Prevenzione degli infortuni sul lavoro ed obblighi informativi del committente

La quarta sezione penale ha stabilito che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente deve fornire ogni informazione inerente alla conformazione dell’ambiente che incida sulla sicurezza della prestazione dell’appaltatore, al fine di consentirgli una corretta valutazione e organizzazione del lavoro in sicurezza.

Il ricorrente presentava ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna per i reati di cui agli articolo 51 e 589 c.p., per avere - in qualità di legale rappresentante della società committente - concorso a cagionare il decesso di un dipendente dell'impresa appaltatrice, non avendo fornito ai sensi dell'articolo 26, d. lgs. numero 81/2008 dettagliate informazioni sui rischi specifici dell'ambiente ove quest'ultimo avrebbe dovuto operare. Per quanto di interesse, il decesso del lavoratore era avvenuto in conseguenza della caduta da una grata, mentre era intento a prelevare rifiuti. L'imputato ribadiva altresì di avere fornito adeguate informazioni sui rischi specifici dell'ambiente di lavoro. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso sul rilievo che il ricorrente non aveva fornito alla ditta appaltatrice informazioni sui rischi specifici. Il sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi e tale logica riguarda anche la gestione dei rischi in caso di affidamento dei lavori a singole imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito del ciclo produttivo dell'azienda medesima. Diversa, e più pregnante, è la posizione di garanzia del committente-imprenditore a carico del quale il decreto legislativo numero 81/2008 pone la valutazione del c.d. rischio da interferenze e, in particolare all'articolo 26, prevede che egli elabori un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, comunque, ridurre al minimo i rischi da interferenze. Il committente professionale, inoltre, ha l'obbligo di fornire dettagliate informazioni sui rischi esistenti nell'ambiente in cui i lavoratori dell'appaltatore sono destinati ad operare. Specularmente, gli stessi datori di lavoro hanno l'obbligo di collaborare all'attuazione del sistema prevenzionistico globalmente inteso, sia mediante la programmazione del rischio specifico della singola attività in ordine alla quale la posizione di garanzia rimane a carico del singolo datore di lavoro, sia mediante la cooperazione nella prevenzione dei rischi generici derivanti dall'interferenza tra le diverse attività rispetto a cui la posizione di garanzia si estende a tutti i datori di lavoro ai quali siano riferibili le plurime attività coinvolte nel processo causale che ha dato origine all'infortunio Cass. numero 30557/2016 . Incombe sul datore di lavoro, l'obbligo di accertarsi che gli incarichi affidati ai propri dipendenti siano funzionali a una corretta organizzazione del lavoro e che questo, soprattutto quando implichi elevati profili di pericolosità, si svolga in condizioni di sicurezza, in modo che i lavoratori dispongano della necessaria strumentazione, rientrando nel concetto più ampio di organizzazione del lavoro anche quello di allestimento dei mezzi necessari per svolgere le attività in sicurezza, in modo che l'avvio dell'attività non sia disposto prima che tali presidi siano disponibili in concreto. Pertanto, il committente è garante dei rischi presenti nell'ambiente di lavoro articolo 26 d.lgs. numero 81/2008 , non potendosi revocare in dubbio che commissionare un'attività di manutenzione, anche ordinaria, di un impianto implichi la gestione dei rischi connessi alle operazioni, di qualsivoglia natura, da eseguire per garantirne il funzionamento. Ad ogni modo, le norme che impongono obblighi di coordinamento tra committente - anche di fatto - e appaltatore operanti nel medesimo ambiente di lavoro vanno interpretate nel senso di non imporre solo al datore di lavoro un mero richiamo alle norme applicabili, bensì di richiedere una fattiva interlocuzione volta a verificare la concreta consapevolezza della ditta appaltatrice dei rischi presenti nell'ambiente di lavoro e della doverosa adozione delle necessarie misure di prevenzione. Va, poi, considerato che la condotta dell'infortunato non elide il nesso di causa tra l'azione o l'omissione dell'agente e l'evento sul mero dato probatorio che il soggetto passivo abbia posto in essere un'azione non necessaria per l'espletamento del compito affidatogli. È ripetuto nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea a escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia Cass. numero 7012/2023 Cass. numero 33976/2021 .

