Cumulo di domande nei giudizi di famiglia e compatibilità dei termini processuali del nuovo rito con il diritto di difesa

È ammissibile la proposizione in via riconvenzionale della domanda di divorzio nell’ambito del giudizio di modifica di condizioni di separazione, nondimeno la piena cognizione di tale ultima domanda è compromessa dall’attuale disciplina dei termini processuali che regolano il nuovo rito in materia di famiglia, in particolare dal termine a difesa riconosciuto al ricorrente dall’articolo 473-bis.17 c.p.c. [ ].

[ ] Deve di conseguenza essere sollevata questione di legittimità costituzionale dell’articolo 473-bis.17 c.p.c. per violazione degli articolo 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui non garantisce adeguati termini processuali a difesa. Tizia ricorre dinanzi al Tribunale di Genova secondo le norme proprie del nuovo rito in materia di famiglia al fine di ottenere una modifica delle condizioni di separazione stabilite tra la stessa e Caio dal medesimo Tribunale. Nel costituirsi in giudizio Caio propone in via riconvenzionale domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di cui Tizia eccepisce l'inammissibilità in quanto estranea al petitum e alla causa petendi del giudizio principale e, al contempo, solleva dubbi di legittimità costituzionale della riforma tratteggiata dalla riforma di Cartabia del diritto processuale di famiglia nella parte in cui i termini previsti per il deposito delle memorie difensive delle parti comprimerebbero il diritto di difesa a fronte dello svolgimento di domande nuove. A quali condizioni più domande sono cumulabili all'interno del nuovo rito in materia di famiglia? A fronte dello svolgimento di domande riconvenzionali, la nuova disciplina processuale tratteggiata dal d.lgs. 149/2022 garantisce adeguatamente il diritto di difesa di tutte le parti coinvolte rispetto alle domande nuove proposte? Il Tribunale di Genova nella pronuncia in commento ha ritenuto ammissibile il cumulo tra la domanda principale di modifica di condizioni di separazione e la domanda riconvenzionale di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nel farlo ha richiamato, in primo luogo, i principi generali che regolano la cognizione da parte del giudice della causa principale delle domande riconvenzionali ex articolo 36 c.p.c. Il Tribunale genovese ha rilevato, in particolare, che a norma dell'articolo 36 c.p.c. la domanda riconvenzionale è cumulabile con quella principale ove si fondi sulla medesima causa petendi, ovverosia sul titolo dedotto in giudizio in via principale o che già appartiene alla causa in via di eccezione. Sotto tale profilo la domanda di divorzio, fondandosi sulla disgregazione del nucleo familiare al pari della domanda di modifica di condizioni di separazione, ne condivide la medesima causa petendi. Nell'ambito di entrambi i giudizi, d'altronde, si discute delle medesime questioni giuridiche relative alla crisi familiare che possono ogni volta essere definite solo rebus sic stantibus. Le due cause, di conseguenza, condividono non solo il titolo ma anche, quanto meno in parte, l'oggetto, sicché tra le domande è ravvisabile anche un'ipotesi di continenza articolo 39 c.p.c. . In secondo luogo, il Tribunale si è soffermato sulle peculiarità del nuovo processo di famiglia introdotto dal d.lgs. 149/2022 e sull'introduzione di un rito unico che vale a superare le criticità legate alla precedente previsioni di riti differenti per i giudizi di modifica di condizioni di separazione o divorzio, di tipo camerale, e quelli di separazione e divorzio, di cognizione, al dichiarato scopo di evitare la pendenza di differenti giudizi aventi ad oggetto accertamenti in parte comuni, con il rischio di dispendio di attività processuale e il possibile contrasto di decisioni. Tanto premesso, il Tribunale genovese si è interrogato circa la compatibilità dei termini processuali del nuovo rito in materia di famiglia, scolpiti all'interno degli articolo 473-bis.14, 473-bis.16 e 473-bis.17 c.p.c., e il cumulo di domande che amplino il thema decidendum. A fronte della proposizione da parte del resistente di una domanda riconvenzionale nei trenta giorni precedenti l'udienza, possibilità ammessa dallo stesso articolo  473-bis.16, il ricorrente ha infatti a disposizione soli venti giorni prima dell'udienza, quindi dieci giorni dal deposito della difesa del convenuto, per prendere posizione sulle domande