Con sentenza numero 208 del 2024, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articolo 442, comma 2-bis, e 676, comma 3-bis, c.p.p. nella parte in cui non prevedono che il giudice dell’esecuzione può concedere altresì la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando il giudice della cognizione non abbia potuto provvedervi perché la pena allora determinata era superiore ai limiti di legge che consentono la concessione di tali benefici.
La questione il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 442, comma 2-bis, c.p.p., «nella parte in cui non prevede che il Giudice dell'esecuzione possa concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ove la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l'applicazione di una pena contenuta nei limiti di legge di cui all'articolo 163 c.p. e ricorrendone gli ulteriori presupposti, in riferimento agli articolo 3, 27, commi primo e terzo, 111, 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo». il rimettente ha escluso la possibilità di giungere ad un'interpretazione costituzionalmente conforme dell'articolo 442, comma 2-bis, c.p.p., tale da consentire al giudice dell'esecuzione di concedere la sospensione condizionale della pena a seguito della rideterminazione della stessa ai sensi della disposizione censurata tra l'altro essa si tradurrebbe in un'applicazione analogica dell'articolo 671, comma 3, c.p.p., la cui praticabilità sarebbe stata già esclusa dalla giurisprudenza di legittimità. La disciplina censurata determinerebbe, in particolare, una situazione di “vuoto giurisdizionale” – di per sé costituente “indice manifesto” di irragionevolezza, tanto in merito alle possibilità disparità sanzionatorie nei confronti del condannato, quanto in relazione alla ragionevole durata del processo. Tra l'altro, l'impossibilità per il giudice dell'esecuzione di applicare la sospensione condizionale in esito alla riduzione di pena prevista dalla disposizione censurata tramuterebbe il condannato in un cd. “libero sospeso”. Da ciò deriverebbe, in definitiva, che «la lacuna normativa censurata non solo non consente di raggiungere le finalità rieducative e di deflazione processuale connesse agli istituti coinvolti, ma si pone in chiave antagonista rispetto a queste ultime, ostacolando la realizzazione di trattamenti sanzionatori alternativi al carcere già in fase di cognizione ed inflazionando in misura deteriore il già gravato procedimento di sorveglianza». La Corte Costituzionale, pur ritenendo che un'interpretazione conforme a Costituzione della disposizione censurata sarebbe stata praticabile, ha affermato che esigenze di certezza giuridica, particolarmente acute nella materia processuale, rendono opportuno intervenire nel senso sollecitato dal rimettente. Ne è conseguita la declaratoria di illegittimità degli articolo 442, comma 2-bis, e 676, comma 3-bis, c.p.p. Le argomentazioni della Corte a i principi costituzionali coinvolti In va preliminare, la Corte costituzionale ha circoscritto le questioni sottoposte al controllo di costituzionalità e si è pronunciata sulla loro ammissibilità. Le censure sono risultate due la prima attiene alla denuncia di una «lacuna normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla funzione rieducativa», con conseguente violazione degli articolo 3 e 27, commi 1 e 3, Cost. la seconda, evidenzia invece l'esistenza di una «lacuna normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla ragionevole durata del processo», con conseguente violazione degli articolo 3,111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'articolo 6 CEDU. Nell'ammettere poi entrambe le questioni, la Corte ha superato le obiezioni formulate dall'Avvocatura generale dello Stato, soffermandosi sulla disciplina codicistica all'esito delle riforme del 2022 e del 2024. A tal fine, si è fatto notare come anche a seguito dei correttivi del 2024 si evidenzi una ridondanza, giacché tanto la disposizione censurata – l'articolo 442, comma 2-bis, c.p.p. –, quanto il nuovo articolo 676, comma 3-bis, c.p.p. continuano a sovrapporsi nel conferire al giudice dell'esecuzione il potere di provvedere sulla riduzione di pena in caso di mancata impugnazione della sentenza pronunciata con rito abbreviato. Così come appare evidente che né l'una, né l'altra disposizione prevedono alcunché sul potere di quello stesso giudice di applicare la sospensione condizionale della pena o la non menzione della condanna, oggetto della doglianza del giudice a quo. Se ne è concluso che la scelta del rimettente di appuntare le proprie censure sullo stesso articolo 442, comma 2-bis, c.p.p. non può considerarsi erronea. Per quanto concerne il merito delle censure, la Corte, in via di premessa, ha rilevato come l'interpretazione della disposizione censurata secondo cui non sarebbe consentito al giudice dell'esecuzione provvedere, contestualmente alla riduzione di pena, sulle istanze di applicazione della sospensione condizionale e della non menzione della condanna, nemmeno quando solo per effetto