Presidente Dovere - Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato la pronuncia assolutoria emessa il 16 febbraio 2021 dal Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale di Busto Arsizio nei confronti di C.P. e B.G., dichiarandoli colpevoli del reato di cui agli articolo 41, comma 2, e 589, commi 1 e 2, cod. penumero commesso in OMISSIS il OMISSIS . 2. Il fatto è stato così ricostruito presso via OMISSIS di OMISSIS si trova la sede della società in nome collettivo di B.G., esercizio commerciale di sviluppo e stampa di fotografie e commercio di prodotti fotografici l'edificio in cui si trova l'esercizio commerciale consta di cinque piani fuori terra, destinati ad uso di abitazione commerciale, e di due piani interrati a uso di autorimesse l'impresa del B.G. ha periodica necessità di un servizio consistente nel ritiro del materiale di scarto derivante dallo sviluppo di fotografie, in dettaglio rifiuti liquidi speciali tale materiale si trovava all'epoca dei fatti stipato all'interno di alcuni fusti situati in un'autorimessa ubicata al piano interrato dell'edificio per ritirare il materiale era stato stipulato un contratto con la OMISSIS s.p.a., nel cui ambito C.P. svolgeva la funzione di datore di lavoro delegato dal Consiglio di Amministrazione con autonomo potere di spesa e decisionale il lavoratore S. G., dipendente della OMISSIS s.p.a., per ritirare il materiale aveva a disposizione alcuni tubi e un dispositivo che, collegato a essi, avrebbe consentito l'aspirazione del liquido dai fusti in due cisterne alloggiate all'interno di un furgone messogli a disposizione dalla società datrice di lavoro tale lavoro era stato più volte espletato, sin dal 2011 e, in alcune occasioni, gli operai erano scesi direttamente al piano interrato con un automezzo di altezza compatibile, in altre avevano parcheggiato il furgone di fronte allo studio fotografico con una tubazione di lunghezza compresa tra 40 e 50 metri che consentiva di raggiungere la zona di prelievo dei rifiuti in altre occasioni ancora, gli incaricati avevano parcheggiato il furgone a livello del piano stradale in prossimità del muretto di delimitazione del pozzo di areazione del piano interrato, avevano sollevato la relativa griglia metallica calpestabile di protezione, vi avevano calato i tubi di aspirazione per poi collegare la tubazione al piano interrato con la zona di prelievo dei rifiuti nell'occasione dell'incarico conferito, per la prima volta, al dipendente S.G. il 31 gennaio 2018, questi si era recato per il ritiro dei rifiuti con un autoveicolo la cui altezza non permetteva l'accesso al piano interrato e con una tubazione di lunghezza che non consentiva di seguire il percorso calpestabile per raggiungere l'autorimessa ove erano stoccati i fusti B.G. aveva fornito al S. le indicazioni su come gli altri operai avevano già svolto l'attività e si era allontanato il lavoratore, recatosi nel parcheggio antistante l'edificio, aveva sollevato manualmente da solo la grata metallica posta a protezione dell'apertura di areazione del piano interrato ma il peso della grata lo aveva trascinato verso il basso facendolo cadere nell'apertura e precipitare dal piano stradale al piano interrato per un' altezza di circa 3,20 metri ne era derivata la morte. 3. B.G. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per vizio di motivazione ed erronea applicazione degli articolo 589 cod. penumero e 26 d.lgs. 9 aprile 2008, numero 81 in quanto la Corte di appello non si è confrontata con la motivazione della sentenza di primo grado. Il giudice di primo grado, in particolare, aveva ritenuto che la modalità con la quale il lavoratore aveva deciso di effettuare il travaso dei rifiuti non rappresentava la realizzazione di un rischio connesso alle modalità di esecuzione dell'attività o un rischio specifico esistente nell'ambiente nel quale i dipendenti di OMISSIS erano destinati a operare, trattandosi piuttosto di una condotta assolutamente eccezionale, imprevedibile e anomala. Secondo quanto indicato dal coordinatore della filiale OMISSIS s.p.a. di San Giuliano Milanese, V. P., il lavoratore avrebbe dovuto contattare il responsabile coordinatore di zona laddove avesse riscontrato problemi nell'esecuzione del lavoro né era prevista la possibilità di calarsi dalla griglia. Omettendo di considerare l'elemento dell'assenza di comunicazione da parte del dipendente ai responsabili, la sentenza risulta contraddittoria e illogica. Laddove la Corte territoriale afferma che l'imputato ha omesso di fornire all'impresa