Il giudice ordinario può disapplicare il decreto sui Paesi Sicuri

Il giudice ordinario, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’articolo 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri secondo la disciplina ratione temporis […].

[…] Allorché la designazione operata dall'autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Inoltre, a garanzia dell'effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l'istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l'insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest'ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale. I fatti di causa Nel corso di un procedimento avente ad oggetto la domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo la Tunisia inserito nell'elenco dei paesi di origine sicuri, il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 1° luglio 2024, ha sottoposto alla Corte di cassazione, ai sensi dell'articolo 363-bis c.p.c., un rinvio pregiudiziale circa l'ambito e l'ampiezza del sindacato del giudice sulla designazione di un paese di origine come sicuro per effetto del decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia. Il quesito sollevato dal Tribunale è se, quando il richiedente proviene da un paese sicuro, il giudice ordinario, nell'ambito del procedimento che si apre con il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza ai sensi dell'articolo 28-ter del d.lgs. numero 25 del 2008 emesso dalla Commissione territoriale, sia vincolato alla designazione ministeriale o se non debba piuttosto valutare, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria, sulla base di informazioni sui paesi di origine COI aggiornate al momento della decisione, se il paese incluso nell'elenco sia effettivamente tale alla luce della normativa europea e nazionale vigente in materia. L'interrogativo è proposto in generale, in modo da abbracciare sia il caso in cui il ricorrente contesti la natura sicura del paese di origine, sia l'ipotesi di mancanza di contestazione. Nella vicenda all'esame del giudice a quo, la Commissione territoriale ha rigettato la domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino tunisino in quanto il richiedente proviene da un paese di origine sicuro e non ha allegato fondati motivi per ritenere che il paese d'origine non sia sicuro per la particolare situazione in cui egli si trova. Il richiedente ha presentato ricorso avverso la decisione di diniego instando per la sospensione del provvedimento reiettivo. Non ha allegato ragioni specifiche relative alla sua persona, ma ha fatto riferimento al mutamento della situazione della Tunisia riguardante la generalità delle persone. In altri termini, non ha allegato gravi e circostanziate ragioni riferibili alla propria condizione, ma ha sostenuto che alla luce di una serie di accadimenti, indicativi di una involuzione autoritaria, che interessano la generalità delle persone, la Tunisia non presenterebbe più i requisiti di permanenza all'interno della lista. Il Tribunale di Roma rileva che la valutazione di un paese di origine come sicuro, ai sensi dell'articolo 2-bis del d.lgs. numero 25 del 2008, determina «una pluralità di conseguenze sulla procedura applicata alle domande di protezione internazionale avanzate dai richiedenti provenienti da quel territorio e riduce significativamente le loro possibilità di difesa», tanto che il richiedente sarebbe a rischio di un allontanamento in quanto non più titolato a restare nel Paese, con effetti limitativi del suo diritto di difesa. Il Tribunale rimettente osserva che, sulla questione sollevata, si rinvengono contrastanti interpretazioni presso i giudici di merito. Difatti, alcuni Tribunali ritengono che la valutazione della sicurezza di un paese sia riservata ai Ministri competenti altri, al contrario, ritengono che essa sia sindacabile dal giudice e consenta la disapplicazione del decreto ministeriale indicante paesi non rispondenti ai canoni di sicurezza previsti dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 giugno 2013, numero 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale rifusione . La Prima Presidente ha dichiarato ammissibile il rinvio pregiudiziale e lo ha assegnato alla Prima Sezione civile. La questione sottoposta al sindacato della Suprema Corte Con il rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, la Corte è investita del compito di stabilire se l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale è stato impugnato il provvedimento di diniego della protezione internazionale, in ragione della provenienza del richiedente da un paese di origine sicuro, abbia o meno il potere-dovere di riconsiderare l'inserimento del paese nella lista dei paesi sicuri, allorché l'indicazione – compiuta dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell'interno e della Giustizia – si discosti dai parametri previsti dalla normativa europea oppure non sia più rispondente a tali criteri alla luce delle mutate condizioni di fatto. Il quesito è sollevato sia per il caso in cui il