A differenza del post lesivo pubblicato sulla piattaforma social Facebook, la diffusione del messaggio offensivo tramite chat Whatsapp non determina la perdita di una essenziale connotazione di riservatezza.
Nel caso di seguito esaminato, veniva contestato all’imputato di aver inoltrato un commento nella chat di Whatsapp denominata “181 ESEMPIO”, cui erano iscritti 158 utenti, integrante il delitto di diffamazione aggravata poiché commesso il fatto con mezzo di pubblicità. Il commento, veniva ritenuto dal giudice del merito, lesivo della reputazione di altro soggetto, atteso che ironizzava circa il possibile accostamento di questi, con altra persona omonima, di cui erano state pubblicate, da altro utente, immagini in abiti succinti. In primo e secondo grado il fatto, pur se rientrante nella fattispecie penalmente rilevante e sostenuto dal dolo, veniva ritenuto di particolare tenuità in ragione della non elevata qualità dell’elemento psicologico, visti i comportamenti immediatamente successivi alla commissione del reato da parte dell'imputato. I giudici di Cassazione, aditi mediante ricorso della difesa, lo ritengono parzialmente fondato al terzo motivo, quanto al profilo della ritenuta sussistente circostanza aggravante del mezzo di pubblicità, la quale comporta la procedibilità d’ufficio. Il Collegio ritiene infatti, l’assenza di detta circostanza nel caso in esame, e la conseguente improcedibilità per mancanza della richiesta di procedimento. Nel sostenere la suddetta tesi, la Suprema Corte riprende un recente orientamento, con il quale viene individuata quale ratio dell’aggravante in contestazione, la particolare diffusività del mezzo utilizzato, sicché l’offesa tende, in virtù delle particolari modalità realizzative, a raggiungere un numero cospicuo e indeterminato di persone. Indubbiamente l’evoluzione tecnologica ha consentito di ampliare le forme di comunicazione tramite la rete internet, da ritenersi tendenzialmente uno strumento che rientra nella previsione di legge ove si evocano altri mezzi di pubblicità. Ciò premesso, ricordano i giudici, «gli strumenti di comunicazione digitale non sono tutti uguali e non funzionano tutti nel medesimo modo». In particolare, una chat di Whatsapp è, per le sue caratteristiche ontologiche, uno «strumento di comunicazione agevolante, ma ristretto poiché raggiunge esclusivamente i soggetti iscritti alla medesima chat». A differenza del post lesivo pubblicato su Facebook infatti, il quale integra l’aggravante del mezzo della pubblicità poiché può raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone, la chat di Whatsapp ha una forma di diffusione ristretta. Ad essere rilevante, secondo il Collegio, non è il numero di iscritti alla chat, quanto la conformazione tecnica del mezzo, tesa a realizzare uno scambio di comunicazioni che resta riservato. La diffusione del messaggio a più soggetti iscritti alla chat avviene in un contesto informativo che sì, consente la rapida divulgazione del testo, ma non la perdita di una essenziale connotazione di riservatezza della comunicazione, destinata ad un numero identificato e previamente accettato di persone.
Presidente Di Nicola - Relatore Magi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 23 marzo 2023 il GUP del Tribunale Militare di Roma ha assolto S.R. dalla contestazione di diffamazione aggravata compiutamente descritta nella intestazione della medesima sentenza, ritenendo applicabile la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all'articolo 131 bis cod.penumero In estrema sintesi, al S.R. viene contestato - in fatto - di aver inoltrato un commento nella Chat dell'applicativo OMISSIS denominata OMISSIS cui erano iscritti 156 utenti il che secondo l'accusa concretizza la circostanza aggravante di aver commesso il fatto con mezzo di pubblicità, con correlata procedibilità di ufficio 1.1 Il commento viene ritenuto - dal giudice del merito - lesivo della reputazione di altro militare R.R. , atteso che si ironizza circa il possibile accostamento della persona del militare che aveva ricevuto un encomio solenne con altra persona omonima di cui erano state pubblicate, da altro utente, immagini in abiti succinti. Sta di fatto che secondo il GUP il fatto è, pur se conforme al tipo e sostenuto dal dolo, di particolare tenuità sia in ragione della non elevata qualità dell'elemento psicologico che in ragione dei comportamenti immediatamente posteriori tenuti dall'imputato. 2. La Corte Militare di Appello con sentenza del 13 marzo 2024 ha confermato la prima decisione. In motivazione si ribadisce che il messaggio ha un contenuto oggettivamente diffamatorio e si ritiene che l'invio sulla chat cui era iscritto l'imputato rappresenta una condotta punibile e procedibile di ufficio essendo sussistente la circostanza aggravante del mezzo di pubblicità, in ragione del numero degli iscritti alla chat . 3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - S.R Il ricorso è affidato a tre motivi. 