appaltatrice datrice di lavoro della vittima le dovute dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente, non ha tenuto conto delle conclusioni raggiunte dalla ATS di Milano, che ha escluso la sussistenza di interferenze rilevanti ai fini dell'articolo 26 d.lgs. numero 81/2008. Non sussisteva in capo all'imputato alcun obbligo di informazione nei confronti della società appaltatrice, tanto più che il giudice di primo grado ha ritenuto che, proprio perché affidatosi a un'impresa assolutamente specializzata in questo tipo specifico di attività, il B.G. ha ragionevolmente confidato nel fatto che gli operatori ai quali veniva affidato l'intervento di travaso e raccolta dei liquidi fossero in grado di affrontare e gestire eventuali problematiche di natura tecnica. La sentenza impugnata ha omesso di dimostrare l'infondatezza delle argomentazioni poste a sostegno della sentenza di primo grado, fondando la responsabilità del B.G. sull'autoevidenza del rischio di precipitazione dall'alto, del quale l'imputato avrebbe dovuto necessariamente avere conoscenza, senza considerare che il lavoratore dipendeva da un'impresa specializzata per la pratica di ritiro dei rifiuti. La sua condotta non può considerarsi alla stregua di un'ingerenza in quanto il B.G. non ha suggerito al lavoratore come procedere. La Corte di appello non ha tenuto conto delle dichiarazioni rese dall'ex dipendente di OMISSIS , S. R., che ha riferito di aver appreso dal B.G. quali fossero le possibili modalità di esecuzione dell'intervento ma di aver scelto autonomamente la metodologia che prevedeva lo spostamento della griglia. Con il secondo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 69 con riferimento all'articolo 62 bis cod. penumero nonché vizio di motivazione, inosservanza o erronea applicazione degli articolo 133 e 175 cod. penumero Considerato che il giudice di primo grado aveva valutato l'esistenza di una prassi operativa pericolosa come elemento idoneo a elidere la colpa dell'imputato e che tale elemento è stato valutato dalla Corte territoriale, unitamente alla collaborazione fornita dal B.G. in sede di indagini, ai fini dell'applicazione dell'articolo 62 bis cod. penumero , secondo il ricorrente tali elementi avrebbero dovuto indurre il giudice di appello a ritenere prevalenti le circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello avrebbe potuto concedere all'imputato i doppi benefici di legge mentre ha concesso la sospensione condizionale ritenendo il B.G. non meritevole del beneficio della non menzione ai sensi dell'articolo 175 cod. penumero sulla base di una precedente condanna per la contravvenzione di cui all'articolo 650 cod. penumero , trascurando ogni altro indice tra quelli previsti dall'articolo 133 cod. penumero Per le stesse ragioni la Corte avrebbe potuto contenere la pena nel limite edittale anche alla luce della condotta processuale e di quella successiva ai fatti. Con il terzo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 539 cod. proc. penumero per la condanna generica ai danni e per la provvisionale nonché vizio della motivazione in quanto la Corte territoriale, nel compiere il calcolo, ha omesso di fornire adeguata motivazione. In ogni caso, la compagnia assicurativa OMISSIS , successivamente alla sentenza, ha risarcito le parti civili. Ha, quindi, chiesto la revoca delle statuizioni civili. 4. C.P. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con il primo motivo, per violazione dell'articolo 41, comma 2, in relazione all'articolo 589, commi 1 e 2, cod. penumero nonché per vizio di motivazione per avere la Corte omesso di valutare correttamente e completamente gli atti a sua disposizione, che dimostravano come i dipendenti della OMISSIS avessero a disposizione tutte le attrezzature necessarie per svolgere in sicurezza il prelievo. La ricorrente aveva adottato i necessari presidi e fornito istruzioni scritte sulle corrette modalità di prelievo e sul comportamento da tenere in caso di imprevisti. In particolare, come specificato nel «Manuale dell'addetto alle operazioni di raccolta e trasporto dei rifiuti» nella versione del 1 maggio 2017, consegnata al dipendente S. il 30 maggio 2017, era prescritto che il lavoratore non compisse di propria iniziativa operazioni o manovre che non fossero di sua specifica competenza o che potessero compromettere la sua sicurezza. Con specifico riferimento all'utilizzo della pompa per aspirazione dei liquidi, era espressamente prescritto di «controllare che siano presenti Tubo sufficientemente lungo per il servizio da svolgere». Il lavoratore era