Figlie maggiorenni trasferite per lavoro e studio: possibile per la madre chiedere il mantenimento all’ex marito

Riprende vigore la richiesta avanzata dalla donna. Necessario, però, valutare se lei funga ancora da punto di riferimento per le due figlie.

Possibile riconoscere all’ex moglie il mantenimento per le figlie anche se queste sono entrambe maggiorenni, si sono laureate, si sono trasferite per studio in un’altra città e lì hanno già trovato un lavoro. Nella battaglia tra ex coniugi – Paolo e Francesca, nomi di fantasia – terreno di scontro è anche il mantenimento per le loro due figlie, affidate, in sede di divorzio, alla madre. In primo grado viene respinta l’istanza avanzata da Paolo, il quale chiede, in prima battuta, di essere esonerato dal versare all’ex moglie l’assegno di 5mila euro stabilito nel corso del giudizio di divorzio per il mantenimento delle due figlie Silvia e Ludovica, e, in seconda battuta, di vedere almeno ridotto l’assegno alla minor somma di 1.000 euro. Chiara la tesi proposta dall’uomo a suo dire, l’ex moglie ha perso la legittimazione passiva a ricevere tale assegno in quanto le giovani sono oramai divenute maggiorenni e non convivono più con lei. Netta la replica dei giudici del Tribunale il conseguimento della laurea da parte delle due ragazze non ha trasformato la loro condizione di permanenza temporanea fuori sede. Visione diversa, e favorevole a Paolo, invece, quella dei giudici d’appello, i quali, dopo aver ricordato che l’assenza di convivenza della madre con le figlie avrebbe determinato il venire meno della legittimazione della donna a chiedere ed ottenere iure proprio il contributo per il mantenimento delle ragazze, ritengono decisivo il riferimento all’età delle giovani, ai percorsi da loro intrapresi, e conformi agli studi, nonché alle esperienze lavorative e professionali svolte. Questi elementi inducono, secondo i giudici, a ritenere che entrambe, verosimilmente, possano accedere ad altre esperienze lavorative qualificanti, in linea con le prospettive proprie del contesto familiare e dell’ambiente socio-economico in cui sono inserite. Di conseguenza, si deve ritenere, chiosano i giudici, che la residenza lontano dalla casa della madre non possa più essere considerata temporanea. Per tutte queste ragioni, in appello viene ritenuto non più dovuto a Francesca il pagamento del contributo al mantenimento per le figlie già disposto a carico di Paolo, essendo venuto meno il presupposto della convivenza con la madre e, quindi, la legittimazione di quest’ultima a pretendere l’assegno per le figlie, le quali, invece, possono formulare apposita ed autonoma richiesta al padre. Va però tenuto presente, anche nell’ottica del ricorso proposto in Cassazione da Paola, che i giudici d’appello non hanno attribuito alle due ragazze una propria autosufficienza economica, ma si sono limitati a ritenere che esse abbiano consolidato la loro professionalità e che siano definitivamente avviate nel mondo del lavoro nella città in cui sono trasferite per studio, raggiungendo così una capacità lavorativa adeguata alle concrete condizioni del mercato attuale, e che siano  comunque destinate a inevitabilmente migliorare. Ma queste valutazioni sono state compiute dai giudici d’appello al fine di ritenere che le due giovani potranno accedere ad altre esperienze lavorative qualificanti, in linea con le prospettive proprie del contesto familiare e dell’ambiente socio-economico in cui sono inserite, e al fine di dedurre che la residenza lontano dalla madre non possa più essere considerata temporanea. In altri termini, la capacità lavorativa raggiunta dalle due giovani è, a parere dei giudici d’appello, idonea a essere da loro spesa «nella città in cui vivono ormai stabilmente e ove hanno svolto le esperienze sia di studio che lavorativa, città in cui esse hanno, sempre secondo i giudici d’appello, risieduto in maniera stabile e non temporanea, interrompendo così necessariamente la convivenza con la madre». Chiara l’ottica adottata in appello la capacità