avversarie e modificare in relazione ad esse le proprie domande. Tale termine è stato ritenuto troppo esiguo da parte del Tribunale di Genova in quanto le diverse domande si fondano anche su presupposti di fatto differenti, che richiedono la formulazione di specifiche istanze istruttorie che devono essere precedute da adeguata attività di studio. I termini così definiti finirebbero di conseguenza per comprimere il diritto di difesa e introdurrebbero una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai termini a difesa contemplati dagli altri riti disciplinati all'interno del sistema processual-civilistico. Né sarebbe possibile rimediare a tale irragionevole compressione del diritto di difesa con una interpretazione costituzionalmente orientata alla luce della perentorietà dei termini. Tenuto conto di quanto precede, il Tribunale di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo  473-bis.17 c.p.c. per violazione degli articolo 3, 24 e 111 Cost. Fonte IUS/Famiglie

Presidente Pellegrini - Relatore Corvacchiola Premesso che - con ricorso depositato in data 31/07/2023, la Sig.ra omissis ha chiesto che, a modifica delle condizioni di separazione dal marito Sig. omissis di cui alla sentenza numero /2016 emessa dal Tribunale di Genova in data 15/12/2016, venisse disposto l'aumento da € 650,00 ad € 1.200,00 mensili del contributo paterno al mantenimento della figlia P., maggiorenne ma non economicamente indipendente in quanto ancora studentessa, a fronte delle aumentate esigenze di vita della ragazza, affetta da sindrome di “Crouzon” con difficoltà di apprendimento, e delle migliorate condizioni economiche del convenuto, che peraltro aveva negli anni disatteso il calendario di frequentazione con la figlia di cui si occupava integralmente la madre - nel costituirsi in giudizio con comparsa di costituzione e risposta del 23/10/2023, il Sig. omissis si è opposto alla domanda di modifica proposta contestando la sussistenza dei presupposti per la modifica richiesta ed ha chiesto in via riconvenzionale che venisse pronunciato il divorzio dalla moglie con conferma del contributo per il mantenimento della figlia maggiorenne P. così come previsto in sede di separazione e con revoca invece del contributo al mantenimento dell'altra figlia maggiorenne M., ormai divenuta economicamente autosufficiente, pari sempre ad € 650,00 mensili - con successiva memoria ex articolo 473 bis.17 c.p.c. dell'08/11/2023, parte ricorrente ha eccepito l'inammissibilità in questa sede della domanda di divorzio formulata in via riconvenzionale dal convenuto per mancanza di connessione oggettiva rispetto alla domanda di modifica delle condizioni di separazione trattandosi di petitum e causa petendi differenti, contestando in ogni caso l'assenza di prova dei presupposti di legge per la pronuncia di divorzio in violazione ai principi stabiliti dagli articolo 163 numero 4 e 164 c.p.c. - all'udienza del 28/11/2023 le parti, dapprima contrapposte, con l'ausilio dei difensori e del G.D. hanno raggiunto un accordo in punto mantenimento delle figlie maggiorenni prevedendo la revoca del contributo previsto a carico del padre per la figlia M. ormai autosufficiente, ed aumentando ad € 1.100,00, con decorrenza dalla mensilità di dicembre 2023, quello per la figlia P., ferma la suddivisione al 70% a carico del padre delle spese straordinarie relative alla figlia da individuarsi secondo il documento di orientamento di cui al verbale di riunione della Sezione IV del Tribunale di Genova del 15/09/2016 - la causa è stata quindi rinviata all'udienza del 18/01/2024, svoltasi mediante deposito di note scritte ex articolo 127 ter c.p.c., per consentire alle parti di addivenire ad una soluzione bonaria complessiva di tutte le questioni patrimoniali e per la discussione dei profili di ammissibilità della domanda riconvenzionale di divorzio in sede di procedimento di modifica delle condizioni di separazione - con ordinanza ex articolo 473 bis.22 c.p.c. del 02/02/2024, il G.D., preso atto dell'impossibilità di pervenire ad una soluzione condivisa in punto divorzio a fronte dell'eccezione di inammissibilità della domanda reiterata da parte ricorrente, la quale ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale della disciplina codicistica del nuovo rito introdotto dal D.Lgs. 149/2022  cosiddetta Riforma Cartabia in materia di famiglia per contrasto con gli articolo 3, 24 e 111 della carta