stato debitamente formato e aveva partecipato a tutti i corsi di formazione, per cui sapeva di dover utilizzare un tubo sufficientemente lungo per il servizio da svolgere, in mancanza del quale avrebbe dovuto segnalare l'anomalia al suo responsabile. La ricorrente deduce travisamento del materiale probatorio in quanto, sia mediante produzione documentale sia mediante dichiarazioni rese in sede di istruttoria, è emerso come la condotta del lavoratore sia stata frutto di un'autonoma scelta in spregio alle disposizioni aziendali, laddove la Corte territoriale ha ritenuto che il comportamento posto in essere dal S. fosse l'unico comportamento che gli consentisse di eseguire il servizio. Il comportamento del lavoratore si è sostanziato in un comportamento esorbitante, eccentrico e fuori dalla sfera di prevedibilità del datore di lavoro. La ricorrente si duole del fatto che sia stata omessa l'adeguata valutazione della portata decisiva della condotta del coimputato B.G. il quale, ingerendosi nell'attività, ha suggerito al lavoratore di sollevare la griglia come facevano tutti i suoi colleghi e, inoltre, ha omesso di segnalare nella scheda di autocertificazione del 13 gennaio 2016 allegata al contratto con la OMISSIS s.p.a. la necessità di adottare precauzioni particolari per lo svolgimento del servizio in totale sicurezza. Non si è fatta corretta applicazione del principio giurisprudenziale secondo il quale, in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, la colpa del datore di lavoro non è ravvisabile ove non vi sia la prova della sua conoscenza o della sua colpevole ignoranza. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al profilo di colpa inerente alla esigibilità di un comportamento alternativo lecito. La delega conferita alla ricorrente con atto notarile del 3 dicembre 2014 esclude l'obbligo di valutazione dei rischi. Tale evidenza documentale risulta non valutata, per cui il ragionamento indicato in sentenza come doveroso non era esigibile nei confronti di C.P., espressamente manlevata da tale valutazione con atto notarile. Anche nel caso in cui la ricorrente avesse eseguito il sopralluogo volto a verificare lo stato dei luoghi e la scelta delle attrezzature da lavoro, l'evento sarebbe ugualmente avvenuto in quanto derivante da istruzioni impartite dal coimputato. Il lavoratore svolgeva una mansione per cui non era sottoposto a rischi di caduta dall'alto e il compito impartito era solo quello di scendere dal furgone e aspirare i liquidi con una pompa e una manichetta nel negozio posto al piano strada, senza intraprendere iniziative diverse e non contemplate. Il giudice di primo grado aveva correttamente affrontato il tema della non delegabilità della valutazione dei rischi, mentre la Corte di appello ha omesso di analizzare questo argomento. Come sottolineato dal giudice di primo grado, nonostante C.P. all'epoca dei fatti fosse anche responsabile del servizio di prevenzione e protezione del gruppo OMISSIS s.p.a., ciò non era sufficiente ad addebitarle l'omessa predisposizione e fornitura di attrezzature da lavoro adeguate né l'omessa valutazione delle caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere o dei rischi presenti sul luogo di lavoro. 5. Il difensore delle parti civili S. S., C. T. S. e L. G. ha depositato memoria. 6. All'odierna udienza, disposta la trattazione orale ai sensi degli articolo 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, numero 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, numero 176, 16 d.l. 30 dicembre 2021, numero 228, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, numero 69, 35, comma 1, lett. a , 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150, 1, comma 1, legge 30 dicembre 2022, numero 199 e 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, numero 215, le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe. Considerato in diritto 1. Il primo rilievo da svolgere concerne la correttezza del ragionamento della Corte territoriale nel punto in cui ha chiarito che la disciplina antinfortunistica non consente di porre a carico del lavoratore il dovere d'informare il datore di lavoro in merito ai rischi connessi alla prestazione di lavoro. 