Crediti di lavoro: il termine di prescrizione quinquennale non decorre in costanza del rapporto

Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. numero 92 del 2012, opera il combinato disposto degli articolo 2948, numero 4 c.c. e 2935 c.c.

La Corte di Cassazione è stata adita a seguito del decreto depositato dal Tribunale di Milano con cui veniva accolta l'opposizione ex articolo 98 l. fall. proposta dall'interessata avverso lo stato passivo di una s.p.a. in Amministrazione Straordinaria e ammetteva l'ulteriore credito privilegiato vantato dall'opponente, già dipendente della società, a titolo di premio di collaborazione per il periodo 2013-2019. Il giudice di merito infatti, rigettava l'eccezione di prescrizione del credito sollevata dalla s.p.a. sottolineando che il premio di collaborazione, al di là del nomen iuris utilizzato, è un retribuzione patrimoniale accessoria che rientra a far parte del corrispettivo dovuto per la prestazione lavorativa. Proponeva dunque, ricorso per cassazione la Società che, in particolare, con il secondo motivo dedotto lamentava la violazione o falsa applicazione dell'articolo 2948 numero 4 c.c., per avere il Tribunale di Milano affermato che il termine di prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro non decorre in costanza del rapporto. Secondo la difesa infatti, nella procedura ricorrente, nonostante l'entrata in vigore della l. numero 92/2012, «l'attuale sistema di garanzie predisposte a fronte del licenziamento illegittimo realizza quella condizione di stabilità cui segue la decorrenza della prescrizione durante il rapporto». Per la Suprema Corte il motivo è infondato. A sostegno di tale decisione, i giudici ricordano che è stato confermato sia dalla Corte di Cassazione che dalla Consulta «il quadro normativo esistente a seguito dell'entrata in vigore della l. 92/2012, la quale considera l'indennità risarcitoria come legittimo ed efficace rimedio a protezione del lavoratore nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento previste dal legislatore e reintegrazione non più come la forma ordinariamente affidata al giudice per rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo contro ogni forma illegittima di risoluzione del rapporto». Il suddetto quadro normativo però, non assicura un'adeguata stabilità del rapporto di lavoro perché seppur il lavoratore ha la possibilità di ottenere una tutela ripristinatoria piena, l'individuazione del regime di stabilità «sopravviene ad una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, all'esito di un accertamento in giudizio, e quindi necessariamente ex post così affidandone l'identificazione, o meno, al criterio del caso per caso rimesso di volta in volta al singolo accertamento giudiziale». Alla luce di tali premesse, il Collegio adito ritiene di condividere il principio di diritto già enunciato dalla Corte, secondo cui «il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. 92 del 2012 e del d.lgs. numero 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. numero 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli articolo 2948, numero 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro».