fondamentale nella parte in cui all'articolo 473 bis. 17 c.p.c. prevede un termine di soli dieci giorni per la parte attrice per prendere posizione sulle domande nuove svolte dal convenuto, ha conferito vigore in via provvisoria all'accordo parziale raggiunto dalle parti e, ritenuta la rilevanza delle questioni giuridiche emerse, ha rinviato all'udienza del 12/04/2024, successivamente differita per esigenze d'ufficio al 03/05/2024, per la discussione orale dinanzi al Collegio, all'esito della quale la causa è stata trattenuta in riserva per la decisione. Tanto premesso, il Collegio Osserva 1. Sull'eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale di divorzio nell'ambito del giudizio di modifica delle condizioni di separazione Giova brevemente ricordare, in linea di principio, che ai sensi dell'articolo 36 c.p.c. il giudice adito conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o che già appartiene alla causa principale come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o per valore. Invero, con la domanda riconvenzionale il convenuto, nel costituirsi nel giudizio di cui è parte, non si limita a difendersi e a chiedere il rigetto della domanda dell'attore, ma esercita a sua volta un'azione nei confronti di quest'ultimo proponendo una contro-domanda con la quale chiede, con effetto di giudicato, un positivo accertamento della sua pretesa che dipenda dal medesimo titolo già dedotto in giudizio. In altre parole, la riconvenzionale si sostanzia in una domanda autonoma che ben potrebbe proporsi in separato giudizio ma che è consentito introdurre nel medesimo processo, pur nel rispetto dei termini perentori di decadenza, in base al principio generale di economia processuale e al fine di evitare conflitti di giudicati sul medesimo titolo. La domanda riconvenzionale è quindi un'ipotesi tipica di connessione oggettiva fra due cause che si fondano sullo stesso titolo ossia sulla stessa causa petendi, intesa come il rapporto giuridico sottostante, differendo però nel petitum avendo ad oggetto la richiesta di due provvedimenti giurisdizionali diversi. Fatta tale dovuta premessa, si pone ora il problema di stabilire se è possibile rinvenire una connessione oggettiva fra la domanda di modifica delle condizioni di separazione e la domanda di divorzio. La peculiarità dei giudizi in materia di famiglia è data dal fatto che le domanda di separazione e divorzio sono spesso accompagnate da ulteriori domande aventi ad oggetto l'affidamento, la collocazione, il regime di frequentazione e il mantenimento della prole, l'assegnazione della casa coniugale e l'assegno di mantenimento al coniuge o assegno divorzile, domande tutte accomunate e che trovano la loro ragion d'essere in un unico e ben determinato fatto storico la disgregazione del nucleo familiare. Ecco che, a parere di questo Collegio, tutte queste domande sono fra loro oggettivamente connesse in quanto trovano tutte fondamento nella medesima causa petendi costituita dall'insieme dei rapporti giuridici derivanti dalla crisi del consorzio familiare che devono trovare un nuovo assetto nell'ambito del medesimo giudizio. Data poi la natura rebus sic stantibus dei provvedimenti giurisdizionali adottati in materia di famiglia, chiamati a regolamentare rapporti umani che sono per loro intrinseca natura connotati di una certa dinamicità e mutevolezza nel tempo, in presenza di sopravvenuti elementi di novità è sempre possibile rivedere tale assetto modificando le condizioni ivi stabilite per riadattarle alla nuova situazione di fatto. Lo stesso accade però anche nel caso in cui venga proposta domanda di divorzio che, salvo i casi particolari di divorzio cosiddetto “diretto”, segue sempre il procedimento di separazione. Se è vero infatti che nel procedimento di divorzio la domanda principale è costituita dallo scioglimento o cessazione degli effetti civili del vincolo coniugale, è altrettanto vero che ai sensi degli articolo 143 e 147 c.c. dal matrimonio discendono degli obblighi verso i figli che persistono anche dopo lo scioglimento del vincolo e che devono necessariamente essere regolamentati, confermando o riadattando l'assetto stabilito in sede di separazione alla luce della mutata situazione di fatto. È indubbio quindi che fra la domanda di modifica delle condizioni di separazione e quella di divorzio sussista all'evidenza una connessione oggettiva se non addirittura una litispendenza parziale configurando, a parere di questo Collegio, un caso di vera e propria continenza fra le due causa ai sensi dell'articolo 39 c.p.c. La continenza è infatti un'ipotesi particolare di litispendenza fra due cause parzialmente identiche che si verifica proprio quando due domande fra le stesse parti e fondate sulla medesima causa petendi hanno un oggetto parzialmente diverso, nel senso che il petitum di una causa è più ampio e tale da contenere il petitum dell'altra. Non v'è chi non veda come la domanda di divorzio e le conseguenti domande di regolamentazione dei rapporti nascenti dal matrimonio contenga in sé anche le domande di modifica delle condizioni di separazione precedentemente stabilite. Pertanto a fronte della parziale sovrapponibilità fra le due domande, sussiste quella connessione oggettiva richiesta dall'articolo 36 c.p.c. per consentire la proposizione in via riconvenzionale della domanda divorzio nel procedimento di modifica o di conferma delle condizioni di separazione. Ciò peraltro è stato da sempre affermato anche dall'indirizzo giurisprudenziale, a cui questo Tribunale ha sempre aderito, che dichiarava addirittura l'improcedibilità sopravvenuta della domanda di modifica delle condizioni di separazione proposta ai sensi dell'articolo 710 c.p.c. laddove venisse successivamente instaurato giudizio di divorzio. Tuttavia, prima dell'introduzione del rito unico in materia di famiglia ad opera della cosiddetta Riforma Cartabia, la previsione del rito speciale previsto per le domande di divorzio e l'inconciliabilità dello stesso con il rito camerale previsto invece per i procedimenti di modifica delle condizioni di separazione non ne consentiva la riunione né permetteva di proporre in tale ultimo giudizio, laddove preventivamente instaurato, la domanda riconvenzionale di divorzio, che doveva necessariamente seguire il rito speciale previsto dalla Legge numero 878/1970 con la conseguenza che il giudice della modifica delle condizioni di separazione, anche se preventivamente adito, doveva necessariamente cedere il passo e declinare la propria competenza in favore del giudice del divorzio. Con l'avvento del rito unico di cui agli articolo 473 bis.11 e ss. c.p.c. applicabile a tutti i procedimenti di separazione personale dei coniugi, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell'unione civile e regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonché per quelli di modifica delle relative condizioni, come espressamente previsto dall'articolo 473 is.47 c.p.c., ritiene il Collegio che tale questione debba intendersi ormai superata. La stessa Suprema Corte di Cassazione con la nota sentenza numero 28727/2023, nell'ammettere la contestuale domanda di separazione e divorzio anche nelle procedure di natura congiunta ai sensi dell'articolo 473 bis.51 c.p.c., ha già avuto modo di affermare che la ratio della novella legislativa introdotta con il D.Lgs. 149/2022 è quella di realizzare un coordinamento fra procedimenti aventi ad oggetto pretese identiche o implicanti accertamenti di fatto comuni, evidenziando le grandi difficoltà pratiche e tecniche derivanti da distinti procedimenti che, nel loro articolarsi lungo il percorso delle impugnazioni, davano luogo ad una sequela di decisioni provvisorie e definitive che si rincorrevano nel tempo e che potevano dettare una disciplina difforme dei medesimi rapporti controversi con conseguenze di non facile governo sia da un punto di vista sostanziale si pensi al problema della ripetibilità delle somme sia sul piano processuale in punto successione dei titoli esecutivi. Il legislatore della riforma, con l'introduzione della possibilità prevista dall'articolo 473 bis.49 c.p.c. di proporre nel medesimo giudizio sia la domanda di separazione sia quella di divorzio, ha voluto dunque mitigare tali conseguenze prevedendo che tutte le questioni insorte dalla crisi familiare vengano affrontate in un simultaneus processus realizzando al tempo stesso un notevole risparmio di energie processuali all'insegna di una più efficace tutela giurisdizionale di diritti soggettivi di particolare rilevanza. È nell'ottica di tali principi affermati dalla Suprema Corte, pienamente condivisi da questo Collegio, che deve affermarsi l'ammissibilità della domanda di divorzio anche nelle procedure di modifica delle condizioni di separazione purché formulata nei termini perentori di decadenza. 