lavorativa acquisita dalle due ragazze è valutata come elemento funzionale a dimostrare la cessazione della convivenza con la madre, con la conseguente cessazione della legittimazione iure proprio della donna a richiedere il versamento dell’assegno di mantenimento da parte dell’ex marito. Evidente il riferimento all’applicazione del principio che fa dipendere la convivenza dalla prevalenza temporale dell’effettiva presenza del figlio presso l’abitazione del genitore. Ciò detto, però, le obiezioni sollevate in Cassazione da Francesca hanno un solido fondamento. In appello si è ritenuto che il presupposto della convivenza con la madre, con conseguente legittimazione della donna a pretendere l’assegno per le figlie, implicasse la stabile dimora delle giovani presso la casa materna, con eventuali e solo sporadici allontanamenti per brevi periodi, avuto comunque riguardo al criterio della prevalenza temporale dell’effettiva presenza del figlio presso l’abitazione della genitrice. Tale visione non è corretta, secondo i magistrati di Cassazione, i quali chiariscono che, invece, «la legittimazione iure proprio del genitore a richiedere l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente, che non abbia formulato autonoma richiesta giudiziale, sussiste quand’anche costui si allontani per motivi di studio dalla casa genitoriale, qualora detto luogo rimanga in concreto un punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno e sempre che il genitore anzidetto sia quello che, pur in assenza di coabitazione abituale o prevalente, provveda materialmente alle esigenze del figlio, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio». In sostanza, «il versamento dell’assegno periodico al genitore con cui permane la coabitazione del figlio maggiorenne rappresenta un contributo concreto alla copertura delle spese correnti che questi si trova a dover sostenere mensilmente, spese correnti a cui sono e restano comunque entrambi i genitori obbligati», come da Codice Civile. Quindi, «la coabitazione può assurgere a univoco indice del fatto che permanga un più intenso legame di comunanza fra il figlio maggiorenne e il genitore con cui abita e che sia quest’ultimo la figura di riferimento per il corrente sostentamento del ragazzo e colui che provvede materialmente alle sue esigenze». Applicando questa visione alla vicenda in esame, emerge la necessità, chiariscono i magistrati di Cassazione, di «valutare non la prevalenza temporale dell’effettiva presenza di ciascuna delle figlie presso l’abitazione materna, quanto piuttosto se tale casa costituisca un punto di riferimento stabile e se ad essa le giovani facciano sistematico ritorno» e di verificare se «la madre rappresenti» ancora «la figura di riferimento per le figlie per il loro corrente sostentamento e colei che provveda materialmente alle loro esigenze». Illogico, quindi, negare a priori la possibilità per Francesca di chiedere all’ex marito l’assegno di mantenimento per le due figlie. Su questo fronte, quindi, è necessario un nuovo processo d’appello, così da compiere una valutazione specifica per ciascuna delle due giovani, e in questa ottica «assumere rilievo, di certo, la verifica tanto del fatto che l’abitazione materna costituisca un punto di riferimento stabile in cui abitare o a cui fare sistematico ritorno, quanto la verifica del fatto che la genitrice, pur in assenza di una coabitazione abituale o prevalente, provveda materialmente alle esigenze delle figlie, anticipando gli esborsi necessari per il loro sostentamento», chiariscono i giudici di Cassazione, i quali aggiungono, infine, che «nell’ambito di una simile valutazione risulta più che evidente la decisività della documentazione secondo cui una figlia, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, ha svolto la pratica forense nella città dove vive la madre, mentre l’altra figlia è stata impegnata in uno stage nella città dove ha studiato, ha ottenuto in seguito un mero contratto di apprendistato e fa ripetuto ritorno presso l’abitazione della madre».