richiedente protezione internazionale invochi una circostanza attinente alla protezione internazionale timore di persecuzione o danno grave , sostanzialmente contestando la natura sicura del paese di origine non su una base individuale, ma per rilievi d'ordine generale sia per l'ipotesi in cui il richiedente non abbia contestato espressamente la legittimità dell'inclusione del suo paese di origine nella lista di quelli sicuri. La nozione di “Paese Sicuro” Quella di paese di origine sicuro è una nozione giuridica di diritto europeo, recepita dal legislatore nazionale. Secondo l'allegato I della direttiva 2013/32/UE, un paese di origine può essere considerato sicuro «se, sulla base dello status giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell'articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano e degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale». Per effettuare tale valutazione – prosegue l'allegato I – «si tiene conto, tra l'altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante a le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate b il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell'articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea c il rispetto del principio di non-refoulement conformemente alla Convenzione di Ginevra d un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà». Gli articolo 36 e 37 della direttiva 2013/32/UE, riguardanti, rispettivamente, il concetto di paese di origine sicuro e la designazione nazionale, da parte degli Stati membri, di paesi terzi come paesi di origine sicuri, istituiscono un regime particolare di esame al quale gli Stati possono sottoporre le domande di protezione internazionale, regime che si basa su una forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel paese di origine, la quale può essere confutata dal richiedente se adduce gravi motivi attinenti alla sua situazione particolare. L'articolo 37 della direttiva, in particolare, prescrive, altresì, degli obblighi a carico degli Stati membri nella procedura di designazione di un Paese come sicuro. Agli Stati membri incombe di riesaminare periodicamente la situazione nei paesi terzi designati sicuri e di consultare, in sede di istruttoria, fonti di informazioni affidabili, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall'EASO, dall'UNHCR, dal Consiglio d'Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti. A partire dal 2018, l'Italia, esercitando la facoltà di cui alla direttiva 2013/32, ha previsto la designazione di paesi di origine sicuri attraverso un decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia. A tal fine, l'articolo 7-bis del decreto-legge numero 113 del 2018, introdotto in sede di conversione dalla legge numero 132 del 2018, ha inserito, nel d.lgs. numero 25 del 2008, l'articolo 2-bis, rubricato “Paesi di origine sicuri”, in vigore dal 4 dicembre 2018 al 23 ottobre 2024, il cui comma 1 stabilisce che con «decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia, è adottato l'elenco dei Paesi di origine sicuri». Detto elenco viene aggiornato periodicamente ed è notificato alla Commissione europea. Al comma 2 del medesimo articolo, si stabilisce che «uno Stato non appartenente all'Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall'articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, numero 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale». Si precisa, altresì, che la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l'eccezione di categorie di persone. L'ultimo decreto ministeriale è stato adottato il 7 maggio 2024. La designazione del paese di provenienza come paese di origine sicuro costituisce una agevolazione per l'autorità amministrativa preposta all'esame delle domande, la quale è esentata dal provare di volta in volta che il Paese di origine offre al richiedente un'effettiva e sufficiente protezione dal rischio di persecuzione o di altri gravi danni, riversando sul richiedente l'onere di fornire elementi contrari connessi alla sua situazione particolare. La presunzione che vi si ricollega non è dunque una fictio, ma deve essere fondata su fonti certe che consentano di dimostrare la sicurezza del Paese designato. La disciplina sopravvenuta d.l. numero 158 del 2024 e l., numero 187 del 2024, di conversione in legge, con modificazioni - non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame – ha elevato il rango della fonte di designazione del paese di origine come sicuro. Le conseguenze dell'inclusione nella lista dei “Paesi Sicuri” Le conseguenze che derivano dalla provenienza da un paese sicuro sono, dunque, numerose i la procedura diviene da ordinaria ad accelerata ii il richiedente asilo ha un onere di allegazione aggravato, al quale corrisponde un onere motivazionale attenuato per la pubblica amministrazione iii la domanda può essere rigettata perché manifestamente infondata ai sensi dell'articolo 32, comma 1, lettera b bis , del d.lgs. numero 25 del 2008 iv i termini per proporre ricorso si riducono della metà v la