1.1. Questa Sezione ha già affermato che rientra nel concetto più ampio di organizzazione del lavoro, il cui obbligo incombe sul datore di lavoro o sui suoi delegati, anche quello di allestire i mezzi necessari per svolgere le attività in sicurezza, in modo che l'avvio dell'attività non avvenga prima che tali presidi siano disponibili in concreto Sez. 4, numero 16148 del 22/04/2021, non mass. . La Corte di appello ha, nel caso concreto, correttamente correlato l'obbligo previsto dall'articolo 71, comma 1, d.lgs. numero 81/2008 di scegliere le attrezzature di lavoro da mettere a disposizione del lavoratore al dovere del datore di lavoro di attivarsi autonomamente, senza necessità che siano i lavoratori a farlo, per appurare le condizioni del luogo in cui il lavoro deve essere svolto, nonché i rischi presenti nell'ambiente di lavoro. Nella sentenza si addebita all'imputata C.P. di aver omesso di svolgere una previa attività di autoinformazione , desumendo tale obbligo dal sintagma normativo di «prendere in considerazione», sottolineandosi anche che il giudice di primo grado aveva indebitamente capovolto la prospettiva, facendo gravare sui lavoratori l'obbligo di informare il datore in merito ai rischi presenti nell'ambiente di lavoro. A pag. 15 della sentenza impugnata si legge come sia emerso nitidamente che tra le misure di organizzazione del lavoro non era previsto alcun sopralluogo presso l'ambiente di lavoro, né alcun dovere dei lavoratori di relazionare a posteriori al datore sulle modalità che avevano caratterizzato l'esecuzione del lavoro o sulle caratteristiche dell'ambiente di lavoro. Si è, dunque, ravvisato un profilo di colpa consistente in carenze organizzative di ordine generale, tali da far ricadere sui lavoratori addetti all'esecuzione del servizio sia il rischio che il committente non avesse adempiuto agli obblighi informativi ai sensi dell'articolo 26 d.lgs. numero 81/2008, sia la stessa sottovalutazione del rischio. Tali carenze organizzative sono state, con argomentazione logica, poste in correlazione al fatto che il servizio commissionato non dovesse avvenire al piano stradale in quanto la collocazione dei rifiuti liquidi oggetto del servizio di ritiro al piano interrato non era mutata negli anni, così da porre colei che aveva la delega ad organizzare l'attività nella concreta condizione di valutare e prevenire un rischio da considerare tutt'altro che inerente a una situazione contingente, trattandosi piuttosto di un rischio ambientale specifico stabilmente connesso al luogo di lavoro e alle modalità di esecuzione dell'attività lavorativa. 1.2. Tale essendo la motivazione fornita dal giudice di appello, risulta evidente l'infondatezza del primo motivo di ricorso di C.P., tendente a proporre una rilettura delle emergenze istruttorie, già adeguatamente confutata, sia con riguardo all'insussistenza di un comportamento del lavoratore tale da interrompere il nesso causale pagg. 17-18 , sia con riguardo alla piena correlazione eziologica tra l'inosservanza da parte della C.P. dell'articolo 71, comma 2, d.lgs. numero 81/2008 e la morte del lavoratore pag. 16 . 2. Sulla base delle medesime considerazioni esposte in merito al primo motivo del ricorso di C.P. si deve ritenere infondato anche il primo motivo nel ricorso di B.G., che tende a ottenere una diversa valutazione della condotta del lavoratore, tale da escludere il nesso di causa tra l'evento e la condotta dell'imputato, oppure a ribaltare a carico del lavoratore l'obbligo di comunicazione gravante per legge sul committente. La doglianza di tale ricorrente si estende all'asserita violazione dell'obbligo di motivazione «rafforzata» che grava sul giudice di appello che riformi la sentenza assolutoria. 2.1. Deve ricordarsi, a tale proposito, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità Sez. 2, numero 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, Rv. 276954 - 04 , la necessità, per il giudice di appello, di redigere una motivazione «rafforzata» sussiste soltanto nel caso in cui la riforma della decisione di primo grado si fondi su una mutata valutazione delle prove acquisite e non anche quando essa sia legittimata da una diversa valutazione in diritto, operata sul presupposto dell'erroneità di quella formulata dal primo giudice in tale ipotesi, alla Corte di cassazione spetta il compito di verificare se la questione giuridica difformemente decisa dai giudici del merito sia stata correttamente esaminata e risolta dall'uno o dall'altro, e il vizio a tal fine denunciabile è solo quello di violazione di legge, penale o processuale. 