Presidente Tricomi - Relatore Pazzi Fatti di causa 1. Il Tribunale di Napoli, con decreto depositato in data 14 febbraio 2020, rigettava il ricorso ex articolo 9 l. 898/1970 presentato da M.L. per essere esonerato dal versare all'ex coniuge T.D. l'assegno di € 5.000 stabilito nel corso del giudizio di divorzio per il mantenimento delle figlie S. e L., dato che la T.D., a suo dire, aveva perso la legittimazione passiva a ricevere tale assegno in quanto le giovani erano oramai divenute maggiorenni e non convivevano più con lei ovvero, in subordine, qualora si fosse ritenuto che la coabitazione permanesse, perché l'assegno fosse ridotto alla minor somma di € 1.000 reputava, infatti, da una parte che il conseguimento della laurea delle figlie non avesse trasformato la loro condizione di permanenza temporanea fuori sede, dall'altra che il ricorrente non avesse provato la riduzione reddituale dedotta. 2. La Corte d'appello di Napoli, a seguito del reclamo presentato dal M.L., dopo aver ricordato che l'assenza di convivenza della madre con le figlie avrebbe determinato il venire meno della legittimazione della genitrice a chiedere e ottenere iure proprio il contributo per il mantenimento delle discendenti, riteneva che nel caso di specie l'età delle giovani, i percorsi intrapresi dalle stesse, conformi agli studi, nonché le esperienze lavorative e professionali svolte inducessero a ritenere che entrambe, verosimilmente, avrebbero potuto accedere ad altre esperienze lavorative qualificanti, in linea con le prospettive proprie del contesto familiare e dell'ambiente socio-economico nel quale erano inserite, per cui si doveva reputare che la residenza in Milano non potesse più essere considerata temporanea. Giudicava di conseguenza, in accoglimento del reclamo, che non fosse più dovuto alla T.D. il pagamento del contributo al mantenimento per le figlie già disposto a carico del M.L., essendo venuto meno il presupposto della convivenza con la madre e, quindi, la legittimazione di quest'ultima a pretendere l'assegno per le discendenti, le quali avrebbero dovuto formulare apposita ed autonoma richiesta al padre. 3. T.D. ha proposto ricorso per la cassazione di questo decreto, pubblicato in data 23 giugno 2021, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso M.L Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza numero 12946/2024, dopo aver rilevato che nel caso concreto il decreto gravato è stato notificato il 27 luglio 2021 e che il ricorso per cassazione a sua volta è stato notificato il 26 ottobre 2021 a fronte della sospensione dei termini in periodo feriale, hanno concluso per l'ammissibilità dell'impugnazione, perché tempestiva, restituendo gli atti a questa sezione per l'esame delle censure consegnate ai singoli motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'articolo 380 bis.1 cod. proc. civ Ragioni della decisione 4. Il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c. in riferimento all'articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli articolo 132 e 737 c.p.c. in riferimento all'articolo 360 comma 1 numero 4 c.p.c. per motivazione contraddittoria – violazione dei principi regolatori del giusto processo in riferimento articolo 360 comma 1 numero 4 c.p.c.”, assume che la Corte di merito abbia ritenuto che la legittimazione della T.D. a percepire l'assegno di mantenimento per le due figlie fosse venuta meno in ragione non solo della supposta cessazione della coabitazione, ma anche a causa del presunto conseguimento dell'indipendenza economica da parte delle due figlie destinatarie dell'assegno, malgrado quest'ultimo profilo fosse stato dedotto soltanto in sede di reclamo e non nel ricorso introduttivo del giudizio. La decisione impugnata sarebbe così afflitta da un vizio di ultra o extra petizione, oltre che per aver omesso di pronunciarsi sull'eccezione della resistente di inammissibilità della modifica del thema decidendum e/o delle domande nuove proposte in sede di reclamo. La medesima statuizione, inoltre, presenta - in tesi di parte ricorrente - un evidente vizio motivazionale in ragione della sua contraddittorietà, perché da un lato riconosce la conseguita indipendenza lavorativa delle figlie o quanto meno, il completamento degli studi e della formazione , dall'altra spiega che M.L. non è più tenuto al versamento dell'assegno in mancanza di un'espressa domanda da parte delle discendenti, cosicché non è dato capire se i giudici distrettuali abbiamo ritenuto o meno che le giovani abbiano raggiunto una propria autosufficienza economica. 5. Il motivo non è fondato. 