2. Sull'illegittimità costituzionale del nuovo rito introdotto dal D.Lgs. 149/2022 Risolta in senso positivo la questione preliminare di ammissibilità della domanda riconvenzionale di divorzio nelle procedure di modifica delle condizioni di separazione, tale domanda si scontra tuttavia con regole processuali che ne potrebbero compromettere una piena cognizione. Invero, sempre nell'ottica di garantire una tutela efficace ai diritti soggettivi di particolare importanza coinvolti nei giudizi di famiglia, il legislatore della riforma ha previsto agli articolo 473 bis.11 e ss. c.p.c. un rito accelerato che potrebbe astrattamente esaurirsi all'esito della prima udienza da fissarsi entro 90 giorni dal deposito del ricorso introduttivo. In particolare ai sensi dell'articolo 473 bis. 14 c.p.c. l'attore deve notificare il ricorso e il pedissequo decreto di fissazione udienza al convenuto entro 60 giorni liberi prima dell'udienza, il quale a sua volta deve costituirsi in giudizio entro 30 giorni prima dell'udienza. La costituzione oltre tale termine comporta le decadenze di cui agli articolo 38 e 167 c.p.c., ossia il convenuto perde la possibilità di eccepire l'incompetenza del giudice adito e di proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio. Ai sensi poi del successivo articolo 473 bis.17 c.p.c., “entro venti giorni prima della data dell'udienza, l'attore può depositare memoria con cui prendere posizione in maniera chiara e specifica sui fatti allegati dal convenuto, nonché, a pena di decadenza, modificare o precisare le domande e le conclusioni già formulate, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza delle difese del convenuto, indicare mezzi di prova e produrre documenti. Nel caso in cui il convenuto abbia formulato domande di contributo economico, nello stesso termine l'attore deve depositare la documentazione prevista nell'articolo 473-bis.12, terzo comma”. Pertanto, mentre il convenuto a fronte della notifica del ricorso ha a disposizione almeno 30 giorni per impostare la difesa e formulare le sue eccezioni e domande riconvenzionali, l'attore deve prendere posizione sulle domande e difese avversarie, modificare le proprie domande, formulare le eventuali eccezioni e domande nuove che sono la conseguenza delle domande avversarie e i relativi mezzi di prova, entro l'esiguo termine di 10 giorni, che spesso si riduce a 9 o anche meno se la comparsa conclusionale viene depositata l'ultimo giorno disponibile e scaricata quindi dalla Cancelleria il giorno successivo. Tale termine appare effettivamente in contrasto con gli articolo 3, 24 e 111 della Costituzione, in quanto lesivo del principio di uguaglianza, del diritto di difesa e del giusto processo. Invero, l'attore dopo aver proposto la propria domanda potrebbe ritrovarsi a 30 giorni dall'udienza, e con soli 10 giorni di tempo, di fronte ad un sensibile ampliamento del thema decidendum per via delle domande riconvenzionali introdotte dal convenuto, ipotesi tutt'altro che rara nei giudizi di famiglia. Si pensi ad esempio al caso in cui l'attore si sia limitato a chiedere una modifica del contributo economico per il mantenimento dei figli instaurando quindi una causa che verosimilmente avrà natura prettamente documentale, mentre il convenuto nel costituirsi in giudizio chieda in via riconvenzionale la modifica del regime di affidamento del minore lamentando gravi carenze genitoriali dell'attore, dando luogo ad un ampliamento del thema decidendum connotato da particolare delicatezza e da un'istruttoria dalla natura completamente diversa. Oppure ancora, come nel caso di specie, in cui l'attore abbia chiesto la modifica di una o di alcune soltanto delle condizioni di separazione e il convenuto chieda in via riconvenzionale il divorzio, domanda che per quanto sopra detto deve dichiararsi ammissibile ma che necessariamente comporta la revisione e la emessa in discussione di tutte le condizioni in essere fra le parti, che potrebbero in tale sede voler procedere alla sistemazione di tutti i rapporti patrimoniali fra le stesse pendenti. In tutti questi casi, come detto, l'attore si ritroverebbe a dover riorganizzare completamente la propria impostazione in un termine assolutamente incongruo. Nel caso in esame, parte attrice lamenta, infatti, di non aver avuto sufficiente tempo, a fronte della domanda riconvenzionale di divorzio proposta dal convenuto, per formulare domanda di assegno divorzile che, come noto, si fonda