Nelle ipotesi di mobbing o straining, ciò che rileva ai fini giuridici è la presenza di una condotta aziendale che, anche solo per negligenza, possa creare un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute dei lavoratori, in contrasto con l’articolo 2087 c.c.
Lo ha chiarito la Cassazione, sottolineando la necessità di porre attenzione a tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi ma tali da poter generare, isolatamente o anche con altri comportamenti inadempienti, stress o disagio per i dipendenti. La Cassazione, con la pronuncia in esame, ha stabilito le caratteristiche giuridicamente rilevanti nelle ipotesi di mobbing e straining. Nel caso di specie, la Corte d'Appello aveva confermato la decisione resa dal Tribunale, rigettando la domanda con cui la lavoratrice chiedeva il risarcimento dei danni patiti per le condotte mobbizzanti ascrivibili alla responsabilità dell'Ente per non averle impedite, garantendo la salute e sicurezza sul lavoro in violazione degli articolo 2103 e 2087 c.c. e, così, per fatto proprio e del proprio dirigente ex articolo 2049 c.c. I giudici di secondo grado avevano ritenuto infondata nel merito tale istanza stante l'inconfigurabilità della prospettata ipotesi di mobbing, «per non presentare le condotte denunciate la caratteristica della sistematicità e non essere riconducibili ad un unitario disegno persecutorio.» Inoltre, era stata dichiarata inammissibile, in quanto domanda nuova, anche la richiesta di valutazione della vicenda come straining. Avverso tale decisione, la lavoratrice proponeva allora ricorso per cassazione. In particolare, la ricorrente imputava alla Corte territoriale l'erroneità della decisione in ordine all'inammissibilità della richiesta valutazione delle condotte denunciate in relazione a ragioni di responsabilità ulteriori rispetto al mobbing inizialmente prospettato. La Suprema Corte ha considerato tale motivo del ricorso meritevole di accoglimento trovando riscontro nell'orientamento di recente invalso nella giurisprudenza di legittimità, che attribuisce valenza meramente sociologica alle nozioni di mobbing e di straining determinando la loro irrilevanza ai fini giuridici per i quali ciò che interessa è «il configurarsi di una condotta datoriale che si riveli illegittima, anche soltanto a titolo di colpa, in quanto atta a consentire il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori, in contrasto con l'articolo 2087 c.c., inteso quale obbligo generale di prevedere ogni possibile conseguenza negativa della mancanza di equilibrio tra organizzazione di lavoro e personale impiegato, derivandone la necessità di porre attenzione a tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi ma tali da poter indurre disagio o stress che si manifestano isolatamente o invece si connettono ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprire gli effetti e la gravità del pregiudizio».
Presidente Doronzo - Relatore De Marinis Rilevato che, con sentenza del 4 giugno 2020, la Corte d'Appello di L'Aquila confermava la decisione resa dal Tribunale di Vasto e rigettava la domanda proposta da C.S. nei confronti del Comune di OMISSIS e dell' OMISSIS già OMISSIS , con la quale il Comune aveva stipulato una polizza assicurativa volta a tenerlo indenne da responsabilità civile, avente ad oggetto la condanna del Comune datore al risarcimento dei danni patiti per le condotte mobbizzanti ascrivibili alla responsabilità dell'Ente per non averle impedite, garantendo la salute e sicurezza della lavoratrice in violazione degli articolo 2103 e 2087 c.c. e, così, per fatto proprio e del proprio dirigente ex articolo 2049 c.c. che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto di dover rigettare l'eccezione sollevata dal Comune di OMISSIS di inammissibilità dell'appello proposto dalla C.S., nonché l'eccezione di nullità del mandato alle liti conferito dal Sindaco del Comune a ciò titolato ed affermare poi l'infondatezza nel merito della domanda della C.S., per l'inconfigurabilità della prospettata ipotesi di mobbing, per non presentare le condotte denunciate la caratteristica della sistematicità e non essere riconducibili ad un unitario disegno persecutorio e per l'inammissibilità, in quanto domanda nuova, della richiesta valutazione della vicenda sotto il profilo della ravvisabilità della più tenue ipotesi di straining che per la cassazione di tale decisione ricorre la C.S., affidando l'impugnazione a tre motivi, cui resistono, con controricorso, il Comune di OMISSIS e la OMISSIS che entrambe le parti hanno poi depositato memoria Considerato che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., lamenta a carico della Corte territoriale il malgoverno delle regole sull'onere della prova, per aver ritenuto gravante sulla ricorrente un onere probatorio ulteriore rispetto alla dimostrazione della ricorrenza delle condotte denunciate nella loro oggettività e nella loro efficienza eziologica nella causazione del danno, viceversa puntualmente fornita di tal che la decisione resa si appalesa in contrasto con il principio per cui il giudice deve pronunziare “iuxta alligata et probata” che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli articolo 2103,2043,2059 e 2087 c.c., la ricorrente, la ricorrente imputa alla Corte territoriale l'erroneità del pronunciamento in ordine all'inammissibilità della richiesta valutazione delle condotte denunciate in relazione a ragioni di responsabilità ulteriori rispetto al mobbing originariamente prospettato che nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c. è prospettata in relazione alla mancata ammissione della consulenza tecnica richiesta al fine di accertare, una volta riconosciuto dalla Corte medesima la valenza vessatoria dell'atteggiamento del dirigente del Comune, l'incidenza percettiva di quell'atteggiamento rispetto alla sensibilità soggettiva della ricorrente che il primo motivo, volto a censurare l'error in procedendo in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nell'accertamento della inammissibile, risolvendosi la censura mossa dalla ricorrente nella mera confutazione dell'esito valutativo cui approda la Corte territoriale in sede di libero apprezzamento del materiale istruttorio, esito basato sul carattere diffuso delle condotte dalla ricorrente denunciate come mirate a suo danno e come tali non espressive di un intento vessatorio a suo carico che, di contro, il secondo motivo appare meritevole di accoglimento trovando riscontro nell'orientamento di recente invalso nella giurisprudenza di questa Corte, che attribuisce valenza meramente sociologica alle nozioni di mobbing e di straining sancendone lo loro irrilevanza ai fini giuridici in relazione ai quali ciò che conta è il configurarsi di una condotta datoriale che si riveli illegittima, anche soltanto a titolo di colpa, in quanto atta a consentire il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori, in contrasto con l'articolo 2087 c.c., inteso quale obbligo generale di prevedere ogni possibile conseguenza negativa della mancanza di equilibrio tra organizzazione di lavoro e personale impiegato, derivandone la necessità di porre attenzione a tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi ma tali da poter indurre disagio o stress che si manifestano isolatamente o invece si connettono ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprire gli effetti e la gravità del pregiudizio cfr. Cass. 7.2.2023 numero 3692 che, il secondo motivo di ricorso va, dunque, accolto, ferma l'inammissibilità del primo motivo e derivandone l'assorbimento del terzo e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'Appello di L'Aquila, in diversa composizione, che provvederà in conformità, disponendo altresì per l'attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo, inammissibile il primo, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di L'Aquila, in diversa composizione. Ai sensi dell'articolo 52 del d.lgs. numero 196/2003, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi della lavoratrice ricorrente e dell'Amministrazione datrice di lavoro.