Le norme italiane in tema di violenza contro le donne sono tra le migliori d’Europa. Non sono molte le occasioni di confrontarle con quelle appartenenti ad altri sistemi giuridici ma, quando capita, il nostro Paese ne esce con un giudizio estremamente positivo.
Chiariamo, anzi tutto, perché sono così apprezzabili e perché tutti dobbiamo confidare nell'apparato giuridico e giudiziario dello Stato italiano, dove siamo nati o dove abbiamo scelto di vivere. La prima ragione si individua nella circostanza che in Italia disponiamo di una tradizione legislativa e dottrinaria di indiscutibile pregio a partire dalle leges dell'antica Roma, passando per penne ispirate come quelle dei nostri costituenti, la norma, intesa come insieme di regole, ha avuto sempre la funzione primaria di consentire un vivere associato ordinato e quindi sereno. Dal momento in cui l'uomo ha smesso di vagare solitario ed ha cominciato a stanziarsi ed organizzarsi in comunità piccole o grandi, ha avvertito il bisogno di darsi delle regole. La seconda ragione si focalizza sull'impegno a livello internazionale membro delle società di nazioni più importanti al mondo, l'Italia beneficia anche delle normative pattizie che, come tutti i distillati dei meltin' pot, si ossigenano nell'esperienza diversificata. Ratificando le convenzioni, rendendole norma nazionale attraverso le leggi di esecuzione, introduce nell'ordinamento interno i precetti ma anche i consigli, attraverso i “considerando” più aggiornati, frutto di meditazioni a vario livello. Negli ultimi dieci anni, il sistema giuridico inerente il fenomeno che, probabilmente per prima a livello internazionale, la Convenzione di Istanbul ha tratteggiato, approfondito e contribuito a delineare, si è arricchito di ben dieci interventi dall'introduzione del reato di atti persecutori e del provvedimento di ammonimento del Questore, alla previsione degli ordini di protezione in sede civile, passando attraverso la codificazione dei delitti in tema di pedopornografia, diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti, sino alla ri-denominazione di fattispecie prima rientranti in delitti comuni, ora specificati secondo caratteristiche precipue per tutti, si pensi alla deformazione permanente del viso, ora norma ad hoc in tema di sfregio. La realtà fenomenica ed empirica comporta sempre l'evoluzione, e ad essa si accompagna giocoforza una parallela trasformazione del mondo criminale che coglie le opportunità del progresso ed anticipa divieti e punizioni. Nel caso della violenza di genere, si tratta semplicemente di nuovi modi per mettere in atto una prevaricazione ancestrale. Senza scomodare concetti che non appartengono al mondo del giurista se non nella misura in cui il parlamento deve ascoltare le piazze per aggiornare il diritto, è notorio che reati quali maltrattamenti e violenza sessuale erano considerati da norme penali sin dagli albori. Altri reati, come lo stalking o le mutilazioni genitali femminili, derivano dalla presa di coscienza che determinati comportamenti, già di per sé illeciti, meritano una denominazione criminosa specifica, e quindi un trattamento sanzionatorio a parte. Le norme italiane oggi annoverano una serie complessa e solida di disposizioni differenti e modulari abbiamo l'apparato sostanziale, che possiamo ordinare nei macro-gruppi delittuosi dei delitti endofamigliari, come i maltrattamenti o l'induzione al matrimonio forzato, quindi delle espressioni tipiche di violenza psicologica – e qui torniamo a parlare di atti persecutori, e di violenza sessuale – oggi regolata da una decina di articoli diversi a riprova che il crimine contro la persona, intesa nella sua intoccabilità intima, ha ricevuto attenzione diversificante, a cui da ultimo si sono aggiunte le nuove frontiere digitali – con ciò alludendo quindi alle forme cyber di reati comuni cyber-stalking, cyber-bullismo e al comunemente chiamato revenge pornumero In Europa, si è tentato