Concordato sulla pena in appello: fino a quando il consenso del PM è revocabile?

In ipotesi di concordato in appello ai sensi dell’articolo 599-bis c.p.p., il procuratore generale può revocare il consenso prestato fino a che la corte territoriale non abbia riservato la decisione. 

Lo ha affermato la seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, depositata in cancelleria il 22 novembre 2024. La revoca del consenso Nel caso di specie, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza pronunciata dal GIP presso il Tribunale di Roma con cui l'imputato era stato condannato alla pena di anni uno, mesi sei, di reclusione per il reato di cui agli articolo 582 c.p. e 585 c.p. Nel giudizio di appello conclusosi con la pronuncia di cui trattasi, il difensore e il Procuratore generale, prima della celebrazione dell'udienza di trattazione, hanno raggiunto e depositato un accordo sulla pena da irrogare all'imputato, ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p. All'udienza successiva, il Procuratore generale di udienza ha revocato il consenso precedentemente prestato dal suo Ufficio e la Corte territoriale, considerata valida la revoca del consenso, ha invitato le parti a concludere all'esito della discussione, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado. La revoca del consenso è consentita solo eccezionalmente L'imputato, a mezzo del difensore, ha presentato ricorso per cassazione deducendo, inter alia, la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p., in relazione all'articolo 599-bis c.p.p. In particolare, il difensore ha evidenziato che i la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare valida la revoca del consenso precedentemente espresso dal Procuratore generale in relazione all'accordo sulla pena da irrogare all'imputato ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p. ii la revoca del consenso non sarebbe consentita, se non quando alla ratifica dell'accordo fosse sopravvenuta una legge più favorevole all'imputato iii l'orientamento giurisprudenziale che non consente la revoca del consenso – se non nel caso sopra specificato –, seppur elaborato in relazione all'applicazione della pena su richiesta delle parti di cui all'articolo 444 c.p.p., dovrebbe essere esteso anche al concordato in appello. A margine, il difensore ha anche chiarito che, anche a prescindere da tali considerazioni, nella vicenda in esame la rinuncia al concordato espressa dal Procuratore generale sarebbe stata comunque inammissibile, poiché intervenuta solo in udienza e ben oltre il termine di legge previsto dall'articolo 127 c.p.p. per il deposito di memorie o atti provenienti dalle parti. Inoltre, il comma 1 dell'articolo 599-bis c.p.p. stabilisce che la dichiarazione e la rinuncia debbano essere presentate nel termine, previsto a pena di decadenza, di quindici giorni prima dell'udienza. Nel concordato in appello il consenso del PM può essere revocato La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato. Il Collegio ha osservato che, a differenza che nel patteggiamento disciplinato dagli articolo 444 e ss. c.p.p., nel concordato in appello il consenso in precedenza espresso dal rappresentante della Pubblica Accusa può essere revocato, per cui non è censurabile con il ricorso per cassazione la revoca del consenso da parte del procuratore generale intervenuta prima della decisione del giudice Sez. 5, numero 7751 del 12/11/2021, dep. 2022, Viviani, Rv. 282867 — 01 . In tal senso, come chiarito dalla Suprema Corte, è stato affermato dalla giurisprudenza che i due “patteggiamenti” non sono affatto omogenei infatti, per il rito alternativo disciplinato dall'articolo 444 c.p.p., sono soggetti a revisione ex articolo 448, comma 1, c.p.p., sia il parere negativo del Pubblico Ministero sia il mancato accoglimento dell'accordo da parte del giudice, mentre, nel caso del concordato sulla pena in appello, non è previsto alcun rimedio in caso di rigetto della pena concordata tra le parti. La Corte, richiamando alcuni precedenti di legittimità, ha altresì precisato che il concordato sulla pena in appello interviene in una fase processuale in cui c'è già stata una piena valutazione sul merito della capacità dimostrativa delle prove e non può in alcun modo ricondursi al patteggiamento “allo stato degli atti” di cui all'articolo 444 c.p.p. che si risolve in una contrazione del giudizio sulla responsabilità. Poiché la ratio del concordato sulla pena in appello è deflattiva, il diniego del consenso da parte del pubblico ministero o il rigetto della proposta di concordato da parte della Corte di appello costituiscono passaggi procedurali non sottoposti ad alcuna forma di controllo processuale ove fosse prevista, detta forma di controllo complicherebbe la procedura invece che semplificarla. Tempestività della revoca del consenso La Corte si è dunque soffermata sulla tempestività della revoca del consenso intervenuta all'udienza di trattazione del processo di appello. Il difensore, per sostenere la tardività della revoca, ha richiamato la disposizione di cui al comma 1 dell'articolo 599-bis c.p.p, come novellato dall'articolo 34, comma 1, lett. f , numero 1, del d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150, c.d. Riforma Cartabia. La predetta norma stabilisce che «la dichiarazione e la rinuncia sono presentate nelle forme previste dall'articolo 589 e nel termine, previsto a pena di decadenza, di quindici giorni prima dell'udienza». Sul punto il Collegio ha osservato che i detto termine riguarda esclusivamente la presentazione dell'accordo intercorso tra le parti, mentre nessun limite temporale è espressamente previsto per la revoca, tanto meno a pena di decadenza ii è inconferente il richiamo al termine di cinque giorni di cui all'articolo 127 c.p.p. entro il quale, a giudizio del difensore, il procuratore generale avrebbe potuto revocare il consenso in precedenza espresso, atteso che detta disciplina è richiamata solo dal comma 3 dell'articolo 599-bis c.p.p. per l'ipotesi di mancato accoglimento della richiesta concordata tra le parti. In ragione dei principi illustrati, la Corte ha formulato il seguente principio di diritto «in ipotesi di concordato in appello, ai sensi dell'articolo 599-bis cod. proc. penumero , è ammessa la revoca del consenso prestato dal Procuratore Generale fino a che la corte territoriale non abbia riservato la decisione». Annullamento con rinvio Ritenendo fondato l'appello con riferimento al mancato riconoscimento dell'istituto di cui all'articolo 62-bis c.p., la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio con riferimento al punto delle circostanze attenuanti generiche.

Presidente Verga - Relatore D'Auria Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma con sentenza del 15/12/2023 confermava la sentenza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 10/1/2023, che aveva condannato alla pena di anni uno mesi sei di reclusione B.H. per il reato di cui agli articolo 582 e 585 cod. penumero 2. L'imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , in relazione all'articolo 599-bis cod. proc. penumero Ritiene in proposito il difensore che la Corte territoriale abbia errato nel considerare valida la revoca del consenso precedentemente espresso dal Procuratore generale in relazione all'accordo sulla pena da Irrogare all'imputato ai sensi dell'articolo 599-bis cod. proc. penumero che, invero, la revoca del consenso non è consentita, se non quando sopravvenga alla ratifica dell'accordo una legge più favorevole all'imputato che tale orientamento giurisprudenziale, sia pure formatosi in relazione all'applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 cod. proc. penumero , deve essere esteso anche al concordato in appello che, comunque, anche a prescindere da tali considerazioni, nel caso di specie la rinuncia al concordato espressa dal Procuratore generale sarebbe comunque inammissibile, tenuto conto che è intervenuta solo in udienza e ben oltre il termine di legge previsto dall'articolo 127 cod. proc. penumero per il deposito di memorie o atti provenienti dalle parti che il comma 1 dell'articolo 599-bis cod. proc. penumero stabilisce che la dichiarazione e la rinuncia siano presentate nel termine, previsto a pena di decadenza, di quindici giorni prima dell'udienza. 2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , per mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all'affermazione di penale responsabilità con riferimento al reato di cui al capo D . Rileva che la Corte territoriale ha travisato le emergenze processuali, tenuto conto che nel corso dell'individuazione fotografica la persona offesa D.R. non è riuscito ad attribuire uno specifico ruolo all'odierno ricorrente, che dal filmato acquisito agli atti risulta che il B.H. non calpestava la persona offesa con l'obiettivo di cagionarle lesioni, che non restava a guardare gli aggressori colpire il D.R., che non aggrediva nuovamente quest'ultimo insieme ai coimputati e che assumeva un atteggiamento incompatibile con la volontà di cagionare lesioni alla persona offesa. 