decisione con cui è rigettata la domanda presentata da un richiedente proveniente da un paese di origine sicuro è motivata potendosi dare atto che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro, in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso, il paese designato di origine sicuro articolo 9, comma 2-bis, del d.lgs. numero 25 del 2008 vi la proposizione del ricorso non sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato al ricorrente, tuttavia, viene riconosciuta, ex articolo 35-bis, comma 4, del d.lgs. numero 25 del 2008, la possibilità di avanzare istanza di sospensione della decisione adottata dalla Commissione territoriale. La sospensione potrà essere accordata, con decreto motivato, pronunciato entro cinque giorni dalla presentazione dell'istanza e senza la preventiva convocazione della controparte, se ricorrono gravi e circostanziate ragioni e assunte, ove occorra, sommarie informazioni. Così, l'indicazione di un paese quale sicuro, se consente di realizzare una più efficiente dismissione di domande di protezione internazionale, considerate ex ante strumentali, può comportare una rimodulazione in senso riduttivo delle garanzie individuali. Se ne ha conferma nel fatto che, tra le conseguenze per l'interessato la cui domanda è respinta sulla base dell'applicazione del concetto di paese di origine sicuro, vi è che, contrariamente a quanto previsto in caso di semplice rigetto, il richiedente asilo, in attesa dell'esito del suo ricorso avverso la decisione di rigetto della domanda, può non essere autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato membro in cui questa è stata presentata. I contrasti nella giurisprudenza di merito Il primo orientamento sostiene che, proprio perché la creazione – a determinate condizioni – di un elenco di paesi sicuri consente ai legislatori nazionali di derogare ad alcuni diritti procedurali garantiti dalla direttiva ai richiedenti, deve ritenersi sussistente un potere-dovere di controllo dell'autorità giudiziaria ordinaria, investita ritualmente dalla questione sul legittimo inserimento di un paese all'interno della lista, da cui discende causalmente una limitazione dei diritti procedurali e sostanziali che il legislatore europeo ha voluto garantire in via generale a tutti i richiedenti asilo quale strumento di tutela di diritti fondamentali della persona consacrati nelle Carte dei diritti e nelle Costituzioni degli Stati membri. Il secondo orientamento si muove in direzione diametralmente opposta. Esso esclude la possibilità della valutazione, da parte del giudice, della natura sicura di un paese, sia argomentando sulla non applicabilità dell'articolo 5 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo, numero 2248 del 1865, allegato E che sarebbe destinato a operare solo nelle controversie tra privati , sia rilevando che l'assenza di un effetto sospensivo automatico non è determinata dalla sola provenienza del richiedente da un paese sicuro, ma necessariamente anche dalla manifesta infondatezza della domanda per la mancata allegazione, o comunque per la mancata dimostrazione nonostante l'impiego dei doveri di cooperazione istruttoria del giudice, di elementi relativi alla persona o al gruppo sociale o alla zona di provenienza tali da superare la presunzione relativa di sicurezza per richiedenti asilo determinata dall'inserimento del paese di provenienza nella lista di cui al decreto ministeriale. La pronuncia della Corte di Giustizia UE Pronunciando sul rinvio pregiudiziale proposto nella causa C-406/22, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dalla Corte regionale di Brno, Repubblica ceca, nel corso di un procedimento di impugnazione del rigetto di una domanda di protezione internazionale, la Corte di Giustizia dell'Unione europea Grande Sezione , con sentenza 4 ottobre 2024, ha fissato principi importanti anche per la soluzione del quesito interpretativo oggetto del presente procedimento. La richiesta di rinvio era stata presentata nell'ambito di una controversia tra un cittadino moldavo, e il Ministero dell'interno della Repubblica Ceca, Dipartimento della Politica in materia di asilo e migrazione che aveva respinto la domanda di protezione internazionale dell'istante, in quanto manifestamente infondata, rilevando che la Repubblica Ceca considerava paese di origine sicuro la Repubblica di Moldova, eccettuata la Transnistria, e che CV non aveva dimostrato che, nel suo caso, ciò non sarebbe stato vero. La Corte di giustizia ha ritenuto che l'articolo 37 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l'allegato I della stessa direttiva, debba essere interpretato nel senso che un Paese terzo non cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato come paese di origine sicuro per il solo motivo che si avvale del diritto di derogare agli obblighi previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in applicazione dell'articolo 15 di detta Convenzione. Le autorità competenti dello Stato membro che ha proceduto a siffatta designazione