di tale riduzione la pena risulti contenuta entro i limiti che in astratto consentono la concessione dei benefici, si ponga effettivamente in contrasto con i parametri costituzionali evocati dal rimettente. Sotto questo profilo vanno evidenziate alcune riflessioni formulate dalla Corte. In via preliminare, si è osservato che tanto la sospensione condizionale della pena quanto la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale sono istituti chiave nell'ottica della funzione oggi costituzionalmente assegnata alla pena dall'articolo 27, comma 3, Cost. e che l'applicazione di entrambi i benefici è subordinata dalla legge a una serie di requisiti, tra i quali spicca un limite massimo di pena detentiva concretamente inflitta. Premesso che la valutazione sull'applicazione di tali benefici da parte del giudice della cognizione – anche nelle ipotesi in cui si faccia ricorso ai riti alternativi - diviene parte integrante del processo di “commisurazione in senso lato” della pena, è questa pena – determinata anche in ragione delle diminuzioni operanti nel rito alternativo scelto - a costituire il punto di riferimento per l'operatività degli articolo 163 e 175 c.p. Dopo aver ribadito la solidità costituzionale della scelta codicistica per tali riti alternativi, atteso che la “diminuzione della pena conseguente a scelte processuali individuali non è una graziosa concessione al condannato, ma riflette la precisa logica sinallagmatica”, volta a garantire “un minor carico sanzionatorio a chi volontariamente rinunci a esercitare parti integranti del proprio diritto costituzionale di difesa, fornendo così un contributo al più rapido ed efficiente funzionamento del sistema penale nel suo complesso”, per la Corte appare “del tutto logico che la valutazione sui presupposti della sospensione condizionale e della non menzione venga operata rispetto alla pena così come determinata “a valle” delle scelte processuali dell'imputato, che costituiscono, esse pure, elementi significativi nella «commisurazione in senso lato della pena a lui applicabile». L'articolo 442, comma 2-bis, c.p.p. si iscrive in questa logica, poiché con l'ulteriore riduzione di un sesto, a seguito della rinuncia all'impugnazione contro la sentenza, il legislatore si è ripromesso di ottenere un risparmio di tempi e di energie per il già sovraccarico sistema penale italiano, riducendo per quanto possibile – rispettivamente – il numero di giudizi dibattimentali e di impugnazioni. La peculiarità della riduzione “ulteriore” di pena di cui al comma 2-bis risiede, però, nella circostanza che alla rideterminazione della pena è chiamato il giudice dell'esecuzione. La preclusione sottolineata dal giudice a quo finirebbe per determinare – rispetto alla funzione esercitata dallo stesso giudice dell'esecuzione in caso di diminuzione di un terzo – una disparità di trattamento «difficilmente giustificabile al metro del principio di eguaglianza ex articolo 3 Cost. E ciò tanto più in quanto, come già osservato, la rinuncia all'impugnazione della sentenza di condanna, dalla quale dipende la riduzione di un sesto della pena, è sacrificio diverso e ulteriore rispetto alla rinuncia alle garanzie del dibattimento, che è già “compensata” dalla riduzione della metà o di un terzo prevista dal comma 2 dell'articolo 442 c.p.p.». Se al giudice dell'esecuzione fosse preclusa la possibilità di provvedere ai sensi degli articolo 163 e 175 c.p. in ragione dell'ulteriore diminuzione di un sesto, imponendosi così il passaggio alla fase esecutiva di pene detentive di durata non superiore a due anni, ovvero la necessaria menzione sul casellario giudiziale di pene contenute entro tale limite di durata, si consacrerebbe una soluzione «in antitesi con le finalità rieducative perseguite dal legislatore attraverso i due istituti in esame, in adempimento del preciso mandato costituzionale di cui all'articolo 27, terzo comma, Cost.». La soluzione ora in esame finirebbe, infine, per minare gravemente l'effettività dell'incentivo alla rinuncia all'impugnazione, sul quale ha scommesso la riforma del 2022, con l'ulteriore effetto di determinare «un elemento di intrinseca irrazionalità rispetto allo stesso scopo legislativo di favorire una più rapida definizione del contenzioso penale con conseguente ulteriore profilo di frizione rispetto all'articolo 3 Cost., in combinato disposto con gli articolo 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'articolo 6, paragrafo 1, CEDU». Segue b il silenzio del legislatore e la rilevanza del diritto vivente Meritano particolare attenzione le argomentazioni formulate dalla Corte in merito all'eventuale superamento della lacuna normativa evidenziata dal giudice a quo attraverso il ricorso all'interpretazione formulata in sede di giudizio di legittimità. Quanto al silenzio del legislatore, la Corte ha sottolineato come possa essere inteso dall'interprete in uno o in altro senso, dal momento che al criterio ubi lex voluit dixit, ubi tacuit noluit può agevolmente opporsi la normale applicabilità