2.3. Con il terzo motivo si duole della violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. penumero , in relazione agli articolo 62-bis e 133 cod. penumero , nonché mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Osserva che l'entità della pena base per il reato di lesioni di cui al capo D non è prossima al minimo edittale, essendo invece pari al doppio che la Corte territoriale non ha tenuto conto dell'aiuto fornito dal B.H. alla persona offesa, avendola aiutata a rialzarsi ed a farla allontanare che analogamente non ha considerato il positivo comportamento processuale del ricorrente, che si è sottoposto ad esame e ha chiamato in correità i coimputati che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, non sono state riconosciute al B.H. le circostanze attenuanti generiche, di talché è illogica la motivazione nella parte in cui fa riferimento al giudizio di equivalenza tra circostanze aggravanti ed attenuanti generiche. 2.4. In data 5/9/2024 è intervenuta articolata memoria di replica. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono. 1.1. Il primo motivo non può trovare accoglimento, essendo destituito di fondamento. 1.1.1. Prima di esaminare la questione di diritto sottoposta all'esame del Collegio, deve premettersi in punto di fatto che, nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza impugnata, il difensore ed il Procuratore generale, prima che fosse celebrata l'udienza di trattazione, avevano raggiunto e depositato un accordo sulla pena da irrogare all'imputato, ai sensi dell'articolo 599-bis cod. proc. penumero successivamente, all'udienza del 15/12/2023, il Procuratore generale di udienza revocava il consenso precedentemente prestato dal suo Ufficio la Corte territoriale, ritenuta valida la revoca del consenso in precedenza espresso, invitava le parti a concludere e, all'esito della discussione, confermava la sentenza di primo grado. 1.1.2. Tanto premesso, osserva il Collegio che, a differenza che nel patteggiamento disciplinato dagli articolo 444 e segg. cod. proc. penumero , nel concordato in appello il consenso in precedenza espresso dal rappresentante della Pubblica accusa può essere revocato, per cui non è censurabile con il ricorso per cassazione la revoca del consenso da parte del procuratore generale intervenuta prima della decisione del giudice Sez. 5, numero 7751 del 12/11/2021, dep. 2022, Viviani, Rv. 282867 - 01 . Invero, è stato condivisibilmente affermato che «i due patteggiamenti non sono affatto omogenei», sol che si consideri che «mentre per il rito alternativo disciplinato dall'articolo 444, c.p.p., sono soggetti a revisione ex articolo 448, comma 1, c.p.p., sia il parere negativo del pubblico ministero che il mancato accoglimento dell'accordo da parte del giudice, nel caso del concordato sulla pena non è previsto alcun rimedio in caso di rigetto della pena concordata tra le parti» che il «concordato sulla pena in appello interviene, dunque, in una fase processuale in cui c'è già stata una piena valutazione sul merito della capacità dimostrativa delle prove e non può in alcun modo essere ricondotto al patteggiamento allo stato degli atti che si risolve in una contrazione del giudizio sulla responsabilità» che la «ratio dell'istituto è deflattiva dato che lo stesso si configura come uno strumento per snellire il processo centrato sulla rinuncia ai motivi sulla responsabilità e sottoposto all'ineludibile - e insindacabile - vaglio di congruità da parte del giudice il diniego del consenso da parte del pubblico ministero o il rigetto della proposta di concordato da parte della Corte di appello sono passaggi procedurali non sottoposti ad alcuna forma di controllo processuale che, ove fosse previsto, complicherebbe la procedura, invece che semplificarla» Sez. 5, numero 7751/2021, cit., in motivazione . Del resto, anche altro arresto della giurisprudenza di legittimità ha evidenziato la necessità che la natura irrevocabile del consenso in precedenza prestato debba trovare il suo fondamento in una espressa previsione normativa di rango processuale, laddove ha ritenuto che il consenso prestato dal procuratore generale al concordato con rinuncia ai motivi di impugnazione in epoca antecedente all'entrata in vigore dell'articolo 599-bis