La Cassazione riepiloga i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile

Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio, ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull’assegno divorzile, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato. Spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa.

Questo quanto nuovamente affermato dalla Prima Sezione civile. Il caso Nell'ambito di un giudizio di divorzio, la Corte di appello aveva confermato la pronuncia resa in primo grado con la quale era stato riconosciuto un assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa in favore dell'ex moglie. In particolare, la Corte di merito aveva, da un lato, accertato lo squilibrio economico fra le parti rilevando un dato documentalmente non contestato costituito dai rispettivi redditi da pensione dei due ex coniugi dall'altro, aveva fatto proprie le motivazioni articolate in sede di prime cure relativamente ai sacrifici e alle rinunce, anche professionali, fatte della donna in costanza di matrimonio, le quali avevano consentito all'ex marito di progredire in carriera. Da qui, quindi, il ricorso per cassazione promosso dall'uomo volto a contestare, fra gli altri, la pronuncia di merito nella parte in cui avrebbe, a suo dire, omesso di valutare la documentazione versata in atti dallo stesso, avuto particolare riguardo alla capacità reddituale delle parti. L'accertamento dell'adeguatezza dei mezzi economici Come noto, l'assegno di divorzio ha una funzione assistenziale, ma parimenti anche compensativa e perequativa, come indicato dalle Sezioni Unite del 2018, e presuppone l'accertamento di uno squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economiche patrimoniali delle parti, riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti della coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi. Ciò posto, in ordine ai presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile, i criteri di cui all'articolo 5, comma 6, l. div., costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all'an debeatur, quanto di quella relativa al quantum. In particolare, l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell'assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà. Pertanto, il giudice del merito dovrà effettuare un esame bifasico in ordine all'an debeatur dell'assegno divorzile in cui l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, nonché dello squilibrio economico/patrimoniale fra i coniugi, costituisce un prius logico-giuridico e fattuale preliminare all'ulteriore valutazione dell'apporto dato dal coniuge economicamente più debole al c.d. menage familiare in costanza di rapporto matrimoniale. La soluzione Orbene, nel caso in esame, secondo la Cassazione, il percorso appena ricordato risulta chiaro nella motivazione della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto sussistenti i c.d. pre-requisiti fattuali del diritto, ossia la sperequazione economica di non modesta entità fra i coniugi, all'esito di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti profili fattuali, questi, che, a loro volta, hanno consentito alla Corte distrettuale di affrontare la seconda fase di valutazione costituita dall'apporto dato dal coniuge più debole in costanza di matrimonio. In particolare, con riferimento alla doglianza di omesso esame della documentazione reddituale, prodotta ai fini della valutazione delle condizioni economiche delle parti, la S.C. ha ritenuto la stessa non decisiva, in quanto non consente, comunque, di poter ritenere non sussistente lo squilibrio economico, come accertato dalla Corte di appello. E invero, il dato pacifico non contestato è dato dal differente trattamento pensionistico delle parti che giustifica per gli Ermellini le conclusioni cui è pervenuta la Corte di appello in ordine alla sussistenza dello squilibrio economico patrimoniale ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio.

Presidente Giusti - Relatore Guglielmo Rilevato che 1. Il signor Ma.Lu. e la signora Pr.Lu. contraevano matrimonio civile il 15/2/1997 entrambi avevano figli da precedenti unioni coniugali dal matrimonio non sono nati figli. Il 18/11/2006 Pr.Lu. introduceva ricorso per separazione giudiziale con richiesta di addebito il 21/9/2011 il Tribunale, respinta la domanda di addebito, pronunciava la separazione personale ponendo a carico del marito l'obbligo di corrispondere alla controparte un assegno di mantenimento di 900,00 Euro mensili, successivamente ridotto a 500,00 Euro mensili da questa Corte in esito all'impugnazione del ricorrente, con sentenza pronunciata il 13/1/2015. Il 5/01/2016 Ma.Lu. chiedeva di dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio, e quantificare in 500,00 Euro mensili l'assegno divorzile in favore della moglie alla luce dell'intervenuto mutamento della giurisprudenza di legittimità in relazione all'assegno divorzile nella memoria ex articolo 183 comma 6 numero 1 c.p.c. la domanda veniva modificata nel senso della esclusione dell'obbligo di corrispondere l'assegno. Pr.Lu. aderiva alla domanda di scioglimento del matrimonio e, adducendo il peggioramento delle proprie condizioni reddituali a seguito dell'intervenuto pensionamento, chiedeva il versamento di un assegno divorzile pari a 1.400,00 Euro mensili. In sede presidenziale venivano emessi i provvedimenti provvisori e urgenti, con la conferma di quelli vigenti in regime di separazione. Pronunciata sentenza non definitiva sullo status numero 15963 depositata il 7/08/2017 , con sentenza numero 12598 depositata il 21/09/2020 il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, poneva a carico