di ratificare la Convenzione di Istanbul come normativa comunitaria e le rappresentanti degli Stati membri hanno portato in discussione i modelli su cui conformate le norme nazionali. Lo scontro si è acceso in tema di violenza sessuale, dove tali modelli sono ben tre 1 il consensuale puro per cui solo SI vuol dire si, il consenso valido è quello espresso adottato da 13 Paesi, tra cui Spagna, Belgio, Lussemburgo, Svezia e Grecia 2 il consensuale limitato per cui No vuol dire no, ed è il dissenso a dover essere manifesto 3 il consensuale vincolato per cui per configurare il reato sono necessarie le componenti aggressive di violenza e minaccia o persuasive dell'induzione. Secondo la stampa italiana, nel nostro Paese abbiamo adottato il terzo modello, ma la giurisprudenza tende a pretendere la configurabilità degli estremi del secondo. In Francia si è detto che non avrebbero ratificato Istanbul perché il sistema vigente da loro è più rigoroso provare la violenza è tutto sommato meno arduo che provare la mancanza di consenso e, in ogni caso, conferire all'Europa un potere normativo non previsto, come la ratifica delle Convenzioni, poteva risultare pericoloso. Morale le norme sul consenso e quelle sulle molestie sessuali nei luoghi di lavoro non sono passate. Ma resta un fatto una disamina attenta delle pronunzie che la nostra Cassazione ha reso negli ultimi mesi intorno al delitto di violenza sessuale e non quindi di quelle di cui si fa stampa scandalistica ci conforta. Sezione terza penale, 25 settembre 2024 numero 38909 la violenza richiesta non deve essere tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che il soggetto risulti coartato. Neppure è necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio sino al congiungimento. È sufficiente invece che si sia approfittato dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta. E ancora il 24 settembre 2024, la sezione terza penale ha confermato la condanna inflitta per un bacio. Si tratta del caso “della macchinetta del caffè” a cui le parti si erano incontrate e, scambiati due convenevoli, la donna si era rimessa le cuffiette per ascoltare musica ed aveva ripreso il lavoro mentre l'imputato, afferrandola da tergo, l'aveva buttata contro il muro e baciata. La S.C. qui afferma l'irrilevanza della distinzione fondata sull'intensità dell'atto, che vorrebbe escludere la natura sessuale di baci caratterizzati dal solo contatto tra le labbra e riconoscerla solo a quelli più penetranti, e riafferma che nei contatti corporei puniti dall'articolo 609 bis c.p. sono ricompresi anche quelli pur fugaci, estemporanei, repentini, senza che abbia rilievo determinante la finalità dell'agente e l'eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale. Il giorno dopo la stessa sezione, con sentenza numero 38881, ha delineato il confine tra violenza sessuale ed atti persecutori, ricordando che la natura sessuale di un atto deriva dalla sua attitudine ad essere oggettivamente valutato secondo canoni scientifici e culturali come erotico, idoneo cioè a incarnare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dal fatto che sia proprio questo lo scopo dell'agente. Nel caso di specie, l'imputato aveva palpeggiato la parte lesa, condotta questa che, in presenza di altri presupposti, poteva essere ricondotta alla molestia tipica del delitto di cui all'articolo 612 bis c.p Si legge in questa massima che richiama sez. III, numero 21020 del 28 ottobre 2014 che il tempo del contatto tra mano dell'uomo e gluteo della vittima è valorizzato non ai fini dell'integrazione della fattispecie obiettiva del reato, ma per desumerne l'elemento soggettivo. Nel paradigma della violenza sessuale, infatti, rientrano palpamenti, sfregamenti e baci, anche insidiosi e rapidi, che riguardino zone erogene su persona non consenziente. L'intento – nel caso deciso era oggettivamente connotato da natura sessuale, da concupiscenza, non lasciando dubbi di qualificazione giuridica. Al novero delle norme sostanziali si aggiunge il secondo livello le procedurali, in particolare sulle misure di protezione della vittima. Trascurando gli ordini civilistici, quest'anno la giurisprudenza si è occupata moltissimo di allontanamenti e divieti, e alcune di queste sentenze meritano di venire ricordate, anche se volta per volta Diritto e Giustizia ne ha dato notizia. Cominciamo con la sentenza numero 31704/24 del 2 maggio, sezione V penale, in tema di articolo 384 bis c.p.p. è la nuova disposizione che consente al Pm di il potere di provvedere d'urgenza anche nei casi in cui manchi la flagranza di reato ma sussista pericolo – grave ed attuale per la persona offesa e non sia possibile attendere il provvedimento del giudice. È comunque necessario chiedere a quest'ultimo la convalida. La sentenza in commento si spende con un utilissimo ripasso delle differenze tra tale misura, e quella di cui all'articolo 282 bis c.p.p. anch'essa disciplina l'allontanamento dalla casa famigliare, non come misura pre-cautelare, bensì come misura cautelare in senso proprio. È una norma più risalente introdotta con legge 154 del 2001 e prevede la possibilità che il giudice prescriva anche il divieto di avvicinamento da parte dell'indagato ai luoghi ove la persona offesa svolge la sua vita di relazione. Le Sezioni Unite, con sentenza numero 39005 del 29 aprile 2021 hanno fissato il principio per cui l'articolo 282 ter c.p.p., consente di disporre tale divieto sia alla persona offesa in sé sia in relazione ai luoghi abitualmente frequentati, anche in via cumulativa, luoghi che pertanto devono essere specificati. Come scegliere una volta di fronte al momento applicativo? La misura cautelare di cui all'articolo 282 bis c.p.p. è propria dei delitti tra famigliari e conviventi nella stessa casa, mentre quella di cui all'articolo 282 ter c.p.p., tutela la persona offesa in dinamiche che prescindono dalla convivenza. Sempre in tema, ricordiamo la sentenza numero 173 del 4 novembre 2024, pronunciata dalla Corte Costituzionale, secondo la quale anche se negli abitati piccoli la possibilità di violare la distanza di 500 metri sia maggiormente probabile questo limite non deve comunque mai essere ridotto perché costituisce lo spazio minimo a salvaguardia dell'incolumità della persona offesa. Possiamo concludere che negli ultimi mesi l'attenzione dei giudici è stata più volte sollecitata in tema di distinzione tra maltrattamenti ed atti persecutori, ormai consolidata sui concetti di relazione improntata sul vincolo coniugale o comunque su una convivenza stabile e un affetto duraturo. Se questi permangono anche dopo l'interruzione della coabitazione, e quindi la consuetudine di vita comune si prolunghi, per esempio nell'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ex articolo 337 ter c.c. sez. VI, numero 7259/2019 si può comunque continuare a ravvisare la violazione dell'articolo 572 c.p. recentemente, sez. V, numero 40747/2024 . Questi concetti riverberano giocoforza nell'area più sensibile della materia ossia, ancora una volta, quella delle misure cautelari. Scrive l'estensore di Cass., sez. V penale, sent. numero 42353 del 24 settembre 2024, che la manifestata volontà di separarsi legalmente dal coniuge violento è elemento ininfluente ai fini del pericolo di reiterazione del reato la Convenzione di Istanbul, ratificata nel 2013, è infatti improntata in un'ottica di prioritaria sicurezza delle vittime, o persone comunque a rischio, che non può essere affidata all'iniziativa delle stesse. Solo in presenza di concreti elementi che indichino la recisione della relazione, all'interno della quale si è manifestata la condotta criminosa, potrà essere revocato in dubbio che il pericolo sia attuale. Aggiunge, e questo è molto interessante, che proprio le decisioni del giudice civile – per es. in campo di assegnazione della casa famigliare possono acuire il conflitto ed accrescere le minacce.