2.2. Ed è questo il caso. Il giudice di appello ha, infatti, analiticamente confutato in diritto l'assunto del giudice di primo grado secondo il quale la raccolta dei rifiuti stoccati al piano interrato non possa qualificarsi come rischio interferenziale né come rischio specifico dell'ambiente tale da far gravare obblighi informativi su B.G Il primo argomento, secondo il quale è escluso che la norma di cui all'articolo 26 d.lgs. numero 81/2008 sia riferibile a qualsiasi tipo di rischio, ritenendo il giudice di primo grado che la norma mira a evitare e prevenire i soli rischi interferenziali, è stato correttamente confutato a pag. 20 ricordando che la disposizione dell'articolo 26, comma 1 lett. b , d.lgs. numero 81/2008 concerne un generale dovere di informazione inerente ai rischi specifici esistenti nell'ambiente nel quale l'appaltatore deve operare dovere che si aggiunge ai distinti obblighi gravanti sul committente con riguardo alla verifica dell'impresa affidataria del servizio appaltato e con riguardo alla prevenzione del rischio interferenziale. In particolare, il committente datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa e in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini Sez. 4, numero 5893 del 08/01/2019, Perona, Rv. 275121 - 01 Sez. 4, numero 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272221 - 01 , sia con riguardo al dovere di fornire all'appaltatore dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui i suoi dipendenti sono incaricati di lavorare. La censura omette di confrontarsi con tale, decisivo, passaggio motivazionale. Il secondo argomento, tendente a escludere la raccolta dei rifiuti stoccati al piano interrato possa qualificarsi come rischio specifico esistente nell'ambiente di lavoro ai sensi dell'articolo 26, comma 1 lett. b , d.lgs. numero 81/2008, è stato confutato considerando che l'ubicazione dei fusti di stoccaggio dei rifiuti nell'autorimessa al piano interrato dell'edificio non era mutata negli anni per accedervi, il dipendente della OMISSIS avrebbe dovuto disporre di un automezzo di altezza compatibile con l'altezza dell'autorimessa ovvero di una tubazione di lunghezza compresa tra 40 e 50 metri al fine di collegare le cisterne presenti sull'automezzo, lasciato esternamente all'autorimessa, con la zona di stoccaggio. 2.3. Il Collegio ritiene che l'interpretazione fornita dal giudice di appello alla disposizione in esame sia corretta. L'articolo 26, comma 1 lett. b , d.lgs. numero 81/2008 impone al committente l'obbligo di fornire ai soggetti, come l'appaltatore o il lavoratore autonomo, incaricati di svolgere lavori, servizi o forniture all'interno della sua azienda «dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare». Dal combinato disposto di tale norma con l'articolo 2, comma 1, lett. s , d.lgs. cit., che definisce il rischio come «probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione», emerge un concetto relazionale di rischio specifico dell'ambiente di lavoro tale rischio deve essere desunto anche in funzione del tipo di lavoro da svolgere. Rischi specifici dell'ambiente di lavoro non sono, dunque, solo quelli assoluti, correlati alla conformazione del luogo, ma anche quelli derivanti dalla prestazione che vi si deve svolgere. Il dovere informativo che grava sul committente comporta che egli rappresenti all'appaltatore ogni elemento utile a valutare i rischi che si possano manifestare in corso di esecuzione in relazione all'oggetto del contratto. L'informazione corretta sull'ambiente di lavoro innesca, quindi, un percorso virtuoso sulle scelte organizzative che riguardano le modalità di esecuzione del lavoro in relazione al luogo in cui tale lavoro dovrà essere svolto. L'obbligo informativo del committente va definito, in altre parole, alla luce dello specifico lavoro commissionato. La ratio della previsione dell'articolo 26, comma 1, lett. b , d.lgs. numero 81/2008, che si pone nel contesto della relazione tra debitori di sicurezza, è quella di assicurare che il committente fornisca ogni informazione inerente alla conformazione dell'ambiente che incida sulla sicurezza della prestazione dell'appaltatore. Egli non ha il compito di valutare il rischio specifico di quella prestazione, né di prevederlo piuttosto, ha l'obbligo di informare l'appaltatore circa le caratteristiche del luogo in modo da consentirgli una corretta valutazione e organizzazione del lavoro in sicurezza. Tali considerazioni sono sufficienti a ritenere validamente assolto, da parte del giudice di appello l'obbligo motivazionale a sostegno della riforma della sentenza assolutoria. 