del ricorrente un assegno di 550,00 Euro mensili, compensando integralmente tra le parti le spese di lite. La sentenza della Corte di appello di Roma confermava la pronuncia resa in primo grado riconoscendo l'assegno divorzile in favore della signora Pr.Lu. La Corte di appello accertava lo squilibrio economico fra le parti rilevando un dato documentalmente non contestato costituito dai rispettivi redditi da pensione dei due ex coniugi. In particolare, evidenziava che il signor Ma.Lu. percepisce un reddito da pensione di circa 5.000,00 Euro mensili mentre la signora Pr.Lu. percepisce una pensione di circa 1.850,00 Euro mensili. Inoltre, confermava le motivazioni articolate in sede di prime cure relativamente ai sacrifici e alle rinunce anche professionali della signora Pr.Lu. in costanza di matrimonio che hanno consentito all'odierno ricorrente in Cassazione di progredire in carriera con una missione all'estero per circa tre anni in cui la signora Pr.Lu. ha seguito il marito mettendosi in aspettativa dal proprio lavoro, con ciò rinunciando a concrete prospettive di carriera e, soprattutto, alla propria posizione previdenziale, avendo dovuto rimanere in servizio per ulteriori tre anni rispetto agli altri ai suoi colleghi per poter essere collocata definitivamente in quiescenza. Tale circostanza induceva il giudice di prime cure, nonché il giudice di appello a riconoscere alla ex coniuge un assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa avendo, si ripete, la stessa rinunciato a proprie aspettative di natura professionale per seguire il marito nella missione all'estero. È pacifico che il marito in considerazione di tale missione è stato promosso al titolo di generale ed è potuto andare in pensione anticipatamente all'età di 58 anni con un trattamento previdenziale pari a circa 5.000,00 Euro mensili. Ciò premesso, il signor Ma.Lu. propone ricorso per Cassazione assistito da tre motivi di ricorso, cui la signora Pr.Lu. ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Considerato che 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nonché violazione dell'articolo 115 in relazione all'articolo 360 primo comma numero 5 cpc. In particolare il ricorrente contesta alla Corte di merito di aver omesso di valutare la documentazione versata in atti dallo stesso incorrendo in un errore di motivazione in ordine alla capacità reddituale delle parti in particolare il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello ha stigmatizzato l'omesso deposito della documentazione reddituale aggiornata come richiesta dal giudicante, laddove viceversa lo stesso prima dell'udienza presidenziale avrebbe versato in atti tutta la documentazione richiesta. 2. Con il secondo motivo si eccepisce l'omessa pronunzia su domanda o eccezione ritualmente proposta, nonché la violazione dell'articolo 112 c.p.c. in combinato disposto con l'articolo 360 comma primo numero 4 cpc. In particolare, la Corte di merito avrebbe omesso ogni pronuncia in ordine alla contestazione mossa con l'atto di gravame da parte del ricorrente circa l'erronea interpretazione fornita dal giudice di prime cure dei redditi. 3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell'articolo 5 comma 6 della legge 898/70 in combinato disposto con l'articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c. La Corte di appello non avrebbe correttamente valutato la reale durata del matrimonio contratto tra le parti con ciò operando una valutazione in termini quantitativi dell'assegno non corretta in particolare il ricorrente rileva che dal matrimonio contratto nel 1997 fino alla udienza presidenziale di separazione del 2011 sarebbero decorsi soltanto 7 anni, per cui andrebbe applicata quella giurisprudenza che limita fortemente il riconoscimento dell'assegno divorzile in considerazione della breve durata del matrimonio. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente perché aventi ad oggetto la medesima censura, sebbene sotto angolature diverse, ma costituenti frammenti di un'unica sostanziale doglianza. In particolare, il ricorrente contesta alla Corte di merito di aver omesso di valutare la documentazione versata in atti dallo stesso incorrendo in un errore di motivazione in ordine alla capacità reddituale delle parti inoltre, contesta l'omessa pronuncia in ordine alla contestazione mossa con l'atto di gravame circa l'erronea interpretazione fornita dal giudice di prime cure dei redditi. Va premesso che in ordine ai presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile, la Corte d'Appello ha statuito in maniera conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte a partire dall'arresto delle Sezioni Unite del 2018 Sez. Unumero numero 11.7.2018 numero 18287 , al fine di indicare un percorso interpretativo che tenesse conto dell'esigenza riequilibratrice sottolineata dalle Sezioni Unite del 1990 e della necessità di attualizzare il diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio anche in relazione agli standards europei , in coerenza con il quadro costituzionale di riferimento, con superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell'assegno di divorzio. Si è quindi affermato che il giudice deve accertare l'adeguatezza dei mezzi attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto . I criteri di cui all'articolo 5, comma 6, in esame costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all' an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente, prescritto ai fini della prima operazione, deve aver luogo mediante una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti che tenga conto anche del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dello