In caso di invalidità del privilegio pignoratizio per mancanza di certezza sulla data degli atti con cui la società fallita aveva dato in pegno i titoli alla banca per garantire il finanziamento, è stato stabilito che la parte ricorrente non può richiedere una rimessione in termini per presentare ulteriori prove sui fatti costitutivi del proprio diritto, in contrasto con le preclusioni stabilite dall'articolo 98 l. fall.
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di delicate questioni connesse al fallimento di una società. In particolare, il tribunale aveva respinto l'opposizione presentata contro la decisione del Giudice Delegato del fallimento che aveva dichiarato l'invalidità del privilegio pignoratizio per un credito di € 225.051,46, per la mancanza di certezza sulla data degli atti con cui la società fallita aveva dato in pegno i titoli alla banca per garantire il finanziamento. Gli atti, presentati in fotocopia, non costituivano un unico documento con il timbro postale. Peraltro, nonostante la curatela non avesse sollevato eccezioni in ordine alla conformità delle copie agli originali, tuttavia, questa presunzione di conformità non si estendeva alla forma e alla struttura del supporto materiale dei documenti e non rendeva certa la data della scrittura rispetto ai terzi. Avverso tale decisione, la società proponeva ricorso per cassazione denunciando soprattutto il fatto che il giudice di primo grado avesse rigettato l'istanza di esibizione degli originali degli atti di pegno, che era finalizzata a dimostrare che le copie prodotte dei cinque atti di pegno e delle successive integrazioni erano completamente identiche agli originali e recavano il timbro postale in corpo unico. La parte ricorrente evidenziava in particolare «che l'eccezione sollevata d'ufficio, in ordine alla inidoneità della fotocopia e quindi dei pdf inviati al curatore a dimostrare che la data certa sia applicata ad un documento in corpo unico, debba essere considerata questione “nuova” rispetto alla quale la parte che intenda avvalersi del documento ha diritto di produrre o esibire gli originali.» La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per varie ragioni. Innanzitutto, richiamando un precedente principio, ha spiegato che la locuzione questione rilevata d'ufficio dell'articolo 101, comma 2, c.p.c., riguarda questioni che comportano la valutazione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto sostenuto in giudizio. Pertanto, la parte attrice non può fare affidamento sul proprio errore riguardante l'identificazione del tema da decidere o provare per chiedere una rimessione in termini al fine di ottenere prove o migliorare le argomentazioni difensive. Nel caso di specie, la stessa banca ricorrente aveva sollevato la questione della data certa dei contratti di pegno, sostenendo che la produzione in tribunale di tali contratti muniti di data certa fosse sufficiente. Di conseguenza, essendo la data certa una parte essenziale del tema deciso introdotto dalla stessa parte ricorrente, che credeva di aver provato con le copie dei contratti di pegno, non era possibile richiedere una rimessione in termini per presentare ulteriori prove sui fatti costitutivi del proprio diritto, in contrasto con le preclusioni stabilite dall'articolo 98 L.F. Infine, secondo i Giudici, non era pertinente neppure il riferimento alla pronuncia numero 27441/2019 della stessa Cassazione. Da un lato, tale ordinanza aveva negato alla parte il deposito degli originali e, dall'altro, aveva sollevato dubbi sul contenuto delle fotocopie presentate, a causa di perplessità riguardo alla loro accuratezza rispetto agli originali. L'ipotesi in esame risultava differente rispetto a quanto analizzato in precedenza, poiché il giudice di primo grado aveva specificamente sottolineato che i documenti riguardanti la costituzione del pegno, prodotti in fotocopia, non costituivano «corpo unico» con il foglio contenente il timbro postale. Dunque, il decreto contestato in questa sede non si era limitato a mettere in dubbio il contenuto delle fotocopie con timbro postale, ma aveva completamente escluso che gli atti di pegno, presentati in fotocopia, costituissero un unico insieme con il documento originale contenente tale timbro.
Presidente Abete - Relatore Fidanzia Fatti di causa Con decreto depositato il 4.5.2020 il Tribunale di Fermo ha rigettato l'opposizione ex articolo 98 legge fall. proposta da OMISSIS s.p.a., quale mandataria di OMISSIS s.r.l., avverso il decreto con cui il G.D. del Fallimento OMISSIS s.r.l. aveva dichiarato l'invalidità del privilegio pignoratizio per il credito di € 225.051,46. Il giudice di primo grado ha ritenuto come profilo assorbente la mancanza di data certa degli atti negoziali con cui la fallita aveva costituito in pegno i titoli offerti alla banca a garanzia del finanziamento, essendo detti atti scritture private stati prodotti in fotocopia, né ciascuno di essi formava un corpo unico con il foglio sul quale era impresso il timbro postale. Peraltro, se è pur vero che la curatela non aveva sollevato eccezioni in ordine alla conformità delle copie agli originali, tuttavia, tale presunzione di conformità non si estendeva alla forma e alla struttura del supporto materiale della documentazione e non rendeva affatto certa la data della scrittura rispetto ai terzi. Infine, il Tribunale di Fermo ha rigettato l'istanza formulata dalla banca di esibizione o autorizzazione alla produzione degli originali, stante la preclusione dell'articolo 99 comma 2° numero 4 L.F., né l'eccezione sollevata d'ufficio sulla mancanza di data certa degli atti costitutivi del pegno poteva essere causa di una rimessione in termini dell'opponente, anche perché tale questione non aveva costituito un elemento di sorpresa per lo stesso creditore opponente, avendo lo stesso dedotto che per la valida costituzione del pegno fosse sufficiente che il contratto fosse munito di data certa. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione OMISSIS s.r.l., quale mandataria di OMISSIS s.p.a., cessionaria del credito di cui è causa, affidandolo ad un unico articolato motivo. La curatela del Fallimento OMISSIS ha resistito in giudizio con controricorso. Il P.M. ha formulato per iscritto le sue conclusioni. La ricorrente ha depositato la memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c. Ragioni della decisione 1. E' stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli articolo 115 c.p.c., 2719 c.c., 99 L.F. La ricorrente si duole che il giudice di primo grado ha rigettato l'istanza di esibizione degli originali degli atti di pegno, che era finalizzata a dimostrare che le copie prodotte dei cinque atti di pegno e delle successive integrazioni erano assolutamente identiche agli originali e recavano il timbro postale in corpo unico. Espone la ricorrente che, come già evidenziato anche in primo grado nel ricorso ex articolo 98 L.F., il deposito di tutti i documenti in copia era stato reso necessario dalla circostanza che gli originali dei medesimi documenti erano stati prodotti in un parallelo giudizio di opposizione ex articolo 98 L.F., atteso che i medesimi pegni garantivano plurimi finanziamenti e le domande di ammissione al passivo e relative opposizioni erano state due. Essendo l'altro giudizio già stato deciso, la ricorrente è ora tornata in possesso dei documenti originali ed ha chiesto di poter esibire gli stessi, al fine di dimostrare che le copie dei cinque atti di pegno e successive integrazioni sono assolutamente identiche agli originali e recano il timbro postale in corpo unico. Evidenzia, in particolare, che l'eccezione sollevata d'ufficio, in ordine alla inidoneità della fotocopia e quindi dei pdf inviati al curatore a dimostrare che la data certa sia applicata ad un documento in corpo unico, debba essere considerata questione “nuova” rispetto alla quale la parte che intenda avvalersi del documento ha diritto di produrre o esibire gli originali. 2. Il ricorso presenta concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità. Va preliminarmente osservato che questa Corte vedi Cass. numero 35974/2021 ha, in materia di rito del lavoro, già enunciato il principio di diritto – applicabile anche al caso di specie, essendo le preclusioni del giudizio ex articolo 98 L.F. assimilabili a quelle del rito del lavoro – secondo cui la locuzione questione rilevata d'ufficio , di cui all'articolo 101, comma 2, c.p.c., deve intendersi riferita alle questioni - siano esse di fatto o miste di fatto e diritto - che implichino la valorizzazione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto fatto valere in giudizio, non potendo la parte attrice, che