3. Va aggiunto che il giudice di primo grado aveva attribuito rilievo alla circostanza che la prassi seguita dai dipendenti di OMISSIS di travasare i liquidi sollevando la grata metallica e calandovi i tubi per l'aspirazione avesse ingenerato nell'imputato B.G. un affidamento incolpevole, anche per l'adeguatezza dell'impresa appaltatrice a svolgere l'attività di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti. Tale impostazione motivazionale è stata specificamente confutata alle pagg. 22-24 della sentenza di appello. La Corte territoriale ha attribuito rilievo all'informazione fornita dal B.G. al lavoratore a proposito delle modalità alternative seguite da coloro che lo avevano preceduto. Si tratta di argomento coerente con il criterio interpretativo secondo il quale non può invocare, a sua discolpa, eventuali responsabilità altrui colui al quale sia rimproverabile un comportamento colposo legittimamente il giudice di appello ha qualificato come superficiale la condotta del B.G., anche ove egli avesse riposto fiducia nel fatto che i responsabili della OMISSIS avessero valutato tale rischio. La Corte territoriale ha, in definitiva, rimproverato all'imputato, oltre che l'omissione di informazioni alla società appaltatrice circa i rischi specifici dell'ambiente di lavoro, di cui si è detto, anche l'indicazione alla vittima delle modalità astrattamente possibili per l'esecuzione della prestazione di ritiro dei rifiuti. Sebbene sia condivisibile l'assunto difensivo dell'insussistenza di ingerenze del committente nell'esecuzione del lavoro, si tratta di condotte legittimamente considerate idonee a fornire un contributo colposo all'evento. 3. L'ulteriore argomento speso nella sentenza assolutoria, ossia il rilievo per cui la modalità con la quale il lavoratore ha deciso di effettuare il travaso dei rifiuti liquidi non ha concretizzato un rischio connesso al modo in cui avrebbe dovuto eseguire la prestazione lavorativa, è stato specificamente confutato a pag. 21 della sentenza di appello con due argomenti logici il primo, relativo al fatto che la modalità pericolosa di lavorazione è stata adottata dalla persona offesa proprio perché la società appaltatrice e datrice di lavoro, che non era stata informata dello stato dei luoghi dall'imputato B.G., non gli aveva fornito l'attrezzatura necessaria il secondo, inerente al fatto che dalla stessa ricostruzione svolta dal giudice di primo grado è emerso che la modalità con la quale il lavoratore ha eseguito la prestazione era tutt'altro che eccezionale, era stata adottata negli anni precedenti in almeno altre due occasioni dai suoi colleghi, non poteva pertanto considerarsi condotta abnorme o eccentrica, bensì l'unico comportamento consentito dall'attrezzatura fornitagli. Il ragionamento seguito dal giudice di appello per confutare l'asserita abnormità della condotta del lavoratore è conforme all'orientamento interpretativo costante di questa Corte, secondo cui perché il comportamento imprudente del lavoratore possa ritenersi abnorme e idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta del garante e l'evento lesivo, è necessario non tanto che esso sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia Sez. 4, numero 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237 - 01 Sez. 4, numero 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748 - 01 . Inoltre, affinchè il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un rischio eccentrico, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante Sez. 4, numero 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242 - 01 . 4. Il secondo motivo del ricorso di C.P. è aspecifico. Va premesso che tale imputata risulta aver ricoperto il ruolo di delegato per la sicurezza si tratta di una posizione di garanzia che deve essere individuata con modalità rigorose in quanto il delegato per la sicurezza è destinatario di poteri e responsabilità originariamente ed istituzionalmente gravanti sul datore di lavoro Sez. 4, numero 37861 del 10/07/2009, Pucciarini, Rv. 245276 - 01 . La censura non coglie nel segno, posto che la condotta omissiva specificamente addebitata dal giudice di appello a tale imputata non consiste nell'omessa valutazione del rischio quanto piuttosto, secondo quanto si è già esposto in precedenza, in una generale carenza di natura organizzativa dell'attività lavorativa, funzionale alla scelta delle attrezzature di lavoro idonee a prevenire o a ridurre al minimo i rischi per il lavoratore. Non si tratta, a ben vedere, di un'omissione da porre in correlazione con il rischio di caduta dall'alto quanto, piuttosto, di una negligenza tale da esporre il lavoratore al rischio, poi verificatosi, che la fornitura di corrette attrezzature, come evidenziato dalla Corte di appello, avrebbe evitato consentendo al lavoratore di accedere diversamente al luogo ove i rifiuti da prelevare erano stoccati. Si tratta, inoltre, di doglianza generica in quanto l'omissione che si è addebitata a tale imputata inerisce a delega risultante da verbale del Consiglio di Amministrazione della OMISSIS s.p.a., non menzionato nel ricorso, in cui si fa esclusivo riferimento all'atto notarile del 3 dicembre 2014. 