dell'analogia, legis o iuris, quale strumento idoneo a colmare le lacune lasciate aperte del legislatore, salvo che sussistano specifici impedimenti all'uso di tale strumento, quale segnatamente la natura eccezionale della disciplina di cui si tratta articolo 14 Preleggi . Per il giudice a quo è precluso il ricorso all'interpretazione analogica, in questo caso attraverso il rinvio a quanto previsto dall'articolo 671, comma 3, c.p.p., in ragione della natura eccezionale di tale disposizione, in sintonia con quanto già sostenuto nella sentenza delle Sezioni unite numero 4687 del 2006. A questo proposito la Corte ha approfondito le scelte compiute dalla cassazione nella sua elaborazione giurisprudenziale. «L'evoluzione successiva della giurisprudenza di legittimità ha mostrato non solo un progressivo riconoscimento del potere del giudice dell'esecuzione di rideterminare la pena cristallizzata in una sentenza definitiva di condanna anche al di fuori delle ipotesi legislativamente previste su tale evoluzione, sentenze numero 2 del 2022, punto 5.1.1. del Considerato in diritto, numero 68 del 2021, punto 2.2. del Considerato in diritto, e numero 210 del 2013, punto 7.3. del Considerato in diritto, e ivi ampi riferimenti alla giurisprudenza pertinente della Corte di cassazione ma evidenzia altresì – per ciò che qui più direttamente rileva – un progressivo riconoscimento del suo potere di concedere la sospensione condizionale della pena in conseguenza di tale rideterminazione, una volta rimosso l'ostacolo normativo che aveva impedito al giudice della cognizione di provvedervi». E ciò anche in assenza di uno specifico appiglio normativo come quello rappresentato dalla formula, presente nell'articolo 673 c.p.p. e valorizzata dalle Sezioni unite nel 2006, secondo la quale il giudice dell'esecuzione «adotta i provvedimenti conseguenti» così, ad esempio, Cass., numero 16679 del 2013 . Le pronunce appena riferite mostrano che un'interpretazione conforme a Costituzione della disposizione censurata sarebbe stata praticabile. Dal diritto vivente, in altre parole, si evincerebbe «che tra i poteri del giudice dell'esecuzione – fondati che siano su espresse disposizioni normative, su applicazioni analogiche di tali disposizioni ovvero su un'analogia iuris che muova dal principio generale del necessario adeguamento del titolo esecutivo a fatti sopravvenuti al giudicato stesso – rientra il potere di effettuare ogni valutazione conseguente alla rideterminazione della pena irrogata nella sentenza irrevocabile, a sua volta imposta dalle disposizioni di legge di volta in volta rilevanti». Le conclusioni A questo punto, però, la Corte è stata costretta ad aggiornare i risultati dell'elaborazione giurisprudenziale della cassazione. Ciò è accaduto in quanto, nelle more del giudizio di legittimità costituzionale, almeno due pronunce della Corte di cassazione hanno escluso «il potere del giudice dell'esecuzione di disporre la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna a valle della rideterminazione della pena ai sensi della disposizione censurata, reiterando sostanzialmente l'argomento della natura eccezionale dei poteri d'intervento sul giudicato del giudice dell'esecuzione Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 26 marzo-17 luglio 2024, numero 28917 e 9 luglio-15 ottobre 2024, numero 37899 ». Da qui una netta presa di posizione ispirata all'esigenza di “certezza giuridica” Pur rilevando che due sole pronunce – rese in un brevissimo arco temporale – non costituiscano già diritto vivente idoneo a essere assunto come oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, la Corte ha preso atto «della circostanza che, allo stato, la Corte di Cassazione ha ritenuto di non poter pervenire ad un'interpretazione costituzionalmente conforme, nel senso appena indicato, della disposizione censurata». In considerazione delle esigenze di certezza giuridica, particolarmente acute nella materia processuale, alla Corte è apparso opportuno «intervenire, nel senso sollecitato dal rimettente, ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali in gioco attraverso una pronuncia di accoglimento additiva». La soluzione è stata individuata nel mutuare «la disciplina di cui all'articolo 671, comma 3, c.p.p., che espressamente prevede il potere del giudice dell'esecuzione di concedere altresì la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando il giudice della cognizione non abbia potuto provvedervi perché la pena allora determinata era superiore ai limiti di legge che consentono la concessione di tali benefici». La corte ha, pertanto, dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articolo 442, comma 2-bis, e 676, comma 3-bis, c.p.p. nella parte in cui non prevedono «che il giudice dell'esecuzione può concedere altresì la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando il giudice della cognizione non abbia potuto provvedervi perché la pena allora determinata era superiore ai limiti di legge che consentono la concessione di tali benefici».