abbia errato nella definizione del thema decidendum o del thema probandum relativi al fatto costitutivo del diritto, confidare nel proprio errore per essere rimessa in termini, al fine di chiedere prove o integrare le argomentazioni difensive, atteso che, diversamente e con specifico riferimento al processo del lavoro, la previsione di cui all'articolo 101, comma 2, c.p.c. si troverebbe in aperta contraddizione con il sistema delle preclusioni assertive e probatorie fissato negli articolo 414 e 416 c.p.c. Nel caso di specie, come già evidenziato in narrativa, è la stessa banca ricorrente che aveva sollevato la questione della data certa dei contratti di pegno, in quanto per confutare l'affermazione del G.D., secondo cui ai fini della dimostrazione della valida costituzione del pegno era necessaria l'annotazione nell'apposito registro, aveva affermato che, invece, all'uopo, fosse sufficiente la produzione in giudizio di tali contratti muniti di data certa. Dunque, attenendo la data certa al thema decidendum introdotto dalla stessa ricorrente, elemento che riteneva di aver provato con la produzione in giudizio delle copie dei contratti di pegno, la stessa non può invocare una rimessione in termini per produrre in giudizio prove integrative dei fatti costitutivi del proprio diritto, ostando a ciò le preclusioni previste dall'articolo 98 L.F. Né appare conferente il richiamo all'ordinanza di questa Corte numero 27441/2019 che, secondo la stessa ricostruzione della ricorrente, da un lato, aveva negato alla parte il deposito degli originali, e, dall'altro, aveva dubitato del contenuto apparente delle fotocopie prodotte da questa “proprio in virtù del dubbio che egli nutra circa la fedeltà con gli originali”. Il caso di specie è diverso rispetto a quello esaminato nel precedente di questa Corte, avendo il giudice di primo grado espressamente evidenziato, con riferimento agli negoziali contenenti la costituzione del pegno che, oltre ad essere stati prodotti in fotocopia “né ciascuno di essi forma corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro postale” vedi pag. 3 decreto impugnato, terzo capoverso . Dunque, il decreto impugnato in questa sede non si è limitato a dubitare del contenuto delle fotocopie apparentemente recanti il timbro postale, ma ha proprio escluso che gli atti di pegno prodotti in fotocopia formassero corpo unico con quello su cui è impresso tale timbro. Né, infine, ha rilevanza la circostanza dedotta dalla ricorrente di non aver potuto produrre gli originali, per essere stati depositati in altro giudizio di opposizione ex articolo 98 L.F., atteso che i medesimi pegni garantivano plurimi finanziamenti e le domande di ammissione al passivo e relative opposizioni erano state due. La ricorrente vorrebbe ricondurre tale situazione ad una sorta di causa di forza maggiore, ma non ha considerato che la legge fallimentare, e, in particolare, l'articolo 96 comma 2° numero 2 contempla espressamente l'ipotesi in cui il creditore non sia in grado, per fatto allo stesso non riferibile, di produrre il titolo ovviamente l'originale dello stesso . Orbene, tale norma prevede, in una tale eventualità, che il creditore possa chiedere - ed ottenere - l'ammissione al passivo con riserva di produzione in un momento successivo dell'originale del titolo. Nel caso di specie, la ricorrente non ha ritenuto, già dalla fase di verifica dello stato passivo, di avvalersi dell'opportunità offerta dalla predetta norma della legge fallimentare, non risultando che avesse già reso edotto il G.D. dell'impossibilità, in quella fase, di produrre gli originali degli atti di pegno. È evidente che ove il G.D. avesse eventualmente negato l'ammissione con riserva ex articolo 96 comma 2° numero 3 L.F., la ricorrente avrebbe potuto far valere la violazione della predetta nel giudizio di opposizione allo stato passivo. Ne consegue che il creditore che, come nel caso di specie, abbia chiesto all'ammissione al passivo tout court, senza sollevare la questione della mancanza del titolo in originale e confidando che i documenti prodotti in giudizio fossero comunque idonei a provare il proprio credito, non può, tardivamente, sollevare tale questione nel giudizio di opposizione ex articolo 98 L.F., chiedendo, inammissibilmente, una rimessione in termini in violazione delle preclusioni di cui all'articolo 99 L.F. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.