su presupposti differenti rispetto all'assegno di mantenimento del coniuge in sede di separazione implicando una ricostruzione delle scelte compiute dalle parti nel corso della vita matrimoniale, spesso di lunga durata, con conseguente necessità di formulare le relative istanze di prova. Il tutto nel rispetto del principio di lealtà e buona fede processuale che impone alle parti di non introdurre eccezioni e domande palesemente infondate e senza adottare la dovuta diligenza, principi che mal si coniugano con i stringenti termini previsti a pena di decadenza dal nuovo rito. Diversamente, però, se il convenuto invece di introdurre la domanda di divorzio in via riconvenzionale nel procedimento di modifica delle condizioni di separazione promosso dall'attrice, avesse instaurato autonomo giudizio per la declaratoria di scioglimento del vincolo come accadeva prima della Riforma Cartabia per incompatibilità dei due riti , quest'ultima avrebbe avuto un congruo termine di 30 giorni dalla notifica del ricorso per organizzare la sua difesa e prendere posizione su tutte le condizioni di divorzio, ivi compresa la domanda di assegno divorzile con la formulazione delle relative istanze di prova. In tal caso, salva la possibilità di riunione dei procedimenti oggi possibile verrebbe comunque pregiudicato quell'intento di velocizzare i giudizi nell'ottica di un generale risparmio delle energie processuali. In questo quadro, emerge, a parere di questo Collegio, un'ingiustificata compressione del diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione e quindi dei principi generali del giusto processo ai sensi dell'articolo Ili della Carta che deve garantire un'efficace tutela dei diritti, oltre che del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 dal momento che situazioni uguali ottengono un trattamento giuridico differente. Invero, il termine di soli dieci giorni previsto dall'articolo 473 bis.17 c.p.c. in favore dell'attore per modificare e precisare le domande e formulare domande nuove e quindi anche i relativi mezzi di prova, si reputa assolutamente incongruo, non rinvenendosi nei vari riti previsti dal nostro ordinamento per i giudizi a cognizione piena una tempistica così ristretta. Ed invero - nel procedimento ordinario di cognizione ai sensi degli articolo 166 e 171 ter c.p.c. il convenuto deve costituirsi almeno 70 giorni prima dell'udienza fissata nell'atto di citazione formulando a pena di decadenza le domande riconvenzionali che intende proporre e l'attore ha tempo fino a quaranta giorni prima per prendere posizione sulle domande ed eccezioni avversarie, modificare le proprie domande e conclusioni o formularne di nuove l'attore dispone così di 30 giorni per adeguare le proprie difese rispetto alla eventuale domanda riconvenzionale avversaria, peraltro prorogabili di ulteriori 45 giorni in caso di differimento dell'udienza indicata in citazione da parte del giudice istruttore ai sensi dell'articolo 171 bis c.p.c. - nel rito ordinario semplificato ai sensi dell'articolo 281 duodecies c.p.c., il convenuto deve costituirsi entro 10 giorni prima dell'udienza fissata dal giudice e in caso di domanda riconvenzionale l'attore può chiedere un termine perentorio non superiore a 20 giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a 10 giorni per replicare e dedurre prova contraria, disponendo così di 30 giorni per riorganizzare la propria difesa - sempre nel rito ordinario semplificato, ai sensi dell'articolo 281 duodecies c.p.c. alla prima udienza il giudice se rileva che per la domanda principale o per la domanda riconvenzionale non ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 281decies c.p.c., dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario fissando l'udienza di cui all'articolo 183, rispetto alla quale decorrono i termini previsti dall'articolo 171 ter c.p.c., consentendo quindi all'attore di prendere posizione sulla domanda riconvenzionale entro 40 giorni prima della nuova udienza fissata - nel rito lavoro, ai sensi dell'articolo 418 c.p.c. il convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale deve chiedere al giudice, a pena di decadenza, la fissazione di una nuova udienza e tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l'udienza di discussione non devono decorrere più di 50 giorni - nel rito anteriforma, ai sensi dell'articolo 166 c.p.c., il convenuto doveva formulare a pena di decadenza la propria domanda riconvenzionale nel termine di 20 giorni prima dell'udienza indicata in citazione e l'attore disponeva quindi di tale termine per prendere posizione sulle difese del convenuto alla prima udienza ex articolo 183 c.p.c., salvo poi richiedere l'ulteriore termine di 30 giorni per il deposito della memoria ai sensi del numero 1 del sesto comma del medesimo articolo entro cui precisare e modificare le proprie conclusioni e proporre a sua volta le domande che erano conseguenza della domanda riconvenzionale L'articolo 473 bis. 17 c.p.c. costituisce invece un caso isolato di irragionevole compressione dei termini di difesa in violazione dei principi costituzionali di cui agli articolo 24 e 111 Cost. secondo cui “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”. A tale eccessiva compressione del diritto di difesa, ritiene questo Collegio di non poter supplire con un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame data la perentorietà dei termini stabiliti dal codice di rito a pena di decadenza, né può farsi luogo del potere previsto dall'articolo 153 co. secondo c.p.c. di remissione della parte dei termini, che introdurrebbe necessariamente un meccanismo di slittamento automatico della prima udienza con conseguente concessione ex novo di tutti i termini ex articolo 473 bis.17 c.p.c. non previsto dal legislatore. In altre parole, il giudice dovrebbe di volta in volta assegnare nuovi termini e concedere memorie ulteriori rispetto a quelle previste dal codice di rito al fine di ovviare all'irragionevolezza del termine previsto dalla legge e ristabilire una piena parità fra le parti, in violazione del principio generale di tassatività e certezza delle norme processuali, corollari del principio generale del giusto processo per cui è prevista una riserva assoluta di legge ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione. Per tutti questi motivi, si ritiene di dover rimettere alla prudente valutazione dell'Ecc.ma Corte Costituzionale la valutazione di compatibilità della disciplina codicistica di cui all'articolo 473 bis.17 c.p.c. con i canoni costituzionali di cui agli articolo 3, 24 e 111 della carta dei diritti fondamentali. La stessa Corte Costituzionale ha infatti più volte espresso il principio secondo cui “il difetto di congruità del termine, rilevante sul piano della violazione dell'articolo 24, primo comma, Cost., si ha solo qualora esso, per la sua durata, sia inidoneo a rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e, di conseguenza, tale da rendere inoperante o carente la tutela accordata al cittadino” Corte Cost. 10/02/2023, numero 18 . Ed ancora, nello stesso senso, il Giudice delle Legge ha più volte dichiarato l'illegittimità costituzionale di termini previsti a pena di decadenza ogniqualvolta gli stessi fossero determinati in modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto si vedano ex multis le sentenze numero 94 del 2017, numero 44 del 2016, numero 117 del 2012 e numero 30 del 2011 . Si ritiene, in definitiva, che il termine di soli 10 giorni che peraltro possono diventare effettivamente meno tenuto il tempo intercorrente fra la data del deposito e quella di effettiva possibilità di conoscenza della controparte a seguito del caricamento al portale del processo telematico previsto dall'articolo 473 bis.17 c.p.c. entro cui l'attore deve prendere posizione sulle difese del convenuto, precisare e modificare le proprie conclusioni, proporre domande ed eccezioni che sia conseguenza della domanda riconvenzionale e formulare le istanze di prova, non consenta un effettivo esercizio del diritto di difesa e quindi dei sottostanti diritti soggettivi che si intendono far valere, sicché la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa attorea appare rilevante, ai fini della decisione della causa, e non manifestamente infondata e va per l'effetto accolta. Visto l'articolo 23 della Legge 11 marzo 1953 numero 87 Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 473 bis.17 c.p.c. per contrasto con gli articolo 3,24 e 111 della Costituzione per i motivi di cui in narrativa e per l'effetto Sospende il presente giudizio Manda alla Cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché per la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento Dispone la trasmissione della presente ordinanza e degli atti del giudizio alla Corte Costituzionale unitamente alla prova delle comunicazioni prescritte.