devono valutare, però, se le condizioni di attuazione di tale diritto siano atte a mettere in discussione la sua indicazione come paese sicuro. Secondo la Corte, l'articolo 37 della direttiva 2013/32/UE va interpretato nel senso che esso osta a che un Paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro ove talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali della designazione enunciate all'allegato I di detta direttiva. Inoltre, la CGUE ha chiarito che l'articolo 46, par. 3, della direttiva 2013/32/UE, letto alla luce dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dev'essere interpretato nel senso che quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale, esaminata nell'ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti, provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all'articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell'ambito dell'esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, par. 3, deve rilevare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all'allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso. Dalla sentenza della Corte di giustizia discende, dunque, che il giudice dinanzi al quale sia contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale deve procedere all'esame completo e aggiornato del caso di specie. La verifica completa ed ex nunc incombente al giudice può riguardare anche gli aspetti procedurali di una domanda di protezione internazionale, fra i quali vi è la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, potendo siffatta designazione avere ripercussioni sulla procedura. Le valutazioni della Suprema Corte L'ammissibilità del sindacato giurisdizionale della scelta di inserire un dato Paese nella lista dei paesi sicuri è una soluzione che discende de plano dalla sentenza della Corte di giustizia Grande Sezione del 4 ottobre 2024. Ne consegue che il decreto ministeriale, quanto all'identificazione di un certo paese come sicuro, non esprime una valutazione governativa vincolante per il giudice ordinario. Venendo in gioco un diritto costituzionale il diritto all'asilo e alla protezione come regolato e disciplinato dalla normativa europea e nazionale e dalle convenzioni internazionali , rimane fermo il potere dell'autorità giurisdizionale ordinaria di riconsiderare l'inserimento di un paese nella lista dei paesi sicuri, allorché la predetta designazione si discosti dai criteri di inserimento previsti dalla norma generale, sacrificando sull'altare di interessi pubblici diversi il riconoscimento della protezione internazionale a fronte di un effettivo rischio di compromissione, nel paese di origine, del nucleo irriducibile di diritti inviolabili coessenziali alla dignità della persona umana. Il giudice, per poter disapplicare, in parte qua, il decreto ministeriale, deve verificare, preliminarmente, se la designazione possa rappresentare l'elemento decisivo. Deve, dunque, accertare se sussista un'incidenza diretta di tale qualificazione ai fini della domanda attraverso un ricorso giurisdizionale effettivo che garantisca la giustizia della decisione in altre parole, se la ragione del rigetto non sia basata su un esame individuale della domanda, ma sul mero rilievo che il ricorrente proviene da un paese sicuro. Diverso è il caso in cui il richiedente abbia addotto, a sostegno della domanda, «gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la [sua] situazione particolare», come prevede il comma 5 dell'articolo 2-bis del d.lgs. numero 25 del 2008, in continuità con l'articolo 36 della direttiva numero 2013/32/UE, là dove si riferisce alla invocazione di «gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE». In tale evenienza, ciò che rileva non è tanto la valutazione, generale e costante, di sicurezza del paese come operata dallo Stato membro, quanto, piuttosto, la situazione di fatto della sicurezza nei confronti del singolo richiedente in ragione della sua peculiare situazione. La conseguenza di avere fondato la domanda sulle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso, è il venir meno della presunzione relativa di sicurezza che a quella designazione normalmente si ricollega. Non si pone più un problema di rilevanza, e di conseguente disapplicazione, della valutazione governativa, perché, nella fase giurisdizionale conseguente all'impugnazione del diniego di protezione internazionale, con riguardo alla situazione personale del singolo, il potere-dovere del giudice è il pieno potere cognitorio, rafforzato sotto il profilo della cooperazione istruttoria, potendo il giudice addivenire a un completo accertamento, questa volta in fatto, della condizione soggettiva del richiedente, tale da integrare i gravi motivi. Pertanto, con riferimento al caso specifico, il giudice può sempre accertare, a prescindere dalla disapplicazione, ragioni di carattere individuale che depongano per una situazione di insicurezza che caratterizza il singolo richiedente.

Presidente Relatore Giusti Il testo integrale della sentenza sarà disponibile a breve.