Presidente Cristiano - Relatore Fidanzia Rilevato che 1.Il Tribunale di Milano, con decreto depositato il 28.12.2021 ha accolto l'opposizione ex articolo 98 l. fall. proposta da M.A.M. avverso lo stato passivo di OMISSIS s.p.a. in Amministrazione Straordinaria e ha ammesso l'ulteriore credito privilegiato di € 13.591,01 vantato dall'opponente, già dipendente della società, a titolo di premio di collaborazione per il periodo 2013-2019. Il giudice di merito ha rigettato l'eccezione di prescrizione del credito sollevata dall'AS e, pur dando atto che, in base agli accordi raggiunti nel 2013 e 2018 tra le RSU e la datrice di lavoro, il premio di collaborazione era stato condizionato al raggiungimento di risultati prefissati, ha rilevato che in realtà detto premio, al di là del nomen iuris utilizzato, è una retribuzione patrimoniale accessoria che rientra a far parte del corrispettivo dovuto per la prestazione lavorativa ha quindi ritenuto che la pattuizione che ne prevedeva la corresponsione senza alcuna condizione, contenuta nel contratto di lavoro individuale a suo tempo stipulato fra OMISSIS e M.A.M., non potesse essere modificata in maniera peggiorativa dalla contrattazione collettiva, anche se successiva, ai sensi dell'articolo 2077 comma 2° cod. civ OMISSIS s.p.a. in AS ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidandolo a due motivi. M.A.M. ha resistito in giudizio con controricorso illustrato da memoria. Considerato che 1. Il primo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex articolo 360 comma 1° numero 5 cod. proc. civ., nonché la violazione o falsa applicazione degli articolo 115 e 116 cod. proc. civ. La ricorrente lamenta che il tribunale non abbia tenuto conto, ai sensi dell'articolo 115 c.p.c., che l'accordo del 12 luglio 2013 stipulato fra OMISSIS e la r.s.u. aziendale, che prevedeva che il conseguimento del premio di collaborazione fosse legato al raggiungimento di un valore della voce di bilancio definita “risultato ordinario”, era stato accettato senza condizioni dall' assemblea dei lavoratori chiamata a ratificarlo ed era stato confermato nel successivo contratto collettivo del 2018 e, inoltre, che non abbia considerato che M.A.M., che non aveva mai impugnato il regolamento negoziale deciso in sede di contrattazione collettiva e che non aveva mai richiesto a OMISSIS in bonis il pagamento del premio, aveva tenuto una condotta implicante l'accettazione dell'accordo per facta concludentia o, comunque, per acquiescenza. 2. Il motivo è inammissibile perché non specifica, secondo quanto richiesto dall'articolo 366, I comma nnumero 4 e 6 c.p.c. nonché dall'articolo 360, I comma, numero 5 c.p.c., come e in quale esatta sede processuale siano state allegate prima ancora che provate le circostanze asseritamente “pacifiche” di cui denuncia l'omesso esame l'indizione di un'assemblea fra i lavoratori per ratificare l'accordo collettivo, la sua incondizionata approvazione, il comportamento concludente di M.A.M. delle quali non si fa menzione nel decreto impugnato cfr., per tutte, Cass. S.U. numero 8053/2014 . 3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione dell'articolo 2948 numero 4 cod. civ., per avere il Tribunale di Milano affermato che il termine di prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro non decorre in costanza del rapporto. Secondo la procedura ricorrente, nonostante l'entrata in vigore della l. numero 92/2012 che ha riformato l'articolo 18 della l. numero 300/1970, l'attuale sistema di garanzie predisposte a fronte del licenziamento illegittimo realizza quella condizione di stabilità cui segue la decorrenza della prescrizione durante il rapporto lavorativo. 4. Il motivo è infondato. Questa Corte, con la recente sentenza numero 26246/2022, ha osservato che anche la pronuncia della Consulta numero 194 del 26.6.2018, con cui è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 3 comma 1° d.lgs numero 23/2015, limitatamente alle parole “di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”, ha ribadito come il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, ben possa prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario, purché tale meccanismo si articoli nel rispetto del principio di ragionevolezza. In sostanza, è stato confermato il quadro normativo esistente a seguito dell'entrata in vigore della l. numero 92/2012, che considera l'indennità risarcitoria quale legittimo ed efficace rimedio a protezione del lavoratore nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento previste dal legislatore e la reintegrazione non più come la forma ordinariamente affidata al giudice per rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo contro ogni forma illegittima di risoluzione del rapporto. Alla luce di tale considerazione, la sentenza citata ha evidenziato come il modificato quadro normativo non assicuri un'adeguata stabilità del rapporto di lavoro se è pur vero che il lavoratore ha la possibilità di ottenere una tutela ripristinatoria piena ove il giudice accerti che, al di là delle ragioni apparenti addotte dal datore di lavoro esistenza di una giusta causa o giustificato motivo oggettivo il licenziamento trovi quale unica ragione quella di reagire alle rivendicazioni avanzate dal dipendente prima in pendenza del rapporto, tuttavia, l'individuazione del regime di stabilità sopravviene “ad una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, all'esito di un accertamento in giudizio, e quindi necessariamente ex post così affidandone l'identificazione, o meno, al criterio del “caso per caso” rimesso di volta in volta al singolo accertamento giudiziale”. La sentenza, in conclusione, ha enunciato il principio di diritto, che questo collegio condivide pienamente, secondo cui “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. numero 92 del 2012 e del d.lgs numero 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. numero 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli articolo 2948, numero 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 3.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.