cod. proc. penumero , introdotto dalla legge 23 giugno 2017 numero 103, è privo di effetti poiché, in assenza di una norma transitoria, deve trovare applicazione il criterio generale indicato nel principio tempus regit actum, con la conseguenza che è legittimo il successivo dissenso manifestato dal medesimo procuratore generale dopo l'entrata in vigore della norma Sez. 4, numero 20112 del 29/3/2018, Nesturi, Rv. 272746 - 01 . Peraltro, l'approdo ermeneutico cui si aderisce riposa anche sulle argomentazioni spese dal Giudice delle leggi Corte cost. numero 448 del 1995 , che, pronunciandosi in relazione alla configurazione del concordato prima della sua abrogazione, ebbe ad affermare che «il patteggiamento in appello presenta peculiarità che lo differenziano dal patteggiamento in senso proprio che si svolge in primo grado, prima dell'apertura del dibattimento. Nel caso dell'appello si tratta, difatti, del giudice già investito, nella sede propria, del merito, il quale valuta la congruità della pena in base agli stessi elementi sui quali dovrà fondare la propria decisione al termine del giudizio di impugnazione. La decisione sulla richiesta delle parti che, in caso di rigetto, è riproponibile sino alla chiusura del dibattimento costituisce un giudizio eventuale ed anticipato, formulato in base alle prove sulle quali il giudice, investito del giudizio di merito, dovrà fondare il proprio convincimento. Non si è quindi in presenza, come nel caso dell'accordo delle parti sulla pena in primo grado, di un'anticipazione di giudizio, effettuata sulla base della consultazione e della valutazione degli atti del fascicolo del pubblico ministero. Le valutazioni del giudice nel patteggiamento in appello si esprimono dunque in situazioni diverse da quelle del patteggiamento in primo grado. Questo è sufficiente per escludere la lesione del principio di parità di trattamento nelle due diverse situazioni». Può, dunque, affermarsi che, poiché nella disciplina del patteggiamento in appello manca una disposizione analoga a quella contenuta nell'articolo 448, comma 1, cod. proc. penumero , relativa unicamente all'ipotesi dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, sia la mancanza del consenso del pubblico ministero, che la revoca del consenso eventualmente prestato, non trovano alcuna sanzione processuale, con la conseguenza che non possono essere censurate con il ricorso per cassazione. Per converso, non può trovare condivisione l'altro orientamento, secondo il quale la dichiarazione di rinuncia dell'imputato ai motivi sulla responsabilità non è suscettibile di revoca, neppure implicita, perdendo effetto, ai sensi dell'articolo 599-bis, comma 3, cod. proc. penumero , solo nel caso di mancato accoglimento della proposta di pena concordata Sez. 2, numero 43893 del 4/11/2021, Zapparini, Rv. 282312 - 01 . Invero, tale indirizzo esegetico si fonda sulla espressa irrevocabilità della richiesta di applicazione della pena prevista dall'articolo 447, comma 3, cod. proc. penumero , cioè su una disposizione che, come si è evidenziato, è del tutto sconosciuta alla previsione normativa dell'articolo 599-bis cod. proc. penumero 1.1.3. Resta da valutare la tempestività della revoca del consenso, che è intervenuta all'udienza di trattazione del processo di appello. Il difensore, per sostenere la tardività della revoca, richiama la disposizione di cui al comma 1 dell'articolo 599-bis, come novellato dall'articolo 34, comma 1, lett. f , numero 1, del d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150, che stabilisce che «La dichiarazione e la rinuncia sono presentate nelle forme previste dall'articolo 589 e nel termine, previsto a pena di decadenza, di quindici giorni prima dell'udienza». Osserva, tuttavia, il Collegio che i detto termine riguarda esclusivamente la presentazione dell'accordo intercorso tra le parti, mentre per la revoca non vi è alcuna espressa previsione normativa che ponga limiti temporali, tanto meno a pena di decadenza, né una siffatta limitazione è ricavabile dal sistema che ii è, altresì, inconferente il richiamo al termine di cinque giorni di cui all'articolo 127 cod. proc. penumero , entro il quale, a giudizio del difensore, il procuratore generale avrebbe potuto revocare il consenso in precedenza espresso, atteso che detta disciplina è richiamata solo dal comma 3 dell'articolo 599-bis cod. proc. penumero per l'ipotesi di mancato accoglimento della richiesta concordata tra le parti, che è situazione del tutto diversa da quella che si sta scrutinando. In conclusione, può affermarsi il seguente principio di diritto «In ipotesi di concordato in appello, ai sensi dell'articolo 599-bis cod. proc. penumero , è ammessa la revoca del consenso prestato dal procuratore generale fino a che la corte territoriale non abbia riservato la decisione». 