6. Il secondo motivo del ricorso di B.G. è inammissibile. La censura svolta, sia con riguardo all'entità della pena, sia con riferimento al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, è aspecifica in quanto omette di confrontarsi con l'articolata motivazione sviluppata alle pagg. 25-26. Il giudice di appello ha, poi, rilevato che l'imputato non può godere della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, avendo riportato una condanna irrevocabile in data antecedente alla commissione del reato oggetto del presente processo ed essendo questa circostanza di per sé ostativa alla concessione dell'invocato beneficio. E' vero che la concedibilità della non menzione della condanna nel certificato del casellario è più ampia, rispetto alle originarie previsioni codicistiche, in seguito a taluni interventi della Corte costituzionale, che ha introdotto una limitata reiterabilità del beneficio. Il giudice delle leggi ha, infatti, dichiarato l'articolo 175, comma 1, cod. penumero costituzionalmente illegittimo nella parte in cui escludeva che potessero concedersi ulteriori non menzioni di condanne nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati, nel caso di condanne per reati anteriormente commessi a pene che, cumulate con quelle già irrogate, non superassero i limiti di ammissibilità del beneficio Corte Cost. numero 225 del 1975 numero 155 del 1984 . Sulla scorta di tali pronunce d'illegittimità costituzionale il beneficio può, ora concedersi anche a chi ne abbia fruito in relazione a precedenti condanne e sempre che ricorrano gli altri presupposti per l'applicabilità dell'istituto , ma non in favore di chi abbia subito in precedenza una o più condanne per le quali non abbia ottenuto il beneficio stesso. Quando sussiste un precedente penale, di qualsiasi natura, e vengono poi commessi ulteriori reati, successivamente alla prima condanna, il beneficio stesso non può mai essere concesso Sez. 4, numero 22591 del 18/04/2024, Ferrante, Rv. 286684 -01 Sez. 7 numero 50588 del 23/10/2018, Mischiati, non mass. Sez. 5, numero 2546 del 09/01/1985, Caponi, Rv. 168351 - 01 Sez. 5, numero 2653 del 14/11/1985, dep. 1986, Russo, Rv. 172328 - 01 Sez. 6, Ord. numero 238 del 20/01/1978, Orzieri, Rv. 138068 - 01 . 5. Il terzo motivo di ricorso si fonda sull'assunto, errato, che il giudice di merito abbia provveduto, anche in parte, alla liquidazione del danno in favore delle costituite parti civili. Si tratta, in realtà, di liquidazione di somme a titolo di provvisionale ai sensi dell'articolo 539, comma 2, cod. proc. penumero , con conseguente inammissibilità di ogni censura sul punto. E' principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che la statuizione che assegna la provvisionale abbia tra le proprie caratteristiche quelle della precarietà essendo destinata a essere travolta o assorbita dalla decisione conclusiva del processo e quindi insuscettibile di passare in giudicato ex multis Sez. 6, numero 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261536 - 01 Sez. 4, numero 36760 del 04/06/2004, Cattaneo, Rv. 230271 - 01 della discrezionalità nella determinazione dell'ammontare senza obbligo di specifica motivazione Sez. 3, numero 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486 - 01 Sez. 5, numero 32899 del 25/05/2011, Mapelli, Rv. 250934 - 01 Sez. 6, numero 49877 del 11/11/2009, Blancaflor, Rv. 245701 - 01 Sez. 5, numero 40410 del 18/03/2004, Farina, Rv. 230105 della non impugnabilità con il ricorso per cassazione Sez U, numero 2246 del 19/12/1990, dep.1991, Capelli, Rv. 186722 - 01 Sez. 4, numero 34791 del 23/06/2010, Mazzamurro, Rv. 248348 - 01 Sez. 4, numero 36760 del 04/06/2004, Cattaneo, Rv. 230271 - 01 Sez. 5, numero 40410 del 18/03/2004, Farina, Rv. 230105 - 01 , da ciò desumendosi l'inidoneità di tale pronuncia a condizionare le statuizioni civili concernenti l'entità del danno definitivamente risarcibile. 6. Per le su esposte ragioni i ricorsi sono da considerare infondati e devono essere rigettati segue, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili S. S., C. T. S. e L. G., liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché in solido alla rifusione alle parti civili S. S., C. T. S. e L. G., delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro 4.800,00, oltre accessori come per legge.