere verrebbe a smarrirsi e “gli altri dipendenti pubblici” verrebbero a godere, ai fini in discorso, di un trattamento di favore rispetto a quelli di cui all'articolo 3, l. numero 466/1980, ciò che non potrebbe non indurre dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con l'articolo 3, comma 1°, Cost.- Proprio per ciò deve escludersi che, ai fini dell'attribuzione dello status di vittima del dovere, sia sufficiente che le lesioni patite dal pubblico dipendente siano state riportate in conseguenza di eventi verificatisi in occasione di una delle attività tipizzate dall'articolo 1, comma 563, l. numero 266/2005 è necessario, piuttosto, che l'evento da cui è scaturita la lesione costituisca a sua volta una concretizzazione della speciale pericolosità e/o del rischio tipicamente proprio di quelle determinate attività. Tanto, a parere del Collegio, non può dirsi del caso di specie.   Come già dianzi ricordato, l'evento traumatico di cui è rimasto vittima l'odierno ricorrente si dovette al fatto che, nel tentativo di raggiungere un bimbo che, sottrattosi al controllo della madre, si era allontanato lungo il marciapiede adiacente alla strada trafficata, egli scivolò e, perdendo l'equilibrio, cadde, battendo il capo contro un cestino metallico portarifiuti così descrive i fatti la sentenza di primo grado, cit. a pag. 3 del ricorso per cassazione e se è certamente indiscutibile che ciò accadde in occasione dell'“operazione di soccorso” finalizzata ad evitare che il minore, rimasto incustodito, potesse attraversare la strada trafficata ed essere investito, reputa il Collegio che la caduta sul marciapiede, descritta come frutto di un autonomo dinamismo corporeo, non possa essere considerata come concretizzazione del rischio tipico dell'operazione di soccorso, quest'ultimo piuttosto identificandosi normalmente nel fatto che il soccorritore possa rimanere vittima delle conseguenze della situazione di pericolo imminente in cui si trova chi ne è beneficiario. Sotto questo profilo, reputa il Collegio che debba essere precisata l'affermazione contenuta nella parte motiva di Cass. numero 2664 del 2024 fermo restando che, come più volte affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte cfr. ad es. Cass. S.U. numero 10791 del 2017 , il tratto differenziale della previsione di cui all'articolo 1, comma 563, l. numero 266/2005, rispetto alla previsione successiva contenuta nel successivo comma 564, risiede nel fatto che essa elenca una serie di attività ritenute dal legislatore ex se pericolose, ossia – come precisato da Cass. numero 29204 del 2021, cit. – connotate da una speciale pericolosità e dall'assunzione di rischi qualificati rispetto a quelli propri della generalità dei pubblici dipendenti, senza che sia richiesta la presenza d'un rischio ulteriore e diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, il riconoscimento dello status di vittima del dovere richiede nondimeno che le lesioni siano derivate da eventi che costituiscano concretizzazione della speciale pericolosità e del rischio qualificato ch'è tipico di quelle attività e trattasi, a ben vedere, di conclusione che appare avvalorata dalla vicenda che ha formato oggetto di Cass. S.U. numero 6214 del 2022, ancorché invocata da parte ricorrente per sostenere l'accoglimento della propria censura è sufficiente, al riguardo, ricordare che, in quel caso, lo status di vittima del dovere è stato riconosciuto ad un agente della Polizia Municipale che era stato investito durante un servizio di vigilanza del traffico in occasione di una fiera cittadina, mentre cercava di fermare un motoveicolo che stava per investire i pedoni presenti sull'attraversamento pedonale. Corretta negli anzidetti termini la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso va pertanto rigettato, con l'enunciazione del seguente principio di diritto “ai fini del riconoscimento dello status di vittima del dovere, ai sensi dell'articolo 1, comma 563, l. numero 266/2005, non è sufficiente che le lesioni patite dal pubblico dipendente siano state riportate in conseguenza di eventi verificatisi in occasione di una delle attività tipizzate dalle lett. a , b , c , d , e ed f , del citato articolo 1, ma è necessario che l'evento da cui è scaturita la lesione costituisca a sua volta una concretizzazione della speciale pericolosità e/o del rischio che è tipicamente proprio di quelle determinate attività”. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in considerazione della novità e complessità della questione trattata, mentre, avuto riguardo al rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. numero 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente decisione in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di parte ricorrente.