1.2. Il secondo motivo non è consentito, atteso che è costituito da mere doglianze di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità. Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , dalla legge numero 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione. In altri termini, eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , alla sola verifica dell'esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l'hanno determinata, dell'assenza di manifesta illogicità dell'esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l'utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile Sez. 3, numero 17395 del 24/1/2023, Chen Wenjian, Rv. 284556 - 01 Sez. 5, numero 26455 del 9/6/2022, Dos Santos Silva, Rv. 283370 - 01 Sez. 2, numero 9106 del 12/2/21, Caradonna, Rv. 280747 - 01 . Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può, quindi, estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Dunque, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito ed il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell'affermazione di responsabilità dell'Imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica. Peraltro, la sentenza impugnata in relazione alla ricostruzione dei fatti ascritti all'imputato costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d'appello a quella del Giudice per le indagini preliminari, sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove Sez. 2, numero 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01 Sez. 2, numero 37295 del 12/6/2019, E., Rv. 277218 - 01 . Deve esser evidenziato, inoltre, che il motivo è reiterativo di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all'interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale, che ha valorizzato le circostanze di fatto emerse dalla visione del filmato che ha ripreso l'aggressione, dando altresì atto del comportamento successivo tenuto dal B.H., che, dopo aver preso attivamente parte all'aggressione del D.R., lo aiutava ad alzarsi. 1.3. Coglie solo parzialmente nel segno il terzo motivo. 1.3.1. Invero, è manifestamente infondato in punto di dosimetria della pena, atteso che i giudici di merito hanno dato congruamente conto della oggettiva gravità del fatto e delle modalità allarmanti della condotta criminosa, evidenziando che il B.H. non si limitò ad assistere passivamente all'aggressione, ma vi partecipò attivamente. In ogni caso, ritiene il Collegio che non sia necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale Sez. 2, 36104 del 27/4/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01 Sez. 4, numero 21294 del 20/3/2013, Serratore, Rv. 256197 - 01 , che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo Sez. 3, numero 29968 del 22/2/2019, Del Papa, Rv. 276288 - 01 . Orbene, nel caso di specie il reato aggravato di cui al capo D è stato sanzionato con la pena di uno mesi sei di reclusione, sensibilmente inferiore alla media edittale, che è pari ad anni due mesi tre di reclusione diciannove mesi è la metà della differenza tra il minimo ed il massimo edittale, cui vanno aggiunti otto mesi, che rappresenta il minimo edittale per le lesioni aggravate dall'essere state commesse da più persone riunite e con l'uso di armi . 1.3.2. La doglianza è, invece, fondata con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, richieste dal difensore con giudizio di prevalenza sulle circostanze aggravanti, che non risulta motivato. Anzi, la Corte territoriale ha fatto riferimento del tutto erroneamente ad un inesistente giudizio di bilanciamento tra le circostanze di cui all'articolo 69 cod. penumero , a seguito del quale sarebbe stata espressa una valutazione di equivalenza. Orbene, rileva il Collegio che il ritenuto giudizio di bilanciamento non è mai stato effettuato, non essendo state riconosciute all'imputato le circostanze di cui all'articolo 62-bis cod. penumero nel giudizio di primo grado. La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio con riferimento al punto delle circostanze attenuanti generiche. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità.