Il delicato bilanciamento tra i diritti alla cronaca e all'oblio

Legittimo il rigetto della richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale dell'uomo coinvolto in una vicenda penale, che chiedeva la rimozione o il divieto di indicizzazione su motori di ricerca dei relativi articoli del 2013. Lo ha stabilito la Suprema Corte, sottolineando l'importanza del bilanciamento tra i diritti alla cronaca e all'oblio.

Con l'ordinanza in analisi, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale da parte di un uomo che chiedeva anche la rimozione o in subordine il divieto di indicizzazione sui motori di ricerca di determinati articoli di giornale sulla vicenda penale del 2013 in cui lo stesso era stato coinvolto. In particolare, richiamando precedenti sentenze della Cassazione, il Tribunale aveva sì evidenziato che l'esito assolutorio non costituisse l'unico requisito per la de-indicizzazione, ma, secondo il ricorrente, il giudice aveva ritenuto l'assoluzione quale unico criterio dal quale far decorrere il diritto all'oblio, senza tener conto del «lungo arco di tempo» comunque intercorso tra il 2013 e le domande di oblio. Il ricorrente sosteneva che, trascorso un tempo tutt'altro che minimale, gli articoli del 2013 riguardanti il suo arresto e l'avvio, quindi, della sua vicenda penale si sarebbero dovuti aggiornare. Tuttavia, la doglianza appariva troppo generica in quanto non indicava in che cosa avrebbe dovuto consistere l'aggiornamento da effettuarsi anteriormente alla sentenza assolutoria. Secondo i Giudici, nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente evidenziato il principio di bilanciamento tra i diritti alla cronaca e all'oblio, rimarcando che le richieste attinenti all'articolo 5, lettera c , 17 e 21 del Regolamento generale sulla protezione dei dati e la richiesta di mediazione erano proponibili non quando furono presentate, cioè quando «risultava ancora pendente il giudizio in Cassazione», ma solo dopo l'assoluzione. Pertanto, dopo aver analizzato gli altri motivi, anch'essi inammissibili, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali per le diverse testate giornalistiche controparti nel processo.

Presidente Travaglino - Relatore Graziosi Rilevato che Per quanto qui interessa, con ricorso depositato il 14 luglio 2021 ex articolo 152 D.Lgs. 196/2003 Zi.Gi. adiva il Tribunale di Roma perché fosse dichiarato illegittimo il trattamento dei suoi dati personali effettuato da Editrice Libero Srl, IL SOLE 24 ORE Spa, Dagospia Spa, Il Nuovo Manifesto soc. coop., Euclidea Esa Spa, LEDI Spa ed Editoriale Il Fatto Spa d'ora in poi SEIF con pubblicazione, permanente visibilità e indicizzazione sui motori di ricerca di determinati articoli su una vicenda penale del 2013 nella quale egli era stato coinvolto. Chiedeva perciò di rimuovere o in subordine di impedire l'indicizzazione degli articoli in associazione al suo nome in ulteriore subordine, chiedeva di renderlo anonimo chiedeva pure, previa pronuncia di illegittimità della condotta dei convenuti, la condanna di questi a risarcirgli danno non patrimoniale ai sensi degli articoli 82 Reg. UE 679/2016, 2043 e 2059 c.c. Durante il giudizio, per rinuncia attorea nei confronti di Editrice Libero e Dagospia che l'accettavano, nei confronti di questi si estingueva il processo. Con sentenza del 20 luglio 2022 il Tribunale ordinava a Il Nuovo Manifesto la deindicizzazione di un articolo emesso il 13 luglio 2013 e rigettava comunque la relativa domanda risarcitoria e ogni domanda proposta nei confronti delle altre parti, condannando il ricorrente a rifondere integralmente le spese di lite a SEIF e a IL SOLE 24 ORE - costituitesi in congiunta difesa - nonché a LEDI. Zi.Gi. ha presentato ricorso, articolato in otto motivi e illustrato anche con memoria, da cui si difendono con un unico controricorso SEIF e IL SOLE 24 ORE. Considerato che 1. Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 5 e 17 Reg. UE 679/2016 laddove il giudice afferma che solo dalla pubblicazione della sentenza di assoluzione dello Zi.Gi. pronunciata nella vicenda penale il 9 giugno 2021 - dalla Corte d'Appello di Roma al seguito di rinvio dalla Cassazione penale - l'attuale ricorrente avrebbe potuto chiedere intervento sugli articoli in questione, mentre egli ha avviato il giudizio con ricorso depositato il 14 luglio 2021 v. in effetti a pagina 5 della sentenza qui impugnata . 1.1 Osserva il ricorrente che tutti gli articoli pubblicati da SEIF risalivano al 2013, riguardavano i  primissimi momenti  della vicenda giudiziaria e non erano stati mai aggiornati da SEIF prima del ricorso. Per la  non attualità  delle notizie ivi presenti, ferme appunto al 2013, l'11 dicembre 2019 - come sostenuto da SEIF stessa nella sua comparsa difensiva - lo Zi.Gi. aveva inviato a SEIF istanza di rimozione e/o deindicizzazione ovvero minimizzazione dei dati, ai sensi degli articoli 5, lettera c , 17 e 21 Reg. UE 679/2016, e successivamente, il 20 ottobre 2020, l'aveva invitata in mediazione per l'omesso aggiornamento e non invece per la sentenza assolutoria, all'epoca non ancora pervenuta. Ed era ben noto a SEIF che  vi fossero stati degli sviluppi . Il citato articolo 5 prevede - sub c e d - la  minimizzazione  rispetto alle finalità dei dati e che i dati personali siano,  se necessari, aggiornati  se ne evince altresì che il titolare del trattamento deve rispettare il principio di  responsabilizzazione , per cui tali dati devono aggiornarsi  appena avuta notizia del contrario , anche qualora la notizia provenga da  fonti aperte . Inoltre l'articolo 8 del Testo unico sui doveri del giornalista stabilisce che l'estensore deve rispettare il diritto alla presunzione di non colpevolezza. Lo stesso Tribunale menziona, a pagina 5 della sentenza, la giurisprudenza di legittimità riguardante l'opportuna deindicizzazione degli articoli relativi a fatti risalenti di cronaca giudiziaria riferendosi a S.U. 19681/2019, Cass. 9923/2022 e Cass. 7559/2020 non indicante  l'esito assolutorio quale requisito unico per la de-indicizzazione . Tuttavia il giudice, ad avviso del ricorrente, ha errato nel ritenere la soluzione quale unico requisito dal quale decorra il diritto all'oblio, senza tenere conto del  lungo arco di tempo  comunque intercorso tra il 2013 e le domande di oblio nonché il mancato aggiornamento. 1.2 Inoltre, secondo il ricorrente il Tribunale ha pure errato quanto alle norme evocate ove ha ritenuto che SEIF  ha dato prova di aver aggiornato gli articoli  con la notizia dell'assoluzione pronunciata dalla Corte d'Appello di Roma. Qui il ricorrente lamenta che l'articolo, emendato  solo in corso di causa , ha ricevuto l'aggiunta soltanto di  uno scarno e statico trafiletto di quattro righe in fondo , non collegate ad altre informazioni sull'evoluzione della vicenda. Inoltre, il Tribunale, benché abbia dichiarato che l'obbligo di deindicizzazione è sorto soltanto con la conoscenza dell'assoluzione, da far risalire alla notifica del ricorso di primo grado, ha ordinato unicamente a Il Nuovo Manifesto la deindicizzazione dell'articolo pubblicato il 13 luglio 2013, nonostante che la sua posizione nei confronti della conoscenza dell'assoluzione  fosse assolutamente identica . 1.3 In sostanza, lo Zi.Gi. sostiene che, trascorso un tempo tutt'altro che minimale  lungo arco di tempo , si sarebbero dovuti aggiornare gli articoli del 2013 riguardanti il suo arresto e l'avvio quindi della sua vicenda penale. È però generico in questa doglianza, in quanto non indica in che cosa avrebbe dovuto consistere l'aggiornamento da effettuarsi anteriormente alla sentenza assolutoria. Né certo poteva qualificarsi  vicenda giudiziaria ormai definita   così nel ricorso, a pagina 4 la sua vicenda prima dell'assoluzione e fattuale è l'affermazione, ad essa affiancata, che era  ormai anacronistica  rispetto all'interesse pubblico. Il Tribunale ha correttamente evidenziato, seguendo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, il principio di bilanciamento tra i diritti alla cronaca e all'oblio sentenza, pagina 4 e quindi anche  la necessità di bilanciare il diritto ex articolo 21 Cost. della collettività ad essere informata e a conservare la memoria del fatto storico con quello del titolare dei dati  e ha pure rimarcato che le richieste attinenti all'articolo 5, lettera c , 17 e 21 Reg. UE 679/2016 e la richiesta di mediazione erano proponibili non quando furono presentate, cioè quando  risultava ancora pendente il giudizio in Cassazione , ma solo dopo l'assoluzione sentenza, pagina 5 . Quanto poi all'articolo del Nuovo Manifesto sentenza, pagina 6 , il Tribunale fa ben intendere che veicolava un contenuto non identico, integrando così una valutazione fattuale come parimenti deve ritenersi valutazione fattuale stabilire quando si sarebbero dovuti modificare i dati prima dell'assoluzione. Tramite tutti questi profili, dunque, il motivo perviene alla inammissibilità. 2. Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c. 2.1 Per quanto esposto nel primo motivo, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere, ritenendo l'aggiornamento di SEIF soddisfacente rispetto alle domande dello Zi.Gi., e compensare le spese altrimenti avrebbe dovuto spiegare la differenza della decisione rispetto a quella verso Il Nuovo Manifesto. 2.2 Il contenuto di questo motivo coincide evidentemente, nella sua natura fattuale, con quello del precedente, di cui pertanto condivide l'inammissibilità. 3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 115,116,132, secondo comma, numero 4 c.p.c. 3.1 Quanto alla domanda proposta nei confronti del Sole 24 Ore, il Tribunale ritiene infondata l'allegazione dell'attuale ricorrente che gli articoli fossero  indicizzati in associazione alle generalità del ricorrente , perché i documenti prodotti a dimostrarlo  oltre ad essere datati 30 giugno 2021 quattro mesi prima della notifica del ricorso introduttivo riportano una schermata Google dalla quale potrebbe al più desumersi che il motore di ricerca - e non la testata giornalistica - non abbia adempiuto alla richiesta di deindicizzazione . Si obietta che  non è mai stata allegata… alcuna istanza di deindicizzazione indirizzata al motore di ricerca essendo, pertanto, la deduzione del Giudice fondata su di un atto processualmente… inesistente . 3.2 A sostegno di questa doglianza il ricorrente tenta di richiamare la fattispecie del travisamento della prova. Invece, ictu oculi, si è dinanzi ad una valutazione del Tribunale direttamente fattuale. D'altronde non si individua neppure un interesse alla base della censura, perché il ricorrente stesso dichiara che non vi è stata alcuna istanza in relazione al motore di ricerca ricorso, pagina 15 . Il motivo risulta pertanto inammissibile. 4. Il quarto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nnumero 4 e 5 c.p.c., omesso esame di fatto discusso e decisivo. 4.1 Si riporta il passo della sentenza in cui viene affermato che LEDI - la quale aveva stipulato un contratto di locazione temporanea 10 dicembre 2020-31 luglio 2021 avente ad oggetto un ramo d'azienda di Edisud,  con la previsione del mero utilizzo dell'archivio telematico , senza aver potere di modificarlo - era stata  laconicamente  citata in giudizio senza alcuna allegazione di  un eventuale trasferimento tra le parti del diritto controverso , così rigettando la domanda. Si oppone di avere,  invece, ben documentato essere LEDI il gerente della testata  quando fu proposto il ricorso e questo sarebbe stato un fatto discusso e decisivo che il Tribunale avrebbe omesso di valutare. 4.2 Il motivo è inammissibile se non altro perché non indica come l'attuale ricorrente avrebbe appunto  documentato , al riguardo fornendo solo un generico asserto. 5. Il quinto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c. 5.1 Si aggiunge al precedente motivo l'asserto che LEDI  non ha mai negato la propria gerenza pro tempore della testata  e non ha  contestato i relativi screenshot  prodotti dallo Zi.Gi. Verrebbe pertanto violato l'articolo 115 c.p.c. 5.2 Anche questo motivo è inammissibile perché generico e assertivo si riferisce invero soltanto ad  All.ti 9.1 e 9.2  senza indicare il loro contenuto sul punto. D'altronde, la ratio decidendi del Tribunale è un'altra si veda già il precedente motivo , attinente alla prova della gerenza della testata, cioè, in effetti, all'accertamento fattuale che LEDI aveva stipulato un contratto locatizio che non le consentiva di modificare l'archivio, ma soltanto di fruirne. 6. Il sesto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'articolo 111 c.p.c. 6.1 Il Tribunale afferma che l'attuale ricorrente non ha allegato nulla su  un eventuale trasferimento tra le parti del diritto controverso . Però LEDI non ha contestato di essere il gerente della testata quando è stata proposta la domanda, e ha essa stessa lamentato che la notifica del ricorso non era più  nella disponibilità del diritto controverso . Pertanto non sarebbe spettato allo Zi.Gi.  dover provare fenomeni successori  onde il Tribunale non avrebbe correttamente applicato l'articolo 111 c.p.c. 6.2 Il motivo palesemente non è sostenuto da interesse  ut supra già evidenziato, la ratio decidendi adottata dal giudice è quella risultata a proposito del quarto motivo. La censura perciò è inammissibile. 7. Il settimo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 5 e 17 Reg. UE 679/2016. 7.1 Si riporta ancora il passo della sentenza richiamato nel quarto motivo - per cui la locazione temporanea di un ramo d'azienda a LEDI non le aveva attribuito la possibilità di modificare l'archivio telematico -, affermandolo errato perché almeno la domanda di deindicizzazione non avrebbe comportato la modifica dell'archivio telematico. 7.2 Il nerbo del motivo costituisce un'asserita affermazione fattuale, e quindi apporta inammissibilità. Ad abundantiam si rileva, allora, che, essendo l'archivio di proprietà di un altro soggetto, LEDI non avrebbe comunque potuto incidere sulla fruizione del suo contenuto in difetto di una specifica clausola contrattuale che glielo consentisse, qui non invocata. 8. L'ottavo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., del D.P.R. 115/2022, del D.M. 127/2004 e del D.L. 223/2006 convertito in L. 248/2006. 8.1 La liquidazione delle spese processuali,  corretta quanto all'individuazione dei parametri tariffari , avrebbe incluso la fase istruttoria, che invece non si è svolta. Pertanto andrebbe ridotto il quantum delle spese dall'importo di € 4.800 all'importo di € 3.005,65. 8.2 Il Tribunale non fa riferimento alla fase istruttoria nel liquidare le spese, bensì ne indica in modo generale l'importo il motivo quindi non ha riscontro nel contenuto della sentenza, ed è frutto di un calcolo forzato operato dal ricorrente. Ne consegue l'infondatezza. 9. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione alla controparte controricorrente delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Seguendo l'insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 numero 4315 si dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di € 3.200, oltre a € 200 per esborsi e agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.