3.1 Al primo motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla identificazione della persona offesa nella R.R. destinataria dell'encomio. Secondo la difesa le decisioni di merito errano su tale aspetto, posto che la 'battuta' fatta in chat dal S.R. era - manifestamente - diretta alla diversa R.R. che un altro iscritto aveva 'postato' in immagini eroticamente allusive. 3.2 Al secondo motivo si deduce contraddittorietà della motivazione sul medesimo aspetto. Se davvero l'offesa fosse stata diretta alla 'militare' R.R., non avrebbe avuto una connotazione di lievità, il che contrasta con l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'articolo 131 bis cod.penumero . 3.3 Al terzo motivo si deduce erronea applicazione di legge. Si pone l'accento sulla natura 'privata' dei messaggi scambiati in una chat chiusa, in chiave di assenza di rilevanza penale dei medesimi per assenza dei requisiti tipici della condotta diffamatoria. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato al terzo motivo, non in ragione del lamentato deficit di tipicità - posto che all'interno di una chat si realizza la comunicazione tra più persone richiesta dalla norma incriminatrice -, quanto sul profilo della circostanza aggravante del 'mezzo di pubblicità', aggravante che determina come si è ricordato in sede di merito la procedibilità di ufficio. Ne deriva la constatazione, per le ragioni che seguono, della assenza di detta circostanza aggravante e della conseguente improcedibilità per mancanza della richiesta di procedimento. 2. Ed invero, il Collegio intende dare continuità - sotto tale profilo - ai contenuti del recente arresto Sez. I numero 37618 del 19.5.2023, rv 285248, di cui condivide i contenuti. Nella citata decisione si è affermato, in particolare, che [ ] la ratio della aggravante va individuata nella «particolare diffusività» del mezzo utilizzato caratteristica obiettiva della stampa , sicché l'offesa tende, in virtù delle particolari modalità realizzative, a raggiungere un numero cospicuo e indeterminato di persone. Indubbiamente l'evoluzione tecnologica ha consentito di ampliare le forme di comunicazione tramite la rete internet, da ritenersi tendenzialmente uno strumento che rientra nella previsione di legge ove si evocano altri mezzi di pubblicità. Ciò avviene, in particolare, quando un contenuto lesivo viene reso «pubblico» su un qualsiasi sito internet ad accesso libero. La libertà dell'accesso al sito che contiene la comunicazione diffamatoria è esattamente parificabile alla scelta di consultazione di una stampa cartacea, sicché nessuna questione può porsi in tema di rispetto del principio di tassatività. Tuttavia, gli strumenti di comunicazione digitale non sono tutti uguali e non funzionano tutti nel medesimo modo. In particolare una chat dell'applicativo OMISSIS è, per le sue caratteristiche ontologiche, uno strumento di comunicazione di certo 'agevolante' ma al contempo 'ristretto', nel senso che il messaggio di testo o immagine che sia raggiunge esclusivamente i soggetti iscritti e reciprocamente accettatisi alla medesima chat. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha ritenuto che la pubblicazione di post lesivi sulla piattaforma social OMISSIS integri l'aggravante del mezzo di pubblicità. Vanno in tal senso indicate le decisioni Sez. I numero 55142 del 2014 e Sez. V numero 13979 del 25.1.2021, rv 281023, ove si pone l'accento sulla oggettiva potenzialità che, in tal caso, ha il testo lesivo di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone. Tuttavia a parere del Collegio vi è una rilevante diversità - esclusivamente ai fini della integrazione della particolare aggravante - tra l'utilizzo di un social strumento che si rivolge - per definizione - ad una ampia platea di persone previamente abilitate dal titolare della pagina a consultarne i contenuti, con possibilità di riproporre i testi o le immagini sulla propria bacheca, sì da dare luogo di fatto ad una forma di diffusione incontrollata e l'utilizzo di una chat di messaggistica ristretta. Ad essere rilevante, invero, non è il numero di iscritti alla chat quanto la «conformazione tecnica» del mezzo, tesa a realizzare uno scambio di comunicazioni che resta - in tutta evidenza - riservato. La diffusione del messaggio a più soggetti - gli iscritti alla chat - avviene, in altre parole, in un contesto informatico che se da un lato consente la rapida divulgazione del testo dall'altro non determina la perdita di una essenziale connotazione di riservatezza della comunicazione, destinata ad un numero identificato e previamente accettato di persone. La tensione con il principio di tassatività in ambito penale, ove si voglia realizzare una equiparazione tra i diversi strumenti comunicativi, in rapporto ad una previsione di legge ove si evoca un 'mezzo di pubblicità', appare del tutto evidente [ ]. 3. Va pertanto annullata senza rinvio la decisione impugnata, previa esclusione della circostanza aggravante di cui all'articolo 227, comma 2, cod. penumero mil. pace, essendo il reato improcedibile ab origine per assenza della richiesta di procedimento. P.Q.M. Esclusa l'aggravante di cui all'articolo 227, comma 2, cpmp, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, essendo il reato improcedibile per la mancanza della richiesta di procedimento.