Accertata in via definitiva la responsabilità dell'uomo che proponeva in un'area di servizio in Abruzzo il gioco delle tre campanelle , catalogabile come gioco d'azzardo. Lo ha stabilito la Cassazione, spiegando perché non sia configurabile il reato di truffa.
Ad essere processato è un campano in trasferta in Abruzzo. Gli uomini delle forze dell'ordine lo sorprendono a proporre ai passanti in un'area di servizio il famigerato «Gioco delle tre campanelle». Inevitabili le conseguenze giudiziarie, che si concludono per l'uomo con una condanna, prima in Tribunale e poi in Appello, per esercizio di giuoco d'azzardo ex articolo 718 c.p. Inequivocabile, secondo i giudici di merito, la condotta tenuta dall'uomo, il quale, in luogo pubblico e con un banchetto ad hoc, «ha tenuto un gioco d'azzardo, consistito nel maneggiare delle campanelle allo scopo di far puntare denaro ai viaggiatori in transito e agli avventori del bar». Per la difesa, però, «il “gioco delle tre carte” o “delle tre campanelle” non può essere qualificato come gioco d'azzardo connotato da aleatorietà, bensì come gioco d'abilità del gestore o dello scommettitore, né sono necessari, per la sua realizzazione, artifizi e raggiri». In aggiunta, poi, viene sottolineato che l'uomo ha «tenuto il banchetto, ove si effettuava il gioco in modo occasionale, senza alcuna organizzazione». Per i Giudici, tuttavia, la linea difensiva è assolutamente fragile. Ciò perché «il “gioco dei tre campanelli” e quelli similari “delle tre tavolette” o “delle tre carte” non configurano il reato di truffa ma quello di esercizio di giuoco d'azzardo, in ragione del fatto che la condotta del soggetto che dirige il gioco non realizza alcun artificio o raggiro ma costituisce una caratteristica del gioco che rientra nell'ambito dei fatti notori, purché all'abilità ed alla destrezza di chi esegue il gioco non si aggiunga anche una sua fraudolenta attività». Allo stesso tempo, «in tema esercizio abusivo dell'attività di pubblica scommessa su giochi di abilità, è necessaria la presenza di una struttura organizzativa costituita da mezzi e persone, anche se di natura non stabile e complessa». Impossibile, quindi, mettere in dubbio la condotta tenuta dall'uomo sotto processo, il quale «si era posizionato presso un'area di servizio, aveva allestito un banchetto amovibile su cui conduceva il “gioco delle tre campanelle”, era circondato un capannello di persone». Difatti, la Suprema Corte ha concluso che «il condurre in luogo pubblico il suddetto gioco, non richiedendo la predisposizione di attività specifiche di inganno, non integra il reato di truffa ma deve considerarsi come un gioco d'azzardo, in quanto il partecipe al gioco può ottenere la vincita della somma in modo del tutto aleatorio, a prescindere da ogni abilità».
Presidente Sarno - Relatore Magro Ritenuto in fatto e Considerato in diritto 1. Fe.Mi. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la Corte di appello di L'Aquila ha confermato la sentenza del giudice di primo grado di condanna del ricorrente per il reato di cui all'articolo 718 cod. penumero , per aver, in luogo pubblico e avendo allestito un banchetto, tenuto un gioco d'azzardo, consistito nel maneggiare delle campanelle allo scopo di far puntare denaro ai viaggiatori in transito e agli avventori del bar. 2. Il ricorrente affida il ricorso ad un unico motivo di ricorso, con il quale deduce violazione di legge e vizio della motivazione, posto che la Corte territoriale ha disatteso le doglianze formulate con i motivi di appello, con le quale aveva rappresentato che il gioco delle tre carte o delle tre campanelle non possa essere qualificato come gioco d'azzardo connotato da alcatorietà, ma come gioco d'abilità del gestore o dello scommettitore, né sono necessari, per la sua realizzazione, artifizi e raggiri. Rappresenta di aver tenuto il banchetto ove si effettuava il gioco in modo occasionale, senza alcuna organizzazione. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Il ricorso è manifestamente infondato. 4.1. Si premette che, in giurisprudenza, si è affermato che il gioco dei tre campanelli e quelli similari delle tre tavolette o delle tre carte non configura il reato di truffa ma quello di cui all'articolo 718 cod. penumero , in ragione del fatto che la condotta del soggetto che dirige il gioco non realizza alcun artificio o raggiro ma costituisce una caratteristica del gioco che rientra nell'ambito dei fatti notori, purché all'abilità ed alla destrezza di chi esegue il gioco non si aggiunga anche una fraudolenta attività del medesimo Sez. 2, numero 48159 del 17/07/2019, Rv. 277805 Sez. 3, numero 19985 del 2020 . Si è quindi affermato che, in tema esercizio abusivo dell'attività di pubblica scommessa su giochi di abilità, è necessaria la presenza di una struttura organizzativa costituita da mezzi e persone, anche se di natura non stabile e complessa Sez. F., numero 26321 del 02/09/2020, Rv. 279545, fattispecie in cui è stata esclusa la configurabilità del reato di cui all'articolo 4, comma 1, L. 13 dicembre 1989, numero 410, a carico di tre imputati che avevano predisposto un banchetto amovibile sul quale uno di loro esercitava il gioco delle tre campanelle e gli altri due inducevano altri soggetti a giocare allettandoli con la possibilità di conseguire un facile guadagno, essendo tale condotta al più riconducibile nell'ambito della contravvenzione di cui all'articolo 718 cod. penumero . 4.2. Nel caso in disamina, il giudice a quo ha evidenziato che il ricorrente si era posizionato presso un'area di servizio, aveva allestito un banchetto amovibile su cui conduceva il gioco delle tre campanelle, era circondato un capannello di persone, e ha affermato che il condurre in luogo pubblico il suddetto gioco, non richiedendo la predisposizione di attività specifiche di inganno, non integri il reato di truffa ma deve considerarsi come un gioco d'azzardo in quanto il partecipe al gioco può ottenere la vincita della somma in modo del tutto aleatorio, a prescindere da ogni abilità. 5. Il ricorso, dunque, è inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende.