La sentenza di assoluzione in sede penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio di impugnativa di una sanzione disciplinare irrogata nell'ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato, nel caso in cui non ricorra il presupposto della costituzione del datore di lavoro quale parte civile nel processo penale.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla legittimità di un licenziamento per giusta causa. Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte, esprimendosi in materia di licenziamento per giusta causa relativo ad un rapporto di lavoro privato, ha chiarito che il giudice del lavoro non deve sempre tener conto dell'accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione in ambito penale, ma ha il potere di ricostruire autonomamente i fatti e pervenire a valutazioni differenti. Nello specifico, in seguito alla sentenza di secondo grado che aveva precluso una diversa valutazione in sede disciplinare, veniva proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Il secondo motivo è stato considerato fondato dai Giudici, i quali hanno evidenziato che non appariva pertinente il richiamo operato dalla Corte di Appello all'articolo 653 c.p.p., relativo esclusivamente al rapporto di lavoro del dipendente pubblico. Era, invece, più opportuno il rimando all'articolo 654 c.p.p., che regola l'efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione nei giudizi civili e amministrativi. La Suprema Corte, tuttavia, ha posto in luce che, ai sensi di tale norma, nei giudizi civili o amministrativi non di danno, il giudicato penale di assoluzione non è opponibile a soggetti, che non abbiano partecipato al relativo processo, per cui la «sentenza penale» non ha efficacia di giudicato nel giudizio di impugnativa di una sanzione disciplinare irrogata nell'ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato, nel caso in cui non ricorra il presupposto della costituzione del datore di lavoro quale parte civile nel processo penale. Peraltro, ha continuato la Cassazione, la valutazione della gravità del comportamento del lavoratore, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento per giusta causa, deve essere effettuata dal giudice del lavoro «tenendo conto dell'incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto fiduciario che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione, indipendentemente dal giudizio che del medesimo fatto dovesse darsi ai fini penali.» Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata per nuovo giudizio conforme ai suddetti principi.
Presidente Doronzo - Relatore Ciriello Rilevato che 1. La Corte d'Appello di Bologna ha riformato la sentenza del Tribunale di Bologna, che aveva rigettato la domanda del lavoratore L.B. volta a ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giusta causa e la conseguente reintegra nel posto di lavoro presso la società OMISSIS S.r.l. La Corte d'Appello ha accertato l'illegittimità del licenziamento alla luce del giudicato nel parallelo procedimento penale, recante l'assoluzione del lavoratore per insussistenza del fatto che spiegava effetti diretti ai sensi dell'articolo 653 c.p.p. La Corte ha osservato che, nonostante il Tribunale avesse ritenuto legittimo il licenziamento sulla base delle risultanze del procedimento disciplinare e delle prove raccolte, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione del lavoratore, fondata sull'insussistenza dei fatti contestati, precludeva una diversa valutazione in sede disciplinare. Di conseguenza, ha ordinato la reintegra del lavoratore, con il riconoscimento di un'indennità risarcitoria pari a dodici mensilità della retribuzione globale. 3. Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso la società OMISSIS s.r.l. con 3 motivi, cui resiste con controricorso, il L.B Entrambe le parti hanno depositato memoria al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza. Considerato che 4. Con il primo motivo di ricorso, la società OMISSIS S.r.l. deduce, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 4 c.p.c., la violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, con riferimento agli articolo 24 e 111 Cost., articolo 6 della CEDU, e articolo 47 della CDFUE, in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata. In particolare, la società lamenta che la Corte di Appello di Bologna avrebbe violato le regole del contraddittorio decidendo la causa in via cartolare, mentre avrebbe dovuto disporre un rinvio per consentire una discussione orale, avendo precedentemente espunto le note scritte depositate dalla società. Ed infatti, considerato il testo dell'articolo 221, comma 4, del d.l. 34/2020, che disciplina le modalità del processo durante l'emergenza sanitaria da COVID-19, l'omesso deposito di note scritte nel termine impone al giudice l'adozione di un provvedimento di rinvio, ai sensi dell'articolo 181 c.p.c. nel caso di specie, l'avere espunto le note scritte di entrambe le parti, poiché tardivamente depositate, costituiva senz'altro, nella prospettazione difensiva, circostanza equiparabile all'omesso deposito, così imponendo il rinvio dell'udienza. 5. Con il secondo motivo, la società OMISSIS S.r.l. deduce, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c., la violazione dell'articolo 653 c.p.p. sugli effetti del giudicato penale nei giudizi civili o amministrativi . La ricorrente sostiene che la Corte d'Appello avrebbe erroneamente applicato la disposizione dell'articolo 653 c.p.p., considerando vincolante, ai fini del giudizio disciplinare, la sentenza penale di assoluzione del lavoratore L.B Ed infatti, secondo il dispositivo dell'articolo 653 c.p.p., deduce la ricorrente, gli effetti vincolanti del giudicato penale riguardano solo i processi nella materia del pubblico impiego, mentre nel caso di specie, il rapporto di lavoro era di natura privatistica. Osserva inoltre la ricorrente che, non essendosi costituita la società datoriale parte civile nel processo penale, la Corte d'Appello, invece di applicare gli effetti della sentenza penale assolutoria, avrebbe dovuto esaminare autonomamente le prove raccolte in sede disciplinare, poiché il procedimento disciplinare e il processo penale hanno criteri e finalità diversi. 6. Con il terzo motivo, la società deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 18, comma 4, della legge numero 300/1970 in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c., per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio. La Corte d'Appello, nonostante la difesa avesse costantemente contestato l'importo indicato da controparte euro 6.689,80 , non avrebbe tenuto conto delle contestazioni recependo la quantificazione indicata dal lavoratore senza adeguata valutazione delle prove e delle buste paga prodotte dalla società, determinando così un danno economico significativo per la stessa. 7. Il primo motivo di ricorso, come formulato, è inammissibile. Con tale motivo, infatti, deducendo il ricorrente un vizio di nullità afferente l'attività svolta nel processo ascrivibile al paradigma dell'error in procedendo ex articolo 360, co. 1, numero 4, c.p.c., risulta inosservante del canone dell'autosufficienza del ricorso per cassazione di cui all'articolo 366, co. 1, numero 6, c.p.c., quale requisito di contenuto-forma nell'esposizione dei motivi di impugnazione che ne condiziona l'ammissibilità. Il principio, riflesso della necessaria specificità, completezza, chiarezza e precisione dei motivi di impugnazione in sede di legittimità ex multis Cass. numero 18722 del 2016 , ha trovato applicazione nella sua rigorosa estensione anche ai casi di motivi d'appello Cass. numero 2143 del 2015 Cass. numero 12664 del 2012 Cass. numero 86 del 2012 , di violazione dell'articolo 112 c.p.c. Cass. numero 8008 del 2014 , di mancata pronuncia su motivi di gravame Cass. numero 17049 del 2015 Cass. numero 26155 del 2014 . Né può soccorrere alla parte ricorrente la qualificazione giuridica del vizio lamentato come error in procedendo, in relazione al quale la Corte è anche giudice del fatto , con la possibilità di accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito. Invero questa corte ha da tempo chiarito cfr. Sez. L, Sentenza numero 15367 del 04/07/2014 , nel solco della giurisprudenza relativa all'onere di specificazione dei motivi di ricorso cui è necessario il ricorrente adempia per non snaturare la funzione del giudice della legittimità, che nel caso siano dedotti “errores in procedendo”, “è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia attesa si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall'altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis , la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi”. In altre parole, ove, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, di un'ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale , detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all'adempimento da parte del ricorrente - per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito - dell'onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi. Sez. L, Sentenza numero 15367 del 04/07/2014 Nella specie, parte ricorrente ha omesso di trascrivere il contenuto degli atti che richiama, né di parte memorie di c.d. “trattazione scritta” espunte o altri atti da cui emergesse, eventualmente, la richiesta di discussione orale neppure risulta trascritto il provvedimento del giudice di cui in sostanza si duole impedendo così di esaminare la fondatezza dei rilievi essendo precluso alla Suprema Corte la disamina diretta degli atti processuali. Tali atti solo genericamente richiamati e non compiutamente descritti non sono neppure “localizzati”, poiché risulta assente ogni indicazione descrittiva sulle modalità concrete della genesi del vizio processuale di cui ci duole, precludendo l'esame compiuto da parte di questa corte. 2. Il secondo motivo è fondato. Deve ritenersi non pertinente il richiamo operato, dalla corte di appello, all'articolo 653 c.p.p., che riguarda come evidenziato nel motivo di ricorso il rapporto di lavoro del dipendente pubblico come si evince letteralmente dal dispositivo della norma che prevede, al primo comma “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione . ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso”. Come questa corte ha avuto modo di chiarire, giudicando in analoghe vicende cf. Cass. 09454.23, Cass. civ., sez. lav., 8.8.2022, numero 24452 in relazione al procedimento civile riguardante un licenziamento disciplinare, deve essere applicato l'articolo 654 c.p.p., che regola l' Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi”. Recita tale articolo Nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa . Questa Sezione, tuttavia, ha posto in luce che, ai sensi dell'articolo 654 c.p.p., nei giudizi civili o amministrativi non di danno, il giudicato penale di assoluzione non è opponibile a soggetti, che non abbiano partecipato al relativo processo cfr. Cass. civ., sez. lav., 17.7.2020, numero 15344 . Risulta quindi costante l'insegnamento per cui la “sentenza penale” di assoluzione in seguito a dibattimento non ha efficacia di giudicato nel giudizio di impugnativa di una sanzione disciplinare irrogata nell'ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato, nel caso in cui non ricorra, ai sensi dell'articolo 654 c.p.p., il presupposto della costituzione del datore di lavoro quale parte civile nel processo penale, “in quanto l'articolo 653 comporta l'efficacia di giudicato di tale sentenza quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso solo relativamente ai rapporti di pubblico impiego, facendo riferimento al giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità . Sez. L, Sentenza numero 10752 del 02/12/1996, numero 8896 del 1996, numero 10752 del 1996, 10521 del 1998, numero 1330 del 1999, numero 7250 del 1999 . Questo comporta che il giudice del lavoro adito con impugnativa del licenziamento, ove pure irrogato in base agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione in sede penale, non è affatto obbligato a tener conto dell'accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi del tutto svincolate dall'esito del procedimento penale. In ogni caso, poi, la valutazione della gravità del comportamento del lavoratore, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento per giusta causa, deve essere da quel giudice operata alla stregua della ratio degli articolo 2119 cod.civ. e 1 della legge 15 luglio 1966numero 604, e cioè tenendo conto dell'incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto fiduciario che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione, indipendentemente dal giudizio che del medesimo fatto dovesse darsi ai fini penali. Pertanto nel caso di specie la sentenza impugnata deve essere cassata per nuovo giudizio conforme ai suddetti principi. L'accoglimento del secondo motivo comporta l'assorbimento del terzo. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiarando inammissibile il primo e assorbito il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.