Secondo la Suprema Corte, non è la nuova relazione in sé ad essere offensiva della dignità del donante, ma le modalità con le quali la stessa è stata resa palese, sebbene già intrapresa in epoca anteriore alla donazione, ed essendo stata poi esternata con modalità evidentemente irriguardose nei confronti dell’ex compagno
Il caso Nel corso di una lunga relazione sentimentale sfociata in una altrettanto duratura convivenza di fatto, l'uomo donava alla donna un appartamento, da lui in precedenza acquistato e adibito a casa comune. Pochi giorni prima della stipula della donazione, però, l'uomo scopriva che la donna da tempo intratteneva una relazione sentimentale con un altro uomo che era anche stato visto frequentare proprio la casa oggetto di donazione. Ancora, si veniva a sapere che qualche giorno prima dell'atto notarile, la donna aveva contattato proprio quel notaio da cui si era informato circa la possibilità di vendere a terzi il bene. In primo grado, il Tribunale di Imperia, adito dall'uomo, rigettava la richiesta di revocazione per ingratitudine della donazione immobiliare. Al contrario, la Corte d'Appello di Genova accoglieva l'appello, revocava la donazione immobiliare e dichiarava che i beni costituenti l'arredo erano di proprietà dell'uomo e che dovevano essergli restituiti. La lesione della dignità e del decoro Pur non essendo la coppia unita in matrimonio e non sussistendo, dunque, l'obbligo reciproco di fedeltà, permane anche nelle convivenze di fatto l'obbligo di rispettare la dignità e il decoro dell'altro. Il fatto, dunque, che la donna avesse non tanto avuto una relazione con un altro uomo, ma piuttosto che avesse ostentato tale rapporto, era un'offesa alla dignità e al decoro del donante. La circostanza che la casa fosse stata ab origine acquistata per ospitare un progetto di vita condiviso faceva poi sì che la presenza nell'appartamento del nuovo compagno della donna, dopo appena un mese dall'interruzione della relazione, costituisse anch'essa un'offesa al decoro del donante. L'accertamento del rapporto di fatto Nel caso di specie, la Legge Cirinnà non opera perché successiva alla fine della convivenza tra le parti. L'accertamento del rapporto di convivenza di fatto intervenuto tra le parti costituisce una valutazione operata dal giudice di merito con motivazione logica e coerente, e la stessa, sebbene non corredata dai doveri ed obblighi tipici del vincolo matrimoniale, pone in ogni caso degli obblighi morali e sociali, la cui violazione, ove intervenuta con modalità tali da ledere gravemente la dignità del compagno, ben può configurare l'ingiuria grave richiesta dall'articolo 801 c.c I doveri tra conviventi I doveri di solidarietà reciproca che scaturiscono dalla convivenza di fatto, sebbene connotati da una non coercibilità e da una minore vincolatività, si impongono e soprattutto non escludono che la condotta del convivente possa risultare compromissoria della dignità morale del convivente. L'ingiuria grave richiesta, ex articolo 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine si caratterizza per la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, aperta ai mutamenti dei costumi sociali, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento. La revocazione della donazione per ingratitudine Non è la relazione in sé trattenuta, ma il fatto che tale relazione veniva ostentata. Secondo la Suprema Corte non è quindi la nuova relazione in sé ad essere stata reputata offensiva della dignità del donante, ma le modalità con le quali la stessa è stata resa palese, sebbene già intrapresa in epoca anteriore alla donazione, ed essendo stata poi esternata con modalità evidentemente irriguardose nei confronti dell'ex compagno.
Presidente Di Virgilio - Relatore Criscuolo Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.