5.1 La Corte d'appello ha sì ritenuto che le figlie delle odierne parti “abbiano consolidato la loro professionalità e che siano definitivamente avviate nel mondo del lavoro nella città di Milano”, raggiungendo “una capacità lavorativa adeguata alle concrete condizioni del mercato attuale e comunque destinate a inevitabilmente migliorare”, ma ha valorizzato questa condizione al fine di ritenere che le giovani “potranno accedere ad altre esperienze lavorative qualificanti, in linea con le prospettive proprie del contesto familiare e dell'ambiente socio-economico nel quale sono inserite, per cui deve reputarsi che la residenza in Milano delle figlie non possa più essere considerata [più] temporanea” pag. 4 del decreto impugnato . In altri termini, la capacità lavorativa raggiunta – a parere dei giudici distrettuali – era idonea a essere spesa dalle giovani “nella città in cui vivono ormai stabilmente e ove hanno svolto le esperienze sia di studio che lavorativa” pag. 4 , città dove le stesse avrebbero risieduto in maniera stabile e non temporanea, interrompendo così necessariamente la convivenza con la madre. In questo modo la decisione impugnata non statuisce sulla raggiunta indipendenza economica, ma valuta la capacità lavorativa acquisita come elemento funzionale a dimostrare la cessazione della convivenza con la madre, con la conseguente cessazione della legittimazione iure proprio di quest'ultima a richiedere il versamento dell'assegno di mantenimento. Una conferma in questo senso viene, del resto, non solo dall'applicazione di un principio di diritto che fa dipendere la convivenza dalla prevalenza temporale dell'effettiva presenza del figlio presso l'abitazione del genitore, ma anche dal fatto che la Corte, dopo aver escluso “il presupposto della convivenza con la madre e, quindi, la conseguente legittimazione di quest'ultima a pretendere l'assegno per le figlie”, si è curata di precisare che queste ultime, di conseguenza, avrebbero dovuto “formulare apposita ed autonoma richiesta al padre” pag. 4 , precisazione che risulterebbe priva di senso ove i giudicanti avessero escluso il venir meno dei presupposti perché l'assegno di mantenimento continuasse a essere versato. Si deve perciò escludere che la Corte di merito abbia assunto una pronuncia in difformità con le richieste inizialmente avanzate dal M.L 5.2 D'altra parte, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che nei giudizi aventi ad oggetto le modifiche alle statuizioni consequenziali alla separazione personale ed al divorzio, in applicazione del principio rebus sic stantibus, possono essere proposte domande in corso di causa ove siano giustificate da sopravvenienze fattuali, nel rispetto del principio del contraddittorio Cass. 19020/2020 , in quanto la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime della separazione, postulano la possibilità di modularne la misura al sopravvenire di nuovi elementi di fatto Cass. 3925/2012 . Il reclamante - il quale, per il vero, aveva già segnalato l'autonomia abitativa di entrambe le figlie oltre che reddituale di L. nell'istanza di anticipazione di udienza rivolta al tribunale in data 6 febbraio 2019 - sarebbe stato così legittimato in sede di giudizio di reclamo, una volta venuto in possesso dell'estratto conto contributivo di entrambe le discendenti, a rappresentare al giudice del gravame che nessuna delle due aveva diritto di continuare a essere mantenuta dal padre. 6. Il secondo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione e falsa applicazione degli articolo 147,148,337-ter e 337 septies c.c. in riferimento all'articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c. in relazione alla cessazione del requisito oggettivo della convivenza – omesso esame di atti e documenti circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti in riferimento all'articolo 360 numero 5 c.p.c. in relazione alla prova della sussistenza dei presupposti per dichiarare cessata la legittimazione della madre convivente alla percezione dell'assegno delle figlie maggiorenni”, evidenzia che la Corte d'appello ha escluso la legittimazione iure proprio e concorrente della madre a continuare a ottenere il contributo di mantenimento per le figlie maggiorenni in ragione del fatto che quest'ultime, per motivi di studio, trascorrono lunghi periodi non più presso la sua abitazione, ma nella città ove hanno svolto gli studi universitari e post universitari, senza considerare che la coabitazione è indice della permanenza di un più intenso legame di comunanza familiare tra il figlio maggiorenne e il genitore con cui questi abita e del fatto che è quest'ultimo la figura di riferimento per il corrente sostentamento del discendente e colui che provvede materialmente alle sue esigenze. Di conseguenza, non assume rilevanza dirimente il solo dato temporale della permanenza del figlio presso l'abitazione del genitore già collocatario, poiché la sporadicità dei rientri presso l'abitazione del genitore, tenuto conto delle ragioni dell'allontanamento, non comporta affatto, per ciò solo, che siano mutati i precedenti assetti di contribuzione familiare, dovendosi invece verificare se il genitore, pur in assenza di una coabitazione abituale o prevalente, continui a provvedere materialmente alle esigenze del figlio, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio. La Corte d'appello, peraltro, ha ritenuto - senza minimamente svolgere alcun doveroso esame degli atti e dei documenti allegati, a dispetto delle difese della T.D. ed omettendo un esame individuale delle posizioni di ciascuna delle due giovani - pacifico e non contestato che le giovani abitassero prevalentemente a Milano, dove, dopo aver conseguito la laurea, avrebbero intrapreso corsi di perfezionamento e specializzazione post universitaria ed effettuato esperienze lavorative, seppure per brevi periodi. Ciò nonostante che fosse stato allegato e dimostrato documentalmente che L., dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza a Milano, era tornata a Napoli presso la madre, svolgesse pratica forense con dominus un avvocato del foro di Napoli e iscrizione presso il C.O.A. di Napoli e non avesse ancora conseguito il titolo di abilitazione. Allo stesso modo i giudici distrettuali non avrebbero considerato che S. aveva seguito a Milano uno stage che aveva la finalità di contribuire alla costruzione della sua formazione lavorativa e non le attribuiva alcuna stabilità professionale, né tanto meno la piena autosufficienza economica, facendo rientro a Napoli, presso la madre, ogniqualvolta le risultasse possibile e necessario. 7. Il motivo è fondato. 7.1 La Corte di merito ha ritenuto che il presupposto della convivenza con la madre e la conseguente legittimazione di quest'ultima a pretendere l'assegno per le figlie implicasse la stabile dimora delle giovani presso l'abitazione materna, con eventuali e solo sporadici allontanamenti per brevi periodi, avuto comunque riguardo al criterio della prevalenza temporale dell'effettiva presenza del figlio presso l'abitazione della genitrice. Una simile tesi non è coerente con la più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la legittimazione iure proprio del genitore a richiedere l'assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente, che non abbia formulato autonoma richiesta giudiziale, sussiste quand'anche costui si allontani per motivi di studio dalla casa genitoriale, qualora detto luogo rimanga in concreto un punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno e sempre che il genitore anzidetto sia quello che, pur in assenza di coabitazione abituale o prevalente, provveda materialmente alle esigenze del figlio, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio Cass. 29977/2020 . Questa decisione spiega - con riferimento a una norma l'articolo 337-septies cod. civ. che prevede, come ipotesi alternativa a quella, ordinaria, del versamento diretto dell'assegno di mantenimento al figlio maggiorenne, quella conseguente a “diversa determinazione” del giudice, come nel caso in cui venga disposto il versamento del contributo all'altro genitore che si occupi materialmente del mantenimento del figlio - che il versamento dell'assegno periodico al genitore con cui permane la coabitazione del figlio maggiorenne rappresenta un contributo concreto alla copertura delle spese correnti che questi si trova a dover sostenere mensilmente, spese correnti a cui sono e restano comunque entrambi i genitori obbligati ai sensi degli articolo 147 e 148 cod. civ. cosicché la coabitazione può assurgere a univoco indice del fatto che permanga un più intenso legame di comunanza fra il figlio maggiorenne e il genitore con cui questi abita e che sia quest'ultimo la figura di riferimento per il corrente sostentamento del primo e colui che provvede materialmente alle sue esigenze. Si trattava, quindi, di valutare non la prevalenza temporale dell'effettiva presenza di ciascuna delle figlie presso l'abitazione materna, quanto piuttosto se tale casa costituisse un punto di riferimento stabile al quale le giovani facevano sistematico ritorno in funzione della verifica del fatto che la T.D. fosse la figura di riferimento per le figlie per il loro corrente sostentamento e colei che provvedeva materialmente alle loro esigenze. 7.2 Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento Cass. 16812/2018, Cass. 19150/2016 . Ora, nell'economia della valutazione che la Corte di merito era chiamata a compiere individualmente per ciascuna delle giovani, assumeva di certo rilievo la verifica tanto del fatto che l'abitazione materna costituisse un punto di riferimento stabile nel quale abitare o fare sistematico ritorno, quanto la verifica del fatto che la genitrice, pur in assenza di una coabitazione abituale o prevalente, provvedesse materialmente alle esigenze delle figlie, anticipando gli esborsi necessari per il loro sostentamento. Nell'ambito di una simile valutazione risulta più che evidente la decisività della documentazione prodotta, che la Corte di merito non ha dimostrato di aver in alcun modo esaminato, secondo cui L., dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza a Milano, aveva svolto la pratica forense a Napoli, mentre S. era stata impegnata a Milano in uno stage, aveva ottenuto in seguito un mero contratto di apprendistato e faceva ripetuto ritorno a Napoli presso l'abitazione della madre. 8. Il provvedimento impugnato, dunque, deve essere cassato, con rinvio alla Corte d'appello di Napoli, la quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'articolo 52 d.lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.