Quando si può parlare di “nuova” misura cautelare impugnabile con istanza di riesame? La parola alle Sezioni Unite

Il Collegio, con il principio di diritto enunciato nella sentenza numero 44060 del 3 dicembre 2024, ritiene che si ha una “nuova” misura, impugnabile con istanza di riesame, tutte le volte che questa, originariamente applicata, venga caducata, per qualsiasi ragione, e ne venga emessa una successiva, autonoma dalla prima, ossia non condizionata dalla precedente vicenda cautelare.

Con ordinanza del 10 aprile 2024, la Prima Sezione penale, rilevato un contrasto interpretativo nel caso sottoposto al suo esame e anche in giurisprudenza, rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, condensando la questione di diritto ad essa devoluta nel seguente quesito «Se l'imputato, nei confronti del quale sia stata emessa ordinanza applicativa della custodia in carcere che ha perso efficacia a causa del proscioglimento pronunciato all'esito del giudizio di primo grado debba impugnare con l'istanza di riesame ovvero con l'appello cautelare l'ordinanza con la quale sia stata disposta la custodia cautelare in carcere, ai sensi dell'articolo 300, comma 5, c.p.p., emessa a seguito di successiva condanna pronunciata all'esito del giudizio di appello». Il Collegio rimettente, delineati i profili di diversità dei due mezzi di impugnazione, osservava, in via di approssimazione, che «l'individuazione in via residuale dell'area di operatività dell'appello cautelare orienta a individuare nell'appello il mezzo per l'impugnazione dello stesso provvedimento che ripristina la medesima misura cautelare. Viceversa, quando la prima misura coercitiva sia stata caducata e successivamente si applichi una nuova misura parimenti coercitiva, l'autonomia di questa ulteriore misura ne determina l'impugnabilità con la richiesta di riesame». Stante però, la varietà delle fattispecie verificabili nel corso delle vicende cautelari, la Prima Sezione penale rileva che «per alcune di esse non risulta agevole la collocazione del provvedimento nell'una o nell'altra delle indicate categorie al conseguente fine dell'individuazione del mezzo previsto per la corrispondente impugnazione». «Fra queste», prosegue, «deve annoverarsi quella relativa all'ordinanza emessa ai sensi dell'articolo 300, comma 5, c.p.p., dando atto che, nel quadro non vasto di pronunce massimate che hanno affrontato il tema, l'esegesi di legittimità tradizionale emergente appare favorevole all'esperibilità dello strumento dell'appello ex articolo 310 c.p.p.». Le Sezioni Unite, alla luce di una articolata e complessa disamina della disciplina, si discostano totalmente dalla linea interpretativa fornita dal Collegio remittente, ritenendo che l'ordinanza emessa ai sensi dell'articolo 300, comma 5, c.p.p., non possa considerarsi quale semplice reviviscenza dell'ordinanza genetica, poi caducata, a fronte di un quadro cautelare inciso dal trascorrere del tempo e dall'intervento della sentenza di condanna in appello, che ha ribaltato la decisione di un proscioglimento adottato in primo grado il provvedimento de quo, viceversa, presenta indubbi aspetti di novità ed autonomia in confronto a quello precedente, tale da giustificare, per la sua impugnazione, l'attivazione del procedimento di riesame. Alla luce di tale premessa, i Giudici enunciano il seguente principio di diritto «nel caso in cui l'imputato, nei confronti del quale sia stata emessa ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, divenuta inefficace per il proscioglimento pronunciato all'esito del giudizio di primo grado, venga successivamente sottoposto, ai sensi dell'articolo 300, comma 5, c.p.p., a nuova applicazione della custodia in carcere, il rimedio che egli può esperire per impugnare la relativa ordinanza è quello dell'istanza di riesame ex articolo 309 c.p.p.».