avente diritto, tutto ciò in conformità della funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa dell'assegno divorzile, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà. È stato, comunque, affermato dalle Sezioni unite che La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi . Le Sezioni Unite hanno evidenziato come il giudice debba, ai fini dell'attribuzione dell'assegno divorzile, accertare se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all'atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell'altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all'età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro . Gli indicatori, contenuti nella prima parte dell'articolo 5, comma 6, prefigurano dunque una funzione, oltre che assistenziale, perequativa e riequilibratrice dell'assegno di divorzio che permea il principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole. Si è inoltre chiarito come l'autoresponsabilità – cui nella sentenza della Prima civile del 2017 si era dato centrale rilievo - deve infatti percorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non comparire solo al momento della sua fine dal primo momento di autoresponsabilità della coppia, quando all'inizio del matrimonio o dell'unione civile concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzarla e le principali regole che la governeranno alle varie fasi successive, quando le scelte iniziali vengono più volte ridiscusse ed eventualmente modificate, restando l'autoresponsabilità pur sempre di coppia. Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l'autoresponsabilità diventa individuale, di ciascuna delle due parti entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità, anche quella più debole economicamente. Ma non si può prescindere da quanto avvenuto prima dando al principio di autoresponsabilità un'importanza decisiva solo in questa fase, ove finisce per essere applicato principalmente a danno della parte più debole . Come ribadito nella successiva sentenza numero 9004/2021 delle stesse Sezioni Unite, tale accertamento non inerisce all'atto costitutivo del vincolo coniugale, ma allo svolgimento di quest'ultimo nella sua effettività, contrassegnata dalle vicende concretamente affrontate dai coniugi come singoli e dal nucleo familiare nel suo complesso, anche nella loro dimensione economica, la cui valutazione trova fondamento, a livello normativo, nei criteri indicati dalla L. 1 dicembre 1970, numero 898, articolo 5, comma 6, ai fini dell'accertamento della spettanza e della liquidazione dell'assegno . Nella ordinanza del 30 agosto 2019, numero 21926, questa Corte ha quindi ribadito che l'assegno di divorzio ha una funzione assistenziale, ma parimenti anche compensativa e perequativa, come indicato dalle Sezioni Unite, e presuppone l'accertamento di uno squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economiche patrimoniali delle parti, riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti della coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi. Sul tema della pariordinazione dei criteri di cui all'articolo 5, comma 6, della legge numero 898 del 1970, si sofferma poi Cass. 17 febbraio 2021, numero 4215, a mente della quale, posto che l'assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che perequativa e compensativa, il giudice a attribuisce e quantifica l'assegno alla stregua dei parametri pari ordinati di cui all'articolo 5, 6 comma, prima parte, tenuto conto dei canoni enucleati dalle Sezioni Unite del 2018, prescindendo dal tenore di vita godibile durante il matrimonio b procede pertanto ad una complessiva ponderazione dell'intera storia familiare , in relazione al contesto specifico e, in particolare, atteso che l'assegno deve assicurare all'ex coniuge richiedente - anche sotto il profilo della prognosi futura - un livello reddituale adeguato allo specifico contributo dallo stesso fornito alla realizzazione della vita familiare e alla creazione del patrimonio comune e/o personale dell'altro coniuge, accerta previamente non solo se sussista uno squilibrio economico tra le parti, ma anche se esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due e verifica, infine, se siffatto contributo sia stato già in tutto o in parte altrimenti compensato, fermo che, nel patrimonio del coniuge richiedente l'assegno, non devono computarsi anche gli importi dell'assegno di separazione, percepiti dal medesimo in unica soluzione, in forza di azione esecutiva svolta con successo, in ragione dell'inadempimento dell'altro coniuge. In definitiva, occorre un accertamento del fatto che lo squilibrio, presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti è l'effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari, il che giustifica il riconoscimento di un assegno perequativo , cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio reddituale e a dare ristoro, in funzione riequilibratrice, al contributo dato dall'ex coniuge all'organizzazione della vita familiare, senza che per ciò solo si introduca il parametro, in passato utilizzato e ormai superato, del tenore di vita endoconiugale, mentre in assenza della prova di questo nesso causale, l'assegno può essere solo eventualmente giustificato da una esigenza strettamente assistenziale, la quale tuttavia consente il riconoscimento dell'assegno solo se il coniuge più debole non ha i mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa o non può procurarseli per ragioni oggettive. L'assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato, in particolare, a realistiche occasioni professionali-reddituali - che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell'altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo prettamente assistenziale. Sciolto il vincolo coniugale, in linea di principio ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, ma tale principio è derogato, in base alla disciplina sull'assegno divorzile, oltre che nell'ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall'uno all'altro coniuge, ex post divenuto ingiustificato, spostamento patrimoniale che in tal caso deve essere corretto attraverso l'attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa. Ciò detto, il giudice del merito dovrà effettuare un esame bifasico in ordine all'an debeatur dell'assegno divorzile in cui l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, nonché dello squilibrio economico/patrimoniale fra i coniugi costituisce un prius logico-giuridico e fattuale preliminare alla ulteriore valutazione dell'apporto dato dal coniuge economicamente più debole al c.d. menage familiare in costanza di rapporto matrimoniale. Tale percorso risulta chiaro nella motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto sussistenti i c.d. pre-requisiti fattuali del diritto ossia, per quanto qui rileva, la sperequazione economica di non modesta entità fra i coniugi all'esito di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti. Tali profili fattuali hanno consentito alla Corte distrettuale di affrontare la seconda fase di valutazione costituita dall'apporto dato dal coniuge più debole in costanza di matrimonio con conseguente rigetto della domanda di riconoscimento dell'assegno divorzile in favore della signora Pr.Lu. In particolare, con riferimento alla doglianza di omesso esame della documentazione reddituale prodotta ai fini della valutazione delle condizioni economiche delle parti, si ritiene l'omissione non decisiva ai fini della decisione, atteso che la documentazione prodotta non consente, comunque, di poter ritenere non sussistente lo squilibrio economico, come accertato dalla Corte di appello. E invero, il dato pacifico non contestato è dato dal differente trattamento pensionistico delle parti che giustifica le conclusioni cui è pervenuta la Corte di appello in ordine alla sussistenza dello squilibrio economico patrimoniale ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio. Anche il contestato omesso esame in ordine alla contestazione mossa con l'atto di gravame da parte del ricorrente circa l'erronea interpretazione fornita dal giudice di prime cure dei redditi non condiziona la correttezza dell'accertamento operato dal giudice, attesa la irrilevanza della documentazione allegata in considerazione dei differenti redditi da pensione. In altri termini, non sussiste il necessario rapporto di causalità fra la circostanza che si asserisce trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia tale da far ritenere che quella circostanza ove fosse stata considerata avrebbe condotto ad un esito diverso della controversia. Per quanto concerne il terzo motivo in cui si denuncia la violazione dell'articolo 5 comma 6 della legge 898/70 in combinato disposto con l'articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c. nella misura in cui il ricorrente rileva che dal matrimonio contratto nel 1997 fino alla udienza presidenziale di separazione del 2011 sarebbero decorsi soltanto 7 anni, per cui andrebbe applicata quella giurisprudenza che limita fortemente il riconoscimento dell'assegno divorzile in considerazione della breve durata del matrimonio si osserva quanto segue. Al riguardo va premesso che in tema di divorzio, ai fini dell'attribuzione e della quantificazione dell'assegno previsto dall'articolo 5, comma 6, L. numero 898 del 1970, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase di fatto di quella medesima unione e la fase giuridica del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l'assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l'esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all'interno del matrimonio e a cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa o professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato successivamente al divorzio. Cass. Sez. U, Sentenza numero 35385 del 18/12/2023 . Orbene per un verso il ricorrente richiede alla Corte di cassazione una nuova valutazione di merito così come operata dal giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, per altro verso non considera in modo corretto le risultanze emerse in sede istruttoria nel giudizio di merito nella misura in cui è da ritenersi che il matrimonio abbia avuto una durata di gran lunga superiore ai 7 anni anche in considerazione della relazione more uxorio antecedente alla contrazione del matrimonio durata circa 8 anni. Tali valutazioni sono da ritenersi per un verso insindacabili in sede di legittimità e per altro verso si ritiene corretto l'operato del giudice di secondo grado che ha fatto una valutazione della durata del rapporto matrimoniale dal 1997 fino alla sentenza non definitiva di divorzio del 7 agosto 2017 che ha definitivamente interrotto il rapporto coniugale in ossequio ai principi di recente dettati dalle Sezioni unite di questa Corte sopra richiamati. Conseguentemente, i motivi in esame sono da ritenersi infondati avendo la Corte territoriale fatto corretto uso dei principi consolidati in materia di riconoscimento dell'assegno divorzile. In conclusione, il ricorso va respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese secondo il principio della soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso di Euro 4.500,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.